12
– Talk
Il suono deciso
dei miei passi echeggiava tra le vecchie
pareti di pietra del corridoio del sesto piano. Ero così
concentrata su ciò che
dovevo fare che a malapena riuscivo a pensare a quello che era successo
solo
qualche ora prima. Non mi importava niente. Avevo preso la mia
decisione.
-
Ti rendi conto che
abbiamo bisogno di qualcuno che sia alla nostra altezza?
Sì.
Certo che me ne rendevo conto.
Mi fermai
davanti alla porta, bussai brevemente e senza
aspettare risposta entrai.
Il profumo dei
fiori mi colpì come uno schiaffo;
improvvisamente con l’occhio della mente rividi quella stessa
stanza, piena di
gente, in un pomeriggio di qualche tempo prima. Un ricordo.
Istintivamente mi
voltai a destra, dove vidi una foto di alcuni ragazzi –
presumibilmente della
mia stessa età – che mi fissavano e mi salutavano.
Erano terribilmente
familiari. Mamma, papà e gli zii.
- Rose? Cosa
succede? – esclamò il professor Longbottom,
alzandosi dalla scrivania per venirmi incontro – Credevo
fossi già scesa al
Banchetto con gli altri.
- Non ancora. Ho
bisogno di parlarti – distolsi lo sguardo
dalla vecchia foto e lo puntai su di lui – Voglio uscire
dalla squadra.
Neville
corrugò le sopracciglia – Come?
Sospirai e mi
sedetti su una delle morbide poltrone davanti
alla grossa scrivania di quercia.
- Pensavo che
sarebbe stato facile, che sarei riuscita a… non
so, andare avanti, dimostrare che ero in grado di farcela nonostante
tutto. Ma
avevo sottovalutato tutta la situazione. Non posso partecipare alla
gara. Devo…
riannodare un sacco di lacci – sussurrai, scuotendo la testa.
Il professore mi
fissò a lungo, poi scosse lentamente la
testa - Non posso, Rose. Mi dispiace.
- Sì
che puoi, è solo che non vuoi! – incalzai,
scaldandomi
subito – Per favore, permettimi di uscire. Non…
- È
per qualche commento da parte dei tuoi compagni di
squadra? Parleremo di questo, alla prossima riunione. Litigare come dei
bambini
durante la competizione… scherzate?
- No!
– esclamai in fretta – Non hanno detto niente.
È solo…
senti, l’hai vista anche tu la gara, oggi. I miei compagni
sono in gamba; sono
bravi! Io non posso aiutarli e al momento è come se avessero
un membro in meno.
Io non voglio essere la zavorra di nessuno, okay?
Neville
sospirò e si sedette – letteralmente –
sulla
scrivania. Mi guardava con la stessa espressione affettuosa dei miei
genitori –
Rose. Lo so che è difficile. Ma andartene non è
la decisione giusta.
- No. Non lo
sai! Tu sei un professore e sei sempre
impeccabile. Tu credi che inserendomi a forza in questa squadra gli
altri mi
prenderanno in simpatia, che sarà facile per me ricordare
tutto piuttosto che
sentirmi ridicola e inutile, e per un attimo l’ho pensato
anche io, ma non è
così. Non è così. – sbottai,
passandomi una mano sul viso.
Restammo in
silenzio per un bel po’, poi Neville sospirò
ancora – È vero; spesso noi adulti dimentichiamo
cosa significhi essere
adolescenti… ma ti assicuro che so
cosa significa. So anche cosa provi.
Forse
non ci credi – aggiunse, mentre aprivo bocca per ribattere
– ma ti capisco. Io
non voglio che tutti i tuoi
compagni
ti accettino. Non sarà mai così ed è
bene che tu lo sappia. Ma questo non vuol
dire che tu non possa provare a dimostrare chi sei veramente. Non
perché tu
abbia bisogno dell’approvazione di qualcuno, sia chiaro. Ma
solo perché noi
siamo molto di più di come ci viene definiti. Non ti
farò uscire dalla squadra,
un giorno capirai. E poi, che tu ci creda o no, mi stai aiutando a far
crescere
i tuoi amici. Hanno bisogno di te, come tu ne hai di loro.
-
Perché?
-
Perché tu sei stata posta davanti a questa prova…
e non
puoi tirarti indietro, devi combattere. E i tuoi compagni…
beh, loro devono
crescere. Devono confrontarsi con una realtà diversa da
quella a cui sono
abituati. Devono aprirsi alle differenze e capire…
- Quindi cosa
sono? Una specie di esperimento sociale? Il
caso umano dell’anno?! –
replicai,
voltandomi di scatto a guardarlo. Io dovevo
aiutarli a crescere, imponendogli la mia presenza a tutti costi?
Perché? Perché
non potevo semplicemente rimanere nell’ombra e aspettare che
le cose si
sistemassero?
- No, Rose,
tu… - iniziò, ma io lo interruppi –
Lasci stare, professore. Va bene
così. Mi vuole nella
sua squadra? Okay. Quando poi avremo perso a causa di una persona in
meno provi
a consolare così i miei compagni. Forse a loro
basterà. – mi alzai di scatto e
mi precipitai fuori dall’ufficio. Finsi di non vedere la sua
espressione ferita
e mi imposi di pensare che non me ne importava nulla.
*
La piuma
galleggiava a mezz’aria, proprio davanti al mio
naso.
- Grande Rose,
hai imparato a far levitare gli oggetti. I
ragazzini di Primo sarebbero fieri di te! Evviva. - sbottai
rabbiosamente,
sbattendo la bacchetta sul banco accanto a me. In
quell’istante il contatto si
ruppe e la piuma prese a cadere verso il basso, volteggiando pigramente.
Sospirai e mi
sedetti meglio, stringendo le ginocchia al
petto. Avevo freddo. Fuori era buio e, sebbene la vecchia finestra alla
mia
sinistra fosse molto sporca, era possibile vedere un pezzettino di luna
piena
fare capolino tra le nuvole. Rabbrividii.
Ti
rendi conto che
abbiamo bisogno di qualcuno che sia alla nostra altezza?
Eccome. Ed era
davvero stupido da parte del professor Neville
non capirlo.
E ora eccomi
lì, in quella vecchia aula polverosa, a
nascondermi dal resto della scuola. Mi vergognavo così
tanto. Non volevo vedere
nessuno. Non avevo neppure idea di che ora fosse, ma l’ora di
cena doveva
essere passata da un bel pezzo. Il mio stomaco brontolò, ma
continuai ad
ignorarlo. Ero più triste che affamata, in ogni caso.
Improvvisamente
vidi una luce oltre il vetro smerigliato
della porta della classe; poi qualcuno spinse la porta ed
entrò. Vidi solo il
raggio luminoso sulla punta della bacchetta, quindi non realizzai
subito di chi
si trattasse.
Poi riconobbi i
capelli biondi ed alzai gli occhi al cielo.
Di tutte le persone… non era proprio possibile.
- Oh. Sei qui.
– disse Malfoy, preso alla sprovvista.
Sollevai le sopracciglia – Già, e adesso puoi
uscire, chiudere la porta e
lasciarmi in pace.
-
Cosa…? – Sbuffò risentito –
Senti, Al sta dando di matto.
Noi due siamo di ronda e lui voleva venirti a cercare,
quindi…
Mi voltai a
guardarlo ed incrociai le braccia – Infatti, lui.
Che peccato che tu mi abbia trovata
per primo. Quindi perché adesso non te ne vai? Puoi sempre
dirgli che mi hai
visto, che sono viva e che sto andando a dormire.
Malfoy rimase in
silenzio per un tempo che mi parve
lunghissimo. I suoi occhi brillavano
nell’oscurità, ma non riuscivo a cogliere
la sua espressione. Continuava a tacere e fissarmi.
Alla fine
sospirai e mi voltai verso la finestra. La luna era
ancora lì, mentre le nuvole si erano spostate. Poi,
incredibilmente, iniziai a
giustificarmi con lui, l’ultima persona a cui avrei voluto
parlare ancora.
- Senti, lo so
che avete ragione. Neanche io voglio farla,
questa stupida gara. E sono sicura che siate perfettamente in grado di
parteciparvi anche senza di me; ma Longbottom non mi permette di
lasciare la
squadra. Forse se glielo diceste voi…
- Lasciare la
squadra? – Malfoy si avvicinò lentamente alla
cattedra impolverata e mi guardò con leggera
curiosità. Annuii stancamente.
- Rose Weasley
si farebbe calpestare dai Centauri piuttosto
che mollare la squadra. – disse lui con fare antipatico. Gli
scoccai
un’occhiataccia.
- Bah, forse una
volta – mi mossi a disagio e la bacchetta
cadde a terra. Non la raccolsi neanche.
- Dovresti
prenderla. – suggerì Malfoy, mentre quella
rotolava sotto un armadio. Fissai il punto in cui era caduta - Per
quello che
mi serve. La prenderò dopo. A meno che tu non voglia
lanciarmi contro qualche
maledizione, certo… ma anche in quel caso sarebbe
assolutamente inutile.
Il ragazzo
tacque, ed io mi strinsi nelle spalle, facendo del
mio meglio per ignorarlo. Poi improvvisamente lui puntò la
sua bacchetta verso
l’armadio – Accio bacchetta.
Volevo
chiedergli cosa stesse facendo, ma poi lo vidi
afferrarla e porgermela, l’espressione molto seria
– Non è inutile. Questo è
quanto di più caro possa avere un mago… o una
strega. – disse semplicemente. Io
la afferrai, incerta su cosa dire.
- Grazie
– mormorai infine, senza guardarlo.
Restammo in
silenzio per un bel pezzo, finché lui non si
schiarì
la voce. Esitava.
-
Senti… quello che ho detto oggi, quello che ha detto
Nott…
- Oh no. Non farlo
– mi voltai di nuovo verso di lui e sollevai una mano
– Non voglio che ti
scusi, okay? È quello che pensi, quello che pensa lui. Va
bene così.
- Io volevo
solo… - iniziò lui, punto sul vivo, ma io lo
interruppi ancora – Non voglio delle scuse dettate
da… questa specie di compassione
che pare la mia situazione
susciti in tutti. Prima mi vomitate addosso quello che provate e poi
ripensate
a quello che mi è successo e vi scusate? No, lascia stare.
Sì, un po’ di comprensione
aiuterebbe... se fosse autentica.
- Comprensione?
-
Sì… se solo capiste sul
serio che sto facendo del mio meglio. Che capiste, piuttosto
che… sparare a
zero su tutto quello che faccio, solo perché prima…
- E
dov’era la tua comprensione, prima?
– replicò lui con voce tagliente –
Quando tu eri Miss
Perfezione, dov’era? Quando tu sparavi a zero sui tuoi amici,
i tuoi parenti,
su tutti…
- Io…
- sentii gli occhi pungere, perché aveva ragione. Ed
ero sicura che altre volte lui mi avesse detto la verità
allo stesso modo, ed
io… lo avevo mai ascoltato? – non lo so. Non lo so.
Il silenzio
durò a lungo anche in questo caso.
Alzai lo sguardo
e fissai quello sconosciuto. Perché al
momento lo era, esattamente come tutti gli altri. Non avevo idea del
perché mi
trovassi in quelle strane situazioni sempre con lui. Come se ci fosse
qualcosa
di irrisolto, come se il mio subconscio mi suggerisse di parlare con
lui. Di
chiarire qualcosa.
- Io e te non
siamo mai stati amici, vero? Devo averne
combinate di grosse, per essere arrivati a questo punto –
sussurrai infine,
stringendo la bacchetta tra le dita. Volevo capire, anche se non sapevo
perché.
- No, non siamo
amici. Noi siamo…
Ci mise un
po’ a rispondere, per cui mi voltai a guardarlo.
Si era seduto sulla cattedra, le lunghe gambe penzoloni e mi scrutava.
– Cosa
siamo, Scorpius? Okay, nessuna
comprensione. Ma almeno mi aspetto un po’ di
onestà da te.
- Tu non sai
niente di me.
- E tu non sai
niente di me – replicai – mi sembra che su
questo punto siamo d’accordo.
- Noi non siamo
amici – disse lui – Noi siamo in competizione
da sempre e per tutto; la scuola, l’amicizia di Al, il
Quidditch, l’affetto
della tua famiglia. Ci siamo detti… cose.
Ci siamo lanciati addosso incantesimi. Non siamo amici. Non lo saremo
mai, Rose.
Lo disse con un
tono calmo, quasi gentile, ed io annuii. Mi
voltai verso di lui, facendo un piccolo sorriso – Scusami,
non lo sapevo. Non
so tante di quelle cose… forse non le ho mai sapute
– aggiunsi poi, parlando
più a me stessa che a lui.
Lui schiuse le
labbra per dire qualcosa, poi le richiuse.
Scese dalla cattedra e si avviò verso la porta. Prima di
uscire si voltò a
guardarmi – Ti ho vista davanti al ritratto della tua Sala
Comune. Stavi
tornando dall’Infermeria, perché avevi mal di
testa.
- A causa della
gara. E stavo andando a dormire – suggerii.
Lui annuì – Non farti beccare da Al, allora.
Scossi la testa
e lui se ne andò.
Io mi voltai
nuovamente verso la finestra, stringendo ancora
la bacchetta tra le dita.
Stavo cercando di creare un punto di contatto tra Rose e Scorpius e... sì, direi che questa è una sorta di svolta del loro rapporto. Parrebbe di no, eppure non è così.
Seguendo una linea temporale, in teoria il capitolo si svolge lo stesso giorno della gara, ma ci sarà un piccolo salto in avanti dal prossimo. Roba di settimane eh, nulla di che!
Sono supermega felice di essere tornata! Avrei postato prima, ma in pratica non ho internet a casa e sto scroccando da quella del mio fidanzato! Il prossimo capitolo, in ogni caso, è a buon punto... ho mille idee!!!
A prestissimo! Baci!
Lily_Luna