Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: xiaq    20/12/2015    2 recensioni
Vorrebbe dire:
Se Pablo Neruda avesse visto i tuoi occhi avrebbe dedicato loro venti poemi d'amore ed uno di disperazione.
Ma non ci si aspetta che le persone dicano cose del genere. Quindi non lo fa.
Au:
John e' stato congedato anticipatamente dal servizio militare , sta lavorando all’ospedale quando Sherlock viene ricoverato al pronto soccorso.
Autrice: xiaq
Traduttrice: 86221_2097
Genere: Angst, Avventura, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU, Cross-over, Traduzione | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 4
Note dell'autrice:  ancora un po' di Mycroft, perchè è il mio preferito. Ma non preoccupatevi, settimana prossima tornano Sherlock e John a pieno regime. Nel capitolo 5 ci saranno anche più parti sulle deduzioni. Grazie a tutti coloro che leggeranno!

La prima volta che John aveva visto Sherlock ferito era stato sei settimane dopo averlo incontrato, la sesta settimana di terapia. La settimana prima aveva saputo il suo nome.

La quinta settimana, John non si era disturbato a salutare quando si era seduto. Ormai aveva capito che se Sherlock fosse stato interessato a parlargli, lo avrebbe fatto. Altrimenti, non lo avrebbe fatto.

Aveva preso lo zaino, tirato fuori l'Amleto, e preso a fissare furioso le pagine per qualche minuto come se fossero un affronto personale.

"Ti piace la matematica."

John aveva guardato Sherlock da sopra il dorso del suo libro, e poi aveva posato l'Amleto con un sospiro. Non è che stesse facendo molti progressi, in ogni caso.

"Sì."

Non sembrava incline a dire nient'altro e per qualche ragione l'idea che quella sarebbe rimasta l'unica interazione della giornata sembrava intollerabile a John.

"Come fai a saperlo?" aveva chiesto John.

"Perchè," Sherlock aveva gesticolato verso il corpo di John, parole lente. "tutto ciò che ti riguarda è strutturato. Organizzato. Arrivi ogni giorno allo stesso orario. Il tuo zaino è davvero troppo ordinato per un ragazzo della tua età. Il tuo cellulare è sempre nella tasca destra, mai nella sinistra. " le parole di Sherlock diventano più veloci, si sovrappongono le une sulle altre. "Ti siedi sempre nello stesso modo, ricicli sempre le stesse tre espressioni e stai molto attento a non agitarti. Ti piace l'ordine. La matematica è ordine. Si può prevedere. Impari le regole. Le segui. Due più due farà sempre quattro. E' costante. Ti piace perchè è qualcosa che puoi controllare." si era seduto di nuovo, sembrando quasi sorpreso di se stesso, e poi aveva aggiunto, quasi sovrappensiero, "E' noiosa."

"Quindi, per estensione, io sono noioso?"  aveva chiesto John. Aveva deciso di non commentare il resto.

"Non ho detto questo," aveva risposto. "Se fossi noioso non starei parlando con te."

In qualche modo era riuscito a far suonare la frase come un insulto.

John era resistito all'impulso di alzare gli occhi al cielo.

"E tu quindi?" aveva chiesto invece.

"Io?"

"Io sono bravo in matematica. Tu in cosa sei bravo?"

"Io sono bravo in tutto." non c'era niente di ciò che ci si sarebbe aspettati nel suo tono: nessuna vanteria, nessun orgoglio. Aveva pronunciato quelle parole come se fossero un fatto.

"A che livello sei a scuola?" aveva chiesto John.

"Sesto."

"Mi prendi in giro?"

"No."  la sua espressione sembrava dire, "ovviamente."

"Quanti anni hai?"

"Dodici."

John aveva fischiato rumorosamente. "Be', suppongo che tu sia veramente bravo in tutto, allora."

Di nuovo, quell'espressione.

John aveva ricordato la settimana prima con un sorriso.

"Ho una collezione di monete," aveva detto all'improvviso e le labbra di Sherlock si erano curvate leggermente, l'accenno di un sorriso, e aveva risposto. "Falso."

Non saprebbe dire perchè poi lo avesse fatto, ma aveva obbedito all'improvviso impulso di tendere la mano e dire, "Il mio nome è John, John Watson,"  aspettando con forse troppo ottimismo, nella speranza che l'altro replicasse al gesto.

L'altro ragazzo lo aveva osservato per un momento.

La sua mano aveva toccato quella di John, brevemente, un sussurro sulla pelle, prima di ritirarla di nuovo.

"Sherlock Holmes," aveva detto.

La sesta settimana John aveva salutato Sherlock con una dichiarazione.

"Odio il succo d'arancia."

"Falso," aveva risposto senza aprire gli occhi, e John si era seduto con un sospiro.

"Ascolto i The Clash mentre studio," aveva continuato.

Sherlock aveva riso, una risata vera, la prima che John avesse mai sentito, e si era voltato a guardarlo. "Vero. Probabilmente è per questo che vai male in Inglese."

John aveva fatto una smorfia in risposta. "Be', tu cosa ascolti quando studi?"

Sherlock aveva riso ancora, più forte questa volta, ma in modo meno reale. "Io non studio."

"Per niente?" aveva chiesto.

Sherlock lo aveva guardato con un'espressione che sottolineava chiaramente che queste attività fossero troppo prosaiche per acquisire un qualche interesse per lui.

"Bene, ottimo."

John si era abbassato per cercare l'Amleto nel suo zaino e aveva realizzato, da quella visuale, che Sherlock fosse scalzo.

"Dove sono le tue scarpe?"

"Non ne ho idea"  aveva risposto Sherlock, completamente indifferente.

L'attenzione di John si era spostata sulle dita pallide, scurite dalla camminata sull'asfalto, arrossate sotto lo sporco.

"Come fai a non saperlo?"

La voce di Sherlock era diventata tagliente. "Penso che la cosa si spieghi abbastanza da sè, ma posso tirare a indovinare, se vuoi."

John era slittato dalla sedia e si era accucciato per terra, per prendere una delle caviglie di Sherlock, ma quando questo aveva realizzato le sue intenzioni, aveva tirato le gambe al petto, lontano dalla sua portata, sembrando quasi spaventato.

"Cosa stai facendo?"

"Credo che tu stia sanguinando, solo-" John aveva accennato verso di lui con una mano, "fammi controllare."

Sherlock aveva lentamente abbassato il piede a cui John si stava avvicinando e si era preso un momento per guardarlo prima di muovere anche il secondo. Erano un disastro. Le dita nere di Sherlock erano ferite, l'arcata e i talloni dei suoi piedi erano costellati di piccoli sassi.

"Cosa diavolo hai fatto? Corso sulla ghiaia?"

"Sì." aveva risposto Sherlock.

John non l'aveva detto seriamente, ma la risposta solenne aveva ricondotto la sua attenzione al viso di Sherlock.

"Cosa? Perchè?"

"Perchè sembrava un'idea migliore dell'alternativa."

John aveva osservato il piede straziato tra le sue mani, le dita strette facilmente attorno alla caviglia e aveva aggrottato le ciglia.

"Qual'era l'alternativa?"

Sherlock aveva scrollato le spalle, "Essere preso."

"Qualcuno ti stava inseguendo?"

Ancora una volta, quell'espressione che sembrava dire "ovviamente".

"Quindi hai perso le scarpe mentre cercavi di scappare da qualcuno che voleva farti male?"

"No." Sherlock aveva scansato le mani di John, riportando le ginocchia al petto. "Loro hanno preso le mie scarpe pensando che mi avrebbe impedito di correre. Una svista da parte loro, in realtà."

Come sempre non c'era parvenza di emozione nella sua voce. Nessun autocompatimento, nessun dolore. Solo un banale trasferimento di informazioni.

"Loro?" aveva ripetuto John.

Per un attimo era parso che Sherlock si sarebbe profuso in qualche rimbrotto sarcastico sulla ripetizione e sul fatto che Sherlock fosse noioso, ma dopo aver osservato John per un altro momento, il viso di Sherlock era sembrato arrendersi.

"Non piaccio molto alle persone." aveva detto brevemente, come se questo spiegasse tutto. E poi aveva poggiato dietro la testa, chiudendo gli occhi.

Fine della discussione, diceva la postura.

John aveva lasciato perdere.

Ma aveva scoperto che non poteva. Non veramente. Era rimasto seduto sul pianerottolo fuori dalla porta del palazzo dopo il suo appuntamento, ma non era riuscito a forzarsi ad andarsene. Aveva tirato fuori l'Amleto e si era rassegnato ad aspettare. Mezz'ora dopo Sherlock era uscito dall'edificio, la testa incurvata, le mani in tasca, e John si era avvicinato ai suoi piedi, non molto sicuro di come procedere.

"Hey!" eloquente. Un inizio perfetto.

Sherlock aveva voltato il viso verso di lui, e poi aveva compiuto un esitante passo avanti, come insicuro del fatto che John si stesse effettivamente rivolgendo a lui.

"Sì?"

"Fatti prestare le mie scarpe di riserva," aveva detto, indicando con il pollice il suo zaino. "I tuoi piedi sono un disastro."

"Sto bene."

"Falso," aveva detto John brevemente, facendo del suo meglio per imitare la voce di Sherlock.

L'ombra di un leggero sorriso, e dopo una veloce deliberazione Sherlock si era fatto più vicino. "Le sporcherò di sangue."

"Niente che non abbiano visto prima," aveva detto John, facendo scivolare lo zaino via dalla sua spalla per poterci frugare dentro. "Ecco. Sono un po' vecchie , ma comunque."

Sherlock aveva preso le scarpe, sembrando quasi spaesato, e si era seduto a terra per indossarle. Come John aveva aspettato, erano eccessivamente grandi, ma l'espressione sul viso di Sherlock era parso stranamente soddisfatto quando si era alzato di nuovo.

"Grazie," aveva detto Sherlock con cautela.

Avevano iniziato a camminare.

"Dove sei diretto?" aveva chiesto John.

"Biblioteca."

"Ma non per studiare."

"Io non studio."

"Quindi perchè la biblioteca."

"E' preferibile all'alternativa."

John aveva aggrottato le ciglia. "L'alternativa sarebbe casa tua?"

"Sì."

"Posso chiedere perchè la biblioteca sia preferibile a casa tua?"

"Sì."

Era rimasto silenzioso per alcuni secondi e John si era ritrovato a ridere. "Perchè la biblioteca è preferibile a casa tua?"

"Perchè, tutto è troppo vicino o troppo rumoroso lì. Mio padre raramente è a casa e a mia madre non piaccio." Nessuna emozione. Nessuna inflessione nel tono. Solo parole unite insieme per formare frasi.

"Non piaci a tua madre?" aveva ripetuto John.

"Per niente."

"Perchè?"

Sherlock aveva serrato le labbra, ma era rimasto per il resto senza espressione."Perchè, ha paura di me."

Gli era servito un attimo per processare la cosa. "E tuo padre?"

"Penso che abbia paura anche di lui."

John aveva riso, nonostante la conversazione non fosse affatto divertente. "Intendo, cosa pensa tuo padre di te?"

Sherlock aveva aggrottato le ciglia, come se non avesse mai considerato prima la questione. "Dubito che abbia una forte opinione in un senso o nell'altro. Non ha passato abbastanza tempo con me per formarne una. Non ho dubbi che preferisca mio fratello maggiore, comunque."

"Tuo fratello?" aveva incitato.

"Mycroft. Dodici anni più grande di me. E' in politica."

"Quindi lui è come te, molto intelligente, intendo?"

"Molto simile a me," aveva concordato. "Ma solo le parti buone."

"Cosa intendi?"

"Sociopatico," gli aveva ricordato Sherlock, il dito sulla tempia destra.

"Lui non lo è, giusto?"

"No."

"Sembra simpatico."

Sherlock lo aveva guardato in un modo che John non era riuscito a decifrare. "Non molto."

"Se lui è in politica, tu cosa vuoi fare? Quando diventerai grande, dico."

"Voglio fare lo strizzacervelli."

Sherlock lo aveva detto in modo così solenne che a John era servito un attimo per capire che fosse uno scherzo ed era scoppiato a ridere.

"Falso," aveva detto di nuovo John, con un'imitazione adeguata del tono freddo dell'altro ragazzo.

"Sì," aveva assentito Sherlock, fermandosi davanti alla liberia.

"A volte canto l'Opera quando cucino," aveva detto John, continuando a camminare.

"Vero," gli aveva sbraitato contro Sherlock. "Pensi di continuare a farlo? Stai diventando fastidioso."

John non aveva risposto, aveva fatto un cenno e aveva guardato Sherlock salire i gradini della libreria da oltre la spalla. Era difficile da dire con sicurezza, ma aveva pensato che l'altro ragazzo potesse star sorridendo.

***
"John?"

Si sposta dolorosamente dai ricordi al presente, aprendo gli occhi, e socchiudendoli velocemente per colpa della luce che permane la sala d'attesa.

"Scusa, scusa," Stamford si trascina dentro. "Sono le 4:30. Mi avevi chiesto di svegliarti non appena fossi arrivato."

"D'accordo."

John strofina la punta delle dita sugli occhi gonfi, sapendo di non essersi neanche lontanamente avvicinato ad una notte completa di sonno. Quando li apre di nuovo, Stamford gli appare decisamente imbarazzato.

Consegna a John le chiavi senza guardarlo negli occhi. "Grazie per avermi permesso di stare nel tuo appartamento l'altra notte. Te lo giuro, è solo fino a che non trovo un altro posto..."

John lascia correre la bugia. "Hai portato il computer?" chiede.

"Sì." Stamford sfila lo zaino da sotto la spalla, estraendone un cavo per la carica ed un macbook. "Questo?"

"Mm."

L'altro tirocinante interpreta il mugugno di John come un assenso.

"Ok, grazie di nuovo. Ci vediamo ai turni."

"Sì."

La porta sbatte dolcemente mentre si chiude, e John si alza, tenendo il computer ed il suo caricatore con un braccio, l'altra mano che tenta di conferire una parvenza di ordine ai suoi capelli.

Classifica la cosa come una causa persa e decide di adempiere alla sua promessa prima di venire trascinato da qualche parte per un'emergenza.

La porta si apre di nuovo e lui si gira, aspettandosi che Stamford si sia dimenticato di dirgli qualcosa, invece si ritrova faccia a faccia con Mycroft Holmes.

L'uomo sembra impossibile da concepire: una camicia perfettamente stirata, la giacca piegata con precisione su di un braccio, senza pieghe, e lo sguardo decisamente troppo attento per essere le quattro di mattina.

"John," dice Mycroft, un sottile accenno di sorpresa nel tono, come se fosse una felice coincidenza l'essersi incontrati.

"Mycroft," risponde John, concentrato sulla sua respirazione.

Non picchiarlo. Continua a ripeterselo. L'uomo potrà anche essere un insopportabile stronzo, ma è anche spaventosamente potente.

Il fratello di Sherlock lo studia per un momento, osservando le sue occhiaie e le sopracciglia aggrottate.

"So che probabilmente sei ben lontano dall'essere soddisfatto di me," inizia.

"Leggermente." mugugna John.

Mycroft inclina la testa "In ogni caso. Non hai idea di quanto ti sia grato per aver chiamato. Mio fratello è..."

"Stupido? Incosciente? Totalmente esasperante?"

Ride educatamente. "Tutto vero, ma intendevo dire che è di vedute fastidiosamente ristrette per essere un genio. Pensavo che la situazione dell'eroina fosse sotto controllo. Chiaramente mi sbagliavo."

John si massaggia il retro del collo con la mano libera. "Quindi cosa hai intenzione di fare a riguardo?"

Mycroft alza le spalle. "L'ho minacciato. Ha detto che smetterà."

"E tu gli credi?"

"No."

"Quindi cosa hai intenzione di fare a riguardo?" ripete John.

Mycroft gli lancia uno sguardo quasi severo. "Aspettare. Osservarlo con più attenzione. Forse sarò costretto ad intervenire in modo più drastico."

John lascia uscire una roca imitazione di una risata. "E ora non è il momento? E' quasi morto, Mycroft. Presumo tu abbia letto la sua cartella."

"L'ho fatto."

"Quindi, cosa c'è, la morte non è un motivo sufficentemente urgente per intervenire?"

Lo sguardo severo si intensifica. "Ho le mie ragioni. Non mi è necessario condividerle con te."

"Questo rende tutto incredibilmente chiaro, grazie."

Mycroft sospira. "Sembri tremendamente interessato alla sua salute per essere uno che non lo vede da cinque anni."

"Cinque anni e centoventisette giorni." dice automaticamente, ricordandosi del veloce calcolo di Sherlock. Poi realizza di averlo detto e si ritrae.

Mycroft sembra quasi ferito. "Sono davvero dispiaciuto, John." dice.

"Non ho potuto contattarti. Se fosse stata una mia scelta, lo avrei fatto. Eri buono per lui. Lo riconosco, anche se lui non lo ha fatto."

John realizza che le sue mani sono serrate. Si prende un momento per distendere lentamente le dita.

"Non ho intenzione di perdonarti," dice. Non c'è rabbia nelle sue parole, solo una riluttante verità.

"Lo so," per un momento, Mycroft sembra stanco almeno quanto si sente John. "Ma se potessi," fa una pausa, spostando l'ombrello in modo da poterlo tenere in mano, "Solo...sii gentile con lui. Sei stata l'unica persona, se escludi me, con cui ha volontariamente passato nel tempo. Io sono stato una definitiva delusione. Ma tu, John..."

Il suo tono implica l'impossibile.

"Lo tratterò con la stessa gentilezza con cui tratto tutti i miei altri pazienti." dice John conciso. "Ora, se vuoi scusarmi, ho del lavoro da fare."

"Suppongo che il computer sia per Sherlock," continua Mycroft, senza muoversi.

John digrigna i denti, ma si ferma anche lui. "Sì. Problemi?"

"No. Sono solo sorpreso che sia riuscito a guadagnare un favore da te così in fretta."

"Sherlock ottiene quello che vuole," risponde.

"Sì," concorda Mycroft.

John prende in considerazione l'idea di andarsene a quel punto, ne è veramente tentato, ma non lo fa. Si inumidisce le labbra con una veloce passata della lingua e tenta di rilassare la linea delle spalle. Se vuole informazioni dovrà sacrificare un po' del suo ego. "Ho accidentalmente ascoltato un'interessante conversazione al telefono, ieri." inizia esitante, e Mycroft sorride.

"Sì, Sherlock ha intrapeso una carriera quantomeno particolare dall'ultima volta che lo hai visto."

"Sembrava..." chiude gli occhi per un momento, troppo lentamente per essere un battito di ciglia, e sospira. "sembrava che stesse parlando-di questi uomini, che erano su tutti i telegiornali, quelli arrestati negli Stati Uniti."

"Sì." concorda Mycroft, esasperantemente calmo. "Non conosco i dettagli, ovviamente, ma Sherlock è stato in qualche modo coinvolto nelle procedure al confine la scorsa settimana. Sono sicuro tu abbia notato lo stato terribile della sua pelle. Non ha mai avuto interesse nell'uso della crema solare. Ma," scuote la testa, come momentaneamente sopraffatto. "Sai che mio fratello ha talenti praticamente unici. Li usa nel modo che crede più adatto, ed io ho l'impressione che sia molto bravo in quello che fa. Qualunque cosa sia."

John si passa le mani sulla fronte, chiudendo gli occhi di nuovo.

"Quindi mi stai dicendo che è una specie di investigatore privato? Che cattura boss della droga?"

"No," dice Mycroft evasivo, "non proprio."

"Ma qualcosa di simile?"

"Be'" ammette Mycroft con un sospiro simile a quelli di John. " preferisce definirsi consulente investigativo. Suppongo che se qualcuno avesse mai dovuto inventarsi un lavoro, sarebbe stato Sherlock. Tu capisci."

"Ah," dice John, senza aver capito nulla. "capisco."

Note della traduttrice: Scusate enormemente il ritardo nella pubblicazione. Circostanze esterne mi hanno precluso l'uso del computer.
Grazie a tutti coloro che leggono, seguono e ricordano la storia. Grazie ancora e...lasciate una recensione ;)

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: xiaq