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Autore: Kilian_Softballer_Ro    20/12/2015    2 recensioni
Silver è un impacciato cameriere di tavola calda, con un fratello da mantenere e una storia non proprio allegra alle spalle.
Blaze è la tranquilla figlia di due ricchi imprenditori, forse un po' viziata ma in fondo di buon cuore.
Sembrano appartenere a due mondi diversi. Ma cosa succede se questi due mondi non solo si incontrano,ma si scontrano e si intrecciano? E se tutto ciò accade fra le mura di un luogo all'apparenza tranquillissimo come il South's Diner?
Questo resta tutto da scoprire.
(AU, Human!Verse, presenza di OC e probabilmente di personaggi OOC)
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Blaze the Cat, Silver the Hedgehog, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Mentre Silver ritirava il pacchetto Dodgeball da casa di Tikal, lei e sua madre gli avevano proposto di seguirle in una gita domenicale dove sarebbero state ospiti di qualche loro parente  sulla costa. Non avendo niente di meglio da fare (e desiderando fare qualcosa di diverso almeno una volta in quell’estate), il ragazzo aveva accettato. Per questo motivo la domenica successiva lui e Dodge si trovarono imballati nella non troppo grande e non troppo intera automobile di Mercedes, insieme a lei, Tikal e Knuckles. Il padre di Tikal era rimasto a casa, dichiarando di preferire di gran lunga una bottiglia di birra e la partita di  football in televisione.
Il viaggio non fu eccessivamente lungo: a farlo sembrare eterno furono soprattutto i tentativi di Tikal e Dodge di passare il tempo, che includevano cantare a squarciagola qualunque canzone passasse per radio. Fu uno dei pochi momenti in cui Silver rimpianse di non essere rimasto a letto, e fu grato di essere arrivato a destinazione.
La casa a cui arrivarono era grande, e doveva ospitare più di una famiglia: e in effetti  era piena di persone. Da quello che riuscì a capire ( la spiegazione di Tikal fu ben poco chiara) si trattava di una specie di riunione di famiglia, aperta anche agli “esterni”, amici raccattati dai vari parenti e spinti a venire come lui e Dodge.
Non che la loro condizione li lasciasse in disparte: Silver fu subito tirato dentro e messo al lavoro per aiutare a preparare il gigantesco pranzo. Non c’era il tempo materiale per sentirsi a disagio, e in ogni caso i vari cugini e conoscenti di Tikal non si fecero problemi a includerlo nei loro scambi di battute e nei loro scherzi. Era impossibile non ridere vedendo qualche adolescente sconosciuto versare acqua gelata nello scollo della maglietta di Knuckles. Quanto a Dodgeball, era difficile capire come si sentisse esattamente: nel giro di tre minuti dal loro arrivo era scomparso, mescolato alla mandria di bambini rumorosi che vagava per la casa e il cortile. Entrambi si erano quindi inseriti alla perfezione come ingranaggio in quel grande meccanismo.
Era strano, in un certo senso. Silver se ne rese conto mentre passava un piatto dopo l’altro a un cugino di Mercedes perché potesse apparecchiare la tavola. Quella non era la prima riunione di famiglia (anche se a rigor di logica quella non era la loro famiglia) a cui prendeva parte, eppure era passato tanto tempo da quando si era ritrovato per l’ultima volta in una situazione simile. Aveva quasi dimenticato come ci si sentisse, immersi in un gruppo di persone rumorose che mangiavano e si divertivano e anche se non si vedevano da mesi sapevano perfettamente cosa avessero in comune, come una vera famiglia. Probabilmente Dodge non poteva neanche ricordarlo. Anzi, era possibile che l’ultima, grande riunione della famiglia Whitness con contorno si fosse tenuta in occasione della sua nascita, quando ancora i loro genitori erano vivi, e il papà aveva stappato una marea di bottiglie mentre la mamma si lasciava rubare da zii e cugini il fagottino piagnucolante che era suo fratello. Ora sembrava trascorso un secolo: chi non era morto viveva troppo lontano per poter essere di qualche compagnia. Oltretutto riunirsi a cosa sarebbe servito? Sarebbe stato deprimente, con tutta probabilità.
Invece lì dove si trovavano era facile sentirsi a proprio agio, anche se non conoscevano nessuno. Il ragazzo si sedette a tavola con la famiglia multicolore di Tikal, parlò con adulti e ragazzi e mangiò in modo più sostanzioso e sano di quanto non avesse fatto negli ultimi mesi. Il massimo.
Dopo l’abbondante pranzo i più anziani occuparono divani, letti e poltrone per il pisolino pomeridiano. I bambini,non potendo uscire a causa del sole a picco, si divisero equamente fra il televisore e i posti da spettatori a una partita a carte organizzata dai ragazzi più grandi. La metà di loro crollò addormentata in ogni caso dopo poco tempo, spossata da ore trascorse giocando, dal caldo e dalla grande mangiata. Dodgeball decise che il grembo di suo fratello era il luogo più adatto allo scopo e vi si arrampicò, appisolandosi nel giro di un paio di minuti. Silver lo lasciò fare. In quel momento, mentre sedeva in disparte a osservare Tikal che perdeva clamorosamente a poker, non gli creava grandi problemi, anzi.
Sprofondando il naso nella massa di ricci argentati del fratellino, il ragazzo assaporò quel momento, la tranquillità della casa nel pigro dopopranzo e la possibilità di riposare. Lavorava così tanto che le ore di riposo erano poche, e la domenica, unico giorno in cui avrebbe potuto chiudersi in casa e dormire, non lo faceva comunque, per non sprecare la possibilità di passare del tempo con Dodgeball fuori dal ristorante e lontano dal televisore. Non se ne pentiva mai, ma le ore di sonno perse si facevano sentire, ogni tanto. Soprattutto in situazioni simili, dove chi non dormiva parlava a voce tanto bassa da non essere neanche un disturbo, e le preoccupazioni sembravano lontane miglia e miglia, e l’ambiente era così rilassante che era impossibile lasciarsi andare...
Silver finì per appisolarsi, con la schiena appoggiata al muro e il peso caldo di Dodge fra le braccia.
 
 
Nello stesso momento, a chilometri di distanza, Blaze avrebbe tanto desiderato essere altrettanto tranquilla. Sfortunatamente, non sarebbe stato possibile finché Amy avesse continuato a vomitare nel bagno della sua stanza.
Rouge era sparita, con la scusa di preparare qualche bevanda calda che potesse essere  d’aiuto, ma lei era rimasta per sostenere l’amica e tenerle lontani i capelli dal volto.
- Non preoccuparti, sarà qualche virus passeggero. Se ne andrà presto – mormorò, in un intervallo fra due conati.
- Sempre se prima non l’attacco a tutti voi – grugnì Amy, asciugandosi la fronte sudata.
Blaze non rispose, ma le accarezzò la schiena mentre la ragazza si sedeva sul pavimento con uno sbuffo.
Francamente, sperava anche lei che qualche batterio non le si attaccasse. Aveva altro da fare, oltre allo spendere la sua estate fuori dal bagno.
Voleva rivedere Silver. Parlargli di nuovo, spiegare. Sentiva che qualcosa si era incrinato fra loro dopo la festa, e anche se non riusciva a capire di cosa potesse trattarsi, era convinta che fosse indispensabile aggiustare tutto. Non desiderava altro che potergli parlare con la stessa naturalezza di quando ancora si conoscevano da poco.
E ancora, tuttavia, non era in grado di dare un nome a quello che provava. Perché le importava così tanto di un ragazzo tanto diverso da quelli con cui aveva a che fare di solito? Quale era il problema?
Nessuna idea.
La ragazza si riscosse da quei pensieri, concentrandosi su Amy, che la osservava con un’espressione curiosa e un sorriso tirato sul volto pallido. – A cosa stai pensando, invece di dar retta alla tua adorata che soffre?
- A qualcosa che non mi faccia venir voglia di imitarti – replicò Blaze, evitando con cura una risposta diretta. Era solo un bene che l’altra avesse abbastanza verve da poter scherzare. – Non c’è proprio un profumo di rose, qui.
- Maledetta, non rigirare il dito nella piaga. – Amy pescò un elastico dal ripiano accanto al lavandino e si legò le corte ciocche di capelli rosa dietro la testa. – Seriamente, hai la testa fra le nuvole. Ma non solo oggi, è da qualche giorno che lo noto. E non puoi raccontarmi cazzate. Ai malati si deve dire la verità.
- In base a quale regola, scusa?
- Non cambiare argomento, ti conosco. E conosco anche la tua espressione, se fosse qualcosa di grave ne avresti un’altra. – Si allungò a tirare lo sciacquone. – E’ un ragazzo? Perché se è un ragazzo me lo devi dire, come tua migliore amica ho diritto di saperlo.
- Perché tu possa dirlo a Rouge e spettegolare alle mie spalle?
Amy agitò stancamente una mano. – Non insultarmi e racconta. Distraimi dai miei problemi.
- Sei pressante. – Blaze incrociò le gambe e vi appoggiò sopra le mani, prendendo un profondo respiro. – Non è un ragazzo. O meglio, lo è, ma non...nel senso che intendi tu.
Ma era la verità? Il pensiero la colpì e la convinse a bloccarsi prima di dire altro. Davvero non era una questione di Silver come ragazzo-come suo ragazzo?
Non ci aveva mai pensato. Era come se quella possibilità fosse stata cancellata a priori dal suo cervello. Ma cosa le impediva di guardare quel giovane in modo romantico e di spiegare così il suo affetto per lui?
Era bello, non avrebbe mai potuto negarlo. E gentile, e pieno di premure per i suoi clienti (e per lei in particolare, come le era piaciuto pensare qualche volta) e per suo fratello, e allegro, e...perché non ci aveva mai pensato prima? Perché aveva escluso quell’eventualità?
Forse non c’era neanche un motivo così oscuro. Bastava il fatto che Silver fosse diverso dagli altri coetanei a cui aveva fatto delle avances. Quelli erano stati tutti ragazzi del suo ceto sociale, con una posizione economica stabile e la possibilità di offrirle uno stile di vita uguale a quello a cui era abituata, se non ancora migliore. Cosa aveva Silver, oltre a un lavoro faticoso e un’altra bocca da sfamare? Un contratto d’affitto con suo padre, ecco cosa aveva. Giusto per rendere tutto più complicato.
Ma mettendo da parte tutto questo, tutte le ovvietà. Era possibile?
Era possibile che lei fosse...innamorata di Silver?
Dio, no. Non posso aver appena realizzato di provare qualcosa per lui sul pavimento del bagno.
Che cosa devo fare?
Si rese conto che Amy aspettava ancora una risposta, ma cosa poteva dirle, se a conti fatti non aveva una risposta nemmeno per sé stessa?
- E’...complicato – disse alla fine, ed era la verità, o perlomeno lo era in quel momento. – Sono molto confusa. Ma quando sarò certa di qualcosa ve lo dirò, promesso.
- Ci conto. Sai che a me e a Rouge puoi dire tutto. – Il suo volto si contrasse in una smorfia. – Cazzo, eccolo che arriva di nuovo.
E in quel momento la questione fu messa in secondo piano. Ma Blaze sapeva che avrebbe dovuto affrontarla molto presto.
Era abbastanza sicura che quella notte avrebbe dormito molto poco.
 
 
Silver fu molto felice di aver potuto schiacciare un pisolino nel corso del pomeriggio. Infatti, anche se il doverlo svegliare aveva provocato grandi risate in Tikal, il sonnellino lo aveva lasciato riposato e fresco e in grado di connettere per il resto della giornata. E soprattutto, in questo modo, quando Mercedes gli chiese di mettersi al volante per il viaggio di ritorno, si sentiva ancora abbastanza in forma da poter accettare.
Mentre guidava, gli occhi fissi sulla strada, si mise a riflettere sulla giornata che aveva trascorso. Era soddisfatto, alla fin fine. Lui e Dodgeball avevano avuto la possibilità di trascorrere del tempo con i rispettivi coetanei ( compreso un paio d’ore memorabili in cui alcune mamme avevano portato tutti i bambini sulla spiaggia e Dodge era sparito insieme al suo costume avuto in prestito, lasciandolo libero di lanciarsi in una partita di baseball con gli altri ragazzi) e di mangiare con un’abbondanza a cui non erano abituati. Inoltre, il problema che più lo assillava in quei giorni, ovvero Blaze in tutta la sua persona, lo aveva lasciato abbastanza tranquillo, tornandogli in mente solo di tanto in tanto. Certo, queste apparizioni erano state abbastanza bastarde, mostrandogli la ragazza avvinghiata in quel maledetto bacio con uno sconosciuto nei momenti meno opportuni, ma non era questo l’importante. Aveva deciso di aprire una sorta di parentesi e di chiuderci dentro quella giornata, per dare un po’ di pace al suo cervello. Avrebbe ripreso a pensare a Blaze e al valore delle sue scuse (ancora era indeciso, riguardo a ciò che lei gli aveva detto fuori dal ristorante l’ultima volta. Era stato un atto di pietà per il povero sfigato che non si sentiva a suo agio fra i ricchi o c’era un sentimento dietro? E chi poteva saperlo) solo l’indomani.
Tutto sommato, era stata una gran domenica.
Anche il viaggio trascorse senza grossi disagi, nonostante il sole fosse tramontato dopo poco. Silver era così concentrato sulle curve della strada che il commento di Mercedes, che sedeva al suo fianco, lo colse  di sorpresa.
- Dormono tutti come angioletti.
- Davvero? – Il ragazzo lanciò una rapida occhiata allo specchietto retrovisore. In effetti, nella scarsa illuminazione si poteva vedere Knuckles che ronfava a bocca aperta, le cuffie nelle orecchie e una guancia schiacciata contro il finestrino, mentre Dodge e Tikal dormivano beati appoggiati l’uno all’altra. – Che sollievo. Hanno fatto rumore per un’eternità.
- Pensavo che dopo una giornata passata con i miei parenti nulla potesse più disturbarti.
- Non sono stati così fastidiosi, dai. Sono molto gentili.
- Ottimo. Mi hanno detto la stessa cosa di te, sai. Mia sorella ha detto precisamente “non ho mai visto un ragazzo della sua età così educato”. Mi ha fatto...come dite voi? Gongolare.
- Lo so che sono il tuo figlio maschio mancato preferito.
La donna rise. – Certo. Però davvero, Silver. Tu e Dodgeball siete parte della famiglia. Più o meno. Sai cosa intendo.
- Lo so. – Silver era incerto su cosa dire. Sapeva che parole del genere uscivano di rado dalla bocca di una persona brusca come lei. Risponderle in modo troppo affettuoso l’avrebbe fatta probabilmente ritirare nel suo guscio. – E anche Dodge lo sa.
- E’ un bravo bambino. E tu sei un bravo ragazzo. – Mercedes tacque per un momento. – Vorrei farti una domanda.
- Dimmi.
- Perché secondo te lascio che tu lavori così tanto tutti i giorni?
Era una domanda inaspettata, e Silver non aveva idea di come rispondere. – Perché...sei una malvagia sfruttatrice? – Tentò di scherzare, ma sentì più che vederlo lo sguardo severo che lei gli stava lanciando. – Non lo so. Perché me lo stai chiedendo?
- Perché lo faccio per un motivo soltanto, ed è che voglio darti tutto quello che posso, così che tu possa dar da mangiare a tuo fratello e non lavorare di notte o in quei posti terribili nei quartieri bassi. Ho lavorato in quelle strade da giovane. Non vorrei che ci lavorasse mia figlia, né che ci finissi tu. Per questo tengo lei e te, che ne avete bisogno. Ma a Tikal non posso fare questo discorso.
- Mercedes, non capisco.
- Silver, il South’s non durerà ancora a lungo.
La frase lo stupì tanto che per un nanosecondo perse il controllo sulle proprie mani. La macchina sbandò appena, e lui si affrettò a rimetterla sulla giusta strada. – Cosa?
- Lo sai. Abbiamo pochi clienti. Sempre meno. Ce n’è qualcuno che viene sempre, ma alla fine sono sempre gli stessi. Non possiamo farcela solo con loro. Se va avanti così dovremo chiudere.
Era sconvolgente. Il South’s Diner...chiuso. Il suo nome dalla grammatica dubbia, la sua cucina rumorosa, tutti gli scherzi passati dietro il bancone...finiti. Non voleva neanche immaginare un’eventualità del genere.  – Tikal lo sa?
Con la coda dell’occhio la vide scuotere la testa. – No. Agiterebbe mari e monti per risolvere la cosa, ma non potrebbe fare molto. Però penso abbia intuito qualcosa.
- Perché lo dici a me prima di dirlo a lei?
- Per quello che ho detto prima. L’ultima cosa che voglio è vedere te e tuo fratello in quei quartieri, a rubare o a fare lavori che...- Scosse la testa di nuovo, con più forza. – Se te lo dico ora, puoi iniziare a cercare qualcos’altro. Così, quando saremo davvero costretti a chiudere, saprai cosa fare. Non devi trovarti senza lavoro.
Silver non sapeva più da  che parte girarsi. Troppe informazioni. Troppe pessime informazioni. Il Diner chiuso, trovarsi di nuovo senza lavoro, dopo che questo gli aveva dato una stabilità che non aveva avuto per più di due anni...no, no, no. – Sei sicura? Finirà davvero così, non c’è niente da fare?
- Se non iniziano ad arrivare più clienti abitualmente, ho paura di no. Ho paura che dovremo chiudere davvero.
Il ragazzo si appoggiò allo schienale del sedile, respirando profondamente. Fantastico.
Mancava davvero qualcosa di grave di cui preoccuparsi.
 
Prima di tutto, mi dispiace infinitamente di aver lasciato passare così tanto tempo. So che lo dico sempre,e che poi passano dei mesi, ma davvero, non mi aspettavo che quest'anno scolastico sarebbe stato così pesante fin da settembre. Sono veramente, veramente dispiaciuta. Spero di poter fare un po' di faville durante le vacanze, visto oltretutto che miracolosamente ho già le idee per il prossimo capitolo.
Tuttavia, per farmi perdonare, ho fatto succedere taaaante cose. Incluse le grandi realizzazioni di  Blaze sul pavimento del bagno e brutte notizie varie.
Vi farò sapere presto cosa succede dopo. E stavolta sono seria.
Au revoir,
^Ro
  
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