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Autore: lulida    22/12/2015    2 recensioni
A volte le scelte insensate sono le uniche che vale la pena compiere.
Kylie aveva già messo un timbro alla sua vita, sapeva che non sarebbe cambiata di una virgola, ma a volte l'amore può trasformare ciò che non avresti mai potuto immaginare.
Dopo la morte del padre Kylie deve rimettere in sesto la sua vita e trovarsi un lavoro.
Fare le pulizie in case altrui sembra al momento l'unica scelta possibile poiché non ha neppure un titolo di studio.
Il primo giorno lavorativo è un vero disastro e riesce a farsi licenziare dopo un minuto netto che incontra il proprietario della villa chiamata a pulire... ma tutto può cambiare sopratutto se il proprietario in questione è Jared Leto.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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In qualunque campo si voglia ottenere successo, le regole da seguire sono sempre le stesse: conoscere i punti deboli degli avversari, fronteggiarli e divenire un'alternativa valida così da risultare competitivi. Spuntarla su quello che spesso è un terreno di gioco scivoloso, e soprattutto essere consapevoli che non sono le occasioni a creare il successo, ma le reazioni che abbiamo ad esse a determinarlo.
La strategia tenuta è ciò che definisce la percentuale di riuscita, e consiste perlopiù nel seguire un modello adatto all’ambiente al quale si vuole accedere.
Comportarsi, vestirsi, agire come l'ambiente richiede, e in questo modo arrivare ad ottenere consensi da parte di chi potrebbe offrire i mezzi necessari al conseguimento del fine prefissato.
La corazza d'autostima adatta alla situazione e al luogo, io l'ho creata con un'ora di lungo make-up, cinque confezioni di ciglia finte finite nel cestino, una decina di cambi outfit per scegliere con cura quello perfetto, e tacchi da capogiro che mi stanno gradualmente uccidendo durante l'attesa.
Qui nasce la mia autostima, oppure qui nasce un "io" precario fatto d'apparenza. Lascio ad altri decidere.
Al momento sono divisa a metà: c'è una parte di me che soffre per la ripetitività a sentirmi inadeguata e vuole disperatamente uscire da questo circolo vizioso; e poi c'è l'altra, quella appena costituita, matura ma ancora fragile che attinge fiducia da comportamenti scelti a modello, basati su criteri di un'accettazione generale che però non mi appartengono.
Oggi i nodi vengono al pettine.
È il giorno in cui devo mettere in pratica ciò che Nicole e Chloe mi hanno insegnato in queste settimane. Vietato deluderle, e sopratutto vietato deludermi. 
Si potrà obbiettare che mi sto caricando come sempre delle aspettative altrui. Vero. 
Ammetto che il livello di condizionamento è ancora alto in me e non sono del tutto guarita; ma ci sto lavorando. Non è più causa di blocchi invalidanti, somiglia più a un malessere sfumato d'insoddisfazione e desiderio di dare il meglio che fa emergere risorse inaspettate.
L'uomo davanti a me ha l'aria di uno incarognito con il mondo. Ma non con il potere. Quello gli piace. Lo riempie d'orgoglio. È il potere di chi stabilisce in base a come ti presenti e che faccia hai, se puoi arrivare a giocartela davanti le telecamere. 
Decide l'ordine: io sarò la quinta. Prima di me quattro ragazze bellissime.
Lascio inascoltata la mia parte emotiva e frenante che mi suggerisce che contro loro non ce la farò mai: non le concedo la mia attenzione, non le permetto di distrarmi. Devo impedire mi rallenti e per questo la relego nell’angolino più remoto di me stessa, insonorizzando l’ambiente il meglio possibile.
Incolonnata disordinatamente e già schiava degli standard ai quali voglio aderire mi preoccupo della postura. I miei occhi oltrepassano la fila delle telecamere per raggiungere Nicole che con un movimento della schiena mi suggerisce di compormi. Alla sua sinistra, in contrapposizione, Chloe alza il pollice a mio favore. 
Nel vederle mi sfugge un sorriso che è fatto di coraggio e apprensione insieme.
Riflettendo velocemente sulla mia amicizia con loro, non posso fare a meno di pensare che sia stata simile al volteggiare su un trapezio senza la rete della mia abituale cautela: mi sono lanciata. Fidata.
Sento chiamare il mio nome. È il mio turno.  Immediatamente svuoto la mente e focalizzo la mia energia sul tipo di immagine che voglio dare ai miei selezionatori, la reazione che voglio suscitare; quello che io voglio e il modo in cui voglio sentirmi. Centro il mio obbiettivo e muovo sicura i miei passi verso la telecamera.
A questo punto immagino che qualcuno si stia domandando da dove arriva la nuova e determinata Kylie; un paio di tacchi che farei volentieri volare dalla finestra e delle ciglia finte non possono bastare a trasformare una persona... ebbene forse per fare chiarezza è meglio tornare indietro... a quindici giorni prima, per la precisione subito dopo il party, e a tutto quello che ne è conseguito. 

Quella notte, tornata nel piccolo appartamento che guardai con occhi ancora abbacinati dallo sfavillio della festa appena conclusa, faticai a prendere sonno.
Non riuscivo a togliermi dalla testa gli eventi della serata, i pensieri giravano su se stessi come fossero stati una trottola colorata, e troppo eccitata per addormentarmi, persino il silenzio della notte mi diede il tormento.
Alla fine però scivolai in una specie di sonnolenza e faceva già caldo quando mi svegliai la mattina dopo. 
Da fuori arrivavano il ronzio del traffico, e nell'aria c’era un odore dolciastro, come di colazione appena fatta. 
Sorrisi stiracchiandomi e sperando in qualcosa d'indefinito; mi pervadeva un vago senso di felicità.
Andai a farmi una doccia e solo quando mi fui asciugata diedi un'occhiata al messaggio che il cellulare stava segnalando. Jared mi avvertiva che era su un aereo diretto in Europa e che fino a nuovo ordine non mi sarei dovuta presentare al lavoro.
Quel viaggio improvvisato arrivava a salvarmi: mi sentivo stanca e qualche giorno di tranquillità era ciò che ci voleva.
Ancora in accappatoio mi diressi in cucina dove, insieme a Lucy, mi concessi un'abbondante colazione.
Dalla finestra aperta entrava un'arietta fresca pungente e nell'isolato c'era una rara quiete; un silenzio rotto appena dalla voce dei bambini che giocavano nel cortile della scuola poco distante. 
«Sei rientrata molto tardi stanotte. Il party è andato bene?»
Annuii, e divertita le raccontai dell'assurda proposta del produttore.
Mentre Lucy valutava le informazioni che le davo, mi domandò: «Che tipo di programma?»
«Di cucina. Non è folle?»
«Ma è fantastico».
Mi prese una mano stringendola con affetto e misurò accuratamente le espressioni sul mio viso.
Sfuggii all'esame distogliendo lo sguardo che indirizzai fuori dalla finestra dove ogni centimetro quadrato di cemento emanava un senso di desolazione e povertà, e lo soffermai su alcuni ragazzi alla fermata dell'autobus: jeans sotto il sedere, facce torve e smorfie da stronzi, capelli pieni di gel e magliette vistose. Ignari l'uno dell'altro condividevano un comune destino. 
E io con loro. 
Sarebbe stato bello poter andare oltre quell'esistenza modesta; ma a chi volevo darla a bere?
«Sarà divertente provarci, ma non mi aspetto nulla».
Improvvisamente, una qualche forma di frustrazione scattò in Lucy.
«Non puoi snobbare un'occasione del genere per la tua insicurezza del cazzo».
Alzai un sopracciglio e sorrisi divertita. Aveva usato la parola cazzo? Stavo avendo una pessima influenza su di lei.
«Senza contare che ti toglieresti finalmente di torno quello stronzo del tuo datore di lavoro».
Tornai seria. 
«Non è terribile come sembra, e la paga è buona».
In effetti sarebbe stato un lavoro niente male se avessi imparato a non sbavare ogni volta che mi passava accanto, se il mio sguardo avesse smesso di percorrerlo sperando d'incontrare anche solo per un attimo i suoi occhi, e soprattutto, se avessi avuto più buon senso di ormoni in subbuglio. 
«L'inferno è sempre ben retribuito» mi rispose seccamente.
Più tardi, nuovamente in camera mia, ripensai alle parole di Lucy...
In bilico tra un passato segnato da sconfitte e abbandoni tenacemente impresso nella mia mente, e un futuro fin troppo complicato da indirizzare, ciò che mi mancava davvero era l'ottimismo, non il coraggio; di quello ne avevo sempre avuto in abbondanza. 
Mi veniva data la possibilità di dimostrare il mio talento, e come mi aveva detto lei, non dovevo lasciarmi frenare dai miei istinti automatici.
Presi il cellulare e chiamai Chloe.
«Jared è partito», dissi appena rispose. «Qualunque cosa dobbiamo fare, facciamolo adesso».
Dopo quaranta minuti di autobus e una breve camminata, mi trovai davanti al cancello dell'enorme villa di Nicole. 
Suonai il campanello e percorrendo il viale circondato da alberi e aiuole mi mossi in direzione del muro compatto di voci che provenivano dalla piscina. 
Ignoravo avesse compagnia e per un istante mi pentii di aver messo piede su quel prato sovraffollato di gente elegantissima. 
Imbarazzata del mio vestitino stampato a fiorellini e a buon mercato, vagai alla ricerca della padrona di casa. 
Adagiata sulla chaise-long la vidi alzare un braccio in saluto, mentre con l'altra mano, teneva un drink che stava sorseggiando.
Sbattendo le ciglia per stemperare il bagliore del sole che rifletteva a pelo d'acqua, mi avvicinai provando a fare un'espressione che somigliasse il più possibile a qualcosa di spontaneo.
Con brevi colpi del palmo picchiettò il cuscino accanto a lei suggerendo dove mettermi seduta.
«Kylie, vieni avanti. È un'eternità che ti aspetto. Qual è stato il problema? Hai avuto difficoltà a trovare la villa?».
Sollevò appena la testa dalla chaise-long per baciarmi la guancia.
Magra come se una cannuccia l'avesse svuotata di tutto lasciando solo le ossa e qualche fascia muscolare, anche così, mi appariva come l'incarnazione di tutte le cose più lontane e affascinanti a cui aspiravo: glamour, conoscenza del mondo, comportamenti che se ne fregavano della morale...
«Ciao Nicole. Non immaginavo avessi ospiti».
«I soliti amici... Prendi una tartina», sollevò il vassoio d'argento che si trovava alla sua destra. 
L'antipasto aveva l’aspetto di una pappetta molle adagiata su un crostino, e dopo averlo preso, approfittando di una sua momentanea distrazione, furtivamente lo feci scivolare sul piattino di un cameriere di passaggio.
Alzando un sopracciglio lei guardò la mia mano vuota.
«Devi bere qualcosa.», Nicole si voltò in direzione del maggiordomo, «Irving porta altro ghiaccio e del Virgin Margarita, prima che ci addormentiamo tutti». 
Prese il cane che scodinzolava ai suoi piedi e lo baciò con entusiasmo.  
Scossi la testa: «No, grazie».
«Bevi», disse nonostante il mio rifiuto. «In certe occasioni un cocktail è il migliore amico di una donna. Convince a restare quando invece vorresti solo essere altrove».
Mi arresi. Presi il bicchiere che mi tendeva e diedi un piccolo assaggio intanto che mi guardavo attorno.
C’era lo stesso tipo di gente del ricevimento della sera precedente; la stessa eleganza, la stessa aria annoiata, e rappresentava appieno Hollywood con i suoi standard, i suoi grandi personaggi secondi a nessuno in nessun altra parte del mondo. 
E in quel microcosmo hollywoodiano, dove la vita non era altro che una serie di circoli esclusivi sempre più piccoli, i miei occhi si soffermarono su un gruppo di donne che parlavano in modo sarcastico di argomenti banali. La loro voce era fresca e leggera come i loro abiti e la loro bellezza non passava inosservata. 
Mi apparve immediatamente chiaro che si trovavano su un gradino più elevato degli altri. 
Gli amici di Nicole sembrarono accettare la mia presenza con educazione; si sforzavano un po’ ma con gentilezza, eppure un'impercettibile falsità dei loro atteggiamenti mi faceva sentire in imbarazzo, quasi che quella simpatia non fosse altro che un espediente per ottenere con scaltrezza la mia ammirazione e farmi attribuire loro ogni forma di superiorità.
«Forse conosci mia cognata». 
Nicole indicò una donna che sedeva su una poltrona, e che io osservai con quell'espressione che si dipingeva sul volto di chi riconosce una celebrità del cinema che fino al momento prima non riteneva una persona in carne e ossa.
«È bellissima».
«L’uomo chino su di lei è il fratello di mio marito».
Gli occhi striati dal sole dell'attrice risposero al mio sguardo con educata e reciproca curiosità.
Si alzò mostrando il corpo slanciato e dal portamento eretto che mise ancora di più in evidenza tirando indietro le spalle come un soldato e ci raggiunse. 
«Sei la cuoca che abita nella valle?», mi domandò con un sorriso estremamente attraente, ma con l'aria di chi per carattere, era eternamente indifferente a ciò che la circondava.
Annuii invidiando il carisma che emanava e nascosi il mio imbarazzo dietro una battuta.
«È il mio vestito incredibilmente elegante ad avertelo fatto capire?»
Lei rise: «Nicole ha detto che hai talento, e io sto cercando giusto una cuoca».
Nicole incuneando con forza il suo braccio teso sotto il mio, mi attirò a sé, quasi stesse muovendo una pedina in un’altra casella.
«Non ci provare. Kylie diverrà una stella del piccolo schermo». 
«Non sarà difficile se è davvero brava come dici».
«Deve solo acquisire sicurezza, un ottimo taglio di capelli, una buona manicure e poi sarà perfetta. Non voglio intaccare quel potere seduttivo naturale che ha».
Ero profondamente imbarazzata nel sentirle parlare come se neppure mi trovassi lì. 
Nicole proseguì: «Ha il fascino di chi è in guerra contro il suo stesso destino e gli occhi accesi di chi ancora si trova nel vivo della lotta. Per altro, raro venga associato a giovinezza e bellezza, ma nel caso di Kylie questa preziosa combinazione esiste. Ed è proprio ciò che la rende una persona così difficile da ignorare».
Mi sembrò solo un modo ricercato per dire che si trovavano di fronte un caso pietoso. I ricchi avevano l'assurda convinzione che non chiamare le cose con il loro nome potesse migliorarle. 
Nicole mi sollevò il mento: «Mi piacerebbe far risaltare bene i lineamenti del suo viso, e bionda starebbe benissimo, non trovi?».
Scossi la testa con decisione. Non mi avrebbe trasformata nell'ennesima Barbie di Los Angeles.
«Non devi ringraziarmi cara. È un regalo», mi accarezzò la guancia. «Sei proprio bella. Mi ricordi un fiore. Un bocciolo fresco e incontaminato. Non trovi Cameron che assomigli a un bocciolo?»
Non era vero, non sembravo nemmeno lontanamente un fiore, tanto meno un bocciolo, stava cercando di addomesticarmi con le lusinghe.
«Bionda sarai perfetta. È un colore estremamente televisivo».
Le guardai entrambe, entrambe bionde, entrambe mi sorridevano con la promessa di farmi entrare nel loro club esclusivo. 
Sospirai e annuii. In definitiva ero lì per mettermi in gioco.
Cedere sul colore dei capelli fu solo la prima delle numerose concessioni che feci a Nicole.
In quei giorni lasciai mi smontasse e mi rimontasse come lei voleva, tanto che guardandomi allo specchio non sapevo più cosa pensare. 
Vedevo un viso pressoché identico al mio, ma non si trattava della mia immagine riflessa; per essere del tutto uguale avrei dovuto avere una quantità considerevole di trucco in meno che mi allungava gli occhi grigio-azzurri, ed eliminare quel rossetto rosa corallo che mi faceva le labbra sporgenti. La corporatura minuta era la stessa, e anche le mani erano identiche: piccole, con le dita sottili, affusolate, ma le unghie che prima finivano cortissime, adesso erano lunghe e laccate. 
Il cambiamento non avvenne solo esternamente. Nicole mi insegnò a parlare, a pensare in modo diverso, e se all'inizio fu davvero difficile, man mano che proseguivano i giorni, in un tempo straordinariamente breve raggiunsi maggiore scioltezza. Presto le frasi acquistarono spinta come acque che si immettono in un canale, e cominciarono a scorrere in un eloquente linguaggio forbito al quale, ogni tanto, aggiungevo termini meno raffinati presi dal mio vissuto. Quando accadeva, Nicole lanciava occhiatacce, ma non troppo severamente, credo capisse che era un modo per non perdere completamente la mia identità.
Jared in tutto quel tempo non si fece sentire e se i primi giorni fu un sollievo, il sollievo si trasformò ben presto in irrequietezza.
Il modo che aveva di monopolizzare la mia vita era diventata una specie di assuefazione e sentivo tutti gli effetti di un'astinenza.
«Non credo dovresti domandarti perché non si fa sentire, ma solo ringraziare il cielo che non lo faccia», mi disse Nicole mentre cercava un abito dentro l'armadio.
«Lo so. Ma sono passati molti giorni. Ammetterai che è strano».
«Non per Jared. Per lui casa è solo un posto dove accumulare oggetti, non un luogo dove tornare», tirò fuori un abito bellissimo. «Ti piace?»
Annuii convinta.
«È tuo. Lo vuoi?», mi disse.
La guardai in stato di shock. Potevo solo sognare di avere un abito del genere.
Me lo accostò addosso. «Sei fantastica. Mettilo».
«Sicura?»
«Zitta e mettilo intanto cerco altri da darti».
Mentre mi cambiavo, dalla cabina la sentivo impartirmi le sue abituali lezioni: «Dovresti anche crearti una reputazione prima che te ne venga assegnata una. Nel campo dello spettacolo è importantissimo avere una reputazione. Io ad esempio ho quella di essere una stronza e faccio quello che posso per perpetuarla. Non sono mai in ritardo e non tollero che chiunque altro lo sia. Non mento e non tollero che mi si menta. Questo mi rende una persona difficile con cui trattare, perché ho uno standard al quale mi attengo e mi aspetto che le persone con me facciano lo stesso».
Uscii impacciata mettendomi davanti lo specchio. L'armadio si era in gran parte svuotato nel frattempo, il letto era traboccante di abiti.
«Non credo sia il mio stile», dissi a disagio in quel meraviglioso abito lungo Ralph Lauren.
Nicole allargò l'ampia gonna in tulle ammirandone l'effetto con aria professionale: «Non hai uno stile. Questo è il punto».
Nel tardo pomeriggio, quando tornai al mio appartamento, Lucy, come sempre faceva negli ultimi tempi, mi guardò contrariata. Era chiaro che disapprovava le mie nuove amicizie, il mio nuovo aspetto, e con molta probabilità aveva da dire la sua anche sulle buste colme di abiti che stavo portando.
«Hai svaligiato il centro commerciale?»
«Nicole aveva bisogno di spazio nell'armadio».
«Ah. Ti regala i suoi abiti smessi come i ricchi fanno con la servitù».
«Lucy, per favore...»
Scosse la testa per dare rilievo al suo disappunto e si allontanò senza aggiungere più una parola.
Negli ultimi tempi avevo la sensazione di trovarmi in mezzo a due fuochi nemici dove Lucy e Nicole si contendevano il medesimo territorio.
Mi lasciai cadere sul divano domandandomi  se valesse davvero la pena perdere tanto del mio tempo, delle mie energie, tanto della mia amicizia con Lucy, per uno stupido provino che probabilmente non avrei superato.
Suonò il cellulare e il cuore fece una capriola: non potevo impedirmi di sperare si trattasse di Jared.
Rovistai in fretta dentro la borsa alla ricerca del telefono e risposi; la sua voce per quanto afona, fu per me un momento di pura esaltazione.
«Kylie, dovresti venire subito».
«Stai male?». Apprensiva. 
L'attimo dopo desiderai essermi morsa la lingua. 
Dovevo smetterla!... 
Accidenti a me. Non sarei mai riuscita a dominarmi e tenere un'efficienza strettamente impersonale. 
«La mia voce può sembrare forse quella di una persona che sta bene?».
D'altra parte, l'atteggiamento snob di Jared che metteva in rilievo la mia ennesima ingenuità, rientrava anche quello perfettamente nel nostro schema prestabilito. 
Lo stronzo già mi mancava meno. 
«Allora dovresti chiamare un dottore, non la tua cuoca».
«Non ho abbastanza voce per discutere. Non fare storie».
Incerta guardai il cielo profondo e scuro fuori la finestra, e attesi più del necessario prima di rispondergli unicamente per la soddisfazione di lasciarlo in sospeso. 
Era quasi sera e la luce rarefatta aveva già la tonalità fredda del metallo. Al mio ritorno sarebbe stato buio e attraversare mezza Los Angeles di notte, su un autobus, equivaleva a un suicidio. 
Presi seriamente in considerazione l'idea di non andare. Poi contrattai: «Voglio un taxi».
«Già sotto casa tua».
Infilai la giacca. «Neppure un istante ti è passato per la testa che mi sarei potuta rifiutare di correre da te?»
«L'hai fatto?», mi beffeggiò. 
Irritata chiusi la comunicazione e quando Lucy mi raggiunse, ancora stavo premendo il tasto "fine chiamata" in modo compulsivo. 
Aggrottò la fronte. «Aspetta, fammi indovinare... era lui?»
«Vuole che vada».
Guardò l'orologio. «A quest'ora?»
Scrollai le spalle. «Il dovere mi chiama».
«Sei un cane».
«Cosa?... No!»
«Avanti... sei un cane. Appena un fischio e corri».
«Non è così. Sta male».
«E da quando sei un'infermiera? Ammettilo... ancora fantastichi su mister Wonderful nonostante più di una volta abbia fatto a pezzi il tuo cuore e ci si sia pulito le suole».
«Si può sapere perché ultimamente sei tanto acida con me?»
«Perché mi preoccupo. Non mi piace la piega che sta prendendo la tua vita. E non mi piace la gente di cui ti stai circondando!». 
«Sono dispiaciuta di non avere il tuo consenso, ma non posso farci niente».
Amareggiata me ne andai a grandi passi. Quella convivenza tra noi stava logorando la nostra amicizia e forse era giunto il momento di prendere in affitto un appartamento tutto mio. 
Mi infilai nel taxi diretto a Studio City e non appena aprii la porta della villa di fronte a me si materializzò un Jared incredibilmente pallido... anzi, più corretto dire... cadaverico. 
Quando mi vide la sua espressione spenta si illuminò di evidente sorpresa; i miei recenti cambiamenti dovevano apparire un po' strani ai suoi occhi.
«Ti conosco?», chiese con voce bassa.
Mi tolsi la giacca e la gettai sul divano. «Smetti di fare lo scemo e dimmi cos’hai».
«Ho la febbre», rispose seccato. «E la voce è andata, come senti anche da sola».
«Hai mangiato qualcosa?» domandai mentre mi avvicinavo. Gli tastai la fronte. La pelle era bollente.
«No. Non ce la faccio a mandare giù niente di solido».
«Ti posso preparare qualcosa di caldo... una vellutata?»
Ci fu una piccola esitazione da parte sua ma alla fine annuì.
«Okay», si sdraiò sul divano e chiuse gli occhi.
«Se hai la febbre dovresti coprirti. Vado a prenderti una coperta».
Scrollò le spalle come a dire "fai come vuoi". 
«Hai preso una qualche medicina?»
«Non ancora. Prima volevo mangiare se riesco».
«Vado a prendere la coperta e poi mi metto subito a lavoro».
«Grazie».
Grazie? Aveva detto grazie? Quell'improvvisa dimostrazione di gratitudine era la prova inconfutabile che la febbre era davvero altissima e lo faceva vaneggiare. 
Tornai da lui con la coperta e lo trovai addormentato; un sonno agitato, scosso da brividi e dal respiro profondo. Lo coprii delicatamente e lasciai dormisse fin quando la vellutata non fu pronta.
«Jared, svegliati», lo sollecitai scuotendogli lievemente la spalla. 
Aprì gli occhi e per un attimo mi guardò confuso senza neppure capire dove si trovasse, ma poi si mise faticosamente a sedere e trasalendo leggermente per il dolore, iniziò a mangiare.
«Dove sono le medicine?», domandai quando arrivò all'ultima cucchiaiata.
Mi indicò un sacchetto bianco sopra la credenza. Lo presi e glielo misi davanti.
«Hai bisogno di altro?»
Jared sembrò preoccupato. «Vai già via?»
«Se non c'è altro».
Cercò di nascondere la sua delusione. «No... nient'altro».
«Ci vediamo domattina allora. Puoi chiamarmi il taxi?»
«No».
Inclinai la testa, confusa da quella strana reazione.
«Se non te la senti per via della voce, dammi il numero: lo chiamo io».
«No».
Lo guardai sorpresa, quindi sospettosa. Aspettai con ansia mi desse una spiegazione. Quando questa non venne, rassegnata, raccolsi la borsa e la giacca dal divano.
«Va bene, ho capito. Suppongo adesso debba prendere l'autobus per tornare a casa».
Delusa stavo per andarmene quando lo sentì pronunciare appena un «Resta».
Mi voltai. «Cosa hai detto?»
«Ho bisogno di te».
Sapevo che a quelle parole Jared non dava lo stesso significato che attribuivo io, eppure sentendogliele pronunciare, il cuore mi saltò in gola comunque.
Dannazione.
Non dovevo lasciarmi intenerire dall'espressione da cucciolo che aveva, non dovevo lasciarmi intenerire, non dovevo... al diavolo, mi lasciai intenerire.
«Va bene». 
Ero una cretina. 
Abbandonai nuovamente la borsa e la giacca e mi avvicinai.
«Vuoi faccia qualcosa?»
«Non so. Che rimani è già abbastanza per me».
Aprii il sacchetto pieno di medicine e gliele porsi con un bicchiere d'acqua. «Nessuna modella disposta a prendersi cura di te quando hai la febbre? Scappate tutte?»
«Ti dispiace se non ti rispondo? Sto davvero troppo male per sopportare il tuo sarcasmo adesso».
«Okay. Lo conserverò per quando avrai la forza di reagire».
«Grazie. Lo apprezzo».
Strizzai l'occhio e sedetti sulla poltrona di fronte a lui.
I medicinali presto lo resero cosciente solo a metà e con occhi appesantiti e lucidi, mi fece un sorriso strascicato poco prima di cadere nuovamente addormentato.
Benché fossi stanca non riuscii ad abbandonarmi al sonno con altrettanta velocità, così nella stanza dove improvvisamente era piombato il silenzio, non avevo molto altro da fare se non guardarlo dormire e cedere al desiderio di contemplarlo indisturbata nella sua indifesa incoscienza. 
Una voce saggia nella mia testa mi suggeriva di chiudere gli occhi, cercare di dormire un po', e togliermi immediatamente quell'immagine pericolosa dal campo visivo, ma Jared in uno dei suoi numerosi momenti di dormiveglia suggerì qualcosa di diverso e molto più allettante. 
«Vieni a dormire qui con me».
Quando lo raggiunsi e mi stesi, lui fece scivolare un braccio attorno al mio fianco.
«Volevo abbracciarti», disse piano, cominciando ad assopirsi nuovamente mentre mi stringeva.
Alla fine cedetti anch'io al sonno poco dopo, cullata dal suo respiro e protetta dal caldo contatto del suo corpo che aderiva al mio.
Mi svegliarono le sue labbra che accarezzavano la mia fronte e la sua voce che sussurrava sopra di me.
Gli spostai i capelli dal viso e mi assicurai che la temperatura fosse scesa.
«Stai meglio?»
«Mmm... sì».
Ci trovavamo faccia a faccia a pochi centimetri di distanza.
Lo fissai confusa. Stava per baciarmi?
Rimasi con il fiato sospeso. La situazione era abbastanza strana, imbarazzante, e se prendevo in considerazione come era andata l'ultima volta, anche un po' patetica.
«Ascolta Jared, io non sono sicura che dovremmo...»
Mi morse il labbro inferiore, e fu così che il mio buon senso che mi ordinava di darmela a gambe, finì a baciare le sue labbra e succhiare la sua lingua che sapeva di sciroppo per il mal di gola.
«Questa cosa deve finire», dissi esasperata da me stessa. 
Jared con le palpebre pesanti e gli occhi scuri dietro a esse, rispose pigramente: «Non ora». 
Intrecciati l’uno all’altra sospirò: «Mi è mancato troppo».
Poi non lo vidi più, lo sentivo e basta, era una questione di pelle. Era la sua dolcezza che fino ad allora mi era stata sconosciuta a disarmarmi, la sicurezza che traspariva nei gesti. Fu lento, intenso, caldo.
La voce di Jared era un sospiro di piacere: «Dio, mi sento così bene dentro di te».
Mi fissò profondamente concentrato, come se qualcosa stesse indebolendo la superficie delle sue vecchie certezze, quasi non fosse più in grado di dominare i suoi sentimenti.
E in quella bolla di silenzio che era divenuto il mondo circostante, all'improvviso qualcosa dentro di lui si arrese, e sussurrò: «Sono innamorato. Sono innamorato di te, Kylie».
Avevo sognato così tanto di sentirglielo dire che dovetti stringere gli occhi per impedirmi di piangere, ma quando mi poggiò un bacio gentile sulla fronte crollai.
Non riuscivo a credere a quanto emotivamente si fosse esposto. Quanto le emozioni fossero presenti in lui, e quanto quella semplice frase potesse lacerarmi fino all’osso. 
Del mio risveglio ho ricordi confusi, rammento però che faticai a ritornare alla realtà: tenni chiusi gli occhi a lungo, cercando le tracce della notte e il piacere della sorpresa, la dolcezza dei baci.
Nel dormiveglia, il dichiararmi assolutamente felice, fu la bellezza di quel risveglio.
La gioia che mi si agitava dentro dovevo manifestarla, e fu per questo che rivolsi il buongiorno a Jared con il più radioso dei miei sorrisi.
Poi vidi la sua espressione e mi accorsi dell'imbarazzante differenza che c'era tra i miei sentimenti e i suoi; esattamente quelli che c'erano tra amore e sesso.
Davanti al suo atteggiamento privo di ogni partecipazione affettiva, mi ritrassi via via sempre più in me stessa, in un lento e consapevole atto di auto conservazione.
«Quello che è accaduto stanotte...».
Quel tono che conoscevo bene, quell'espressione che era il mio peggiore incubo... no, non ce la facevo ad ascoltarlo, almeno quello volevo risparmiarmelo.
«Abbiamo fatto già altre volte questo discorso. Direi di saltarlo e passare direttamente a quando tu mi ignori e fingi che non esisto».
Scesi dal divano e raccolsi gli abiti.
«Kylie, non prenderla così. Sei una brava ragazza. Ma diciamo la verità, non abbiamo niente in comune se non il sesso».
Gli lanciai uno sguardo assassino e una scarpa che riuscì a schivare.
«Crepa! Hai detto di amarmi... Sei così abile nel tuo lavoro che per me è impossibile capire quando reciti e quando no».
«Stanotte non stavo recitando».
«Non ti credo». 
«È solo che non sono tipo d'avere relazioni, almeno non come le intendi tu...»
Mi rivestii in fretta.
«Non ti permetterò più di trascinarmi in tutta questa ipocrisia che hai nel gestire i rapporti umani. Basta. Me ne vado».
Cercò di trattenermi.
«Non fare la stupida. Dov'è che vorresti andare?»
Lo guardai con aria di sfida: «Ah dunque è questo? Pensi che non abbia altri posti dove andare. Ma non darmi troppo per scontata. Potrei sorprenderti... Considera la notte appena trascorsa un regalo d'addio».
«Kylie non scherzare».
Mi strinse e io mi divincolai.
«Non scherzo. Tutto questo non è giusto per me, Jared. Sto male e non è giusto».
«Tu vorresti qualcosa tipo...»
«Non lo so cosa. Ma di certo non questo».
Sospirò, lasciando andare una tensione da dentro: «... il mio cuore... una relazione stabile».
«Perché no? Lo merito».
«Non credo di poter arrivare a tanto. Temo di non essere strutturato così».
«Dopo che stanotte hai detto di amarmi non potrei più accontentarmi. Non potrei più guardarti senza pensare a come mi sono sentita quando me l'hai detto, e come mi sono sentita questa mattina quando ti sei rimangiato tutto».
«Mi stai dicendo che te ne vai perché ho dato troppo?»
«Vaffanculo. Me ne vado perché l'hai rivoluto indietro».
Gli avrei tirato un cazzotto, ma mi accontentai di mostrargli il dito medio e girai sui tacchi. 
Sull'autobus verso casa la rabbia era sbollita lasciando il posto alla delusione: la parte peggiore, quella dove era impossibile riuscire a trattenere le lacrime. 
Decisi che da quel momento in poi avrei chiuso con tutto quanto: con Jared, con l'amore, col tenere tanto a qualcuno da far qualunque cosa per lui. 
Volevo spegnere le emozioni, o più semplicemente, smettere di stare male. 
Arrivata a casa non ci fu bisogno di dire niente a Lucy. Capì. Mi abbracciò e disse: «Hai smesso di rincorrere chi non lo merita?»
Annuii e lasciai mi consolasse.

E così eccomi arrivata alle selezioni, determinata, decisa. 
Non è sempre vero che ci vuole tempo per cambiare. Delle volte si cambia improvvisamente. 
Arriva quel giorno... Accade quel fatto...
e ti senti a disagio con la tua pelle, hai bisogno di liberarti di cosa non si adatta più a te, e scopri paradossalmente che ciò inizialmente distrugge, è alla fine proprio quello che costringe a mettersi in piedi.
Sorrido, dico il mio nome agli esaminatori, e rispondo alle loro domande con l'obbiettivo di diventare la migliore aspirante conduttrice che si siano mai trovati davanti.


Angolino dell’autrice:
Ciao a tutti!
Ed ecco qui il capitolo, come ormai mia consuetudine, arrivato con estremo ritardo. 
Siamo quasi al termine di questa storia nata per essere breve, ma che come sempre, mi ha preso la mano.
Nel capitolo abbiamo un Jared che, reduce da una brutta influenza e frastornato dai medicinali, confessa il sentimento che lo lega a Kylie, questo almeno fin quando la mattina dopo il suo atteggiamento da macho non prende nuovamente il sopravvento e lui fa un passo indietro.

Kylie in questo caso non poteva passarci sopra e a Jared forse, non resteranno che le sue adorate modelle XD.

Grazie per essere giunti fin qui <3.
   
 
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