Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: Adeia Di Elferas    22/12/2015    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

~~ “La Contessa Riario ha deciso che ammetterà alla sua presenza solo due delegati.” disse Attilio Fossati, tenendo alto il mento.
 Raffaele Sansoni Riario guardò i sette soldati che lo accompagnavano e fu quasi tentato di scegliere quello meglio piazzato per farsi accompagnare, quando gli tornarono alla mente le parole di Rodrigo Borja.
 “Dite subito alla vostra signora che nessuno di noi entrerà in Castel Sant'Angelo, ma che anzi sarà lei a uscire e seguirci.” disse Reaffaele, sforzandosi di suonare sicuro di sé: “E se questo non le va bene, ditele che noi rappresentiamo Santa Madre Chiesa e che se non asseconderà il nostro ordine, allora prenderemo il suo comportamento come un'aperta offesa alla Santa Sede, perchè ci avrà dimostrato di non avere alcun rispetto per Santa Madre Chiesa.”
 Attilio Fossati fece un brevissimo inchinò e scomparve di nuovo dentro al castello, per andare a riferire a Caterina Sforza.
 Nel mentre, gli otto uomini mandati a parlamentare, guardavano con preoccupazione i soldati che li osservavano dai posti di guardia.
 
 “E allora ditegli esattamente quello: che non ho nessunissimo rispetto per Santa Madre Chiesa!” fece Caterina, disegnando ampi gesti in aria con la mano.
 Quella frase in particolare l'aveva fatta infuriare. Quel bamboccio di Raffaele, per certo imbeccato da qualcuno di più acuto e coraggioso di lui, aveva osato accusarla di non essere rispettosa verso la Chiesa... Verso quello stesso Stato che aveva costretto suo padre a venderla a Girolamo in cambio della pace...!
 “Come volete, mia signora.” annuì Attilio, sorridendo: “Devo aggiungere altro?”
 “Sì.” disse Caterina, tentando di calmarsi: “Dite loro che hanno un'ultima possibilità. Accetterò di incontrare un solo legato, uno solo, a patto che entri in Castel Sant'Angelo e che lo faccia senza armi addosso. Se diranno di no, che sia loro chiaro che per oggi non avranno altri colloqui con nessuno di noi.”
 Attilio Fossati chinò il capo e andò a riferire.
 Caterina lo guardò uscire dalla stanza e si chiese se la sua intuizione fosse corretta. Se aveva capito che tipo era Raffaele, allora l'aveva in pugno.

 Raffaele Sansoni Riario non sapeva come reagire. Se fosse tornato con un nulla di fatto, che gli avrebbero detto?
 Per quel che ne sapeva, avrebbero anche potuto ucciderlo nel sonno, così, tanto per ripicca...!
 Ah, che situazione! Che tragedia! E lui, povero ignaro, mandato come agnello sacrificale...!
 Poco, ma sicuro, in quel frangente Raffaele si sentiva un martire fatto e finito, pronto per la santificazione.
 “E... E sia.” disse alla fine il giovane Cardinale.
 Con mani tremanti, smontò da cavallo e lasciò che Attilio Fossati in persona gli togliesse di dosso tutte le armi che portava con sé.
 Solo quando la perquisizione fu terminata, il comandante lo scortò all'interno di Castel Sant'Angelo e poi fino alle stanze in cui stanziava Caterina.
 Quando sentì bussare e la voce di Attilio dire: “Porto con me il legato della Santa Sede.”, Caterina sorrise e pensò: 'Cardinale o uomo comune, un Riario resta sempre un codardo...'
 “Eminenza!” esclamò, ancora sorridendo, mentre Raffaele Sansoni Riario entrava lentamente nella saletta.
 “Come state? Vi vedo pallido...” continuò la giovane.
 Raffaele fece un breve gesto con il capo. Sentiva la lingua impastata e improvvisamente sentiva di essere in trappola. Come aveva potuto essere così stupido?
 La donna che gli stava di fronte pareva innocua, a un primo sguardo. Capelli biondi, legati dietro la nuca come fosse una contadina, vestiti semplici, forse gli stessi con cui era arrivata lì, espressione apparentemente calma e pancione da gestante... Come poteva, lui, un ministro di Roma, avere paura di quella ragazza?
 “Ditemi, avanti, caro cugino – riprese Caterina, con voce vellutata – cosa vi porta qui da me?”
 Raffaele si schiarì la voce e si decise a parlare forte e chiaro: “Porto il messaggio del Sacro Collegio. La vostra condotta è immorale e abominevole. Avete prevaricato vostro marito – a queste parole Caterina si lasciò scappare uno sbuffo – e avete contravvenuto ai precisi ordini della Santa Sede. Tutti i membri del Sacro Collegio sono concordi nel dire che la vostra moralità è...”
 “Conosco bene la moralità dei membri del Sacro Collegio.” lo interruppe bruscamente Caterina, il sorriso svanito dal volto: “E so bene che anche loro, come me, hanno più a cuore la propria salvezza che non la moralità. Se sto commettendo peccato, risponderò a Dio quando morirò, ma per il momento mi limito a difendere ciò che mi spetta di diritto.”
 “Voi parlate da folle, Caterina!” disse Raffaele all'improvviso, con un tono che era passato dall'arroganza alla supplica: “Se andrete avanti così ci farete uccidere tutti!”
 Caterina osservò con attenzione il viso del cugino di suo marito. Aveva lo stesso profilo di Girolamo e il suo stesso modo di piegarsi su se stesso quando aveva paura. Questi dettagli non fecero altro che farla infuriare ancora di più. Avevano mandato un inetto a fronteggiarla. Questo la diceva lunga sulla stima che avevano per lei...
 “Folle siete voi!” esclamò Caterina, facendo sobbalzare il giovane Cardinale: “Castel Sant'Angelo è imprendibile e vi assicuro che ne so abbastanza di fortificazioni da poterlo rendere ancor più inespugnabile! Coi miei cannoni vi posso spazzare via tutti da un momento all'altro! Vi conviene fare tutto quello che vi dico, o raderò al suolo Roma! Se non farete esattamente quello che vi ordinerò e se non eleggerete il papa che io, Caterina Sforza, vorrò, allora preparatevi a diventare carne da cannone!”
 Raffaele aveva fatto un passo indietro a ogni frase, finendo per sbattere contro la porta, ma la sua natura strisciante gli impose di fare un ultimo tentativo, se non altro per salvare la sua stessa pelle: “Se dovessi riferire questo al Sacro Collegio, quelli prenderebbero Girolamo e poi tutti i vostri figli e li scorticherebbero vivi davanti ai vostri occhi! Arrendetevi ora e sarete tutti salvi! Saremo tutti salvi, per Dio...!”
 Caterina si avvicinò al Cardinale, ormai seduto in terra, rannicchiato contro il legno pesante della porta: “Forse non mi capite quando parlo?” chiese la giovane: “Se il Sacro Collegio non eseguirà i miei ordini, non uscirò mai da questo castello, e se oserete anche solo sfiorare uno dei miei figli, trasformerò Roma in un cumulo di macerie.”
 Raffaele si copriva il volto con le mani, perciò non si rese nemmeno conto della vicinanza della Contessa, fino a che ella non lo afferrò per la tunica e lo strattonò con forza per farlo alzare: “Avanti! Ora andate a riferire ai vostri cari prelati! E dite loro che mio marito sta solo aspettando un mio ordine. Mi basterà una parola per farlo marciare assieme a tutto il nostro esercito su Roma. Tutto chiaro?”
 Raffaele annuì ripetutamente e praticamente scappò dalla sala, inciampando e sgranando scuse e ossequi.
 Quando arrivò fuori dal castello, il Cardinale si tuffò sul cavallo, e fece partire la scorta verso i palazzi vaticani alla velocità della luce.
 
 “Attilio...” fece Caterina, con un filo di voce, non appena il battere impazzito degli zoccoli in strada le fece capire che i delegati erano partiti: “Venite qui un momento...”
 Il comandante la seguì fino alla scrivania. Caterina si sedette di peso, increbilmente stanca, dopo la sfuriata inattesa. Era nelle sue intenzioni spaventare Raffaele, ma non credeva di perdere il controllo così facilmente. Il sangue degli Sforza ribolliva prima di quello degli altri, glielo diceva spesso sua nonna...
 “Dobbiamo subito scrivere un messaggio a mio marito.” disse Caterina, indicando il necessario per scrivere: “Dobbiamo dirgli che gli abbiamo spianato la strada, che il Sacro Collegio è paralizzato e che non può nulla contro di noi, finché io resto a Castel Sant'Angelo. Gli basterà entrare in città coi soldati. La gente avrà paura delle armature e non lo intralcerà. Deve agire immediatamente, intanto che abbiamo Roma in pugno. Ogni ritardo potrebbe esserci fatale.”
 Attilio annuì e cominciò subito a scrivere la lettera coi toni più accesi che gli riuscirono. Alla fine lo fece firmare da Caterina e andò subito dalla sua staffetta più veloce.
 
 “Sciocchezze.” disse subito Rodrigo Borja, quando Raffaele Sansoni Riario riferì l'ultima minaccia di Caterina Sforza: “Suo marito si è ritirato a Isola. Se la Contessa crede che sia pronto a marciare su Roma, è evidente che le sfugge qualcosa.”
 Il Sacro Collegio era riunito al completo, come quella mattina. Tutti avevano ascoltato con attenzione le parole del Cardinale Sansoni Riario, che aveva riferito – addolcendo un po' i particolari riguardanti la sua condotta – l'incontro con la Contessa.
 Rodrigo Borja si era alterato nello scoprire che quell'inetto si era lasciato attirare nel castello, ma era anche rimasto stupito nel vederlo ancora tutto intero.
 “Girolamo Riario è un povero imbecille!” esclamò con soddisfazione Giovanni Colonna: “Se sua moglie fosse nata uomo, allora sì che dovremmo preoccuparci! Quel povero inetto non avrà mai il coraggio di marciare su Roma, nemmeno con quel diavolo di donna che gli tiene Castel Sant'Angelo!”
 “Potrebbe essersi ritirato a Isola solo per mettere in atto una strategia...” soppesò a quel punto Barbo, facendosi pensieroso: “Ragionate, fratelli... Il Conte Riario fa tutto quello che la moglie gli ordina... Credete davvero che oserebbe venir meno a una sua precisa indicazione?”
 Improvvisamente il Sacro Collegio parve spaccarsi in due. Nemmeno Rodrigo Borja era più sicuro di quello che era stato detto fino a quel momento.
 Per un'altra ora, continuarono tutti a fare congetture e smontarle, ipotizzare scenari e smentirli, fino a che Conti propose una pausa.
 Cogliendo l'attimo, Rodrigo Borja chiamò a sé Giuliano Della Rovere, Giovanni Colonna, Ascanio Sforza, Carafa, Savelli, Barbo, Cybo e altri cardinali.
 Si misero in una stanzetta e quando tutti cominciavano a chiedersi il motivo di quell'adunata, Rodrigo Borja chiese: “Il fatto che Girolamo Riario sia a Isola è positivo o negativo?”
 “Mio cugino non è nemmeno da prendere in considerazione – cominciò Giuliano Della Rovere, in parte per cominciare a togliere colpe alla sua famiglia, in parte per vera convinzione – non è un problema, per noi. Dobbiamo riuscire a fermare Caterina, quello sì. Il nostro problema è stato lei, fin dall'inizio. Con una moglie diversa, Girolamo non sarebbe riuscito a sopravvivere nemmeno un'ora dopo la morte di Sisto IV.”
 “E cosa proponete, dunque?” chiese Cybo, accigliandosi.
 “Trattare. Trattare su tutto. Prendere tempo. Impegnare Caterina e lasciare che Girolamo faccia tutto da sé. Lasciamogli il tempo, e mio cugino finirà per trovare il modo di perdere Roma e Castel Sant'Angelo tutto da sé.” disse Giuliano Della Rovere, con freddezza.
 Ascanio Sforza tossicchiò e disse: “Non riuscirete a piegare Caterina, e il Conte potrebbe essere troppo pavido anche per prendere la decisione di arrendersi. Io dico, trattiamo con lui e illudiamo lei.”
 Rodrigo Borja alzò le sopracciglia: “Cardinale Sforza, non mi sarei aspettato una simile idea da voi.”
 “Conosco bene mia nipote.” fece notare Ascanio: “Quando era bambina studiava assieme a me e ai miei fratelli. Era più piccola di noi, eppure ci superava in intelligenza e prontezza. Non possiamo sperare di farla cedere con la forza. Possiamo solo sperare che si illuda che noi cerchiamo una trattativa con lei, mentre in realtà trattiamo con suo marito.”
 “Sforza ha ragione.” convenne Colonna: “Mandiamo subito una missiva a Riario. In fondo lui stesso ha cercato un contatto con noi, no? Offriamogli la salvezza, lasciamogli tenere Imola e Forlì, basta che lasci tutte le sue cariche connesse con lo Stato della Chiesa. Che si tenga anche i palazzi che ha qui a Roma. Scommetto che se glieli lasciamo, dirà per certo di sì.”
 Rodrigo ci pensò un momento. Conosceva il Conte Riario, ma non abbastanza per avere la certezza che sentiva nelle parole di Giovanni Colonna. Tuttavia aveva assaggiato il carattere di Caterina e si fidava del giudizio di Ascanio Sforza.
 “Sono d'accordo – disse alla fine Rodrigo – a patto che gli venga imposto di vivere in Romagna, lontano da Roma. Non voglio che metta mai più piede in città.”
 “Conoscendolo, penso che sia lui il primo a non voler mai più vedere Roma...” sorrise Giuliano Della Rovere.
 “E Caterina? Se anche suo marito si arrendesse, non credo che lei ci lascerebbe prendere Castel Sant'Angelo come niente... Potrebbe benissimo decidere di barricarsi comunque dentro e usare i cannoni per vendicarsi, senza pensare alle conseguenze...” fece notare timidamente Oliviero Carafa, alzando l'indice, come a chiedere il permesso di parlare.
 “Proverò a parlarle io.” si offrì Ascanio Sforza: “Non volevo intromettermi, perchè non mi arrogò il diritto di decidere gli affari della Chiesa, ma sono suo zio e mi deve rispetto. Magari mi darà ascolto.”
 Rodrigo Borja annuì e gli diede una sonora pacca sulla spalla: “Se non riesce uno Sforza a far ragionare una Sforza, allora non abbiamo davvero più speranza...!”
 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Adeia Di Elferas