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Autore: Adeia Di Elferas    23/12/2015    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ Le cancellerie di tutta Italia erano nello scompiglio. A ogni ora del giorno e della notte arrivavano staffette, venivano inviati messaggi e si indicevano riunioni straordinarie di consiglio.
 Quello che Caterina Sforza aveva osato fare era ormai una questione internazionale.
 Lorenzo Medici apprese della situazione romana con un certo ritardo. Se avesse saputo subito e immediatamente ogni dettaglio, di certo avrebbe sfruttato la situazione a suo favore, mentre a quel punto non gli restava che aspettare e vedere quello che succedeva.
 Sisto IV era morto, e questa era una cosa che lo rallegrava immensamente. La sorte era stata più rapida di lui. Ora restava solo suo nipote Girolamo Riario e poi la vendetta verso i Della Rovere sarebbe stata completa.
 “La Contessa Riario non vuole lasciare Castel Sant'Angelo.” lo informò il messo arrivato da pochi minuti da Roma: “Dice che resterà barricata lì fino a che non verrà eletto un papa di suo gradimento.”
 Lorenzo incrociò le braccia sul petto, un'espressione intrigante in volto: “Ah, che donna...” sussurrò.
 Non poteva negare di provare una grande curiosità, nei confronti della Contessa Riario. Tutto quello che sentiva dire a suo riguardo lo stupiva. Se solo fosse stata dalla parte di Firenze... Dio solo sapeva quanto servivano persone come lei alla famiglia dei Medici...
 “Devo portare una risposta?” chiese il messaggero, alla fine.
 “Sì.” disse Lorenzo, avvicinandosi l'inchiostro: “Dovete consegnare questa lettera al Cardinale Cybo. Mi raccomando, solo a lui. Che non finisca nelle mani di Borja o di Conti.”
 La staffetta annuì e attese pazientemente che il suo signore scrivesse e firmasse la missiva.

 “Se questo è quanto...” disse Paolo Orsini, avvilito.
 “Sì, questo è quanto.” fece Girolamo, secco: “Preparate le vostre cose e tornate ai vostri impegni. Mi ritiro dalla guerra contro i Colonna, quindi voi non avete più nulla a che fare con i miei affari.”
 Paolo Orsini sentiva le mani tremare dalla rabbia. Avrebbe voluto al suo fianco anche Virginio, che invece continuava a combattere contro i Colonna a sud di Roma, perchè forse lui avrebbe avuto la voce abbastanza grossa da rimettere in riga il Conte.
 In quelle ore aveva conosciuto un lato di Girolamo Riario che non aveva mai visto prima. Nel suo modo distaccato e prepotente di dare ordini e di prendere decisioni aveva finalmente visto il lato risoluto di Girolamo. Peccato che la sua risoluzione fosse sempre serva della paura.
 “Io avevo giurato a vostra moglie...” tentò Paolo Orsini, come ultima speranza, ma il Conte lo bloccò immediamente, alzando una delle mani guantate di ferro.
 Appena Orsini si zittì, Girolamo gli disse: “Mia moglie non è qui. Se ci tenevate tanto, a lei, dovevate impedirle di andare a Castel Sant'Angelo.”
 Paolo Orsini strinse il morso e abbassò gli occhi, per non dover guardare il viso smagrito del Conte, incastonato in quei capelli ricci che aveva cominciato a odiare incondizionatamente.
 “Ora andatevene. Altrimenti vi farò arrestare dalle mie guardie.” disse Girolamo, con un piacere perverso nel cacciare dal campo quell'uomo che Caterina tanto apprezzava. Ah, che bello sarebbe stato, vederla nel momento in cui avesse saputo di come Paolo Orsini aveva ceduto facilmente...!
 Paolo Orsini non fece nessun inchino, né disse qualche parola. Si girò di scatto e quasi corse all'ingresso del padiglione, incredulo per la sua stessa codardia.
 “Mandate urgentemente questo messaggio a mia moglie la Contessa.” disse piano Girolamo al messaggero che gli stava accanto: “Non aspettate la risposta.”
 
 “Un messaggio per voi, mia signora.” annunciò Attilio Fossati, porgendo una lettera a Caterina: “La staffetta è già ripartita. Dice che non c'è risposta.”
 Caterina si accigliò. Aveva riconosciuto la grafia del marito. Perchè non aveva aspettato una risposta? Che mai poteva dire in quelle poche righe?
 Spiegò bene la pagina e cominciò a leggere. Già dalle prime parole, sentì la collera crescerle di nuovo nel petto, come una belva feroce in cerca di una preda da divorare.
 'Mentre voi vi ostinate a tenere quell'inutile rocca – aveva scritto Girolamo – io ho iniziato trattative che ci porteranno a una vittoria senza pari. Il Sacro Collegio perdonerà le vostre intemperanze e avremo salve non solo le nostre vite e quelle dei nostri figli, ma anche Imola e Forlì e persino i nostri palazzi di Roma, per i quali danni subiti durante la rivolta ci verranno ottomila ducati.'
 Caterina dovette resistere all'impulso di stracciare subito la lettera, perchè prima voleva leggerla per intero.
 Dopo alcune frasi di autocelebrazione con cui Girolamo si vantava della propria intelligenza e della propria capacità di trarre il meglio da ogni situazione, arrivava la parte peggiore.
 'Il Cardinale Barbo è stato molto comprensivo e mi ha aiutato grandemente nelle trattative, intercedendo per me presso il Sacro Collegio. Con questa resa non solo salviamo tutto ciò citato sopra, mia adorata moglie, ma vengo sollevato seduta stante da tutti i miei incarichi, e così saremo finalmente liberi da ogni responsabilità nei confronti del Vaticano. Sto già tornando a Forlì, dove mi potrò ritenere finalmente al sicuro. Vi attendo là, assieme ai nostri figli. Appena leggerete questa lettera, vi prego di lasciare Castel Sant'Angelo e raggiungermi. Fate nascere il nostro quarto figlio a Forlì, ve ne prego.'
 A terminare la missiva, c'era la minaccia: 'Sappiate che se non farete quello che vi ordino, andrete incontro alla vostra fine. Ho bloccato tutto il nostro denaro depositato nelle banche, quindi non avete nemmeno un soldo per pagare le truppe. Scoprirete in fretta quanto la fedeltà dei soldati, che voi tanto decantate, sia legata a filo doppio alla paga che ricevono dal loro signore.'
 In fondo c'erano i saluti e una breve dichiarazione di imperituro amore, che a Caterina fece venire la nausea.
 In tutto il messaggio non si faceva menzione di Paolo Orsini e Caterina pensò che probabilmente Girolamo aveva fatto in modo di allontanarlo in qualche modo, e che Orsini non aveva avuto ragione di restare. In fondo erano stati alleati occasionali, doveva aspettarselo. Aveva imparato già da bambina a non fidarsi mai fino in fondo delle persone, neppure di quelle che si apprezzano di più.
 Finito di leggere, strappò in mille pezzi la lettera e la gettò in terra.
 Attilio Fossati la guardava, scuro in viso, le mani dietro la schiena, subodorando quello che poteva essere stato scritto dal Conte Riario.
 In quel momento, Caterina si sentì tradita e piccola. Quel ricordo che cercava ogni giorno di più di ricacciare nel profondo della sua anima, stava tornando con tutta la forza e l'orrore dei primi momenti. Capì, mentre i pezzetti della lettera ancora veleggiavano in aria, che Girolamo era ancora lo stesso omuncolo della loro prima notte di nozze, che era ancora capace di farla sentire così indifesa e sola e che di lui, per quanto avesse cercato di illudersi, non si sarebbe mai potuta fidare. Mai.
 “Mia signora...?” provò a dire con voce sottile Attilio Fossati, mentre negli occhi della Contessa appariva il peculiare luccichio che precede il pianto.
 “Radunate tutti i soldati, anche quelli di guardia, nel cortile. Devo fare un annuncio.” disse Caterina, asciugandosi gli occhi, ancora prima che una lacrima furtiva le sfuggisse dalle ciglia.
 Attilio Fossati annuì e in meno di mezz'ora, Caterina si trovò davanti ai soldati schierati, in attesa delle sue parole.
 Senza mezzi termini, ripeté quasi per intero quello che Girolamo aveva scritto nella lettera. Gli occhi puntati su di lei erano pieni di interrogativi, ma c'era anche quelcosa di più. C'era indignazione e sconcerto. Non capiva, però, se quei sentimenti terribili erano rivolti a lei o alle parole che riportava con fedeltà.
 In conclusione disse: “La resa è dei Riario, non dei soldati di Castel Sant'Angelo. Voi mantenete intatto il vostro onore. Solo i Riario ne escono sconfitti.”
 Si aspettava qualcosa, un segno di benevolenza, o di insofferenza. Invece tutti quanti restarono immobili e in silenzio.
 Solo Attilio Fossati osò prendere la parola: “Mia signora.” disse, inginocchiandosi di fronte a lei: “Io e gli uomini avevamo preso in considerazione questa eventualità. Non ci importa del compenso. Se deciderete di seguire il volere del Conte vostro marito, pretendiamo che, in qualità di comandante della nostra guanigione, usciate da Castel Sant'Angelo con l'onore delle armi, scortata da tutti noi, come si conviene a un vincitore. Se invece voi deciderete di proseguire nell'opposizione al Sacro Collegio, noi saremo con voi fino alla morte. Su questo siamo inflessibili, mia signora.”
 Caterina aveva ascoltato senza fiato quella dichiarazione di fedeltà che prevaricava ogni interesse, ogni prospettiva di guadagno o di onore. Quando un soldato leale diceva 'fino alla morte', lo diceva con il cuore in mano.
 “Se è così...” sussurrò Caterina, prendendo un profondo respiro, prima di esclamare: “Io non merito tanto! Le vostre parole mi riempiono di gioia! Non voglio condannarvi a morte certa! Onorerò la vostra lealtà pretendendo gli onori della armi e se ci verranno negati, allora anche io combatterò come voi, al vostro fianco! Fino alla morte!”
 Immediatamente tutti i soldati cominciarono a battere sugli scudi e in terra con le alabarde e con le spade e Castel Sant'Angelo fu riempito da un urlo di battaglia ritmico e cadenzato: “Sforza! Sforza! Sforza!”
 
 Appena fuori da Castel Sant'Angelo, Ascanio Sforza fece fermare un momento la scorta che lo stava portando dalla nipote.
 Pareva proprio che da dentro la fortezza degli uomini stessero facendo il suo nome, o meglio, il suo cognome.
 Sì, stavano proprio gridando 'Sforza! Sforza!'... Ascanio deglutì, appena scosso da quell'inatteso scenario, ma si fece coraggio e si preparò a recitar la parte dello zio autoritario e inflessibile.

   
 
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