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Autore: Adeia Di Elferas    24/12/2015    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ Rodrigo Borja guardava fuori dalla finestra, quasi in apnea. Non vedeva l'ora che Ascanio Sforza tornasse dalla sua missione, ma allo stesso tempo temeva che quell'uomo fallisse.
 Certo, era uno Sforza, una bestia di razza, per dirlo a modo suo, però poteva essere che si lasciasse intenerire dalla vista della nipote o che la sua fedeltà fosse ancora più per gli Sforza, che non per la Chiesa...
 Batté un dito contro il davanzale e poi chiuse i vetri, stanco dell'afa che si alzava fino al suo appartamento.
 Ancora non credeva possibili le condizioni di resa sottoscritte da Girolamo Riario. Quello stolto aveva rinunciato a tutte le sue cariche – e quindi a tutti i suoi stipendi – e si era tenuto due città, di cui una vivacchiava ormai solo grazie ai soldi versati dal suo signore, soldi presi dagli incarichi romani... E poi aveva accettato di tenersi i palazzi di Roma, senza pensare che in breve sarebbero stati solo una spesa...! Se non poteva entrare in Roma, cosa se ne faceva di enormi dimore piene di personale di servizio e sempre bisognose di migliorie e rattoppi?
 Girolamo Riario era stato l'uomo più potente del mondo, e per ben più di un minuto, eppure non se n'era mai reso conto... Aveva avuto Roma ai suoi piedi e l'avrebbe avuta ancora a lungo, se solo non fosse stato tanto codardo.
 Alla fine, malgrado la sorte fosse stata sempre dalla sua parte, Girolamo aveva perso l'occasione di essere il padrone del mondo a vita e lo era stato solo per una stagione.
 Lo spagnolo si lasciò cadere sul divanetto imbottito e guardò il soffitto affrescato. La bellezza era una cosa così effimera... Come il potere.
 Rodrigo passò la mano sulla seta rossa della sua tunica e si fece una solenne promesse: anche lui sarebbe stato il padrone del mondo, ma non solo per una stagione.

 Ascanio Sforza si guardava attorno incuriosito. In tutti gli anni passati a Roma, non aveva mai visto da vicino le stanze interne di Castel Sant'Angelo. In qualche modo il loro stile spoglio gli ricordava il palazzo di Porta Giovia...
 Attilio Fossati l'aveva portato fino lì, pregandolo di attendere l'arrivo di Caterina, che aveva avuto un contrattempo.
 Ascanio, per nulla intimorito dalla prospettiva di restare solo in quella camera, aveva ringraziato e si era andato a sedere.
 Quando sentì finalmente i passi della nipote alle sue spalle, si alzò subito e le andò incontro a lunghi passi: “Caterina!” esclamò, stringendola tra le braccia.
 Caterina accettò l'abbraccio, reso complicato dal ventre ingombrante, ma non lo ricambiò con il dovuto entusiasmo. In fin dei conti, da quando lei abitava a Roma, suo zio non aveva mai fatto molto per rimarcare la loro parentela o per ricordare assieme a lei i bei tempi andati. Mai una lettera, mai un messaggio. Non si vedevano da quando erano ragazzini. Tutto quel calore era da imputarsi quasi sicuramente al momento concitato e non a un vero affetto.
 “Da quando siete a Roma?” chiese Caterina, quando il loro abbraccio si sciolse.
 Ascanio notò il velo di distacco sulle parole della nipote e non poté non sentirsene ferito. Tuttavia finse di non accorgersene: “Da pochissimo. Sono arrivato appena dopo la morte di Sisto IV.”
 Caterina annuì: “Notizie da Milano?”
 Ascanio tornò a sedersi, visto che la nipote stava andando alla sua poltroncina imbottita: “Sapete bene che sia io sia Ludovico abbiamo cercato più volte di convincere vostro marito a lasciarvi visitare Milano, ma non siamo riusciti a far nulla in merito.”
 “E Pavia?” domandò Caterina, abbassando gli occhi. Quello che voleva sapere era se Bona era ancora viva, se era ancora rinchiusa al castello, se qualcuno ne sapeva qualcosa.
 Invece Ascanio fece orecchie da mercante e disse solo: “Essere Vescovo di Pavia mi riempie di impegni, ma ne sono felice... Sapete che si tratta di una terra ricca, abitata da grandi lavoratori e fedeli devoti...”
 Il discorso languiva, così Ascanio si decise a mettere le cose in chiaro: “Caterina, quando dichiarerai la resa? Tuo marito l'ha già fatto. Sei ostinata, lo so bene, ma non esserlo fino a questo punto.”
 La giovane puntò gli occhi in quelli dello zio. L'uomo aveva abbandonato tutte le cerimonie e le stava parlando come quando studiavano insieme o insieme tiravano di spada. Avevano otto anni circa di differenza, ma in quel momento parevano entrambi due anziani.
 “Non posso arrendermi.” disse piano Caterina, alzando il mento e sporgendo in fuori le labbra.
 “Puoi e devi, invece.” disse Ascanio, massaggiandosi il mento su cui spiccava la barba incolta: “Sei sempre stata più intelligente di me, ma questa volta hai commesso un errore che nemmeno io avrei fatto.”
 La giovane restò in attesa di ulteriori spiegazioni, che Ascanio non tardò a dare: “Hai pensato a tutto, ai rifornimenti, a ottenere la fiducia dei soldati, a puntare i cannoni... Ma hai lasciato a piede libero il tuo più grande punto debole: tuo marito Girolamo. Perchè non l'hai portato qui con te? Se fosse rimasto qui al tuo fianco, saresti riuscita a non fargli consegnare la resa e le dimissioni e non saremmo arrivati a questo punto.”
 “Girolamo è un vile. Ha avuto troppa paura e io...” Caterina deglutì.
 Soffriva a dover ammetter una  sua simile mancanza, ma il viso di suo zio aveva i tratti decisi e gravi che aveva il volto di suo padre Galeazzo Maria quando le chiedeva ragione di qualche sua bravata, quando era bambina e quindi cedette: “E io non sono stata abbastanza paziente e forte da farlo ragionare. Avrei dovuto obbligarlo, in qualche modo, ma ho preferito agire da sola, sperando che lui ci ripensasse... Mi sbagliavo.”
 “Già.” convenne Ascanio.
 In quel momento l'uomo osservava la ragazza con fermezza, ma anche con trasporto. Se la ricordava bene, quando da bambina riusciva a disarmarlo, o quando faceva impallidire il loro precettore con la sua prontezza e la sua vivavcità d'intelletto. Mentre ora se la trovava lì davanti, stanca, demotivata, sconfitta per colpa di un uomo che non l'aveva mai meritata...
 “Dopo tutto – proseguì Caterina, cercando di dare alla propria voce un tono più squillante – non ho scelto io mio marito. Come tu ben ricordi.”
 Ascanio si morse un labbro. Ricordava bene il matrimonio della nipote. Non aveva saputo subito quello che era successo, ma quando le chiacchiere si erano spinte fino alle sue orecchie, non aveva potuto far altro che inorridire.
 “Con la tua audacia – riprese Ascanio, sapendo che era il momento di colpire, benché si sentisse un verme a sfruttare così le pene della nipote – hai portato onore e gloria al nome della nostra famiglia. Tuttavia sia io sia tuo zio Ludovico siamo convinti che sia il momento di arrendersi. Il tuo orgoglio ne resta intatto, perchè non sei tu che ti sei arresa, ma un Riario. Inoltre abbiamo già scritto a tutte le cancellerie d'Italia dicendo che nessun attacco a Imola o Forlì sarà ben visto da Milano.”
 Ascanio dovette sforzarsi di aggiungere le ultime parole, perchè in quel momento si sentiva un vero traditore: “Lascia Castel Sant'Angelo, Caterina. Se non lo farai, il Sacro Collegio non esiterà a ucciderti. A loro fa più comodo avere in vita tuo marito che non tu. Pensaci: i tuoi figli resterebbero senza madre, resterebbero soli con lui.” sottolineò quell'ultima parola con enfasi eccessiva, ma ebbe successo.
 'I miei figli soli con Girolamo?' pensò Caterina: 'Meglio morti, che soli con lui.'
 “Inoltre – continuò imperterrito Ascanio, mentre osservava compiaciuto l'espressione della nipote passare dalla perplessità alla determinazione – se ora lasci il castello, io potrò ancora aver voce in capitolo in conclave e potrò cercare di pilotare l'elezione a nostro favore...!”
 Poco importava se quel 'nostro favore' sottintendeva 'a favore mio e di Ludovico', a Caterina quelle parole non interessavano molto. Quello che ancora le frullava in testa era ciò che le era stato paventato poco prima.
 “Consegnerò Castel Sant'Angelo a una sola condizione.” annunciò.
 Ascanio fece un sorrisetto soddisfatto e disse, grandioso: “Tutto quello che vuoi, cara nipote.”
 “Voglio l'onore delle armi per me e per i miei soldati. Non lasceremo Roma in silenzio.”
 Ascanio diventò violaceo: “Ma cosa stai dicendo?!” esclamò: “Ma sei pazza? Roma ti vuole morta! Se l'hai già scordato hanno distrutto tutto quello che avevi, hanno saccheggiato i tuoi palazzi e dato fuoco al mobilio! Se ti vedranno, ti faranno a pezzi!”
 “Non lascerò Roma come una fuggitiva. Non sono come mio marito.” ribatté con calma Caterina.
 “Ascoltami, Caterina...” riprese Ascanio, alzandosi per andarle più vicino: “Aspetti un figlio che per quel che vedo potrebbe nascere da un momento all'altro. Sei una donna e sei sola, sei la moglie di un uomo odiato da tutti.” le prese la mano nelle sue e la strinse con forza: “Se ti vedranno per le strade di Roma, ti ammazzeranno! Pensa ai tuoi figli, al tuo bambino non ancora nato...!”
 “È esattamente quello che sto facendo.” fece Caterina, liberando la mano dalla stretta di suo zio: “Io sono sempre stata fiera del nome che portavo e lo devo al coraggio e all'orgoglio dei miei nonni. Voglio che anche i miei figli siano fieri del loro nome e non che se ne debbano vergognare ogni giorno della loro vita.”
 Ascanio non sapeva più cosa dire. In quel momento gli pareva di aver di fronte sua madre, Bianca Maria Visconti. La stessa rabbiosa fierezza e lo stesso feroce orgoglio.
 Non si dissero più nulla per almeno dieci minuti. Entrambi erano persi nei pensieri e nei ricordi che le ultime parole di Caterina avevano risvegliato.
 Alla fine Ascanio pensò che il Sacro Collegio non avrebbe mosso opposizioni alla clausola imposta da Caterina, quindi si arrese e disse: “E sia. Vi verrà concesso l'onore delle armi.”
 E così dicendo cominciò a muoversi verso la porta. Caterina lasciò la sua poltroncina e lo raggiunse. Lo prese per un braccio e gli disse: “Grazie, zio.” E questa volta, quando si abbracciarono, fu un gesto sincero e sentito da entrambi.
 
 Una volta uscito di nuovo da Castel Sant'Angelo, Ascanio si rese conto di essere madido di sudore. Era stato un incontro difficile, che lo aveva messo a dura prova in molti modi. Però ne era uscito vincitore.
 Un po' si sentiva ancora male, per aver usato bassamente la propria influenza su Caterina, ma che altro poteva fare?
 Ormai lui non era più uno Sforza, ma un uomo dello Stato della Chiesa. Doveva fare gli interessi, prima di tutto, della sua nuova famiglia e solo in seconda battuta anche di quella d'origine.
 Ora stava tornando dai membri del Sacro Collegio con la notizia della resa di Caterina Sforza e doveva esserne felice. Aveva svolto appieno il suo compito ed era riuscito laddove molti altri avrebbero fallito.
 E allora perchè, mentre il cavallo correva lontano da Castel Sant'Angelo, si sentiva un traditore?
 

   
 
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