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Autore: marwari_    24/12/2015    1 recensioni
Male e Bene gareggeranno, di cui i figli paladini saranno.
Chi infine vincerà? Questo davvero non si sa.
[e se.. Biancaneve non fosse l'unica ad avere per figlia una salvatrice?]
TEMPORANEAMENTE SOSPESA - FINO A: DATA DA DEFINIRE
Genere: Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Regina Mills
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Angolo Autrice:
Oh yes, I’m back bitches! Due anni? Due anni e otto mesi, arrotondiamo a tre anni così mi picchiate meglio (?). Inutile dire che sono stata impegnata.. no dai, non ci crede nessuno.. la verità è che sono stata piacevolmente assorbita dal mondo delle role e dai rewatch sfrenati di telefilm che conosco a memoria (who cares) e questo è il risultato.
Vorrei chiedere sinceramente perdono ai lettori appassionati che ho abbandonato, e spero troveranno la voglia e la clemenza di tornare a seguire la storia, anche dopo tutto il tempo che è passato. Già da ora dico che non aggiornerò regolarmente, ma solo quando ne avrò la possibilità {angolino confessione: l’ispirazione è altalenante, sono concentrata sua altre storie - ehm andate a controllare nel mio profilo se vi va di curiosare, perdono T^T} e non escludo l’eventualità di farvi aspettare altri anni just sayin’.
Ringrazio fin da subito le mie fedelissime, che ho ignobilmente trascurato... McHardcore, Valine, vi giuro che non vi ho dimenticato e continuerò a ringraziarvi sempre!
Buona lettura a tutti.
Con la speranza che continuerete a seguirmi,
syriana94

P.S.:

 

 

Capitolo10 - Sacramentum Gladiatorum

Ruby era indecisa se correre o camminare. Era sempre stata veloce a correre e quando lo faceva attirava l'attenzione di tutti - non era mai stata sicura se fosse per la velocità o per l'abbigliamento - e quello non era il suo obiettivo, non quel giorno, non a quell'ora.

StoryBrooke non le era mai apparsa tanto grande. Con rapide e lunghe falcate cercava di coprire più spazio possibile, calibrando i suoi passi ogni due mattonelle grigie.. erano un bello stacco anche per le sue gambe, ma non troppo da farla sembrare una pazza con disturbi mentali: aveva trovato l'andatura giusta.

Oltrepassò il Granny's pregando con tutte le sue forze che la nonna non la stesse aspettando. Contò i passi: uno, due..

«Ruby!!» sollevò gli occhi al cielo e fu costretta a fermarsi, ringhiando appena

«Ora non posso nonna, dammi un paio d'ore.. stasera farò gli straordinari, se vuoi.» la donna la seguì per un po' sul vialetto, minacciandola con lo sguardo. I fumi bianchi che uscivano dalle narici a causa del freddo la facevano sembrare un toto infuriato ma Ruby si impose di non ridere

«Cosa devo fare con te?! Hai orari da rispettare signorina, non puoi fare come ti pare solo perché sei mia nipote!»

«Nonna non posso, è una cosa importante!» l'anziana donna ringhiò anche più forte di Ruby e girò i tacchi, frustrata e sicura che la nipote non l'avesse seguita neppure se ci fosse stato un incendio al locale

«E' sempre una cosa importante, per te!» combatté strenuamente con sé stessa per non gridarle dietro "sei licenziata" e la lasciò andare, tornando dai suoi clienti.

Ruby sbuffò e riprese la sua camminata.

Raggiunse dopo una quindicina di minuti il municipio, le lanterne appese ai due lati dell'entrata creavano aloni gialli attorno al vialetto, il che, per uno strano motivo, metteva in agitazione Ruby. Come se fosse l'unica cosa di quella donna.. o correlata a quella donna che la mettesse in agitazione.. a parte Armida, naturalmente.

Si fece coraggio ed entrò con determinazione nel municipio. Salì le scale, guardandosi distrattamente in giro e tra le varie porte cercò quella vetrata con la scritta dorata "mayor" applicato in maiuscolo. Si accorse solo ora di non ave mai fatto visita al sindaco della città nel suo ufficio privato

«L'orario per le udienze è finito.» Ruby sobbalzò. Da quando Regina Mills aveva una segretaria? Non aveva mai visto quella faccia al Granny's.. eppure tutti avevano fatto sosta dal Granny's. Ruby le rivolse un'occhiata curiosa e perplessa e sentì distintamente la donna essere a disagio sotto quell'occhiata

«Lo so io.. ehm..» cercò di mostrarsi il più diplomatica possibile, ma non ci riusciva. Continuava a guardare quelle collant immacolate sotto la gonna nera e i tacchi alti, la camicia bianca che spuntava dalla piccola scrivania, la pettinatura perfetta.. e lei aveva indosso un giubbotto rosso, gonna corta - fin troppo - calze bianche di lana ed anfibi.. senza contare il trucco pesante «E' una cosa della massima importanza.» riprovò la ragazza e l'altra sbuffò, depositando su dei fogli gli occhialetti fini per portava sulla punta del naso. Ruby sorrise più cordialmente possibile, levandosi il cappellino di lana e stropicciandolo tra le mani sudate.

«Aspetti qui.» Ruby fu costretta ad aspettare fuori

«Le dica che è importante!» le urlò dietro, ma non fu sicura che l'avesse ascoltata. Sbuffò e fece un giro su sé stessa, poi si fermò e tese le orecchie.. anche se la stanza era chiusa, poteva sentire le dita del sindaco fermarsi e smettere di tamburellare frenetiche sulla tastiera di un pc, la segretaria fare una breve descrizione di lei - comprendeva il giubbotto rosso ed un tipo eccentrico - e poi la voce di Regina Mills, calda, autoritaria e temibile. Disse qualcosa su Armida, "la cameriera del Granny's" e si interrogò sul fatto che le due cose potevano essere correlate. Un attimo di stasi e sentì le rotelle della sua poltrona cigolare. Tacchi.. due.. quattro.. stava uscendo.

Ruby indietreggiò quando vide formarsi le due sagome nere sul vetro zigrinato e poi si sforzò di sorridere al sindaco.. un sorriso falso, da parte di entrambe. Regina congedò la segretaria e le diede il permesso di andare a casa; Ruby e Regina sostennero reciprocamente lo sguardo della donna che avevano di fronte finchè l'altra non sparì tra i corridoi

«Signor sindaco è importante..»

«Non saresti stata tanto sconsiderata da venire qui, altrimenti.. Cosa c'è? Lo so che tu e Armida siete amiche ma non mi importa finchè non la porti con te.. fuori dal locale di tua nonna.» la squadrò da capo a piedi e le rivolse un sorrisetto sghembo «Perciò se sei venuta qui per chiedermi il permesso di farla uscire con..»

«No! Mi stia ad ascoltare!» il sindaco non amava essere interrotta e specialmente non in quel tono. Il suo sorriso si spense, sostituito da uno sguardo adirato

«Come ti permetti..?»

«Non capisce.. si tratta di Armida!»

 

Il sangue cadeva a gocce, lentamente, depositandosi sulla neve candida. Armida stava osservando quasi incredula quelle piccole macchie in espansione, quasi provava sollievo quando scendevano, scaldando per pochi istanti le sue dita gelate dal freddo.

Respirava piano, concentrandosi su ogni sensazione che aveva preso possesso del suo corpo: il bruciore della ferita al fianco che l’aveva costretta a terra, il respiro spezzato dal dolore e dal freddo, la vista annebbiata dalla stanchezza, le risate divertite e forti che le riempivano le orecchie, frastornandola

«Lascia perdere, ragazzo. Non è il tuo posto.» aveva detto Lucas, il capo dell’esercito della regina. Non era una frase di scherno, però.. la sua voce tradiva delusione: in un certo qual modo, Armida sentiva che “il ragazzino spuntato dal nulla” gli stava simpatico, con la sua testardaggine, con la sua misteriosa brace della mattina che, prontamente, si spalmava in faccia. Aveva fatto credere a tutti che era il suo modo per rendersi più agguerrita, in realtà sapeva che la prendevano in giro proprio per quello.. e a lei non importava, finchè poteva celare la sua identità. Ma il punto era.. Lucas aveva ragione? Fare la guardia della regina era solo un capriccio? Un modo per vederla? Un modo per cercare il perdono o la vendetta? Non disse nulla quando la portarono di peso nel capanno adibito alle cure e l’unica cosa che fece fu storcere appena il naso quando le fasciarono la pelle strappata, poi, sorrise al curatore, il quale ricambiò. Oramai Armida era un visitatore fisso.

«Cos’è andato storto oggi?» chiede amichevolmente, arrotolando alcune bende appena lavate

«Il solito gioco inutile di “uno contro tutti”. Mi mettono sempre al centro.» si lamentò la ragazza, schiarendosi la voce e bevendo l’acqua che le era stata offerta

«Avrai il tuo momento, Am.» riprese l’uomo, passandosi l’indice sotto il naso. Armida lo guardò a lungo: anche dopo mesi non si era ancora abituata a quel nome. Come le era venuto in mente “Am”? Scosse la testa, ripetendo tra sé e sé che quello era un nome stupido. Per prima cosa, non aveva alcun senso e per seconda era nato solo perché lei, nel fornire il suo nome, aveva sbagliato e, accorgendosi del suo errore, si era fermata prima dell’ultima lettera che avrebbe svelato la sua natura femminile. Am, dunque, era diventato il suo nome. Un’altra cosa ridicola su cui i suoi compagni avrebbero potuto prenderla in giro, e lo facevano, infatti.

«E quando?» sospirò lei, anche fin troppo consapevole che quelle fossero solo parole di consolazione, nulla che presagisse qualcosa di buono in un futuro immediato «Sono solo false speranze. I giochi si svolgono la settimana prossima. Non ho possibilità di vittoria.»

«Non disperare.» continuò dolcemente l’uomo. Come poteva una persona come lui lavorare lì dentro, per la regina? «Vedrai che l’aiuto che ti serve arriverà.» Armida ne dubitava fortemente. Ma oramai era lì, ad un passo dal suo obiettivo e di certo non si sarebbe arresa, non fin quando la regina l’avrebbe proclamata sconfitta.

Alzò lo sguardo solamente quando il trambusto generale, fuori, si fermò di colpo. Cosa era successo di tanto eclatante per zittire quel branco di selvaggi senza educazione?

«I miei soldati sono pronti?» era una voce di donna, quella che aveva udito. Saltò giù dal lettino, piegandosi appena per il dolore e zittì con l’indice le proteste dell’uomo: voleva vedere, voleva sentire, ma per quanto potesse premere la guancia su quelle sbarre di ferro, non ci riusciva

«Sì, vostra maestà.» rispose il comandante. Armida sentì il sangue ribollirle nelle vene: come poteva essere lì, intrappolata in quel buco di pietra che puzzava di sangue e unguenti mentre la regina stava osservando i ragazzi che sarebbero presto entrati nel suo esercito?

«Bene.» rispose monocorde. Armida sospirò, sicura che quella sera le sarebbe stata preclusa la possibilità di combattere e, quindi, di far parte dell’esercito dei cavalieri neri.

«E il ragazzo?» un barlume di speranza si riaccese nel cuore della ragazza. «Ne conto uno in meno.» proseguì la donna, causando un silenzio imbarazzato

«E’ stato ferito.» rispose Lucas, il tono appena dispiaciuto «Non credo possa combattere stanotte.» poteva quasi vedere il volto irritato della regina, poteva sentire i suoi sospiri nervosi e i suoi occhi scintillare.. forse era solo una sua supposizione – infondo perché doveva tenerci tanto a lei – ma il solo pensiero di deluderla le era insopportabile. Forse era solo una sua congettura, una sua speranza, ma le dava forza.

«Combatterò!» urlò in fine, con tutto il fiato che aveva in corpo. L’uomo cercava di zittirla, di tirarla per un braccio via dalla finestra, ma a ragazza era irremovibile. «Combatterò!» gridò ancora, non sentendo provenire alcuna risposta e, tantomeno, potendo vedere cosa stava succedendo. Non ascoltava il vecchio appeso al suo braccio che le ripeteva “ti farai ammazzare”, non si lascava smuovere.. poteva anche aver ragione, ma lei era decisa ad andare fino in fondo.

Attese per pochi secondi, che però, a lei, parvero come infiniti. Poi la vide: lei, la regina, che camminava con il suo solito sguardo di sfida, celando un tocco di irritazione. Si faceva strada a fatica tra la neve accatastata al lato della piccola costruzione di pietra, il mantello di velluto appena alzato e i pantaloni di pelle appena imbiancati dai fiocchi di neve

«Combatterò.» disse ancora lei, in un mormorio appena udibile, gli occhi bassi e la mano serrata ad una delle due sbarre gelate che le bruciava il palmo.

«Non vedo l’ora.» poteva intuire da come aveva pronunciato quella frase che stava sorridendo, forse ghignando. Credeva veramente in lei oppure si divertiva a sapere per certo che qualcuno sarebbe caduto?

 

Archie temeva l’arrivo del sindaco, eppure sapeva che era l’unica cosa da fare. Si grattava la nuca nervosamente, lanciando occhiate preoccupate alla ragazza che si contorceva sotto la sua giacca. Aveva sbagliato tutto, lo sapeva, forse quelli erano i suoi ultimi minuti da psicologo, da abitante di Storybrooke o del Maine, forse addirittura dell’America.. aveva paura di morire di vergona o di continuare a vivere dilaniato dal senso di colpa di aver ucciso una ragazzina innocente.

 

Quando sentì la porta sbattere, era chiaro che il suo peggior incubo fosse arrivato. Si spostò in un angolo della stanza, la mano che grattava nervosamente la nuca e la mente in subbuglio: doveva dire qualcosa, scusarsi, giustificarsi o rimanere in silenzio? Ruby lo raggiunse, gli rivolse uno sguardo preoccupato e Archie si rincuorò: la sua presenza lo tranquillizzava, anche se solo in parte

«Siete solo un branco di incompetenti!» era furiosa, comprensibile e prevedibile «Vi farò rinchiudere in cella dallo sceriffo fosse l’ultima cosa che faccio!» sbraitò di nuovo. Archie si sentì morire.. Ma come poteva smentirla? Era tutto vero: non riusciva più a svegliare quella ragazza innocente, aveva tradito la sua fiducia e, cosa più grave, aveva tradito la fiducia del sindaco.. un errore che non sarebbe mai stato perdonato.
Era il primo, in un certo senso, a voler essere punito.. eppure sentirsi condannare ad un tale destino lo faceva tremare. Per quanto lo avrebbero tenuto sotto chiave? Sarebbe stato trasferito in quel mitico sotterraneo nelle fondamenta dell’ospedale dove Regina Mills tratteneva di nascosto chi non riusciva ad attenersi alla sua volontà? Esisteva davvero quel luogo? Sicuramente non gli sarebbe piaciuto scoprirlo sulla propria pelle.

«Signor sindaco.. io.. sono desolato..» prese a balbettare l’uomo, sinceramente mortificato, con un filo di voce appena udibile

«Non una parola, insettucolo!» ruggì la donna, perdendo in un battito di ciglia tutta l’eleganza e la fermezza che l’aveva sempre distinta. Come poteva sentirsi –ed essere- tanto impotente di fronte a sua figlia addormentata? Era come una antica maledizione del sonno? Non aveva la possibilità di sottrarla a quell’infausta sorte senza un aiuto di quel mondo.

Afferrò il cellulare senza pensarci due volte e chiamò l’unica persona che poteva gestire la situazione: il Dr. Whale.

 

Il battacchio di metallo che percuoteva violentemente il piatto di bronzo la fece trasalire

«Ultima sfida del giorno.» annunciò Lucas, facendo placare la folla pigiata attorno ad un piccolo palchetto improvvisato di tronchi legati fra loro: formavano una lunga e stretta palafitta ad un paio di metri di distanza dal terreno innevato.

Armida fece scorrere lo sguardo sulle numerose guardie della regina: alti, forti e robusti uomini dentro pesanti armature color della pece, con elmi calcati sulle teste e denti bianchissimi che donavano allo stesso tempo una sensazione di raffinatezza e inquietudine.
Si ritrovò ben presto a pensare come doveva essere indossare simili vesti ogni giorno, dalla sveglia fino al tramonto.

Poi sollevò lo sguardo e la vide. Vide la regina, sua madre, seduta sul trono al centro della platea, al posto d’onore riservato alle sue guardie più fidate, a suo padre, ai suoi consiglieri. Sfoggiava un lungo abito nero che quasi si confondeva con il buio che era presto calato e il suo viso, profondamente annoiato, era lievemente illuminato dal fuoco di una torcia poco distante da lei. Era bella. Bella e terrificante.

«Il campione di oggi.» i fragorosi applausi della folla la distrassero dai suoi pensieri. «E l’ultimo della batteria.» alcuni fischi proruppero dalle labbra dei veterani. Armida si arrampicò tremante sui pioli della scala che conducevano al palco. Sentiva gli occhi di tutti addosso a lei, sentiva la tensione, il disprezzo ce rivolgevano a quel ragazzo smilzo che non aveva nemmeno una possibilità di riuscire a sopravvivere.. in effetti il suo sfidante aveva battuto uno dopo l’altro tutti i suoi compagni, ferendone a morte un paio e gli altri, quelli più fortunati, anche se ammessi tra i soldati dei cavalieri oscuri, giacevano privi di sensi nell’infermeria. Deglutì nervosamente, cercando di ignorare il dolore al fianco che, improvvisamente le pungeva la pelle, come fosse un monito.
La ragione le diceva di scappare, voltarsi e nascondersi nella foresta senza guardarsi alle spalle.. il cuore l’attirava verso l’esercito.. l’orgoglio le manteneva i piedi fermi su quei tronchi scivolosi. Le piaceva immaginare che ora la regina la stesse guardando con ritrovato interesse, non le importava se la sua motivazione fosse stata quella di assistere meglio ad un’uccisione brutale, le importava solamente che quegli occhi dolci e spietati fossero su di lei, la seguissero e, perché no, tifassero per lei.

«Combattete!» le due spade affilate furono lanciare in mezzo al palco e i due, posti alle due stremità opposte, scattarono in avanti, le orecchie che fischiavano a causa del forte suono dell’improvvisato gong, cercando di aggiudicarsi una od entrambe le spade che giacevano incustodite al centro. Il cuore di Armida batteva veloce, facendole pulsare le tempie per lo sforzo e per la paura. Riuscì a strappare una delle due spade dalle mani dell’avversario e, lesta come una lepre, si chinò per evitare il veloce colpo che già le aveva assestato, diretto al collo; sgusciò vicino ad una delle sue gambe e, stando bene attenta a non scivolare di sotto, corse di nuovo, ritrovandosi all’estremità opposta della pira, là dove, all’inizio, si trovava lui. Lo osservava ansante mentre constatava che, con quell’agile mossa, aveva conquistato una piccola parte del pubblico.

Era sorda a tutti gli insulti che le rivolgeva l’avversario, che spaziavano da “piccoletto” a “nullità” fino a frasi più complete che riguardavano il suo futuro fallimento e figuraccia al cospetto della regina. Armida avrebbe potuto sopportare tutto, ma non quello.

Tentò allora lo scontro diretto: partì per prima, la spada saldamente impugnata. Fu il suo più grande errore.

Per quando udì i cori di dissenso della folla, era ormai troppo tardi per tirarsi indietro. Il suo nemico era rimasto fermo, i piedi ben piantati e non appena Armida si avvicinò a lui, gli fu sufficiente alzare le braccia sopra la testa per ribaltare l’esile corpo della ragazza e buttarlo alle sue spalle senza il minimo sforzo. Armida accusò il colpo, allargando le braccia per non ferirsi con la spada. Rimbalzò dolorosamente sul legno tanta fu la forza con la quale era stata scagliata. Era confusa, aveva battuto la testa, vedeva sfocato e il fianco sembrava dilaniarsi ad ogni respiro.. non fu difficile capire che la ferita si era riaperta, e il sangue sporcava di un liquido scuro i tronchi umidi. Si maledisse per quanto fosse stata stupida ad attaccare per prima.. eppure si approfittavano sempre di lei in quel modo, tutti i giorni, non aveva imparato nulla? Sarebbe stata lei a dover sfruttare la forza dei suoi avversari a suo vantaggio, non il contrario.

Puntò la mano libera sul legno e, a fatica, cercò di sollevarsi. Non ne ebbe il tempo: l’elsa della spada dell’altro la colpì allo zigomo e lei ricadde a terra ancora più indebolita di prima. Sentiva il lontano eco della folla che osannava il nome dell’avversario. Forse era davvero finita.. oramai era questione di dare spettacolo a suo discapito. Bella figura aveva fatto. Aveva illuso la regina di essere un degno soldato ed ora lo dimostrava in quel modo?

Alzò a fatica il capo, osservando come la folla stesse seguendo ogni mossa del nemico e ridesse della sua volubilità: avrebbe potuto ucciderla quando più gli sarebbe piaciuto e lei non aveva nemmeno la forza per sollevarsi in piedi

«La vittoria va a..» Lucas parlava a malincuore, ma veloce, come se volesse evitarle una morte disonorevole. Armida strinse i denti e, con uno sforzo che le parve disumano, puntò un gomito a terra e sollevò il busto dal legno

«Sine missione!» urlò la ragazza, la voce che tremava. Un silenzio tombale calò su tutti loro. Lucas la guardò supplicante, scosse la testa, ma lei era irremovibile «Sine missione.» ribadì decisa: sarebbe morta? Probabilmente. Ma lo avrebbe fatto in grande stile.

«Accetti?» domandò a malincuore, rivolto all’altro sfidante; per tutta risposta alzò le braccia verso la folla che rispose per lui con un fragoroso applauso

«Duelleranno finchè uno dei due non sarà morto.» spiegò Lucas «Nessuna regola, nessuna pietà.»

Lasciarono il tempo ad Aria di rimettersi in piedi e al suo sfidante di riposarsi e rifocillarsi di applausi e cori di ammirazione. Armida vedeva male dal lato sinistro, il fianco non le permetteva di rimanere in posizione completamente eretta, la mano destre tremava mentre si stringeva sull’elsa della spada. Si sentiva un relitto e rise perché lo era.

Il gong suonò un’ultima volta e gli incoraggiamenti riempirono l’aria.

«Combattete!» disse ancora Lucas e prima che potessero cominciare, se ne andò dalla piccola arena.

Armida parava a stento i colpi dell’avversario e davvero rare erano le volte in cui riusciva a sferrare un attacco; stanchezza, paura e rassegnazione ebbero la meglio su di lei dopo pochi minuti: crollò a terra dopo un pugno assestato allo stomaco.

Rotolò su un fianco e si perse per quelle che le parvero ore a fissare le cime degli alberi che offuscavano il cielo notturno, ricco di stelle colorate e luminose. Quando tornò in sé e rotolò sull’altro fianco per evitare il fendente, si accorse che la benda che le fasciava il fianco, si stava velocemente disfacendo. Approfittò del fatto che la spada si fosse incastrata tra i tronchi per gattonare via, dall’altro lato del costruzione, ma quando giunse a destinazione, lui era già sopra di lei, la spada sollevata sopra la testa, impugnata da entrambe le grosse mani callose, pronte a farla cadere e recidere il suo sottile collo come un ramoscello. Si trovava già in ginocchio.. quanto onore c’era in tutto quello?

Abbassò lo sguardo, pronta a ricevere il colpo e, per un lungo attimo, il tempo parve fermarsi. Poteva sentire il freddo che le pungeva le dita, il legno ruvido sotto la pelle, il suo sangue, tiepido, che anche se debolmente la riscaldava, il suo cuore che correva veloce, rimbombando nella sua gola.. C’era così tanta brutalità in tutto quello, così tanto terrore mistero.. eppure il significato della vita si racchiudeva in quel momento, un soffio e tutto sarebbe cambiato.. era talmente affascinante.

Sorrise.

E nel momento in cui socchiuse gli occhi, certa che di lì a poco avrebbe conosciuto la morte, notò che a sua benda era del tutto distesa sul legno, verso il suo nemico, si colorava di rosso in alcuni punti a causa delle pozze di sangue – suo e dei combattenti che l’avevano preceduta – e dopo articolate svolte si attorcigliava alla sua caviglia, sotto la suola.. e ritornava da lei. Tirò verso di lei con un portentoso strattone in cui aveva racchiuso tutte le sue ultime forze, la disperazione e quel barlume di speranza, l’ultimo prima della disfatta, il più forte, perché si accende subito come una scintilla in un campo di erba riarsa dal sole.

Perso l’equilibro, l’avversario cadde di schiena.

Armida si alzò, corse verso di lui mentre ancora l’adrenalina le scorreva nelle vene, alzò la spada sopra la testa e si lasciò cadere in ginocchio, trapassando il torace dell’avversario con un unico e preciso fendente.

«Svegliati!» Armida si sentì schiaffeggiare senza troppe cerimonie. Aprì le palpebre e si sentì tirare in piedi di peso. Faticò non poco per rimanere in piedi da sola, senza alcun aiuto, ma alla fine smise di oscillare. Non capiva nulla di quello che stava succedendo, ebbe la mente completamente annebbiata finchè non percepì un acuto dolore al polso.

Urlò, cadendo in ginocchio, le labbra dischiuse dal dolore e dalla sorpresa di ritrovarsi una bruciatura a forma di R sulla pelle «Alzati soldato. Da oggi si fa sul serio.» Armida osservò a lungo il cadavere del suo avversario riverso nella neve, accanto alla costruzione di legno, la sua spada che ancora gli spuntava dalla schiena. L’aveva ucciso e dopo.. probabilmente era svenuta. Ancora profondamente confusa, la ragazza non si rese conto che la regina, con passo leggero e sicuro, si era avvicinata a lei e quando quest’ultima non si era inchinata ai suoi piedi, le aveva sollevato il mento con l’indice, costringendola a guardarla dritta negli occhi. Armida non disse una parola e sostenne lo sguardo, anche se con l’unico occhi sano

«Lo voglio nel castello.» sentenziò infine ed Armida fu costretta a chinare il capo, per quanto le fosse concesso: ciò che le aveva offerto la regina era un grandissimo onore «Pulitelo, educatelo, addestratelo.. farà parte delle mie guardie personali.» Armida nascose un sorriso sghembo: era fatta.

 

«Svegliati!» Armida aprì gli occhi di scatto e Regina, per niente preparata a quel gesto, scartò all’indietro spaventata, rischiando di perdere l’equilibrio. La ragazza si guardò attorno confusa, spaventata e con il respiro ansante. Quando abbassò lo sguardo vide una strana siringa tozza ancora accostata alla sua coscia e il Dr. Whale che la impugnava con fermezza. Si dimenò finchè tutti non si furono allontanati, tutti tranne Regina

«Ricordo. Ricordo tutto

 

Note:
- Il combattimento descritto è stato ispirato all’omonimo episodio di “Spartacus: Blood and Sand”.

   
 
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