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Autore: Osage_No_Onna    27/12/2015    1 recensioni
[Slash://]
Due ragazzi.
Un mese di vacanza.
Quattordici biglietti lasciati su un muro.
Quindici fiori ad accompagnarli, scelti accuratamente in base al loro significato.
L' evoluzione di un rapporto, dalla fredda indifferenza all' amore.
I sentimenti sono imprevedibili: cambiano in un batter di ciglia e non sempre si trova il modo adeguato per esprimerli appieno.
Ma le possibilità sono tante, quasi infinite.
Sta a noi sfruttarle al meglio.
E se il mezzo di comunicazione è decisamente desueto, la situazione si fa più intrigante...
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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07: Just along the road

 
Nella sua ingenuità il ragazzo non si era mai capacitato della strana abilità che certe persone hanno di mascherare le proprie emozioni: l’aveva sempre trovata innaturale e tuttora, pur comprendendola meglio, pensava che in essa ci fosse una sorta di contraddizione di fondo.
Se è vero che le emozioni rappresentano la parte più autentica di ogni individuo, allora come mai a nasconderle sono proprio coloro che, da esse soffocate, cercano solo la possibilità di esprimerle appieno per migliorare la propria condizione?
Lui non s’ era mai fatto problemi nell’ esternarle, eppure… la piccola gioia interiore, nascosta al resto del mondo, che in quel momento stava provando era di gran lunga più intensa di tutti i sentimenti che avesse provato fino ad allora.
E stranamente non sentiva il bisogno di manifestarla.
Era la gioia per il raggiungimento di un piccolo traguardo, che poteva essere condivisa solo con la persona insieme alla quale aveva affrontato questo lungo cammino.
La gioia per la loro piccola vittoria.
Era stata una strada lunghetta e alquanto tortuosa, quella su cui avevano dovuto camminare, ma la loro meta era molto vicina e lui era certo che, con un altro piccolo sforzo, sarebbero riusciti a raggiungerla.
Decisamente, ne era valsa la pena.
Non che pensasse che la strada per la felicità fosse completamente dritta e spianata: se anche lui, che poteva affermare di non aver mai avuto particolari problemi, si era ritrovato a doversi togliere le spine sotto le piante dei piedi poteva solo significare che bisogna lottare per essere felici.
Lo sforzo non è però uguale per tutti: i più fortunati ci rimettono poco, ma c’è persino chi vi muore.
Per ingiustizia, lui ne era profondamente convinto.
Che lei avesse avuto la sua dose di dolori era innegabile, ma alla fin fine non erano tali da rimetterci addirittura la vita: con il tempo e l’ aiuto di buone persone avrebbe potuto superarli senza grossi problemi. Un po’ per il suo carattere e un po’ per la sua sfortuna (o la mancanza d’ intraprendenza?) si era ritrovata per un bel po’ in bilico, sospesa in uno stato d’ incertezza nel quale le emozioni potevano far perdere il già precario equilibrio.
Era Montale, l’unico poeta italiano di cui avesse una vaga conoscenza, ad aver scritto “Felicità raggiunta, si cammina/ per te su fil di lama”?
Non c’era da stupirsi, allora, se lei l’ amava tanto.
Lui però stimava che quel giochetto da equilibristi fosse durato fin troppo: era ormai giunto per lei il momento di poggiare finalmente i piedi per terra e percorrere non angusti budelli, ma strade più larghe e agevoli.
Non poteva garantirle che non avrebbe più trovato ostacoli e di ciò si rammaricava, ma qualora avesse voluto chiedere aiuto a qualcuno, oppure semplicemente cercare un confidente, lui ci sarebbe stato.
Certo, lei aveva superato il suo periodo di crisi, grazie alle sue qualità (non gliene mai avrebbe mai attribuite così tante se non l’ avesse conosciuta così bene) avrebbe certamente fatto tesoro di questa esperienza e, ritornando a percorrere il cammino della propria vita, avrebbe proceduto a testa alta, eppure… lui non poteva soffrire l’ idea di vederla camminare tutta sola.
Gli sembrava di vederla mentre si allontanava lentamente lungo una via un po’ troppo tortuosa, con uno zaino troppo pesante issato sulle spalle, mirabilmente sorretto da una schiena incredibilmente esile ma forte nonostante la sua magrezza.
Una creatura delicata ed orgogliosa, ma piena di bellezza, che spiccava sullo sfondo di squallido grigiore verso il quale si dirigeva.
Qual era la sua meta?
Il picco di un monte altissimo, pieno d’ asperità, brillava minaccioso tra mille altre cime decisamente più dolci. Eppure, chissà perché, quella roccia scolorita e aguzza era di gran lunga la più solida e stabile: ospitava grosse radici di alberi frondosi che offrivano ai passanti non solo la loro ombra, ma anche piccoli fiori dai petali giallini.
Eccoli lì, i calicanti, fugace visione di un tenero piccolo idillio.
Vi aveva riconosciuto, il ragazzo, le prime manifestazioni di un sogno d’ amore latente?
Forse no, o almeno in quel momento non avrebbe potuto dare una definizione a quel sentimento sconosciuto nemmeno se avesse voluto. Riusciva a percepire con chiarezza solo un vago tepore senza nome, lo stesso che gli invadeva il cuore quando vedeva la sua figuretta sottile avvicinars
i  oppure lei gli parlava, gli sorrideva, gli lanciava sguardi d’ intesa.
Voltò lentamente la testa verso i fiori poggiati sull’ erba alla sua destra: già, Calycanthus praecox, ripeté sorridendo tra sé e sé.
Cosa ci facevano sotto il sole cocente di fine luglio?
Il nome della loro specie d’ appartenenza, Chimonanthus, non avrebbe potuto essere più chiaro di quanto già lo fosse: “fiore d’ inverno”.
E difatti il calicanto era un arbusto tipico del suo paese natale (lui non ne aveva nel suo giardino, ma se ne vedevano a profusione dalla finestra della stanza che un tempo era stata di sua madre), ma che in Italia si vedeva di rado e che probabilmente in pochi conoscevano.
Visto completamente spoglio non aveva peculiarità: era una pianta “disordinata”, con vari fusti eretti e tantissimi rami che finivano spesso per creare un ingarbugliatissimo intrico di legno. Solo durante e dopo la fioritura s’ imparava a conoscerlo: i piccoli fiori bianchi o gialli, i cui petali sembravano di cera data la loro consistenza, nascevano dal legno vecchio tra febbraio e marzo, precedendo di gran lunga l’arrivo delle foglie lanceolate.
Era forse per questo che veniva attribuito loro il significato di “conforto” e “protezione”?
Chi avrebbe mai potuto dirlo?
Al ragazzo, però, piaceva credere che fosse proprio così.
Mentre poggiava la schiena contro il tronco del ciliegio si chiese se anche il suo interesse per lei fosse come quei fiorellini: forse, in un certo qual senso, imprevedibile, inaspettato, ma foriero di gioia… Non lo ricordava con chiarezza.
Il sonno che gli chiuse le palpebre gli impedì di trovare la risposta.
Al suo risveglio non seppe dire quanto ebbe dormito. Il sole continuava a picchiare imperterrito su teste e tetti di tutta la città e il giardino era ormai semivuoto. I pochi ragazzi che continuavano ad aggirarsi al suo interno, inoltre, erano fortunatamente quelle persone gentili e discrete, dai passi silenziosi, in linea di massima riservate ma dall’ anima cristallina che ancora guardava al mondo con occhi fiduciosi.
L’ amico ideale, insomma.
Il genere di persona che lei era stata e che nonostante tutto voleva continuare ad essere.
Quel genere di persona che vorresti sempre avere accanto.
Sfiorando la tasca dei pantaloni di tanto in tanto, anche quella volta il ragazzo arrivò al muretto di cinta.
Indugiò nel lasciare il biglietto: avrebbe voluto almeno per una volta aspettarla, seduto lì, per parlarle, ma non era possibile.
Mentre percorreva la strada a ritroso sperò di poterla rivedere presto e di poter camminare, un giorno, con lei, mano nella mano.



“Mi ha fatto davvero piacere rivederti, la volta scorsa.
Ma, soprattutto, il mio cuore ha fatto un balzo nel vedere i tuoi miglioramenti… Spero che presto la ferita si cicatrizzi completamente.
Sappi inoltre che se in futuro avrai bisogno di una spalla io ci sarò.
Te lo prometto.

 
-T”
 




   

 


  
 



 






 
 
   
 
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