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Autore: gingersnapped    28/12/2015    1 recensioni
“Respira. Quando non respiri, non pensi.”
Le sue parole l’avevano colpito. Quelle stesse parole, pronunciate dalla sua piccola bocca in un giorno assai lontano da quello, ma chiare come se le avesse pronunciate qualche istante prima, risuonavano nella testa di Hiccup. La ricordava ancora davanti a lui, i lunghi riccioli rossi che si muovevano con la lieve brezza del vento, l’arco (il suo arco) in mano, gli occhi acquamarina sorridenti. Sembrava così lontana in quel momento.
Genere: Avventura, Commedia, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hiccup Horrendous Haddock III, Jack Frost, Merida, Rapunzel, Un po' tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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“È un gioco, un gioco di ombre”




 
Sebbene fosse una serata estiva, faceva piuttosto freddo quella sera. Merida, infreddolita da quell’inaspettata aria, aveva rivolto il proprio sguardo alla luna piena che sembrava essere lo specchio delle sue preoccupazioni, con tutti quei crateri. Si sfiorò ancora una volta il suo ciondolo, ripensando che stava facendo tutto per salvare la madre e i fratellini e non solo perché voleva dimostrare che lei non era debole, e ritornò a braccia conserte, stringendosi in quella camicia –estremamente morbida e macchiata di colore-, che le aveva prestato Hiccup. Si girò alla sua destra, osservando Rapunzel nella sua medesima posizione. L’amica bionda, a dirla tutta, sembrava anche vagamente preoccupata, come se non fosse pienamente convinta di ciò che stavano facendo o forse, più semplicemente –idea che Merida cercava di respingere dalla sua mente- non credeva in lei. Jack, al contrario, sembrava godersi quella brezza quasi autunnale, respirando a pieni polmoni: Merida non poté fare a meno di notare che anche lui osservava la luna solo che, a differenza di lei e di Punzie, il brunetto sembrava ipnotizzato da quel corpo celeste, come se non potesse fare a meno di osservarlo. Rimasero così, ad aspettare, fin quando non sentirono un rumore, stranamente proveniente dall’interno.
“Flynn!”, esclamò sorpresa Rapunzel, mentre Merida riposava nel fodero il pugnale velocemente come l’aveva uscito e Jack alzava gli occhi al cielo, scocciato da quella apparizione.
“Non vi ho visti a letto ed ero preoccupato”, si giustificò il giovane uomo, facendo sbuffare sia Jack che la principessa, che aveva –anche lei- un’innata antipatia verso quello.
“E sei andato a ficcanasare, altroché”, commentò Jack.
“Shh!”, li rimproverò la bionda, riservando ai due ragazzi uno sguardo truce. “Flynn, va’ a letto, noi dobbiamo.. fare una cosa ecco.”
“Che dovete fare?”, domandò il giovane, ammiccando.
“Niente che ti riguarda”, borbottò Jack, ricevendo stavolta uno sguardo fulminante proprio dall’altro ladro.
“No, seriamente, niente che ti riguarda”, disse Merida, difendendo l’amico con cui lei stessa, fino a poco fa, stava litigando.
Oh, ho capito”, fece Flynn, sorridendo sornione, “avete quell’incontro speciale con un ragazzo che, sinceramente, mi sembra fittizio.”
“Anche tu e Jack potreste essere definiti fittizi, siete dei ladri anche voi”, ribatté Rapunzel, in difesa del corvino che in quel momento era assente.
“Ma io non vengo da una terra lontana!”
“Ma tu non usi neanche il tuo vero nome!”, commentò Jack, gesticolando. Le due ragazze si fermarono a guardarlo, in particolare Rapunzel che sembrava sconvolta.
“Cosa?”, fu tutto quello che riuscì a dire, anche perché spuntò in quel momento la figura di Aladdin con tanto silenzio che sembrò apparire dal nulla.
“Ehi ragazzi, principessa”, disse, facendo l’occhiolino a Merida che alzò gli occhi al cielo, gesto che fece ridere il ragazzo con la pelle color caramello, “com’è che quando vi vedo litigate sempre?”
I quattro ragazzi a quella domanda cercarono seriamente di rispondere, chi balbettando, chi parlando a bassa voce, chi arrancando semplicemente una scusa e chi non dicendo niente. Aladdin sorrise.
“Va bene. Vi voglio avvisare che stasera non parlerete solo col Genio, ma anche con altre simpatiche personcine”, disse, usando un tono particolarmente vago.
“Al..?”, cercò di chiamarlo Rapunzel, confusa da quel cambio di programma ma, com’era giusto che fosse, un’altra persona lo era più di lei.
“Cosa?”, domandò Merida, alzando la voce di un paio di ottave.
“Se prima c’era ancora la possibilità di non essere scoperti, adesso l’abbiamo certamente eliminata”, scherzò Jack, facendo ridacchiare il corvino.
“Piuttosto che parlare per convincere il Genio e poi il Genio dovrà convincere gli altri suoi alleati, convincerai lui e tutti gli altri allo stesso tempo.”
“Un enorme risparmio di tempo”, commentò Flynn, ricevendo un’occhiataccia dalla rossa.
“Merida, ce la puoi fare”, sussurrò Rapunzel, guardandola speranzosa. Merida annuì, non convinta come lo era la bionda, ma ormai era inutile piangere sull’orso trasformato. Ormai era arrivato il suo momento.
“Dove dobbiamo andare?”, chiese titubante. Aladdin sorrise teneramente.
“Seguimi”, sussurrò, cominciando ad addentrarsi verso il centro abitato. Merida guardò ancora una volta la bottega, ripensando al padre che, ignaro di tutto, dormiva e si toccò il ciondolo regalatole dalla madre. Si mise il cappuccio e guardò i suoi amici.
“Andiamo”, disse, incamminandosi anche lei verso il centro.
 
 
 
“Sono convinto che mi piaceresti di meno se parlassi”, disse Hiccup, continuando a lavorare imperterrito al suo progetto. Mancava davvero pochissimo –aveva in programma pure di dormire qualche oretta, giusto per essere certo di non crollare e addormentarsi sul campo di battaglia-  e non riusciva a collegare l’aggeggio che gli avrebbe consentito di respirare sulla barca. Il moro alzò i suoi occhi verdi sulla figura accanto a lui, che ricambiò lo sguardo. Anzi, Toothless sembrava rimproverarlo. Hiccup sorrise, scuotendo la testa, riprendendo a lavorare. Ormai anche Astrid, dopo avergli dimostrato che le persone possono impazzire dal nulla e cambiare radicalmente la loro personalità, era andata a letto –il moro sapeva di star pensando qualcosa di cattivo e si vergognava un po’ di questo- con tutto il sollievo e la gratitudine del ragazzo. Non bastava, ovviamente, tutto il rumore che gli altri facevano fuori, ma anche la bionda a distrarlo, fissandolo con quegli occhi di ghiaccio. Doveva però darle i suoi meriti: oltre ad essere rimasta in silenzio la maggior parte del tempo, aveva ben oleato nuovamente la sua tuta e, ancor prima che lui glieli chiedesse, gli passava tutti gli strumenti che stava per utilizzare. Nonostante Astrid era una brava assistente, Hiccup preferiva Toothless. Il falco in quel momento lo beccò sulla mano, evitandogli di forzare maggiormente il marchingegno da collegare alla barca.
“Ahi”, si lamentò Hiccup, accorgendosi dello sbaglio che stava per fare. “Oh, grazie. Da quand’è che te ne intendi di invenzioni?”, gli chiese, non trattenendo un sorriso. Chi l’avesse visto in quel momento l’avrebbe considerato un folle, dal momento che parlava con un uccello. Ma Toothless non era un uccello normale, continuava a ripetersi l’artista. Sembrava rispondergli, come in quel momento. Anzi, in quel momento sembrava sghignazzare e ridere di lui, per poi beccarlo nuovamente.
“Sì, sto lavorando, sto lavorando”, borbottò, accorgendosi di quel momento di una presenza dietro di lui. Si girò lentamente e vide il padre guardarlo con gli occhi sgranati e fissi sulla sua figura. Il giovane abbozzò un sorriso.
“Ehi”, salutò, accompagnando il tutto con il gesto della mano nonostante desiderasse con tutto se stesso ritrovarsi altrove. Stoick, probabilmente sceso per andare in bagno, non ricambiò affatto il saluto.
“Adesso mi fai seriamente paura”, disse solamente, ritornando in camera sua silenziosamente com’era apparso. Hiccup sbatté le palpebre un paio di volte, riprendendo a lavorare. Pensando a quant’era stato strano quell’incontro, non poté fare a meno di mettersi a ridere.
 
 
 
“Sei pronta?”, le chiese Aladdin, immergendo i suoi occhi neri in quelli acquamarina di lei ma i suoi erano fissi sulla porta di legno. Una volta aperta poco avrebbe importato se si sentisse pronta o meno, doveva agire. Sentì Rapunzel stringerle la mano, forte, e questo riuscì ad infonderle coraggio. Nonostante l’avesse trascurata tutto quel tempo, lei si dimostrava sempre la grande amica di cui Merida aveva bisogno.
“Sicuro che sia questo il posto, Al?”, domandò Jack, guardando l’edificio –e l’insegna in particolare- come se la riconoscesse.
“Sicurissimo”, rispose il corvino, aprendo la porta. Il locale era proprio come se lo ricordava Jack: pieno di persone che bevevano e consumavano un pasto caldo e, dal profumo che emanava, anche invitante. Ma c’era un uomo particolare con un codino –estremamente buffo e ridicolo- , nero come il pizzetto e gli occhi, molto più magnetici di quelli di Aladdin nonostante il colore della pelle fosse lo stesso. Indossava anche un abbigliamento simile, con morbidi pantaloni in panno chiaro con una fascia rossa –dalla quale sporgeva minacciosamente una sciabola- e parecchi gioielli vistosi in oro. Merida, la cui mano era ancora stretta a quella di Rapunzel, si mosse appena, giusto per individuare i famosi altri con cui avrebbe dovuto parlare ma di persone sospette come quell’uomo che veniva dalle Terre d’Oriente non ce n’era traccia nel locale. La rossa era ancora concentrata nella sua analisi quando all’improvviso le si parò una donna davanti.
“Oh, cielo!”, esclamò, entusiasta. Merida la guardò attentamente e adesso le appariva evidente che anche lei non era di Dunbroch: la pelle era abbronzata, gli occhi erano di uno straordinario color violetto mentre i capelli, lunghi e neri, le ricadevano dolcemente sulle spalle.
“Ma sei carinissima!”, squittì nuovamente la donna, con una voce decisamente acuta. Merida continuò a guardarla di sottecchi, come se fosse impaurita dalla figura femminile che le si era parata davanti quando un uomo venne in suo soccorso.
“Seguimi, e non ti preoccupare di questa svampita”, le disse, facendo segno a tutti quanti di seguirlo al piano superiore. L’uomo era vagamente familiare..
“Aster!”, esclamò infatti Jack, riconoscendolo a colpo d’occhio. “Tu che ci fai qui?”
L’uomo alzò gli occhi al cielo, come la prima volta che si erano incontrati in quella locanda così bizzarra. “Io ci lavoro, qui.”
“Dov’è il nonno?”, chiese a questo punto Flynn, sistemandosi accanto al bancone e attirando lo sguardo di tutti. “Preferirei rimanere qui e farmi un paio di pinte col vecchio”, spiegò, con tutta la scioltezza di quel mondo.
“Intendi North? Oh, ma lui è di sopra insieme agli altri”, rispose la donna, parlando nuovamente con quel suo tono così frenetico.
“Allora è il caso di salire”, disse il Genio, alzandosi.
Il piano superiore del locale era veramente grazioso e molto caratteristico. Gli inserti in legno, il caminetto acceso nonostante non ce ne fosse bisogno, il vetro colorato alla finestra.. Sembrava che in quella stanza fosse protagonista assoluta l’aria natalizia che fece venire alla rossa la voglia di una cioccolata calda, quelle che lei, Rapunzel e la madre prendevano sempre insieme accompagnandola con i famosi biscotti di Maudie. Quattro uomini erano presenti nella stanza, ognuno con le proprie caratteristiche. Sulla poltrona più grande accanto al camino era seduto un uomo possente, immenso, di tarda età, con capelli e barba completamente bianchi ma le sopracciglia ancora scure gli conferivano un aspetto più giovanile. Sulle braccia –le maniche infatti erano rimboccate, probabilmente per il caldo- erano presenti dei tatuaggi che indicavano un lato buono e uno cattivo. Eppure questo non era di certo il più anziano presente nella stanza. Quest’ultimo era magro, non molto alto e decisamente molto vecchio, a giudicare non solo dall’argento dei capelli e della barba, talmente lunga che gli arrivava quasi ai piedi, ma anche dalle numerose rughe che solcavano in viso.  Dietro gli occhiali tondi che ricadevano sul naso lungo e ricurvo si nascondevano due occhi di un azzurro chiaro, luminosi e scintillanti che a Merida ricordavano vagamente quelli di Astrid. Un uomo dalla carnagione scura, più simile al carbone che al caramello del Genio e di Aladdin, la guardava incoraggiante, attirando la sua attenzione per i vistosi e vivaci colori di cui il corpo era ricoperto, decisamente tribali. L’altro uomo.. era decisamente il più strano e il più normale tra i quattro. Era alto, sistemato e vestito come solo un uomo di classe e di una buona condizione economica poteva essere, ed era curato e sarebbe apparso anche gradevole se non avesse avuto un’espressione scocciata stampata sul viso.
“Lasciate che vi presenti i cinque uomini più influenti a Dunbroch in questo momento, esclusi, ovviamente, i membri della famiglia reale”, annunciò il Genio, lanciando un’occhiata penetrante alla principessa.
“Cinque?”, domandò Jack, esprimendo ad alta voce il pensiero di tutti. Il Genio non rispose, sghignazzando tra i baffi, quando Jack fece una smorfia di dolore.
“Ahia!”, si lamentò, toccandosi una gamba. Un nano, o come preferivano chiamarlo Jack e Flynn –una delle poche cose che avevano in comune- il piccolo uomo, gli aveva tirato un calcio alla gamba –e più precisamente allo stinco destro, come ebbe modo di constatare Rapunzel più tardi, medicandogli la ferita-.
“Phil!”, esclamò Rapunzel, riconoscendo e andando ad abbracciarlo. Il nano arrossì vistosamente sul volto, ma si lasciò comunque abbracciare dalla bionda.
“Tu sei un nano!”, esclamò Merida, guardando la figura di quell’uomo stupita e affascinata.
“Però, perspicace”, commentò Jack, facendo ridere Aladdin. Quei due sarebbero stati grandi amici.
“È un dono, Jack”, disse lei, fulminandolo con lo sguardo come a rimproverarlo. “Dicono che i nani portino fortuna. E poi deve essere proprio forte, altrimenti non ti terresti ancora la gamba dal dolore.”
“Ha fatto della propria debolezza.. un’armatura”, s’intromise Rapunzel.
“Grazie”, accordò Phil, facendo un inchino alla principessa. “Come dico sempre al mio ragazzone mai dimenticare chi sei, perché di certo il mondo non se lo dimenticherà.”
“Una frase molto saggia”, sospirò la rossa, sentendosi meno nervosa di prima.
“Hercules è qui?”, domandò Rapunzel, ma venne interrotta dal Genio.
“Scusate, mi sembra di star perdendo di vista il motivo dell’incontro. Io sono il Genio, e questi sono i miei colleghi Phil, Rafiki, Sebastian e Merlino”, disse, indicando rispettivamente il nano, l’uomo tribale, quello elegante ed il vecchio con la barba ai piedi. “E questo è North.”
L’omone indicò a Merida la poltrona vicino alla sua accanto al camino, e la ragazza, prima di sedersi, ne approfittò per togliersi il mantello, piuttosto pesante nonostante la stagione estiva.
“Chi siete voi?”, chiese, non riuscendo a stare ferma con le mani che si contraevano come se dovesse scoccare una delle sue frecce.
“Milady, ho appena presentato..”, iniziò a rispondere il Genio, facendo un sorriso nervoso ma Merida non si stava rivolgendo a lui. Infatti, l’uomo chiamato North alzò una mano verso l’uomo col pizzetto facendogli segno di stare in silenzio.
“Cosa intendere con chi siete voi?”, domandò questo, sorridendo giocoso alla ragazza. Parlava con uno strano accento.. del nord.
“Intendo proprio quello che ho chiesto. Chi siete voi?”, ripeté Merida, estremamente seria. “Siete stati presentati come i cinque uomini più influenti risiedenti al momento a Dunbroch, dovete per forza essere delle persone importanti. Quindi, chi siete voi?”
“Sei”, la corresse il Genio, alzando le mani in aria. “Non mi sono incluso perché credevo che Aladdin vi avesse già detto qualcosa di me.”
“Essere solo uomini seduti su poltrone”, rispose North, sempre sorridendo.
“Questo lo vedo.”
“Non metto in dubbio tue capacità di osservazione.”
“E come possono degli uomini seduti su delle poltrone aiutarmi?”
Il più anziano di tutti, Merlino, scoppiò a ridere, accendendosi la pipa tirata fuori dalla sua lunga barba.
“Noi siamo spettatori, bambina. Osserviamo. Ed in certi casi, ci piace alzarci da queste poltrone che, odio ammetterlo, sono estremamente comode”, disse questo, guardando la ragazza con i suoi occhi azzurri scintillanti attraverso gli occhiali rotondi.
“Anche se”, obiettò Sebastian, “non è detto che ti aiuteremo.”
“Cosa?”, fece Rapunzel, guardando l’uomo con i suoi grandi occhi verdi, spaventata. Phil sembrò implorarla con lo sguardo di fare in silenzio, e s’intromise lui stesso nella conversazione.
“Il mondo ha un modo tutto suo per ristabilire un equilibrio. Forse è destino che Dunbroch venga distrutta da Drachma.”
“Io non ho intenzione di aspettare che il mondo decida di rimettere le cose a posto!”, esclamò Merida. “Ne va della vita di molte persone e..”
“E quindi noi dovremmo aiutare te per uccidere chi minaccia di uccidere altre persone?”, domandò l’uomo tribale, Rafiki. Merida rimase in silenzio, con la bocca semiaperta guardando i suoi amici, cercando un qualsiasi appoggio.
“La morte essere qualcosa che spaventa te?”, sussurrò North.
“Senta, chi è davvero lei?”, chiese la rossa. “E non mi dica che è un uomo seduto sulla poltrona, o che è North, o chissà qualche altra sciocchezza. Voglio sapere la verità. Perché questo circolo di uomini strambi e bizzarri dovrebbe essere il più influente nel mio regno?”, esclamò la ragazza, infervorata da ogni frase detta da quegli uomini. Rapunzel e Jack si guardarono, stringendosi –consapevolmente o meno- la mano, mentre Flynn sembrava tentare una tecnica –decisamente malriuscita- di mimetizzazione con la tenda, Aladdin si era avvicinato sempre più al Genio e gli altri due, la donna entusiasta e Aster, erano scesi da un bel po’ per continuare a gestire il locale.
“Mostra rispetto”, dissero i cinque uomini, in coro, con un tono piuttosto intimidatorio mentre North rimaneva in silenzio.
“Basta sapere che io fare parte dei buoni”, rispose North, sorridendole dolcemente. Praticamente non aveva fatto altro per tutto il tempo.
“Davvero? E perché somiglia tanto ai cattivi? Ha pure l’accento di Drachma”, lo accusò Merida, corrucciando le sopracciglia. Iniziava davvero a temere che tutto ciò che aveva pensato di fare si sarebbe rivelato non inutile, ma decisamente un peggioramento dato che si stava inimicando tutti invece di convincerli ad aiutarla.
“Brutta rassomiglianza, lo so. Ma potere parlare di parentele più tardi”, ci scherzò sopra l’uomo e, sebbene stesse ridendo, Merida intuì che era il suo modo di far cadere l’argomento.
“Per cosa ci sta chiedendo aiuto?”, chiese Sebastian, puntando i suoi occhi, blu come il mare ma maledettissimamente molto più severi, prima sui capelli, come ad solito rossi e ribelli, e poi sul viso.
“Ho bisogno di una guerra”, rispose questa senza mezzi termini, stupendo in qualche modo anche Rapunzel e Jack che strinsero ancor di più le loro mani. Un brusìo iniziò a scorrere tra gli uomini, placato immediatamente da North.
“Tu sai a che cosa servono le guerre, ragazzina?”, fece il Genio, chiudendo gli occhi e scuotendo la testa, incredulo a quelle parole.
“E dire che fino a qualche minuto fa mi ha chiamato Milady”, bisbigliò Merida piuttosto freddamente, ritornando a contrarre le mani.
“Le guerre sconvolgono sempre l’umanità, ma vedo che non hanno lo stesso effetto sull’uomo”, borbottò Rafiki, ottenendo il consenso del nano.
Ancora una volta North rimase in silenzio, lasciando che lei e la principessa comunicassero con lo sguardo. Merida pensò che, se avesse dovuto giudicarlo solo dagli occhi –blu come quelli di Sebastian ma decisamente più intelligenti-, il suo giudizio avrebbe attestato che North era certamente un uomo saggio e probabilmente il più saggio da lei conosciuto. L’omone tirò fuori un campanellino, che servì a far salire la donna estremamente entusiasta di prima.
“Toothiana, porta due tazze di cioccolata per favore”, disse quello, sorridendo. Poi tornò a parlare con la principessa.
“Sai cosa essere una guerra?”, chiese semplicemente, lanciandole uno sguardo penetrante. “Essere un gioco, un gioco di ombre”, continuò, utilizzando un tono più basso e cavernoso, proprio mentre la donna portava a lui e alla rossa le tazze con la cioccolata. “Tu essere pronta a giocare?”
“Prima di rispondere a questa domanda”, s’intromise Merlino, “voglio che risponda alle nostre domande. Solo cinque, una per ognuno, ovviamente. Questa è la mia. È così che intende misurare la sua grandezza, dal numero di morti che si lascerà alle spalle?”
Merida prima di rispondere non poté fare a meno di incrociare lo sguardo di Rapunzel. “Se quel numero di morti riuscirà a garantire la pace per un numero maggiore di vite umane, sì.”
“Morte o vita?”
La principessa sbatté le sue ciglia ramate un paio di volte, non capendo immediatamente la domanda di Phil. “Come, scusi?”
“Morte o vita?”, ripeté il nano, meno sgarbatamente di quanto Merida si sarebbe mai aspettata.
“Penso morte, se servisse a qualcosa”, borbottò lei, incerta. “Non fraintenda”, aggiunse immediatamente dopo, allungando la mano, “io non voglio morire. Voglio fare così tante cose..”, si fermò appena, le guance visibilmente rosse, “e la morte le ucciderebbe tutte. Ma sarei morta, e la questione non mi toccherebbe più.”
“Mi piaci”, le disse Phil, rivolgendole uno sguardo che sapeva vagamente di compassione. “Ma voglio che tu sappia questo. Morire è facile, è vivere che richiede coraggio. Ricordalo, sempre.”
Il terzo uomo che le si parò davanti fu Sebastian, apparendole –come se fosse possibile- ancor più antipatico di prima. La osservò attentamente, con quegli occhi blu così scrupolosi, reclinando la testa diverse volta.
“Perché non c’è tuo padre?”, chiese semplicemente, come se volesse togliersi quel piccolo sfizio. Merida, prima di rispondere con una rispostaccia come al suo solito, prese un lungo sorso di cioccolata cercando di scaldare il buon senso oltre che il cuore.
“Mio padre non sa che siamo qui. Non gliel’ho detto. Il mio fato è solamente mio, le mie scelte sono solamente mie”, disse Merida, con un tono di voce più basso del suo solito.
“Peccato che riguardino un’intera nazione, cara”, commentò Sebastian, alzando le spalle e ritornando al suo posto.
La rossa si girò, cercando di capire chi fosse il prossimo a rivolgergli la domanda. Era decisamente stufa di quell’interrogatorio: le stavano proponendo delle domande la cui risposta non poteva mai essere totalmente giusta e di questo lei ne era conscia. Non aveva mai smesso di guardare con la coda dell’occhio North, che sorseggiava la sua amata cioccolata calda, e aveva notato che alle risposte che lei dava si toccava l’uno o l’altro braccio con scritto buono o cattivo, e talvolta tutti e due.
“Perché la guerra?”, chiese il Genio, attirando la sua attenzione. Non si era alzato. Era rimasto semplicemente seduto, ipnotizzandola con quei suoi occhi neri.
“Perché no? La guerra non perdona. Avanza inesorabile e inarrestabile.. e quando si decide a soccombere lascia dietro di sé strati indelebili di morti. Una volta mio nonno mi disse che la guerra è l’unica cosa al mondo in grado di pulire il mondo, come se venisse salvato da chi versa il suo sangue per una buona causa. Io ho bisogno della guerra perché..”
“Asante sana cocco banana!”, esclamò Rafiki, interrompendola e agitandole un bastone sotto il naso.
“Oh, non di nuovo”, commentò di sottofondo Phil, mentre Sebastian sospirò pesantemente. Seduto in un posto vicino a lei, Merlino scoppiò a ridere, accendendosi –nuovamente- la pipa.
“Asante sana cocco banana!”, ripeté l’uomo, sfoggiando i colori che portava come veri e propri abiti. Prima che Merida potesse chiedere che cosa stesse blaterando, Rafiki fece la sua domanda. “Chi sei tu?”
“Io sono Merida”, rispose lei, riprendendo a contrarre le mani. “Primogenita del clan Dunbroch, unica principessa di questo regno..”
“No, chi sei tu?”
“Una ragazza visibilmente confusa”, commentò, un po’ troppo ironicamente, tanto che Jack, Aladdin, Flynn e perfino Merlino scoppiarono a ridere e Rafiki la colpì in testa col bastone.
“Ahi!”, si lamentò, toccandosi immediatamente dove era stata colpita. “Perché l’hai fatto?”
“Non ha importanza, è già passato!”
“Sì, ma continua a fare male”, borbottò Merida, massaggiandosi la testa. “Se proprio vuole saperlo sono una ragazza che ricerca costantemente la libertà, ma credo di aver trovato la prigionia più bella e duratura di tutte”, rispose. Rafiki si avvicinò maggiormente alla principessa, sussurrandole qualcosa all’orecchio che gli altri non compresero, ma la rossa si limitò ad annuire seriamente, prima che l’uomo tribale la colpisse nuovamente con il bastone.
“Smettila di colpirmi”, disse in tono supplicante, toccandosi il bernoccolo che aveva iniziato a formarsi. Poi il suo sguardo cadde nuovamente su North che la guardava incoraggiante. Guardò il ciondolo –ultimamente lo faceva più spesso di quanto avrebbe voluto- e le venne in mente una cosa che le disse sua madre quando era più piccola.
“Le leggende vengono narrate, alcune cadono nel dimenticatoio mentre altre diventano così famose che chiunque le conoscerà. Tu, bambina mia, verrai ricordata per secoli.”
“Io non sono pronta a giocare. Io sono pronta a vincere”, rispose, lasciando che i suoi occhi acquamarina ardessero di passione. 



Con questo capitolo ci tengo ad augurarvi buone feste! Tanti Auguri! 
   
 
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