In fondo al capitolo trovate una sorpresa, purtroppo non so chi sia l'autore, se qualcuno lo conosce mi avverta anche per messaggio che così aggiungo i credits.
I prestavolto sono Garret Hedlund e Katheryn Winnick, i cui volti si sono generosamente prestati per la mia longfic (?).
Auguro a tutti buona lettura!
Che la vostra spada possa essere sempre affilata!
GENERE
Introspettivo, Romantico, Avventura, Fantasy, Guerra.
RATING
Generalmente Giallo e Verde, in alcuni capitoli sarà Arancione per le scene e gli argomenti trattati.
PERSONAGGI
Murtagh Morzanson, Castigo, Arya, Angela, Eragon, Orrin, gli abitanti di Ostagar ed il popolo di Alagaesia.
DESCRIZIONE
Ambientata 200 anni dopo la caduta di Galbatorix, ad Ostagar, un lontano regno ad Est del continente conosciuto, un improvviso e misterioso attacco alla Regina annuncia l' arrivo di una nuova minaccia. Ancora una volta il popolo di Alagaesia è chiamato alle armi per proteggere la pace tanto agognata. Un Cavaliere errante e una Regina spodestata dovranno raccogliere le proprie forze per affrontare i demoni interiori e combattere la nuova oscurità, affrontando prove che metteranno a dura prova la loro forza e il loro coraggio.
Riusciranno a far fronte alla nuova minaccia? O soccomberanno contro il nuovo e antico potere che è stato risvegliato?
NOTE
- Per rimanere aggiornati su "Du Sùndavar freohr - La Morte delle Ombre" o altre storie posso rimandarvi al mio blog, contattatemi in privato per inviarvi il link.
- Ringrazio tutti coloro che hanno seguito questa storia dal primo capitolo, chi ha commentato e aggiunto ai preferiti questa piccola storia, ed un' altro ringraziamento va a chi lo farà. "Amo chi legge. E leggo chi amo".
- In fondo al capitolo troverete un piccolo glossario per aiutarvi a ricordare meglio tutti i nuovi nomi che verranno citati.
- Un grazie particolare va alla gentilissima Clara (micia95), che ha revisionato questo testo con molta attenzione, correggendo i miei errori!
- Mail
I personaggi della saga originale appartengono a Christopher Paolini. Gli abitanti di Ostagar, coloro che non appaiono nei libri e le loro vicende sono frutto della mia fantasia. La storia è scritta al solo scopo ricreativo e senza fini di lucro.
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CAPITOLO I
Sangue di drago
Murtagh
raccolse la raspa, riposta assieme ad altri oggetti sul drappo sporco
di grasso tra le radici dell’abete sotto cui si era seduto, l’arco di tasso posato sulle ginocchia.
Con movimenti decisi e
sicuri iniziò a scavare il legno, grattando via con
l’unghia del
pollice le schegge che si incastravano nelle piccole incisioni
che aveva intagliato nei giorni precedenti con cura e attenzione.
Spinse
più a fondo la lama su di un viticcio vicino all’impugnatura
incrociandolo con altri due. Quando vi soffiò sopra piccole
particelle di polvere si sparsero in aria.
Non aveva un disegno
preciso in testa, seguiva il suo istinto mentre ad un solco se ne
aggiungeva un altro, andando ad incrociarsi con piccoli motivi e
figure. Ma lentamente il legno prendeva vita.
Accanto a lui
Castigo sbuffò, stiracchiandosi pigramente le zampe prima di tornare
raggomitolato a sonnecchiare. Piccole volute di fumo grigio si
alzavano dalle narici del drago, avvolgendosi in spirali.
Faceva
un certo effetto averlo visto uscire dall’uovo che era poco più
grosso del suo avambraccio e vederlo ora, così imponente ed ormai
adulto. Gli faceva comprendere quanto tempo fosse davvero trascorso dai
giorni crudeli passati come prigioniero alla corte di Galbatorix.
Non
aveva più lasciato la Du Weldenvarden, la foresta elfica, dalla fine
della guerra. Il fascino racchiuso tra gli alberi secolari era
incantevole quanto pericoloso, al suo interno vi si poteva smarrire
la cognizione degli anni e perdere di vista ciò che continua a
vivere all’infuori di essa. Sebbene il tempo non indugiasse mai, crescite e trasformazioni non erano uguali ovunque
sulla terra di Alagaësia,
ciò era particolarmente percepibile nei domini degli Elfi e nelle
terre dei semi-mortali.
Condividendo con loro una vita longeva, Murtagh aveva presto compreso
la loro visione del mondo: dove
il tempo stesso girava molto rapido e molto lento. Rapido,
poiché cambiano poco, mentre il resto fugge via. Lento,
perché
non contano gli anni che passano, o perlomeno non lo fanno per
sé.
I primi anni vissuti all'interno della Du Weldenvarden erano trascorsi
in un battito di ciglia, poiché aveva perso il conto delle
ore ed il tempo era scorso rapido per lui come per gli Elfi. Le lune
vecchie passarono, e quelle nuove crebbero e calarono nel mondo
esterno,
mentre lui si tratteneva ad Ellesméra. Quelli, però,
furono giorni scanditi da notti colme di incubi e da giornate in cui il senso
di colpa per gli atti immondi compiuti sotto il giogo di Galbatorix
lo paralizzava fino a togliergli il respiro.
Riuscì a prendere
di nuovo coscienza degli anni passati solo alla morte di Sloan, il
vecchio macellaio. La vecchiaia era stata clemente con lui,
portandolo via ormai centenario e finalmente sereno.
Murtagh era
stato così concentrato nel cercare uno spiraglio di pace fra i
pensieri distruttivi che lo logoravano ogni giorno da ritirarsi in
lungo silenzio. La morte dell’uomo era arrivata come un faro fra la
nebbia dei suoi pensieri, colpendolo con la stessa violenza dei
flutti in tempesta contro gli scogli.
In un'epifania un
pensiero incalzante si era fatto largo dentro di lui. Il ricordo
ancora vivido del corpo inerte del macellaio, consumato dal senso di
colpa e dalla vergogna nati da una vita miserabile, lo aveva
convinto a non sprecare la sua lunga vita ad annaspare nei ricordi
delle atrocità commesse. Ne avrebbe ricavato, invece, un' importante
lezione, come da tutte le sue esperienze di vita passate.
Avrebbe
usato quelle consapevolezze per non ripetere gli stessi errori e non
permettere mai più a nessuno di manipolarlo. Nonostante gli errori
commessi, la sua vita gli stava troppo a cuore per passarla in
rimpianti.
Quando ne prese finalmente coscienza era troppo
tardi.
Il mondo al di fuori della foresta era profondamente
cambiato.
Ad aspettarlo vi era un luogo diverso da quello che
aveva imparato a conoscere; smarrito, lo aveva colto un'estranea
sensazione di vulnerabilità mai provata prima.
Estraneo a quel
mondo e ignaro a quale posto egli appartenesse all'interno di quel
nuovo ordine, la fermezza della decisione presa vacillò solo per un
breve momento. Determinato a tornare nella capitale, volando con il
suo fidato Castigo, era pronto a quello che lo avrebbe
aspettato.
Nulla però avrebbe potuto prepararlo alla notizia.
Fu
da un giovane scudiero, che non sembrava avere idea di chi lui fosse,
che apprese della dipartita delle persone a lui care.
Di fronte a
quell'ultimo crudele tiro mancino si era scoperto vuoto,
completamente perso ed ancor più estraneo in una realtà ove per lui
non era rimasto più nulla se non la completa solitudine.
Fu con
rassegnazione che fece ritorno ad Ellesméra, sconfitto, arrabbiato
con se stesso e con il destino che era riuscito a tirargli, con
disprezzata ironia, il suo ultimo tiro mancino: quando finalmente era
riuscito a trovare un po’ di pace dentro sé stesso, a perdonarsi
per tutte quelle scelte sbagliate – compiute
al solo scopo di sopravvivere,
si ripeteva - , oramai non vi era più nessuno da cui tornare, se non
fredde e silenziose lapidi bianche nel cimitero di Illirea.
In
quella spirale di tormenti aveva vissuto il suo primo secolo.
Il
vuoto dentro di lui pareva crescere di giorno in giorno, diventando
un abisso oscuro e profondo. Mai era stato così cieco alle bellezze
racchiuse nelle Du Weldenvarden come allora.
L'animo era di
nuovo prigioniero di oscuri pensieri.
Nelle
loro vite immortali gli Elfi avevano appreso molte vie per curare i
dolori dello spirito, poiché nelle loro lunghe vite avevano visto
più addii di quanti la vita di un Uomo potesse contare. Fu grazie
alle loro enormi conoscenze che il dolore divenne finalmente
sopportabile.
In seguito si era dedicato anima, mente e corpo ad
imparare le arti degli Elfi e ad affinare le sue abilità da
Cavaliere. La notte, però, tornava in completa balìa dei suoi sogni,
o meglio visioni, da quando uno stato di semicoscienza si era
sostituito al sonno.
La trasformazione era stata graduale,
quasi impercettibile. Quando una mattina Murtagh si era alzato per
bagnarsi il volto, aveva faticato a riconoscersi nel riflesso allo
specchio. Il volto dall'altra parte, così familiare ma al tempo così
dissimile dal suo, lo fissava accigliato e stupito.
Si era
sfiorato le orecchie, le cui punte erano state nascoste sotto i
capelli scuri, ed era ammutolito. Le mani erano corse a sfiorarsi il
volto trovandolo oltre che maturo – oramai divenuto quello di un
uomo - , più pronunciato sugli zigomi e sul profilo. Morbidi e corti
riccioli scuri erano cresciuti sopra il labbro, sul mento e sulle
guance, in una lieve peluria. Osservando l'individuo di fronte a
lui si era stupito, chiedendosi se fosse ormai più Elfo che
Uomo. Ma si era presto liberato di ogni futile questione ridendo
di sé stesso e dei suoi stessi sciocchi pensieri, non sarebbero
state certo altre orecchie ed il viso più spigoloso a cambiarlo: il
fantasma dell’uomo che era e che era stato era sempre presente a
ricordarglielo. Con un sorriso amaro, si era domandato se fosse
stata l’ aria di quella foresta a intorpidirgli i sensi e fargli
nascere quelle strane idee.
Da quando aveva fatto di Ellesméra la
sua dimora, la vita si era rivelata fin troppo tranquilla e si era
chiesto più volte fino a quando si sarebbe mantenuta tale;
d'altronde il mondo esterno era in continuo mutamento – ne prese
consapevolezza in quel momento più che mai, ora che aveva l'occasione di
osservarlo - e non sarebbe potuto rimanere in equilibrio per sempre.
Incise un’ altra linea, soffocando quei pensieri tra le
venature del legno.
Si prese una pausa dal suo lavoro per
grattare, con un sorriso, le squame che ricoprivano il collo di
Castigo, poco sotto la mandibola, ed il drago emise un basso e lungo
suono di piacere, facendolo somigliare, più che ad una belva
selvaggia ed indomabile, ad un innocuo gatto di strada.
Con la
mente, accarezzò la coscienza del suo drago, l’unica
roccia su
cui si era appigliato in quei due secoli e che gli aveva impedito di
cadere sommerso dai suoi pensieri più oscuri. Castigo era
l’
unico che non lo avrebbe mai abbandonato in questa vita, poiché
l’uno era il prolungamento della coscienza dell’altro e
senza quel legame
avrebbero per sempre smarrito una parte di sé stessi. La loro
unione non era mai stata più profonda di quel momento.
Forse un
po’ egoisticamente, Murtagh aveva da sempre avuto la convinzione
che il loro legame fosse unico, qualcosa che gli altri Cavalieri non
avrebbero mai potuto condividere con il proprio drago. Entrambi
avevano conosciuto i meandri più oscuri dell'anima dell’altro e
dove altri sarebbero fuggiti, loro si erano fatti forza l’ un l’
altro, vittime di un destino troppo crudele.
Tutta
questa tranquillità non ti starà rendendo un grasso drago da
salotto?
Castigo
aprì le palpebre, puntando l’iride cremisi su di lui.
Grazie
al loro contatto mentale Murtagh avvertì chiaramente
l’irritazione che il drago stava provando per la sua
affermazione, ma
invece di rispondergli, quest'ultimo decise che l’indifferenza
fosse la più giusta punizione.
Castigo si alzò solo per
arrotolarsi di nuovo su sé stesso, dandogli però la chiara visione
del suo massiccio…
Sedere
da grasso drago impigrito,
lo canzonò Murtagh prima di essere quasi decapitato dalla coda che
veloce e precisa, colpì il tronco dell’albero poco sopra uno dei
lunghi ciuffi scuri dell'indomabile chioma dell'uomo.
Dai rami più bassi,
una pioggia di aghi di abete cadde sul Cavaliere e sul suo lavoro.
Castigo continuò a muovere la coda a mezz’aria, come silenzioso
monito. Non sembrava in vena di prese in giro quel giorno.
Murtagh
piegò la testa e si passò le dita fra i capelli per liberarli
dagli aghi, poi con una scrollata di spalle tornò alla cura del suo
arco, grato di avere ancora la testa attaccata al collo.
Posò
la raspa ed iniziò a inumidire la metà superiore del legno con uno
straccio bagnato di strutto, stava per afferrare il coltello quando
un cambiamento nella coscienza semi addormentata di Castigo lo
distrasse. Lo sentì improvvisamente attento, in ascolto, ed anche
lui si fermò, con il coltello ancora a mezz’aria.
Il grande
drago alzò la testa, le lucide scaglie rosse brillarono sotto gli
spiragli di luce fra le foglie degli alberi. Annusò l’aria, i
suoi occhi divennero fessure mentre scrutava fra gli alberi.
Cosa
hai sentito? Domandò
il Cavaliere fissandolo.
Lo vide sbuffare dalle narici,
innervosito, Un
drago.
Murtagh
alzò un sopracciglio, scettico, Fìrnen?
No,
quando Castigo aprì le fauci in un ringhio del fumo nero si dipanò
fra i denti aguzzi come punte di lancia, non
conosco il suo odore, è diverso, e c’è puzza di sangue.
E
quello non è mai un buon segno,
pensò Murtagh scattando in piedi, Zar’roc assicurata alla cintola,
ed abbandonò l’arco ed i suoi strumenti per salire sulla groppa
di Castigo.
Mentre il drago si alzava in volo, sollevando foglie e
muovendo l’aria con le sue possenti ali per prendere quota, il
Cavaliere si chiese chi potesse essere e quale fosse la natura di
quella visita.
Nessuno avrebbe potuto irrompere nella Du
Weldenvarden senza il permesso di Gilderien il Saggio e varcarne i
confini senza che la regina ne venisse a conoscenza per tempo; dunque
non doveva essere una presenza minacciosa.
Forse qualche giovane
Cavaliere era stato troppo avventato e si era ferito in volo con il
suo drago nei pressi della foresta, o qualche drago giovane e troppo
caparbio si era azzannato per una dragonessa.
Ma se aveva
imparato qualcosa durante la sua vita era che non bisognava mai farsi
cogliere impreparati e voleva accertarsi lui stesso che ciò che
stava avvenendo fosse solo uno screzio fra draghi o un piccolo
incidente di percorso.
Volarono in direzione sud-est, il sole li illuminava, mentre il vento sferzava il suo viso e qualcosa dentro di lui
si risvegliava. Non ricordò l’ultima volta che si erano spinti
così a Sud verso il limitare degli alberi, e, malgrado tutti quegli
anni passati lontani dalle battaglie, notò con orgoglio che la loro
nuova vita non aveva indebolito le ali del suo fidato compagno.
Sebbene volassero spesso fuori da Ellesméra per cercare un po’
di solitudine, non lo avevano mai fatto a quella velocità. Le ali,
più forti e grandi dalla loro ultima battaglia, erano tese e
cavalcavano i venti, si spostavano sulle correnti discensionali con
agili e fluidi movimenti senza il minimo sforzo. Nessuno dei due era
più un guerriero acerbo.
In groppa a Castigo, Murtagh dovette
schiacciarsi contro il suo corpo quando la brezza tagliente iniziò a
ferirgli gli occhi.
Quel giorno si erano spinti nei pressi
di Sìlthrim, sulle sponde del lago Ardwen, molto vicini al confine
della foresta ed era proprio lì che a quanto pareva erano
diretti.
Siamo
vicini,
lo avvertì Castigo calando di qualche piede e virando verso
est.
Seppe che erano arrivati ancor prima di scorgere qualcosa: un
ruggito rabbioso e crudele lacerò il silenzio ed il sangue gli si
ghiacciò nelle vene per la violenza e la forza con cui arrivò alle
sue orecchie.
Forse era qualcosa di più grave di una zuffa
finita male.
Mentre in groppa a Castigo planava al limitare
della foresta là dove gli alberi erano più radi, Murtagh riuscì a
vederla: un'enorme figura si agitava furiosa mentre alcuni elfi
provavano ad avvicinarsi, ma con scarsi risultati.
Era un drago.
Di questo era certo. Ma era diverso rispetto a qualsiasi drago avesse
mai visto.
Era grande quanto Castigo prima del loro ritiro ad
Ellesméra, quindi doveva essere un drago giovane: non avrebbe dovuto
avere più di un quarto di secolo.
Le squame, delle stesse
sfumature dell’azzurrite, erano più grosse e spesse di quelle
normali: scaglie simili a placche d'armatura ricoprivano la carne tenera dei muscoli dalla testa alla coda.
Un’altra serie, più chiare di quelle del dorso, gli ricoprivano
l’addome. Il loro colore era diverso da quelli che aveva visto
fino a quel momento, esso racchiudeva tutte le sfumature di azzurro e blu, le
vene in trasparenza sulle ali e nei punti più chiari parevano
sfumare in tonalità quali il bianco ed il rosa.
Quello non era l'unico aspetto curioso della creatura, anche nello scheletro e nella
fisionomia, spigolosa e minacciosa, era arduo riscontrare somiglianze
con il resto dei draghi di Alagaësia. La testa, dalla tipica
forma allungata, era acuminata, sormontata da quattro corna nodose ed
appuntite. Le ali più grandi dell’intero corpo terminavano con un
pollice uncinato e tre dita artigliate, esse sembravano l'abbozzo di
ciò che rimaneva delle zampe anteriori -di cui era privo. Alla fine
di ogni osso dell'ala, una punta scura fuoriusciva alla fine della
leggera membrana, di un azzurro più chiaro e evanescente rispetto
alle squame, che interconnetteva le articolazioni.
Le stesse punte
scure, ma ben più grandi, tornavano lungo tutta la schiena,
interrompendosi solo sulla coda e su una piccola porzione del dorso,
alla
fine del collo -lungo e massiccio- su cui era legata una sella di
cuoio e pellicce. Sopra di essa sembrava esserci ancora legato
qualcuno, probabilmente privo di conoscenza, mentre il drago ruggiva
colonne di fuoco vermiglio, in preda ad una furia senza
controllo.
Quando finalmente Murtagh fu a terra, lo osservò
meglio, dall’alto non era riuscito a scorgere le ferite sul corpo
di quella strana e curiosa bestia. Sangue nero colava al di sopra
dell’ala sinistra e da un’altra brutta lacerazione perdeva del
sangue lungo tutta la zampa posteriore destra che teneva leggermente
sollevata. Il collo era curvo, pronto a scattare al minimo segno di
minaccia ed alla sua base vi era l’ evidente segno del morso di
un' altro drago. La coda, l’ unica appendice sana, sferzava l’
aria, nervosa.
Tutti gli sforzi che stavano facendo gli
elfi per calmarlo erano vani, se uno di loro provava ad avvicinarsi troppo, le
fauci del drago scattavano nella loro direzione, tentando di
morderli.
La bocca del drago si socchiuse e piccole scintille
fuoriuscirono dalla gola, quando Murtagh capì cosa stesse per
fare decise che era tempo di intervenire. Il drago non attaccava se
provocato, non voleva fare del male agli Elfi, purché questi
ultimi
mantenessero una debita distanza, ma al tempo stesso era disposto a
tutto per proteggere sé stesso e il suo Cavaliere, arrivando ad
ucciderli se avesse fiutato in loro una qualsiasi minaccia. O almeno
questo fu ciò che il Cavaliere riuscì a dedurre
osservando il suo
modo di agire.
« State indietro » intimò Murtagh allargando le
braccia, gli elfi vedendolo fecero come gli era stato detto e
retrocessero finché tutta l’attenzione del drago non fu su di
lui.
Gli occhi cerulei della creatura si posarono su di lui,
Murtagh lo vide spostare il peso da una zampa all’altra,
evidentemente confuso da quel repentino cambiamento. La punta della
coda del drago scattò in aria ed emise un basso ringhio di
avvertimento.
Che
vuoi fare? Castigo
parve allarmato, ma questo non gli impedì di ergersi alle spalle del
suo Cavaliere emettendo a sua volta un basso brontolio in risposta
alla minaccia, se fosse stato costretto sarebbe intervenuto in sua
difesa.
Ma il drago di fronte a loro non sembrò intimidito da
quell’eventualità, sebbene Castigo lo superasse come stazza ed
esperienza.
È
spaventato,
gli fece notare Murtagh, muovendo cauto un passo in avanti. Teneva le
mani sollevate e Zar’roc era riposta ancora nel fodero. Voglio
provare a calmarlo prima di usare la forza.
Ti
farai ammazzare e per la tua sconsideratezza mi porterai con te,
Murtagh mosse un’altro passo ignorando le sue parole, e per tutta
risposta Castigo sbuffò, ma
che mi ascolti a fare, tanto fai sempre di testa tua.
Murtagh
avrebbe riso del suo fastidio in circostanze normali, ma in quel
momento non poteva distrarsi dall’enorme bestia di fronte a lui.
Provò a raggiungere la sua coscienza, tentando di fargli
percepire che non era una minaccia per loro, ma trovò solo un muro
di rabbia, dolore, paura e confusione.
Non c'era breccia su cui
far leva ed ogni parola fu inutile e rimase sospesa nel limbo fra le
due menti, non ascoltata. Avrebbe dovuto cercare un altro modo di
farsi comprendere.
Respirò a fondo, piccole gocce di sudore gli
imperlarono la fronte, se qualcosa fosse andato storto niente avrebbe
impedito a quel drago di attaccarlo e strappargli un braccio. Nemmeno
Castigo sarebbe riuscito ad intervenire in tempo in quel caso.
Se
qualcosa andasse storto…
Sarebbe colpa tua,
intervenne Castigo, ringhiando.
Rincuorante.
Mosse
il piede poco più avanti, lentamente, avvicinandosi ancora di più
al drago che nemmeno per un momento perse di vista lui e Castigo.
Quando la sua coda prese a muoversi più velocemente in aria, Murtagh
si fermò, attendendo che si calmasse, e poi tornò ad
avanzare.
Decise che se non poteva raggiungere la sua coscienza,
allora avrebbe potuto provare alla vecchia maniera « Non voglio
farti del male… » mormorò a voce bassa per non farlo infuriare a causa di
un tono troppo incalzante « Anche io sono un Cavaliere, vedi? »
gli mostrò il palmo destro su cui brillava opalescente il gedwëy
ignasia.
Il drago non parve toccato dalle sue parole, ma Murtagh
non si arrese, si mosse nuovamente e lo guardò negli occhi
sapendo che avrebbe compreso le sue parole « Tu e il tuo Cavaliere
siete feriti, avete bisogno di cure, cibo e riposo. Morirete entrambi
se non lascerai che io ti aiuti » la coda si fermò e per un
momento il drago di fronte a lui parve soppesare la sua
proposta.
Sebbene apparisse ancora restio a fidarsi, doveva
aver colto la verità dietro a quelle parole.
Quando finalmente Murtagh lo vide abbassare la testa, arrendevole, capì che aveva
spinto sulla leva giusta. Ma continuò ad avvicinarsi con cautela ed
aspettò che fosse il drago a dargli il permesso di avvicinarsi al
Cavaliere ancora sulla sua groppa, quando gli porse il fianco poté
sciogliere i legacci della sella su cui quest'ultimo era rimasto
incastrato.
Quando le gambe furono libere, il Cavaliere scivolò
di lato come un peso morto, ma Murtagh fu agile nel prenderlo fra le
braccia prima che toccasse terra.
Era più leggero di quello che
si era aspettato, ben presto ne capì il motivo, era una giovane
donna. Dall’alto, con l’ armatura e le pellicce, era un dettaglio
che non aveva notato perché troppo concentrato sulla bestia.
I
lunghi capelli biondi, raccolti in piccole trecce e in una coda di
cavallo, ricaddero indietro quando la sollevò in braccio. Gli occhi
erano chiusi, un lungo rivolo di sangue le colava dal cuoio capelluto
sulla fronte, sullo zigomo, lungo le guance pallide fino alla netta
linea della mandibola. Il labbro inferiore, divenuto ormai cereo, era
rotto.
Ma fu altro che catturò la sua attenzione,
sentì le dita fradice e quando guardò, le trovò macchiate di
sangue. Scostò il mantello della straniera: la cotta di maglia era
lacerata su un fianco laddove si allargava una ferita ancora viva e
pulsante. Il braccio sinistro era abbandonato lungo il fianco con
un'angolatura innaturale, segno evidente che fosse rotto.
Soppesando
le sue condizioni Murtagh comprese l'urgenza con cui doveva
prestare delle cure e oltre che a lei al suo drago. L'odore acre emanato
dalle lacerazioni non era rincuorante.
Guardò Castigo, che nel
frattempo si era avvicinato con circospezione, ancora diffidente nei confronti dei nuovi arrivati « Dobbiamo
curare le ferite più gravi o non sopravvivranno, poi dovranno essere
portati nella città più vicina, il resto spetta a loro »
Posò
la mano sulla ferita della ragazza, mormorò parole nell’Antica
Lingua e la ferita cominciò a rimarginarsi. Quando la pelle della sconosciuta
tornò intatta, toccò al drago. Con l’aiuto di Castigo, presto
anche le sue ferite furono guarite.
« Hanno bisogno di riposo e
di un guaritore » dichiarò sollevando la ragazza, vista la
grandezza di Castigo per lui non sarebbe stato un problema volare con
due persone sul dorso. In quanto all'altro drago, non sapeva se avrebbe avuto
abbastanza forze per seguirli con tutto il sangue che aveva perso, ma
a giudicare dall’insistenza con cui aveva protetto il suo
Cavaliere non era certo che li avrebbe lasciati andare senza di
lui.
Issò la ragazza sulla sella, assicurò i lacci intorno alle
sue gambe e poi prese posto dietro di lei, cingendola con le braccia
per essere sicuro non cadesse durante la traversata.
« Avvertite
la Regina Arya del loro arrivo, al resto ci penserò io » ordinò
agli elfi, poi si voltò verso il drago « Sei libero di seguirci se
ti senti abbastanza in forze per farlo, in caso contrario la stiamo
portando alla città più vicina, ci potrai raggiungere una volta che
ti sarai riposato un po’ volando verso nord-est » il drago allargò
le ali, pronto a sollevarsi, e Murtagh piegò un angolo della bocca
in un mezzo sorriso« Non avevo dubbi ».
Andiamo
Castigo.
Coraggiosa
ed audace, ma incosciente quanto te,
brontolò Castigo alzandosi in volo.
Murtagh corrucciò le
sopracciglia, confuso, Chi?
Il
drago. È femmina.
Lo informò Castigo voltandosi, quasi a volersi assicurare che la
dragonessa li stesse seguendo e non fosse caduta fra gli alberi per
lo sforzo di librarsi in volo. Ma lei era lì, proprio dietro di
loro, e non sembrava intenzionata a lasciarli andare seppure sembrava
tenersi in aria solo per forza di volontà.
Murtagh abbassò lo
sguardo, osservando la straniera abbandonata contro il suo petto che
pareva dormire serenamente.
Qualcosa dentro di lui, però, gli
suggerì che il loro arrivo non avrebbe portato buone notizie.