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Autore: keepcalm    29/12/2015    9 recensioni
Ritorno dopo anni di silenzio, con loro, Oscar e André. è una specie di missing moment, che si colloca in un momento non specificato della storia, ma comunque quando la signorina è infatuata di Fersen. è una conversazione che rinsalda i principi che legano indissolubilmente la loro vita. Spero vi tenga compagnia. Buona lettura a te, straniero.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Mi trovavo a passare fuori dalla porta della sua camera, che trovai aperta: l'umana curiosità mi portò a sbirciare al suo interno, alla ricerca della sua immagine, per catturare uno scorcio di vita completamente intima di cui io non ne avevo mai avuto diretta esperienza.
La trovai alla finestra, mentre tutta la luminosità di quel sole di giugno la investiva come un bagno di luce. I suoi capelli sembravano un'aura. Forse si sentì osservata, e si girò quel tanto che bastava per vedere me che, come il più idiota degli psicopatici, la rimiravo in silenzio.
"Oh, ciao André, non ti avevo sentito arrivare" disse, riprendendo a guardare il suo enigmatico orizzonte.
Non seppi interpretare quella sua indifferenza, non capii se significava un invito ad entrare o ad andarmene. Ero ancora lì, indeciso sulla soglia, quando lei mi sorprese proferendo parola:
"Adoro questo periodo dell'anno: sembra tutto più limpido e il sole sembra riuscire a trasferire anche a noi uomini un po' della sua forza, un po' del suo splendore. è davvero un sacrilegio essere di cattivo umore in una giornata come questa!" e sorrise, come a schernirsi per essersi concessa più libertà di quanto voleva e si fosse data silenziosamente della sciocca.
Poi si girò ed inchiodo il suo sguardo nel mio, regalandomi prima un'espressione incolore e dopo, il tempo di un battito di ciglia, un sorriso sghembo, uno di quelli che amavo, quelli che parlavano del suo cuore più di quanto potesse fare lei stessa; che donavano nuove sfumature al blu ai suoi occhi e che quindi mi concedevano l'enorme onore di raccogliere un ulteriore pezzo di lei che altrimenti sarebbe caduto nel vuoto della solitudine, nell'oblio della sua mente o, nella più orribile delle ipotesi, elargiti a chi non avrebbe saputo apprezzarne l'incommensurabile valore, l'inestimabile unicità e l'indescrivibile bellezza.
Volli interpretare questa successione di emozioni che le avevano percorso il volto come una sua presa di coscienza che fossi io ad accogliere quei pensieri che lei riteneva sciocchi, che quelle che a lei sembravano libertà che avrebbe dovuto evitare di far trapelare con il resto del mondo, con me non erano altro che una nuova visita della mia Oscar, quella piccola nanetta che avevo protetto dai mostri sotto al letto quando aveva sette anni e che, da un giorno all'altro, non avevo più rivisto.
Non seppi far altro che ripescare il mio cuore dalla ripida caduta che lo aveva fatto precipitare nel mio stomaco e guardarla, no, bruciarla con il mio sguardo che voleva essere dolce almeno la metà di quanto era stato il suo e caldo il doppio, tanto che da farle avvertire che un raggio di quel sole di cui tanto tesseva le doti e che aveva il potere di ammaliarla brillasse solo per lei, proprio su di lei, che le infondesse la forza di cui aveva bisogno e che le permettesse di non essere triste, non oggi. Non ancora per lui.
Mise fine a questo gioco di occhi girandosi ancora verso la finestra e ricominciando a parlare, mentre io mi decisi finalmente a togliermi dall'uscio ed entrare nella stanza
"In realtà, queste giornate mi fanno tornare alla mente tanti ricordi.."
"Belli, spero!"
"Magnifici, André, i più belli della mia vita: la nostra infanzia".
E giuro su qualunque Dio che in quel momento, se avessi potuto, se fossi stato anche solo un nobile decaduto e dimenticato dal mondo, se fossi stato anche solo qualcosa leggermente più in alto del nipote della governante, l'avrei abbracciata, l'avrei stretta tra le mie braccia e le avrei confessato tutto, tutti quegli anni passati a macerare in quell'amore così abietto agli occhi di tutti eppure che celava in sé la potenza degli alberi, le cui radici crescono, avviluppano, e non c'è opera, umana e non, che riesca a tener loro testa. Le avrei detto che non ce la facevo più a tenere a bada quella fiera tanto feroce, quel vampiro che azzannava il mio cuore e ne traeva linfa vitale fino a prosciugarmi, fino a farmi perdere il lume della ragione.
Le avrei detto anche, tuttavia, che avrei aspettato tutta la vita se ce ne fosse stato bisogno, se lei ne avesse avuto, continuando ad essere il suo attendente per la società classista e il suo confidente nelle mura di casa.  Suo amico davanti ad un boccale di birra in una taverna, suo compagno di avventure nelle eventuali risse che sarebbero potute scaturire, suo cavaliere mentre la riportavo a casa in braccio e il suo servo quando, piegato da un sentimento dilagante, le avrei poggiato le labbra sulle sue mentre lei non ne era cosciente. Avrei continuato ad essere tranquillamente l'altra faccia della sua anima quando, in pericolo, mi avrebbe chiamato con la voce della sua coscienza, usando un modo di comunicare che, anche lei sapeva,  apparteneva solo a coloro i quali provenivano da una stella gemella.  
Avrei potuto attendere perché noi eravamo inevitabili, come la luna che sorge e cala ed io ne ero certo. Doveva essere così! E lei me lo dimostrava in attimi come questo, così insulsi per qualcun altro, ma che per me significavano che la mia vita stava andando dove volevo che andasse, ovvero dove c'era anche lei. Mi permettevano di possedere una prova tangibile del fatto che io non fossi ancora del tutto estraneo al suo cuore ma che, anzi, facevo parte dei ricordi che lei possedeva con maggiore cura e dolcezza, di quei ricordi che le sovvenivano quando si perdeva nei labirinti della sua mente e voleva assolutamente ritrovare la strada di casa.
Un giorno ci sarebbe arrivata, finalmente, se avesse utilizzato quel coraggio che spargeva a iosa su ogni sua azione per fare i conti con se stessa, per ammettere che non c'è onore nel vivere da soli e senza amore. Che sono due concetti così diversi l'uno dall'altro che non si influenzano a vicenda, che possono camminare di pari passo nella nostra vita se siamo noi a volerlo; che non si escludono a vicenda. A quel punto, sarebbe stato compito mio guidarla a casa, così come facevo indirettamente e a mia insaputa quando era da sola con i suoi pensieri, prenderla per mano e mostrarle per quale motivo non avevo mai voluto che rifiutasse la sua natura ma perché, invece, ero egoisticamente felice per quella scelta. Per ora, mi limitavo a custodire quell'amore per entrambi, nell'attesa che lei fosse pronta, quell'amore che cresceva di pari passo con noi e che facevo sempre più fatica a controllare ma che era la tortura più dolce che mi potesse capitare.
Come in quel momento, in cui le poggiai una mano sulla spalla con il gesto più lieve che fui capace di usarle, per far trapelare un po' di quell'amore ma non troppo: quel tanto che mi bastava per mettermi in contatto con la parte più intima di lei, utilizzando il linguaggio delle stelle gemelle.
Lei, stupita dalla mia vicinanza, si girò di scatto e mi guardò con tanto stupore che, per un attimo, pensai che mi avrebbe rimesso al mio posto spostandosi dal quella posizione e ordinandomi, con il suo proverbiale e gelido tono, di lasciarla sola. Mi regalò un altro sorriso sghembo, invece, ed io seppi che quella era davvero una giornata in cui sarebbe stato impossibile cedere ai brutti pensieri; quel giorno era solamente nostro. Le sorrisi a mia volta e le parlai dolcemente, volgendo io stesso i miei occhi verso l'orizzonte per riuscire sentirmi ancora più vicino a lei, per riuscire a guardare il mondo attraverso i suoi occhi.*
"Mi sovvengono così tante immagini, adesso, che non riesco a dare forma a miei ricordi. Tuttavia, l'unica cosa che mi appare chiara è un sentimento, l'unico che ha sempre pervaso ognuno di essi. Accade anche a te, Oscar?".
Lei smise di fissarmi e passò a quell'orizzonte, che ormai era diventato nostro
"è la stessa cosa che capita anche a me, André. Sono frammenti, a volte purtroppo un po' sbiaditi e altre volte nitidi come se fossero accaduti ieri, ma il mio cuore ricorda ciò che alla mia mente sfugge e so di rammentare tutti quei momenti come fossero uno solo, perché solo uno è stato il filo che ha intessuto su ognuno di essi dei ricami di straordinaria bellezza e li ha intrecciati e tenuti insieme fino a ora. Qual è questo sentimento, per te, André?".
Mi sarebbe caduta una ben poco virile lacrima se fossi stato da solo.
"Felicità, Oscar, la più grande che riesci a concepire."
A quel punto, fece un gesto che avrei portato per tutta la vita marchiato a fuoco dentro di me: posò la mano sulla mia, che tenevo ancora sulla sua spalla, ed iniziò a far scivolare ripetutamente l'indice su di essa, in una strana e dolcissima carezza. Il mio povero cuore fu sballottato ancora una volta dai miei polmoni, in debito d'aria, e rischiò di cadere nuovamente nel mio stomaco, ma io fui più lesto ripresi il controllo di me stesso
"Ma, se ne osservo con più attenzione la trama, mi accorgo che quella è solo la parte più superficiale, un arabesco che rende il tessuto pregevole e unico; quello che tiene tutto insieme, tuttavia, Oscar, è la tenerezza."
Sentii le sue dita interrompere quella carezza e temetti che stesse per porre fine a quel momento straordinario. Ero pronto ad essere trascinato di peso e riportato brutalmente alla realtà, ma lei non aveva ancora finito di sorprendermi: strinse la mia mano ancora un po', come se avessi mai potuto andare via da lei!, e riprese a scrivere poesie con il suo indice
"Non penso di averti mai detto quanto mi sei stato fondamentale, André, ora come allora"
"Oh, lo fai ogni giorno: me lo dici in così tanti modi che non basterebbe una settimana per elencarli tutti! Non devi preoccuparti, Oscar, io lo sento. Non c'è alcun bisogno che tu me lo dica."
Stavolta mi serrò la mano, senza più lasciarmi l'onere di dover trovare vocaboli articolati per descrivere una sensazione infinitesimale. Così, mi sentii autorizzato a poter azzardare ancora e presi ad accarezzarla a mia volta, disegnando cerchi sul dorso della sua mano con il pollice.
"Sono felice anche per un'altra ragione"
"E quale sarebbe?" le chiesi, curioso
"Sono riuscita a cancellarti dagli occhi parte di quella sofferenza che ti portavi dentro, a causa dei tuoi genitori. Me lo ricordo ancora lo sguardo che avevi, quel giorno che arrivasti a palazzo: eri impaurito e triste, oltre ogni dire. Ho sempre evitato di parlare di loro, dopo che Nanny mi confessò che erano la ragione delle lacrime che ti vedevo versare quando eri da solo e pensavi che nessuno ti vedesse. Eri così tenero e smarrito, André, ed io così imbranata, già a quell'età!, con quel genere di cose, nel consolare e dare conforto, che preferivo andare via, lasciare che ti calmassi da solo; in più, credevo che non volevi che ci fossi io con te, in quei momenti, altrimenti mi avresti resa partecipe. Quando tornavi da me non c'era traccia del pianto, era come se tu non fossi mai stato triste, ed io cercavo di inventarmi sempre le cose più divertenti e strampalate da fare insieme, così da farti dimenticare la tristezza, almeno per un po'. Passati i primi tempi, ti scovai sempre meno a piangere, e pensai di esserci riuscita, di averti cancellato la sofferenza dalla mente. Che presuntuosa, vero?"
Stavolta, una goccia strabordò da uno dei miei occhi, senza che io potessi fare nulla per impedirlo, ma fu subitamente spazzata via dalla mia mano sinistra. Davvero la mia Oscar aveva fatto questo per me? E che malia le avevano fatto per farle confessare addirittura tutto questo? Non che ne fossi infastidito, tutt' altro!, ma non mi capacitavo di quanto mi stesse concedendo, quel giorno, quella piccola peste!
"No, Oscar, per niente. è tutto vero: sei riuscita a scacciare via il dolore. Quando guardo indietro mi sento felice, completamente. Ed è anche vero che non ti volevo vicino a me, per questo mi nascondevo: non volevo che mi vedessi piangere. Eri già così coraggiosa e forte, alla tua tenera età, che non volevo essere da meno ai tuoi occhi"
"Vuoi sapere un segreto? Mi sono data la tua stessa spiegazione, perciò correvo sempre da te quando c'era un temporale o i mostri sotto il letto: credevo che, dato che io volevo i miei genitori con me, tu non riuscissi a dormire per lo stesso motivo e che avremmo potuto darci conforto a vicenda."
"Vuoi sapere anche tu un segreto? Ogni volta mi fingevo addormentato per non farti capire che anche io, infondo, avevo una gran paura! Ma poi arrivavi, puntuale come un orologio svizzero, subito dopo il primo tuono, ti rannicchiavi sotto le mie coperte ed io ti abbracciavo, sperando che tu credessi ancora alla mia recita"
Non potei trattenermi dal sorridere dolcemente a quei ricordi. Lei si voltò di scatto e, con un'espressione fintamente sorpresa, esclamò:
"Allora era come immaginavo! Che sciocchino che eri, André! Che bisogno c'era di fingere! Sembra quasi che io ti facessi vivere sull'attenti e che tu avessi sempre paura di sbagliare, con me!" e tutto questo lo concluse apponendoci un'espressione un po' delusa.
Allora io mi decisi per rinforzare la stretta che ancora attanagliava la sua spalla, parlando con una profondità che volevo servisse a rendere indiscutibile la veridicità delle mie parole:
"Non devi assolutamente pensare questo, Oscar, perché nulla si allontana di più dalla realtà: è vero, vivere con te non è mai stata una passeggiata, ma non c'è stato un solo momento in cui io mi sia sentito giudicato o deriso da te, neanche un misero attimo in cui tu mi abbia fatto sentire...inferiore. Eppure, ne avresti avuto tutti i mezzi; e tutto il diritto" ora fu il mio turno di mostrare un'espressione amareggiata.
"Perché non lo sei, André. Non l'ho mai pensato,  per questo non l'ho mai fatto. E no, non è assolutamente un mio diritto: non è nei privilegi di nessuno potersi arrogare un diritto che neanche il buon Dio si è tenuto per sé. Noi siamo uguali, André. E non intendo solo davanti all'evidenza e alla società. Siamo uguali in una maniera che non saprò mai comprendere né spiegare. Non intendo dire che lo siamo in ogni sfumatura, anzi: tu sei calmo e riflessivo, io imprevedibile ed istintiva; tu sei così limpido nell'esprimere ciò che provi, io entro in un labirinto da cui non so più uscire quando si tratta di queste cose; tu sei paziente, io l'esatto opposto. Purtuttavia, io e te siamo uguali... ecco, mi sto perdendo in un altro labirinto! Ma tu hai compreso quello che la mia testa sta cercando di rendere incomprensibile ma che il mio cuore ha ben chiaro, vero André?" mi chiese, proponendomi la stessa espressione di pochi minuti prima.
E cosa dovrei risponderti, Oscar? Che condivido ogni singola parola ed anche di più, perché il mio, di cuore, è arrivato dove il tuo è ora anni addietro? Che vivo solamente per questi momenti perché mi donano un po' di speranza che prego non sia mera illusione?
"Non c'è alcun bisogno che tu me lo dica. Io lo sento, Oscar" le dissi, riutilizzando le parole di poco prima.
Ma non me la sentii di finire la conversazione a quel modo, lasciando troppi sottintesi che ero convinto che lei non avrebbe saputo (o voluto?) cogliere. Azzardai ancora un po', spingendomi di un millimetro aldilà di quel limite che era diventato la mia vita e sperando di non fare il passo più lungo della gamba.
"Il mio cuore ha ben chiaro tutto, Oscar, da molto tempo ormai. Il tuo, tuttavia, molte volte mi appare confuso e spaesato. Un po' come ero io quando arrivai qui. Mi vorresti far credere che io, invece, non sia riuscito a scacciare in te la tristezza?"
"Oh no, questo non è assolutamente vero! è solo che...non si è bambini per sempre: le cose cambiano, le responsabilità ed i problemi da affrontare aumentano in numero e in gravità..."
"Hai ragione, Oscar, ma una cosa non è mai cambiata e mai lo farà: tu non sei sola. Io non me ne sono mai andato e...non ho in programma di farlo a breve!" dissi, con il sorriso anche nella voce, per alleggerire la tensione che sentivo andava creandosi, per non farla scappare ancora da me.
Lei, dopo che ci eravamo incastonati gli occhi, tornò a guardare l'orizzonte
"Potresti, però, e dovresti: magari riusciresti a fare quello che io non sarò in grado di fare. Potresti farti una famiglia, trovare una donna che ti meriti ed avere dei bambini..." la sua voce ridotta ad un sussurro, la mia presa a stritolarle la clavicola: non mi era sfuggita quella scelta di parole.
"...sono così curiosa di vedere come potrebbe essere tuo figlio: non posso fare a meno di figurarmelo come te quando eri piccolo. Un dolcissimo bambino dai capelli neri e gli occhioni verdi...- un sorriso che andava lentamente spegnendosi - ...certo, c'è da considerare anche il contributo della madre...ma non mi riesce di pensare ad un qualcosa di diverso da questo. Tu ci hai mai pensato?"
"A cosa? Ad avere bambini?"
"Sì"
"Certo, Oscar. Alla nostra età ci si sarebbe già dovuti porre questo quesito da tempo!" risi. Ma non riuscii a contagiarla
"Allora è un sì?"
"Sì, ne vorrei, Oscar. Sempre a patto di trovare la donna giusta." un sospiro le scivolo dalle labbra
"Già, quella sì che è una bella impresa! - prese ad usare un tono più leggero - E c'è qualche futura madame Grandier all'orizzonte?" e rise di gusto.
Io, che fino a quel momento avevo cercato di apparire il più naturale possibile difronte a quella conversazione che di normale non aveva nulla, a quella battuta spalancai gli occhi e cominciai seriamente a chiedermi se quella fosse davvero Oscar e, se sì, cosa le fosse accaduto!
Nonostante lo sbalordimento iniziale, non potei fare a meno di trovare intrigante quel gioco, che sicuramente racchiudeva in sé un risvolto favorevole alla mia causa, a patto che riuscissi a restare in equilibrio sul mio limite
"Per ora, all'orizzonte scorgo solo due bambini, uno con i capelli neri e gli occhi verdi ed uno po' più basso, con i capelli biondi e gli azzurri che giocano a rincorrersi sul bagnasciuga di una spiaggia. Non so se tu riesca a vederli, perché, effettivamente sono molto lontani: sono in Normandia" e le indicai davvero un punto inesistente, usando spudoratamente quella scusa patetica per poter avvicinare il volto al suo dal lato sinistro, guancia a guancia, e rendere quella posizione, troppo fredda per i miei gusti, in quello che di più simile ad un abbraccio potesse esistere, alzando il mio braccio sinistro sulla sua spalla.
Sì, avevo azzardato pesantemente, molto probabilmente molto più di quanto avrei dovuto, ma non avevo saputo resistere: il suo odore, la sua vicinanza, la sua mano che non aveva mai smesso di accarezzare la mia, tutta quella conversazione inconcepibile stavano violentando la mia innata pazienza da troppo tempo e usando armi che mi erano del tutto nuove e sconosciute per poter preparare così, su due piedi, una difesa efficacie.
E così mi lasciai guidare dal mio istinto, che in rarissimi casi si era mostrato in errore per quel che concerneva Oscar: sperai che questa non fosse una di quelle rare volte. Avevo davvero detto molto, troppo persino per qualcuno più cieco e sordo di Oscar, ma, ad onor del vero, mi ero comunque lasciato un margine di errore, una rete di sicurezza su cui atterrare senza ferire nessuno: tutto poteva avere una più innocua e leggera interpretazione.
E sapevo che lei avrebbe preferito quella. Finse di essere pure lei alla ricerca di quella visione, sporgendosi leggermente in avanti e aguzzando gli occhi
"Ah, sì, eccoli, li vedo anch'io! Tuttavia non mi pare assolutamente che quello biondo sia più basso dell'altro! L'unica cosa che riesco a vedere è che il biondino sta battendo sonoramente il moretto, che mi sembra alquanto abbattuto: forse è una cosa che gli capita abbastanza spesso!" disse, interrompendo, mio malgrado, quella sorta di abbraccio e girandosi completamente verso di me, le braccia appoggiate con i pugni sui fianchi e l'espressione di chi la sa lunga.
Io le risposi con un una linguaccia e dissi:
"Magari è solo stanco di sentire quel biondino presuntuoso vantarsi per sua stupida vittoria, cosa che accade spesso, è vero, ma solo perché è davvero scorretto: difatti, mi sembra di aver scorto, dato che io stavo guardando da prima di te, che quella piccola peste bionda abbia annunciato l'inizio della gara d'improvviso, senza dare a quel povero moretto il tempo di prepararsi! Mi sa che vincesse con l'inganno ogni sua sfida!" a quel punto le parti si invertirono: io con una smorfia di superiorità sul viso e lei, che invece di limitarsi a farmi una boccaccia, mi sferrò un bel pugno nello stomaco
"Rimangiati quello che hai detto, villano! Oppure accetta la mia sfida da uomo e corri a prendere il tuo fioretto: tra cinque minuti davanti alla fontana, e ti farò pentire di avermi calunniato a quel modo!" e le vidi negli occhi quel magnifico ed indomabile fuoco che le divorava l'anima: lo stesso che divorava la mia; infondo, eravamo figli di una stella gemella.
"Con piacere, mio pallone gonfiato: la punzecchierò con il mio fioretto tanto da sgonfiarla da tutte quelle arie che si da!" e corsi via, sapendo che mi sarebbe arrivato un altro pugno a quella frase; infatti la sentii urlare:
"André!!! Brutto...."  ma non potei udire altro.
Mi stavo già precipitando giù per le scale alla ricerca della mia spada, pronto e eccitato alla prospettiva di quello che sarebbe accaduto di lì a poco: un altro duello con lei, che di duello non aveva proprio nulla. L'avrei definito più un duetto. Perché la vedevo la gioia nel suo sguardo, quando danzavamo a quel modo, e lei era lì con me in quei momenti, solo con me e con nessun altro.
Ed io ero totalmente ipnotizzato, desideroso di incappare in qualche contatto fugace ma anche attento a non farmi infilzare, dato che Oscar non ci andava giù leggera! Però io lo adoravo così, questo nostro gioco: io ero quello paziente, io quello calmo ed io quello riflessivo e dovevo moderare i colpi di testa di quella piccola scheggia impazzita.
La amavo così tanto.
Era tutto quello che cantava alla vita*. Ed io, che sapevo quello che il suo cuore ancora non poteva (o non voleva?) comprendere, avrei cantato per lei per tutto il tempo necessario. Fino a che non sarebbe riuscita a riconoscere quella melodia che le parlava di lei, di me, di noi. Fino a che non sarebbe riuscita a trovare la strada di casa.




*Una frase un po' rimaneggiata di una canzone di Ed Sheeran (che, secondo me, è un fan di Lady Oscar pure lui!)
**Frase tratta dal manga.
Devo ammettere che sono anni che leggo e rileggo senza sosta fanfiction su questi due testoni in questo sito, ma non ne ho mai pubblicata nessuna, fino ad ora. Ragion per cui, se qualcuna di voi dovesse rileggere in queste parole qualcosa di somigliante a ciò che già scritto, le chiedo umilmente perdono: non l'ho fatto in maniera consapevole. Se così fosse, provvederò immediatamente a fare ciò che è necessario per non ledere i diritti (e l'unicità!) di alcuno. Spero comunque che vi sia piaciuta, nonostante che non sia un tripudio di originalità. Oscar è un po' (tanto) diversa dal solito ma io avevo bisogno di lei oggi almeno tanto quanto lei aveva bisogno di André: anche lei ha i suoi momenti di insicurezza  di ricerca di calore umano. E poi sono sempre stata convinta che quel poveretto di André, se è rimasto trent'anni appresso ad Oscar, non deve essere sempre stato trattato con la freddezza che vediamo in lei! Ci sono così tanti momenti che non conosciamo che sono avvenuti tra quei due e André ha sì quella vena di masochismo un po' troppo marcata ma non è completamente rimbambito! Deve essere rimasto con lei anche e soprattutto per quei momenti che non conosciamo, in cui lei era solo la sua Oscar. Infondo, lui la conosce molto più di noi.
P.s. forse proprio la frase "ora come allora" l'ho letta da qualche parte. Però, controllando, ho visto che nessuna fanfiction ha questo titolo. Comunque sia, chiedo perdono a priori!   
  
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