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Autore: Adeia Di Elferas    29/12/2015    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ “Badate bene che io so quello che dico – stava dicendo il soldato, mentre il Novacula affilava il rasoio – perchè l'ho vista io con questi occhi qui!”
 La clientela del barbiere-storico ascoltava in religioso silenzio. Solo un paio di presenti sembravano indecisi sulla credibilità di quell'uomo originario di Milano, che era arrivato in città al seguito del Conte Riario qualche giorno addietro.
 “Poco più di vent'anni, vi dico!” proseguiva il soldato, mentre il Novacula si accingeva a radergli il mento: “Una meraviglia, ve l'assicuro, Dio bòn. E dopo la battaglia, ah! Dovreste vederla, vè, dopo la battaglia...! Oh, signori miei, è come se esser stata vicina alla morte la rendesse ancora più viva!”
 Andrea Bernardi, da buon barbiere, fece star zitto un attimo il cliente, mentre lo radeva, prendendo la parola al suo posto: “La Contessa è una gran donna, altro che!” E partì a raccontare per la milionesima volta di quando, appena arrivata a Forlì, lo aveva scelto come guida ufficiale.
 “Ma se vi piaceva tanto – insinuò uno dei clienti scettici, non appena il soldato fu di nuovo libero di parlare – perchè non l'avete seguita? Han detto a Castel Sant'Angelo l'han fatta andare tutta sola...”
 L'uomo d'arme abbassò lo sguardo, un po' a disagio: “Seguivamo gli ordini del Conte. La Contessa non ce l'ha chiesto, comunque. Altrimenti io l'avrei seguita.”
 Lo scettico stava per fare un'altra domanda, quando una notizia arrivò nel negozio come una folata di vento.
 “La Contessa è tornata in città! La Contessa è qui!” urlava un ragazzo in strada, dando la voce a tutte le botteghe e a tutte le case.
 Così come la maggior parte dei Forlivesi, anche il Novacula e i suoi clienti si riversarono in strada e accorsero verso la piazza grande, dove, verosimilmente, la Contessa avrebbe fatto tappa prima di raggiungere il marito.

 Caterna Sforza arrivò in Forlì senza averne dato annuncio, eppure, quando varcò le porte della città, una folla festante e calorosa la scortò fino al suo palazzo.
 Malgrado le urla di gioia e le mani che battevano, Caterina non poté fare a meno di vedere anche qualche volto scuro, tra la folla, e qualche espressione contrariata. Ancora una volta la doppia anima di quella città la spaventava e la portava a chiedersi cosa mai sarebbe potuto accadere, nel caso in cui la situazione economica fosse precipitata all'improvviso.
 Mentre il suo cavallo galoppava alla volta del palazzo, accompagnato dalle voci del forlivesi, Caterina si sforzava di pensare a cosa avrebbe detto a suo marito. Ci aveva pensato per tutto il viaggio, ma non aveva ancora trovato un insulto abbastanza volgare e offensivo.
 Con lei erano rimasti pochi soldati. Molti di quelli che l'avevano affiancata fino all'uscita di Roma – Attilio Fossati compreso – erano dovuti tornare indietro dopo poco, per riprendere il loro posto e prepararsi a servire il nuovo castellano di Castel Sant'Angelo. La vita del soldato era quella: prestare servizio al proprio signore e stare al proprio posto.
 Una volta al palazzo, Caterina scese da cavallo, salutò per l'ultima volta la folla e chiese a due guardie di portarla da Girolamo.
 Lo trovò in uno degli studioli. Era assieme a un amico che lo seguiva da anni, stndo sempre nelle retrovie, ovvero Melchiorre Zaccheo e a Vincenzo Codronchi.
 Per un momento Caterina si bloccò sulla porta, alla vista di Codronchi, da lei stessa scacciato da Castel Sant'Angelo per insubordinazione.
 Codronchi la guardò di sottecchi, studiandone la reazione. Appena era stato mandato via dal castello, si era subito affrettato a raggiungere Girolamo, che gli aveva sempre dimostrato amicizia. Ovviamente Girolamo aveva subito preso sotto la sua ala l'uomo, promettendogli un ruolo di spicco a Forlì.
 Girolamo interpretò scorrettamente l'immobilità della moglie, pensando che fosse sopraffatta dall'emozione di essere in salvo e di nuovo con la sua famiglia.
 Era bellissima, in quel momento. Girolamo non avrebbe trovato parole per descriverla. Era visibilmente accaldata e, benché il suo viso portasse con sé la polvere del viaggio, non le era mai sembrata tanto incantevole.
 “Siete viva...!” disse piano Girolamo, alzandosi e aggirando la scrivania: “Siete viva...!”
 Quando le fu davanti, allungò le braccia, per stringerla a sé, ma Caterina fece un passo indietro. Girolamo fu costretto ad abbassare le braccia, se non altro per non rendersi ulteriormente ridicolo agli occhi di Codronchi e Zaccheo.
 “Ero così in pena...! Siete viva, viva...!” ribadì Girolamo, senza staccare gli occhi dalla moglie.
 Caterina non diceva nulla. Lo fissava senza espressione, più fredda di un pezzo di ghiaccio, la schiena dritta, e chissà con che fatica, visto il pancione, e le braccia lunghe contro il fianchi.
 “Quanto ho sperato di potervi rivedere presto...” sussurrò Girolamo, andando a ricolmare con mezzo passo la distanza che si era creata tra loro.
 Non riuscendo più a resistere, Caterina alzò il braccio destro e gli diede un sonoro schiaffo a mano aperta.
 Girolamo restò basito, incapace perfino di portarsi le mani al volto o di apparire stupito.
 Codronchi abbassò gli occhi, temendo che ce ne fosse anche per lui. Zaccheo, invece, sperò di vedere una reazione di Girolamo, che, però, non arrivò.
 Caterina diede un'ultima occhiata al marito, dopodiché girò i tacchi e uscì dalla stanza.
 “Portatemi dai miei figli.” disse alle guardie, che l'avevano aspettata fuori dalla porta.
 
 Salendo le scale, Caterina ripensò allo schiaffo che aveva dato a Girolamo. Aveva agito senza pensare, assecondando l'istinto. Forse non avrebbe dovuto essere così impulsiva. Dopo tutto Girolamo sapeva essere un uomo crudele... L'aveva messo in ridicolo davanti a due uomini che gli dovevano obbedienza. Per quanto fosse un codardo, quella volta Caterina sapeva che in qualche modo si sarebbe vendicato...
 Le guardie annunciarono la Contessa alle balie, che si affrettarono a far accorrere i bambini nella sala dei giochi.
 Non appena Caterina vide i suoi tre figli, ogni pensiero riguardante Girolamo parve sparire dalla sua mente.
 Nell'istante stesso in cui la videro, Bianca, di nemmeno tre anni e Cesare, quattro anni appena compiuti, le corsero incontro, aggrappandosi ai suoi vestiti.
 Caterina si chinò su di loro e li abbracciò con forza, mentre li sentiva piagnucolare di gioia.
 Mentre ancora era così allacciata a loro, alzò lo sguardo in cerca del più grande, di Ottaviano, cinque anni abbondanti, il suo primogenito.
 Ottaviano era accanto a una delle balie, vicino al muro, l'indice in bocca, gli occhi scuri e il musetto serio e imbronciato.
 Caterina si staccò con gentilezza dai più piccoli, promettendo loro che avrebbero giocato insieme fino a sera, e si avvicinò a Ottaviano.
 “Era molto preoccupato per voi, mia signora.” disse la balia, incoraggiando il piccolo con una piccola pacca sulla schiena: “Chiedeva di voi notte e giorno, sempre, da quando siamo arrivati a Forlì... Nemmeno l'arrivo del signor Conte l'ha rasserenato...”
 “Piccolo mio...” gli disse, con dolcezza.
 Ottaviano, in tutta risposta, si accigliò ancora di più, guardandola come se ne avesse paura, e, dopo aver pestato un piede in terra, scappò via, sgusciando anche dalle braccia una delle balie che era riuscito ad afferrarlo per un secondo.
 “Aspettatatemi un momento.” disse allora Caterina.
 Tenendosi la gonna, per non inciampare, rincorse il bambino fino a riacciuffarlo. Per quanto fosse veloce, aveva le gambette corte.
 Caterina lo strinse a sé, con forza, come se davvero lo avesse preso prigioniero. Il bambino all'inizio oppose una debole resistenza, ma alla fine si arrese e scoppiò a piangere.
 “Sono qui, adesso.” gli bisbigliò Caterina: “Non ti lascerò mai più.”
 “È una promessa?” chiese Ottaviano, la voce un po' incerta e arrochita dal pianto.
 Caterina lo guardò un momento in viso. Da quando lo aveva visto l'ultima volta, prima di farlo partire per Forlì assieme ai suoi fratelli, era cresciuto molto. Era strabiliante quanto i bambini crescessero in fretta...
 Gli sistemò un ricciolo dietro all'orecchio. Gli asciugò un po' le guance e anche gli occhi, che, purtroppo, erano della stessa sfumatura di quelli di Girolamo...
 “Sì, è una promessa.” annuì Caterina, dandogli un bacio sulla fronte.
 Mentre madre e figlio restavano così, in terra, l'uno tra le braccia dell'altra, Caterina si chiese quanto pericolosa si sarebbe dimostrata la promessa che aveva appena fatto.

   
 
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