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Autore: PandorasBox    30/12/2015    1 recensioni
[Glee AU]
Mentre l’osserva allontanarsi –ed è rapito dal suo modo di camminare, quel ancheggiare leggero e quella grazia non programmata- Jason si chiede se sia stata davvero una buona idea iscriversi a quel Glee Club solo per far colpo su di lei.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jason Grace, Jason/Piper, Piper McLean, Quasi tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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  • Note
Questo capitolo è stato un parto naturale plurigemellare con tante ore di travaglio ma, al contrario di una madre che ama sempre e incondizionatamente i propri figli, io non sono completamente soddisfatta del risultato. «Succede», mi direte. «Sì, ma non mi piace quando succede», risponderò. Il capitolo non è betato, nella fretta di volerlo pubblicare prima del 31 (mi sono imposta una deadline altrimenti avrei continuato a procrastinare per sempre) potrei essermi persa la grammatica per strada ed ogni errore è da imputare a me, alla mia nota sbadataggine e vista che sfarfalla.
 
Qualche minuscolo appunto:
Ho questa headcanon di Jason bravo ragazzo che ascolta musica "vecchia" (che poi è la stessa che ascolto io, coff) e non posso che immaginarlo a sospirare ascoltando canzoni come "And I love her" o "Something" dei Beatles e a pensare a Piper (perché io ci penserei e quindi ci pensa anche lui, che spiegazione logica, eh?). Perché per me gli piacciono i Beatles ed anche tanto ─ hanno una canzone per ogni secondo della tua vita, come possono non piacere?! Sì, ci penso la notte a ste cose. Ed il titolo del capitolo è un pezzettino di "Lucy in the sky with diamonds, appunto.
Se vi state chiedendo dove Talia debba andare a trovare Luke (e ve lo chiederete) la risposta è: non al cimitero. Sono una di quelle persone che non ha ancora superato la sua morte e quella di Beckendorf quindi sono nella fase della negazione e lui è in carcere. Come ci sia finito non lo so ancora bene, ma immagino una cosa alla "Ditta traslochi Milckovich" e chi ha visto Shameless capirà (e soffrirà, probabilmente).
 
Come al solito, per qualsiasi cosa ─ critiche, complimenti, insulti, consigli o ricette per far venir bene i macarons- sentitevi liberi di commentare/contattarmi.
Buona lettura ♥
 

 



Look for the girl with the sun in her eyes





 
Ha smesso di provarci quel martedì: ha chiuso la sua sciarpa nell’armadio, nascosto gli occhiali in fondo al cassetto del comodino, ha dimenticato gli spartiti su una mensola della libreria ed è tornato Super Grace, senza tutina aderente ma con un paio di jeans che hanno sul ginocchio uno squarcio che non dovrebbe esserci.
 
Poco gli importa che sua sorella, ogni mattina, lo minacci di riportarlo in quell’aula a suon di calci nel “regal culo” («Non posso credere che tu sia rimasto lo stesso bimbo scemo che tentò di mangiarsi la spillatrice, Jason, tira fuori le palle e concludi con quella Piper!»), poco gli importa di aver dovuto bloccare Leo su ogni social network esistente (e sta progettando di cambiare numero perché, davvero, quel ragazzo tende all’assillo se lo si lascia a piede libero), forse gli importa delle occhiate deluse che Piper gli lancia dal fondo dell’aula di scienze ma prova a non pensarci e continuare la sua vita come se quelle cinque settimane non fossero mai esistite. Con Piper andranno a prendere un gelato nel pomeriggio, forse canteranno insieme seduti sulle panchine del parco – sta diventando un po’ il loro appuntamento tipico quello e, spesso, i passanti li scambiano per artisti di strada ed in un pomeriggio hanno guadagnato venti dollari- e troverà il modo di farsi perdonare, di condividere comunque qualcosa con lei. Dopotutto quello era il suo piano fin dall’inizio, no?
 
Ed è facile, davvero, soprattutto ora che Jackson ha mollato il football -ma non il nuoto, non sarebbe in grado di farlo- ed ha quindi smesso di frequentare gli spogliatoi («Ho altro per la testa, ragazzi. Avete idea di che schifo sia scrivere un curriculum quando le uniche cose che sai fare sono nuotare, correre ed esagerare con il sarcasmo quando non dovresti?») ed ha scoperto circa dieci percorsi alternativi per evitare di passare persino nelle vicinanze di quell’aula prove. Succede che Nico o Hazel lo contattino di tanto in tanto, che Annabeth si sieda accanto a lui in biblioteca ma niente di più. Frank evita di nominare il Glee durante gli allenamenti di football e lui è felice, Reyna è tornata a frequentare casa sua («Voglio dare una mano, so che è impossibile lasciare voi Grace completamente soli.») ed anche se non è molto sicuro di cosa ci sia dietro, è comunque felice. Ciclicamente qualcuno tenta di lasciargli messaggi “minatori” sull’armadietto ma, dopo per aver sopportato Octavian per anni, quello è il minimo e lui li conserva senza chiedersi il perché ─ o forse il perché lo sa: gli mancano anche se non vuole ammetterlo.
Novembre e dicembre gli scivolano tra le dita: e c’è il giorno del ringraziamento (quando scopre che lui e Talia non ci sanno fare con il tacchino), e ci sono le vacanze, c’è il natale, ci sono i ragazzi del Glee che girano per la scuola e per il quartiere cantando carole - li ha trovati anche nel bar in cui lavora qualche ora nei weekend, è stato difficile ignorare Percy che continuava a suonare il campanello sul bancone- e Piper che gli dice che con gli occhiali somiglia più a Spiderman che a Superman. C’è sua madre che viene dimessa e lui che si promette solennemente, davanti allo specchio del bagno, di smetterla con le canzoncine e tornare il ragazzo responsabile che era. Poi Talia urla dall’altra parte della porta ─ si tengono il broncio da quando Jason gli ha fatto notare che potrebbe andare a trovare Luke almeno durante le vacanze- e lui deve uscire prima di potersi convincere che la decisione che ha preso è quella giusta.  «Poco male» si dice «Ormai è fatta» .
 

 
 

 
La sesta volta in cui ci prova è la conferma che lui, Jason Grace, non sa mantenere le promesse che fa a sé stesso, soprattutto quando ci sono di mezzo un giuramento che non avrebbe dovuto fare o Piper e quelle occhiate ferite che gli scocca ogni qualvolta le ripete che, no, non ha più tempo per cantare.
Perché lui, davvero, non ha tempo di cantare, proprio no! C’è sua madre che è tornata a casa ma va controllata a vista, c’è sua sorella che ha ventitré anni e «Davvero, Jason, vi amo ma a volte vorrei sapere com’è vivere una vita mia e solo mia. », c’è la scuola e la cena da preparare, c’è la sua bicicletta a cui ha bucato una ruota, ci sono una marea di cose da fare e di scuse da inventare e lui non ha tempo. Poi Piper gli dice che se ha tempo per lei e per i suoi problemi con la trigonometria può trovar tempo anche per le prove e lui, che è emotivamente scemo (Talia dice che è un marchio di famiglia), non riesce a dirle che per lei è diverso e il tempo lo troverebbe comunque.
 
La sesta volta in cui ci prova non è martedì, è un freddissimo sabato di metà gennaio, e lui non prova neanche a far finta di esser capitato per caso davanti alla sala prove dopo più di due mesi di latitanza: mani affondate nelle tasche del cappotto e occhiali che sembrano scivolare sul naso solo per fargli dispetto, entra senza bussare e spera che nessuno lo noti, presi come sono ad ascoltare Hazel, Piper ed Annabeth che, in piedi accanto al pianoforte, provano “Valerie”, il colletto di quella maglia bianca che sporge dalle felpe e dai giacchetti di ognuno di loro. Nell’aria c’è la tensione dei grandi eventi perché, dopotutto, è questo quel che stanno aspettando: un grande evento, delle confessioni, qualcosa, è per quello che sono lì in un giorno di (quasi) festa.
 
«Stavolta non puoi mancare!» e Nico gli aveva fatto dare la sua parola, aveva detto qualcosa a proposito di giurare sul fiume Stige, e lui lo aveva fatto salvo poi chiedere a Talia cosa significasse. Lei si era stretta nelle spalle, rispondendo pigramente ad un messaggio (e il suo telefono trillava con una strana frequenza, ultimamente, quasi avrebbe detto di vederla più felice se solo non avesse ripreso a fumare), ed aveva detto che non ne aveva idea. Probabilmente Luke lo avrebbe saputo, si diceva, ma Luke era andato e tanto valeva tenersi il dubbio e chiedere a Google.
 
Appena mette piede in sala prove - e Frank e Nico sono i primi a vederlo, gli fanno anche cenno di avvicinarsi, stanno provando dei passi che lui, ne è sicuro, non sarebbe in grado di memorizzare- sente che tutto quello gli è mancato ma lui non ha tempo e no, non tornerà a pieno ritmo, se lo è promesso. Piper gli sorride vittoriosa e forse un po’ maliziosa, poggiata sul pianoforte a coda accanto al quale un annoiato Will sta discutendo con le altre due ragazze (e probabilmente lo fa per evitare qualche lamentela che Clarisse gli sta sparando nelle orecchie a tutto volume), e Jason è costretto a ripetersi che, no, non tornerà e che, no, non è qui per Piper.
La sesta volta in cui ci prova non lo fa per Piper (per lei ormai fa ben altro, per lei ormai il Glee Club non serve più) ma per un suo amico, lo stesso amico che ha appena messo a tacere quel gruppetto rumoroso con un fischio e, schiarendosi la voce, ha slacciato la felpa che teneva chiusa fin sotto al collo mettendo in bella mostra la sua maglia.
“LIKES HEROES” recita la scritta nera e, se solo Jason non avesse saputo cosa c’era dietro, avrebbe reagito come Leo che, materializzatosi accanto a lui dal nulla, aveva esclamato «Capitan America o Iron Man?» beccandosi la più torva delle occhiate, ma Jason sa e cerca di indirizzargli uno sguardo incoraggiante che però Nico non recepisce, impegnato com’è a fissare un perplesso Percy.
 
«È stato poco dopo la morte di Bianca.» gli aveva detto Nico, un paio di settimane prima, fissando il suo panino con astio: si erano trovati per caso in ospedale e, senza fare domande, erano finiti e mangiare insieme in un McDonald’s lungo la strada, l’odore di fritto ed il vociare a far da cornice a confessioni  pesanti e storie imbarazzanti. «Avevo bisogno di una figura a cui appoggiarmi, un eroe, e ho finito per innamorarmi di Percy Jackson…non la “scelta” più intelligente dei miei quindici anni.» aveva concluso, trovando solo allora il coraggio di alzare lo sguardo con un sorriso tirato sulle labbra. «È la prima volta che lo dico ad alta voce, ora non si torna più indietro.»
 
Ed è mentre ascolta Nico dire quel che ha già detto a lui – e a fine “discorso” lo vede trattenere il fiato davanti al silenzio degli altri, a quel «Ah…!» esalato da Hazel, davanti all’espressione ancor più confusa di Percy che poi si risolve in un abbraccio ed un paio di scuse di cui non capisce il motivo- Jason si dice che se lui ha avuto il coraggio di mettersi a nudo (e dopotutto era quello che Apollo voleva fare ritirando fuori la storia di quelle stupide magliette, no?) lui deve avere il coraggio di affrontare la realtà e il fatto che il Glee gli manchi e che lui abbia bisogno di una vita sua tanto quanto ne ha bisogno sua sorella.
 
 
La giornata ─e no, quella non è una prova, il professore arriva mezz’ora prima della fine, trafelato e disorganizzato come al solito, e tutto quel che fanno è convincerlo a cantare con loro- finisce con una carrellata di confessioni, paure condivise, poi pacche sulle spalle, una Hazel arrabbiata perché «Dovevi dirmelo prima!», e la versione più avanguardistica di Bohemian Rapsody a cui abbia mai avuto la fortuna di assistere, gentilmente offerta da un Percy particolarmente sorridente ed un Nico scosso ma felice.
 
«Grace! Con te ci vediamo lunedì da Rachel per prendere le misure per i vestiti delle provinciali, chiaro?» lo apostrofa il professore riprendendo le sue cose. 
Lui e Piper, sono rimasti soli quando Leo è misteriosamente fuggito dopo una chiamata, nonostante avessero promesso di rimettere a posto la sala («È innamorato» gli dice Piper, e lui ci crede, conosce i sintomi). Finiscono di impilare le sedie e Jason, davvero, vorrebbe dire che non ci saranno provinciali per lui, che non c’è bisogno di misure o di vestiti. Apollo, però, sparisce prima che lui possa ribattere e lui si ritrova solo (davvero solo, la scuola è praticamente deserta) con Piper che gli scocca un bacio sulla guancia e mormora un «Bentornato.» che ha fatto fare una capriola al suo cuore.

Poi il suo telefono vibra nella tasca dei jeans ed un messaggio di Leo lampeggia sullo schermo (“Non ringraziarmi per l’intimità e usate le precauzioni, piccioncini! ;D ”) e lui si chiede perché non abbia ancora davvero cambiato numero e consideri (inaspettatamente) quel soggetto il suo migliore amico.

 
 

 

 
«Davvero quella cicatrice te la sei fatta tentando di mangiare una spillatrice?» domanda Piper, affondando il viso nella sciarpa colorata che tiene intorno al collo nel vano tentativo di soffocare quella risata che nasce spontanea dopo una rivelazione del genere.

Stanno camminando verso casa, una tradizione delle loro, un modo come un altro per stare insieme un altro po’ e spera che Piper non venga mai a scoprire che abita dall’altra parte del quartiere e che deve prendere la metro per tornare a casa: non lo perdonerebbe e lo obbligherebbe, probabilmente, ad evitare quelle loro passeggiate.
«Talia dice che ero quel tipo di bambino che mette in bocca le cose per conoscerle e che una volta ho tentato di mangiare anche un rossetto di mia madre.» replica, sistemandosi il cappello sulla testa con un gesto imbarazzato, perdendosi nella risatina dell’altra. E tenta di non perdersi anche in quegli occhi sorridenti che sembrano essere di mille colori, colpiti da quel pallido sole invernale, ma è difficile. Se Piper sa incantarti con le parole, i suoi sguardi non sono da meno; “The girl with kaleidoscope eyes”, si dice.

«Beh, almeno hai imparato a non mangiare più spillatrici e rossetti. Io mi tagliavo i capelli da sola e non ho ancora smesso.» ammette l’altra, indicando le ciocche disordinate che spuntano dal cappellino di lana e stavolta è il suo turno a concedersi una risata mentre Piper gli assesta una gomitata scherzosa ma che probabilmente gli lascerà un livido.
 
E pensa che vorrebbe baciarla, che vorrebbe farlo anche se sono sul marciapiede davanti al portone del palazzo di Piper: un palazzo di gente per bene da cui esce gente per bene con tanto di pellicce e borse griffate e un po’ si sente osservato con le sue vecchie scarpe da ginnastica ai piedi. «Non c’è posto in cui mi senta meno a mio agio. Non riesco ad essere quel che gli altri pensano dovrei essere, qui dentro.» gli aveva confessato ed ora sono solo loro due a morir di freddo, ma Piper si limita ad abbracciarlo – ed è a tratti imbarazzante e difficile sentirsela così vicina- , lo saluta canticchiando un canzoncina totalmente inventata che recita più o meno “Odio questo palazzo/ogni mattone uno per uno/Jason Grace sei un gran bel ragazzo” e somiglia pericolosamente ad uno degli orrendi haiku che Apollo tenta di comporre di tanto in tanto.
La vede scomparire dietro la pesante porta e rimane imbambolato per quelli che potrebbero essere pochi secondi come dieci minuti, si sente un cretino, fa per prendere il telefono e rispondere a Leo e si incammina sperando di riuscire ad essere a casa prima che sua madre cominci a chiamare per un motivo qualsiasi.
 
«Jason!»

È la voce di Piper: si volta per vederla corrergli incontro con la sciarpa penzolante ed il cappello in mano: nella luce del tramonto i suoi capelli prendono una strana sfumatura rossastra a cui non aveva mai fatto caso ma che gli piace parecchio.

«Ho dimenticato una cosa!» gli dice, preoccupata, «Pensavo te ne fossi già andato!»

E non fa in tempo a chiederle cosa – e sarebbe un po’ imbarazzante spiegarle che è davvero rimasto sotto al suo palazzo per non sa quanto tempo- ché Piper lo bacia. Nessun bacio sulla guancia, nessun bacio da tredicenni, un bacio vero in mezzo al marciapiede, a cui lui risponde con impaccio appena resosi conto di quel che sta succedendo.
Se avesse saputo che le labbra di Piper sono morbide esattamente come immaginava, probabilmente l’avrebbe baciata prima. Se non fosse tanto sentimentalmente impacciato, probabilmente l’avrebbe baciata lui.
Quando Piper si allontana (ed è imbarazzata anche lei? I suoi occhi brillano di una luce che non ha ancora mai visto) lui vorrebbe tirarsela di nuovo addosso, invece lei si sistema i capelli, gli lascia un buffetto sulla guancia, mormora un «Ci vediamo lunedì.» e sparisce di nuovo dietro al portone.
 
Quando il suo telefono squilla e sua madre, nella sua solita voce flebile e la sua pessima imitazione di una madre vera, gli chiede dove accidenti sia lui risponde con una risata ed un «Probabilmente in paradiso». Alla seconda domanda («Sei fatto, Jason?») non risponde e liquida la faccenda con un ci vediamo dopo e riattacca: non ha tempo per certe formalità, al momento.
 
 
La sesta volta in cui ci prova, Jason decide che ce ne sarà almeno una settima se non anche un’ottava.
   
 
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