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Autore: Ortceps    30/12/2015    2 recensioni
In questa FF Eragon e Murtagh non sono fratelli.
Sono passati due anni dalla caduta dell’impero; la vita di Eragon sembra scorrere serenamente lontano da Alagaesia, ma il destino sembra volerlo mettere nuovamente alla prova, questa volta in un ruolo diverso da quello di eroe. Dovrà dare prova di se stesso come padre.
Dalla storia:
Ma alla fine si sa, che ti piaccia o no è sempre quella furia impazzita che noi chiamiamo destino a presentarsi alla tua porta e a scaricarti un figlio. Della serie “Din-don; apri questa dannatissima porta e prenditi questo dannatissimo bambino” per poi aggiungere con un sorriso da sberle “Congratulazioni sei diventato padre!”
Va bene, forse non era andata proprio così. Ma alla fine il concetto era quello e lui si era ritrovato a crescere un bambino, senza avere la minima idea di cosa fare.
*
La prima persona a cui aveva pensato di lasciare il piccolo era stata Nasuada e immaginare a come sarebbe potuta andare se lo avesse portato da lei gli metteva i brividi.
“No Nasuada, non sono tornato perché ti amo; volevo solo chiederti se potevi occuparti di mio figlio, mio e di un’altra donna… Addio”
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Eragon, Murtagh, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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5 – Coscienza

Erano passate solo tre settimane dalla sua partenza da Alagaesia e quasi quattro dall'ultima volta che aveva visto Aiden. Non avere più il bambino tra i piedi lo metteva di cattivo umore; non poter sentire i suoi gridolini, i suoi pianti e i suoi ‘perché?’ era fin troppo straziante.

Alla fine non incolpava Murtagh – o forse sì – perché capiva che quello che l’altro desiderava non era lui e non voleva certo imporgli la sua volontà. Però trovava difficile perdonarlo per avergli portato via quello che per lui era come un figlio; anzi, quello che per lui era la possibilità di guarire le cicatrici di una guerra durata troppo a lungo e che si era instaurata così a fondo nel suo cure da impedirgli di vedere altro.

Senza Aiden e Murtagh tutto ciò che era diventata la sua rutine si lasciava dietro una pozza di amarezza, che faceva ritornare a galla rimpianti che pensava di aver dimenticato. Di notte aveva ricominciato a sognare i volti dei morti.

Pensava di aver dimenticato tutto quel dolore, ma evidentemente non era così. E da un lato si trovava felice del fatto che non aveva dimenticato ciò che la guerra porta, un promemoria costante di quel che gli uomini e le altre creature senzienti potevano portare. Ma dall’altro lato capiva che quei ricordi non erano solamente tali, ma portavano con se insicurezze e paure che l’animo umano fatica a sopportare; portavano con se un’instabilità di quelle tra le più pericolose.

Aveva sempre pensato che la solitudine fosse stare lontani da tutto e tutti, ma non era del tutto vero. Ora comprendeva che la solitudine era amare inutilmente; amare inutilmente non significava solo non essere ricambiati, ma amare così tanto da annullare quasi se stessi.

E lui lo aveva fatto. Aveva riversato tutto quello che aveva su Murtagh e Aiden, da dimenticarsi che c’era altro dentro di lui; aveva vissuto così a lungo in funzione della sua ‘famiglia’ da scordare come era il suo animo. Ora che la sua famiglia non esisteva più la sua vera essenza aveva deciso di ricordargli chi era e lo faceva nel modo più doloroso e dirompente possibile.

Stava distruggendo tutti i muri che aveva creato e riempiva la sua mente con le immagini dei morti e di quella pazzia che aveva portato Galbatorix al potere. Aveva paura di se stesso, perché con tutto ciò che gli stava succedendo non riusciva più a considerare orribile quello che il re aveva fatto. Anzi, lo iniziava a capire. Capiva il suo dolore in modo profondo e superficiale allo stesso tempo. Era come un fiume d’inverno, la superfice ghiacciata nascondeva sotto la corrente impetuosa. E benché la sua mente non riuscisse a capire ciò che l’animo anelava, tutto in lui era un dolore costante; tanto costante ed immutabile che dopo soli tre giorni non lo riconosceva nemmeno più.

Se lo avesse analizzato più tardi nella sua vita avrebbe capito quanto fosse pericoloso; il suo cervello processava pensieri cupi e violenti senza riconoscerli come tali, o facendoli passare per necessari. Se non fosse arrivata quella lettera non avrebbe saputo se avrebbe potuto uscire da quell’incubo che stava diventando la sua vita.

La rondine di pergamena arrivò in un momento imprecisato tra il tramonto e la notte. Si posò sulla sua spalla, accucciandosi come se il lungo l’avesse stancata, lui non si mosse; forse non era nemmeno conscio che lei fosse lì ad aspettare di essere letta. Alla fine il vento della sera lo riscosse e si decise ad aprire il piccolo messaggio.

Le poche righe che recava lo scongelarono.

L’acqua tronò a scorrere in superfice, più limpida e cristallina di quanto non fosse stata prima. Consapevole di quello che poteva celarsi nei suoi abissi. La fitta scrittura di Murtagh recava un invito ad unirsi a loro – loro chi? Si chiese amaramente – nella residenza estiva della regina. Sul retro del foglio di pergamena c’era un disegno fanciullesco di Saphira e Castigo, con a lato tre figure stilizzate che Eragon intuì essere lui e Murtagh e tra di loro Aiden. Sotto di esse le firme di Aiden e Murtagh.

Il cavaliere sorrise nel constatare che il bambino aveva una scrittura più elegante di quella del padre, ma sorrise anche nel constatare che Nasuada non appariva nel disegno o il suo nome tra le firme.

Come era facile al cambio di umore. Erano bastate poche righe e un disegno a farlo tornare consapevole di se. Più felice, ma meno ingenuo; promise a se stesso di non scordarsi di se ancora, ma di convivere con ciò che aveva fatto, portandone le cicatrici, senza però lasciarsene sopraffare.

Partì la notte stessa, mentre con Saphira riordinava le sue emozioni, i suoi ricordi e i pensieri; in modo da riconoscere quelli pericolosi da quelli innocui e ad accettare il fatto che era stato in grado di produrli. Che non era l’eroe senza macchia e senza paura; che in lui, come in tutti gli altri, c’era oscurità e luce in egual misura, ma che aveva un cervello con cui scegliere quale delle due seguire.

Saphira riconobbe anch’ella di non essere stata abbastanza forte da portarlo fuori da quel buco nero in cui era sprofondato, ma non se ne fece una colpa. Non poteva fare nulla per lui se lui non le parlava e l’unica cosa che sapeva è che lo avrebbe fermato se qualcosa d peggio si fosse annidato nel suo animo. Loro condividevano la mente e il cuore, ma entrambi sapevano cosa era giusto e cosa sbagliato e si giurarono a vicenda che se uno di loro avesse perso la ragione l’altro avrebbe dovuto fermarlo, a qualunque costo.

NOTE DELL’AITRICE
Salve gente, sono tornata!!! Immagino vi sarete dimenticati di questa storia dopo tutti i mesi che ci ho messo per aggiornare, ma meglio tardi che mai (spero non vogliate uccidermi per tutti questi mesi di assenza). Non vi sto a spiegare come mai è passato così tanto tempo, storia troppo lunga; piuttosto mi scuso sia per non essermi fatta sentire sia perché il capitolo è corto, ma è solo di passaggio e il prossimo sarà decisamente più lungo (sì, è già in fase di stesura).
Comunque io continuo a ribadire quanto siate fantastici e vi adoro per non aver spostato la storia da preferite/seguite/ricordate, anzi siete cresciuti  Piccoli Funghetti – ho sempre sognato di dirlo e ovviamente la maiuscola è d’obbligo – spero anche che recensirete questo capitolo, ho bisogno di incoraggiamento e calore umano!!!

Bye-bye Piccoli Funghetti

   
 
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