Lo Specchio delle
Anime.
I
want to heal,
I want to feel,
Like I’m close to something real,
I want to find something I’ve wanted all along,
Somewhere I belong.
[Somewhere I belong – Linkin
Park]
Atto I – Tantalos.
Operazione Tantalos: Battuta d’arresto al Governo Shacklebolt?
Hermione Granger mise da
parte il giornale, sbuffando spazientita. Era il terzo articolo in meno di una
settimana che Rita Skeeter pubblicava, andando
spudoratamente contro la politica che il Ministero stava supportando negli
ultimi anni. Già al primo lei aveva provato a far valere l’antica minaccia di
rivelare il suo essere Animagus, vedendosi però
sbattere in faccia una lettera di garanzia da parte del Ministro in persona.
Ecco cosa si ottiene, quando
si scende a patti con il diavolo.
Il suo caffè si stava
velocemente raffreddando a causa del clima rigido che sferzava Londra in quel
periodo. In pochi minuti sarebbe diventato a dir poco imbevibile, ma,
sinceramente, Hermione sentiva lo stomaco completamente chiuso. Non aveva
necessità di leggere l’articolo, sapeva bene che sarebbe stato uguale agli
altri due: speculazioni sull’operato del Ministero, indizi su possibili talpe,
dubbi sull’operato generale di Shacklebolt.
«Fra tre minuti sarai
ufficialmente in ritardo, sicura di voler distruggere il tuo record?» le chiese
una voce roca, vagamente rasposa, un attimo prima che
il suo migliore amico si accomodasse davanti a lei, con gli occhi iniettati di
sangue ed i capelli ancora più incolti della barba. «Jerry
Stamp, dell’Ufficio per la Cooperazione Magica
Internazionale, non aspetta altro che l’occasione di riprendersi il suo vecchio
titolo»
La giovane alzò gli occhi in
quelli verdi dell’uomo, inarcando le sopracciglia. «Oggi inizio un’ora dopo, il
Signor Hicklebottom è impegnato ad una riunione
privata, prima» gli disse, nascondendo malamente un sorriso. «Jerry Stamp ormai ha perso il suo
primato, non ha saputo ordinare bene le sue priorità» aggiunse, ridendo sotto i
baffi, poggiando le spalle allo schienale della sedia di ferro della
caffetteria.
Harry rise, allungando la
mano per prendere la tazza di caffè ancora intatta. «Ha fatto tardi perché sua
moglie era in travaglio, Herm. Forse sei tu che devi
rivedere le tue priorità» le disse, divertito, prima di bere un sorso dalla
tazza e mandare giù il liquido con una smorfia terrificante. «Per il
perizoma maculato di Godric! Cos’è questa robaccia?» le domandò,
restituendole la tazza come se all’improvviso fosse diventata l’incarnazione di
Satana.
«Ah, sai com’è. Amo il
caffè proprio come amo i miei uomini…» gli rispose, sibillina, facendogli
un occhiolino complice, prima di riappropriarsi del suo carburante mattutino.
Assaggiando, si rese conto di quanto effettivamente fosse nauseabondo. Dovevano
aver sbagliato miscela.
«Tiepidi e con la capacità di
intossicare il resto della tua vita?» continuò il Capo Potter, facendo ancora
le smorfie come un bambino. Poi alzò la mano per richiamare l’attenzione della
vecchia cameriera. «Milly, per favore, un caffè ristretto, amaro come il
veleno» chiese quindi, sorridendo quando la donna gli soffiò un bacio, sparendo
all’interno.
Harry Potter, con la fine
della guerra, aveva perso l’aria da bambino sperduto ed aveva iniziato a
mietere vittime nell’altro sesso con una ritrovata sicurezza. Naturalmente, la
vecchia Milly era soltanto intenerita da quei suoi occhi verdi e dall’aria
trasandata, ma molte altre non facevano che buttarsi ai suoi piedi, a
prescindere dall’età.
Fra queste, non c’era
Hermione Granger, che lo conosceva più di quanto si conoscesse lui stesso. Caffè amaro poteva significare soltanto che il Signor
Potter stesse sopportando i postumi di una terrificante sbornia. Cosa che
spiegava anche il colorito tutt’altro che sano, barba
e capelli da senzatetto e gli occhi iniettati di sangue.
«A che ora hai smesso di
bere?» gli chiese, mettendo su il suo peggior cipiglio severo, quello che da
ragazzi sapeva costringere lui e Ronald a studiare. Incrociò le braccia al
petto, con uno sbuffo scontento. «Gin ti ha visto?»
Colpevole, Harry si grattò
distrattamente il mento. Il modo in cui evitava lo sguardo dell’amica era
un’implicita ammissione di colpevolezza. «Ho finito il turno alle tre. Gin è uscita
di casa alle sei. Non ci siamo incrociati» mormorò, accettando con un sorriso
la tazza che la vecchia cameriera gli stava porgendo. «Non guardarmi così,
Hermione, non ho bisogno del tuo biasimo. Non sarei riuscito a dormire, quindi
meglio ubriaco che impazzito per gli incubi» sbottò, prendendo poi una lunga
sorsata. «Ha messo lo zucchero, come temevo. Quella donna mi tratta come se
fossi un bambino»
Hermione non perse lo sguardo
carico di disapprovazione, nonostante si fosse velato di una certa apprensione.
Accavallò le gambe, restando poggiata allo schienale, nella posizione che
solitamente assumeva durante i processi, quando toccava a lei fare le domande.
«Quanti ne hai persi, ieri?»
L’Ex Bambino Sopravvissuto
scosse il capo, sospirando. Le smorfie continuavano a deformargli il viso, man
mano che beveva il suo caffè. «Non è morto nessuno,
ma ci sono andati vicino» disse, posando la tazza vuota a metà. «Ormai succede
ogni volta che mi agito molto e, considerato il mio lavoro…»
Hermione si accigliò. «Da
quanto tempo non dormi come si deve, Harry?» gli chiese, piegando il capo nel
tentativo disperato di incrociare il suo sguardo sfuggente.
Potter strinse le labbra,
infossandosi di più nella sedia di ferro. Il lungo cappotto nero oscurava
parzialmente il suo viso, ma non abbastanza e, sicuramente, non ad Hermione.
«Che giorno è oggi?» rispose, retorico, sospirando e rialzandosi quando l’altra
lo fulminò. «Herm, non lo so, ok?
Per adesso riesco a tenere tutto sotto controllo, non devi preoccuparti».
«Un Capo Auror con i riflessi
distrutti dal sonno non è utile. Soprattutto non adesso, con questo processo
che pende come una Spada di Damocle su tutti noi» lo
riprese la donna, seria, allungando la mano per afferrare quella dell’amico.
«Devi andare a farti visitare da un Guaritore, Harry, non puoi continuare
così».
Potter sbuffò, come quando
era ragazzino. «Ti ho detto che ho tutto sotto controllo, va bene? Non è niente
di grave, davvero» tentò di rassicurarla, con un sorriso stiracchiato. La
rigidità dei suoi muscoli urlava proprio il contrario, Harry Potter non aveva
mai imparato a mentire. Non con lei.
«Sta peggiorando» lo riprese
lei, incrociando nuovamente le braccia la petto. «Prima ti capitava
saltuariamente quando perdevi qualcuno in missione. Adesso ti capita almeno due
volte alla settimana. La frequenza è aumentata e non puoi negarlo».
Il Bambino Sopravvissuto
abbassò per un attimo lo sguardo smeraldino, rialzandolo poi con fare nervoso e
sconfitto. «Sto perdendo molte più persone in missione. Sono il più giovane
Capo Auror della storia, sento molto la pressione. Con gli articoli della Skeeter, oltretutto…»
Hermione espirò pesantemente
dal naso, spingendo verso l’amico il giornale. «Ne ha scritto un altro. Questa
volta se l’è presa con Winston Heautcourt,
il Presidente del Winzegamot» spiegò, a denti stretti. I suoi occhi scuri
lanciavano scintille, cosa che fece sorridere l’Auror.
«Coraggio, almeno non ce l’ha
più con te» provò a rassicurarla, nonostante neppure lui fosse pienamente
convinto. «Ci ha dedicato tutto il primo articolo. Come ci aveva chiamati?»
domandò, retorico, alzando gli occhi al cielo alla ricerca della risposta. «Ah,
sì! Progenie di un governo Corrotto».
Hermione chiuse gli occhi,
presa dalla stizza. «Quell’insulsa Banshee marcia, sapevo che sarebbe tornata
alla ribalta. Come si permette?» sibilò, stringendo le mani a pugno. «Se solo
riuscissi a scovare un qualche collegamento con le indagini… Neppure il
lasciapassare del Ministro potrebbe aiutarla» aggiunse, con un ringhio,
sbattendo il pugno sul tavolo, così forte da attirare l’attenzione di alcuni
babbani che facevano colazione.
«Miss Granger?»
La vocina delicata e
spaventata che interruppe lo sproloquio della giovane donna arrivò dalle sue
spalle, facendola balzare per lo spavento. Con un colpo della mano, fece cadere
la tazza di caffè gelido – Harry aveva prontamente salvato la sua, stupidi
riflessi da Auror – che si rovesciò sul suo nuovo tailleur. L’unico bianco
nella lunga schiera di abiti da lavoro.
Meraviglioso.
«Daisy, per Merlino!
Ti sembra il modo di arrivare?» le domandò, nervosa, afferrando una manciata di
fazzoletti dal dispenser sul tavolino, cercando di
salvare il salvabile. L’occhiata divertita che Harry le lanciò, sorseggiando il
caffè salvato, le fece fortunatamente realizzare il tono che aveva usato.
Voltandosi, si rese conto di aver terrorizzato la ragazza. «Scusami, Daisy, mi
hai solo presa di sorpresa. Cosa succede? Dimmi tutto» le domandò, pacata,
imponendosi una calma che Rita Skeeter le aveva
sottratto a forza.
«Il Ministro vuole vederla,
Miss. Dice che è una questione della massima importanza» pigolò la segretaria,
una donnina sulla trentina, così posata e docile da sembrare uscita da una
pubblicità sessista degli anni sessanta. Parlandole, non la guardava negli
occhi, concentrandosi sul torturarsi le mani perfettamente curate. «Mi ha detto
di dirle che riguarda Tantalos».
L’attenzione di Hermione era
stata catturata con quella semplice parola. Per un attimo aveva temuto si
trattasse ancora di sciocche carte da firmare, invece… «Vado subito da lui»
disse, balzando in piedi, prendendo la borsa per pagare il suo caffè.
«Va’ pure, faccio io» la
rassicurò Harry, apparentemente tranquillo. In realtà, i suoi occhi vincolavano
quel caffè offerto ad un successivo resoconto dell’incontro, nonostante
dubitasse che, se fosse stato qualcosa di pericolo, Kingsley
non sarebbe andato direttamente da lui.
Hermione gli sorrise
leggermente, ringraziandolo con un cenno. «Ci vediamo dopo» salutò, toccandogli
la spalla mentre gli passava accanto, seguita dalla silenziosa Daisy.
La donna la tallonava come
un’ombra, ma era evidente il suo disagio. La giovane
donna, comunque, poteva dirsi soddisfatta: solitamente la segretaria tremava,
incontrando altri impiegati. Il Ministro le aveva spiegato che fosse tutto a
causa di un incidente di guerra, però non le aveva mai spiegato cosa, di
preciso, e lei non se l’era mai sentita di indagare. Tutti avevano cicatrici,
che fossero più o meno profonde era poco rilevante.
Giunte davanti alla cabina
telefonica per l’ingresso visitatori, Daisy si fermò sul posto, sgranando gli
occhi. Hermione la vide distintamente torturarsi le dita dal nervoso. «Miss…
temo di non poterla seguire da questo ingresso» esalò, impallidendo. «Non… non
potremmo smaterializzarci?» propose quindi, incrociando per un momento lo
sguardo dell’altra strega e distogliendolo subito, spaventata. Quegli occhi
fantasma, così chiari da sembrare bianchi, trasmettevano un’angoscia
indescrivibile.
Mossa da un istinto
irrefrenabile, Hermione allungò la mano per sfiorarle la spalla, ma lei arretrò
di scatto, trattenendo il respiro. «Va bene, Daisy, non preoccuparti. Possiamo
andare in quel vicolo laggiù» dicendo questo, indicò un vicolo cieco a pochi
metri di distanza. «e smaterializzarci. Non è un problema» la rassicurò,
accennando un lieve sorriso. Il modo in cui si era ritirata l’aveva preoccupata
molto.
«Grazie, Miss» le rispose,
emettendo un lieve sospiro di sollievo. «Sono mortificata, Miss, davvero.
Soffro di vertigini, l’ultima volta che sono passata dall’ingresso visitatori
ho dato di stomaco. I custodi temo abbiano una mia foto appesa nel loro
ufficio, per perseguitarmi» confessò, abbassando il capo per fissarsi le
graziose scarpette a punta, di un bianco così immacolato da far invidia al
tailleur di Hermione prima dell’incidente col caffè.
Quell’immagine la fece
sorridere, più tranquillamente di prima. «Un po’ come Gazza, il custode di
Hogwarts» le disse, alzando gli occhi al cielo, mentre la precedeva verso il
vicolo appartato. «Conoscevo dei ragazzi, sai. Avevano un cassetto interamente
dedicato alle loro malefatte» raccontò, sentendo il cuore pesante al pensiero
di Fred e del modo in cui era stato strappato alla sua famiglia. Quella stessa
famiglia che poi aveva rifiutato anche lei.
«Mi dispiace, Miss, non so di
cosa parla» si scusò la segretaria, dispiaciuta. «Io non ho frequentato la
scuola, i miei genitori mi hanno fatta studiare da privatista» spiegò,
stringendo le labbra rosa acceso, senza smettere di torturarsi le mani. «Qui
possiamo smaterializzarci» comunicò quindi, nascondendosi all’ombra del vicolo,
il nasino arricciato a causa della puzza che aleggiava in quello spazio non
arieggiato.
Prima che Hermione potesse
dire alcunché, la donna scomparve in un pop leggero. Sparita lei, fu
come se un peso si fosse sollevato dallo stomaco della giovane strega,
facendole finalmente riprendere fiato. Una volta un Guaritore le aveva detto
che coloro che avevano subito profonde ferite riuscivano a far innervosire chi
stava loro intorno, senza dire una parola. La loro stessa anima conteneva così
tanto dolore e disperazione da intaccare quelle degli altri. Lei, inizialmente,
aveva liquidato la faccenda come fandonie da psicologi, ma in quel momento non
riusciva più ad esserne certa.
Qualcosa aveva distrutto
l’anima di Daisy Bellefleur. O forse era stato
qualcuno.
Sei inutile, Hermione! Cosa
credi di fare? Sei niente, senza di noi.
No, non era il momento di
rivangare il passato. Erano trascorsi sei mesi dal giorno infame. Sei mesi e quasi
trecento galeoni d’oro in sedute psichiatriche, decisamente non poteva
permettersi di soffermarvisi ancora di più. Il suo conto alla Gringott non era ancora abbastanza solido, se proprio
doveva essere sincera con se stessa.
Doveva raggiungere il Ministro,
ecco qual era il suo compito. Doveva fare l’unica cosa che le riusciva
perfettamente, cioè il suo lavoro.
Chiuse gli occhi, sospirò e,
con un pop, sentì il solito strappo all’ombelico tirarla verso un luogo
completamente diverso. Dai cassonetti rovesciati e dalla puzza d’urina, passò
all’affollato Ingresso profumato di carta e inchiostro, sballottata avanti ed
indietro dagli impiegati ritardatari.
L’unico luogo in cui, ormai,
riuscisse a sentirsi a casa.
Il rumore dei suoi tacchi –
definirli tacchi, in realtà, sarebbe stato un eufemismo – si confuse
nell’accozzaglia dell’ampia sala, il calore del cappotto, confortante quando
esposta al terribile clima londinese, cominciò a soffocarla. Prima di entrare
in ascensore le sovvenne quanto Kingsley fosse freddoloso:
non avrebbe potuto nascondere in alcun modo l’orribile macchia di caffè che
deturpava il tailleur bianco. Poco male, avrebbe avuto tutto il tempo di usare
un incantesimo, prima di essere ricevuta. Doveva soltanto raggiungere un luogo
abbastanza libero dalla calca da poter tirare fuori la bacchetta senza accecare
nessuno.
Harry l’aveva fatto, durante
i suoi primi mesi al Ministero. Troppo imbarazzo da sopportare, per lei che non
era una “Bambina Sopravvissuta”.
«Buongiorno, Hermione»
Entrata nell’affollato
ascensore, la strega venne accolta dal saluto gentile di un mago dai capelli
rossi e con tondi occhiali di corno. Per un attimo pensò di aver incrociato
Arthur Weasley, a causa della stessa leggera calvizie, ma le spalle troppo
magre e l’assenza di rughe le impedirono, fortunatamente, di trasalire.
«Buongiorno, Percy. Credevo
avessi la giornata libera» rispose allora, con un leggero sorriso, spingendo il
pulsante per il Primo Livello. Il terzogenito dei Weasley lavorava nell’Ufficio
per l’Applicazione della legge sulla magia, nella sezione Amministrativa. Tutti
credevano aspirasse a qualcosa di più, ma Hermione, con il resto della sua
famiglia, sapeva bene che la Guerra lo aveva sconvolto così tanto da non voler
più raggiungere le vette più alte. Il potere non era adatto a lui, se concesso
con troppa rapidità.
Il mago si strinse nelle
spalle, spingendosi sul naso gli occhiali. «Devo solo consegnare dei documenti.
Oggi c’è la festa di Dominique, la figlia di Bill» le disse, vagamente
imbarazzato. Alle loro spalle, dei maghi mugugnarono riguardo il caldo che
faceva in quello spazio ristretto. «Credo ti abbiano mandato un… un invito»
aggiunse, grattandosi la tempia. Le orecchie erano diventate rosse più dei
capelli, come accadeva a tutti i membri della sua famiglia se colti in fallo.
Hermione aveva ricevuto, in
effetti, un invito. Ma le era bastato leggere Weasley nel frontespizio per
decidere di buttarlo direttamente nell’immondizia.
«Fai i miei auguri alla
bambina» gli rispose, fissando in modo vacuo le porte dorate dell’ascensore.
Dentro di sé non faceva che ripetersi il mantra
insegnato dallo psicologo: tu sei abbastanza forte, tu sei abbastanza forte,
tu sei abbastanza forte… «Manderò un regalo, questa sera, non appena finirà
il mio turno»
Al suo fianco, Percy Weasley
sospirò. «Ho provato a convincere mia madre che non fosse il caso, ma lei non
ne ha voluto sapere nulla. Mi dispiace che quelle sue attenzioni ti turbino»
Hermione gli lanciò soltanto
un’occhiata in tralice, stringendosi la borsa al fianco, pur di tenere le mani
occupate. «Molly Weasley non si lascia convincere neppure dall’evidenza»
Percy aprì e chiuse la bocca
un paio di volte, come un pesce fuor d’acqua. Fra tutti, lui era l’ultimo che
lei avrebbe voluto mettere in difficoltà, visto il supporto che le aveva dato.
Ma non poteva proprio farne a meno.
«Hermione…»
“Primo Livello, Ufficio del Ministro della Magia” disse la voce
meccanica, salvando entrambi i giovani impiegati da una discussione tutt’altro che proficua.
Hermione si affrettò ad
uscire, voltandosi soltanto un attimo per assicurarsi che lui non la seguisse.
«Buona giornata, Percy. Fai i migliori auguri alla bambina»
Le porte dorate si chiusero
sullo sguardo azzurro del terzo Weasley, sconfitto e mortificato. Hermione
cercò di non pensare a quante fatiche le sarebbero state risparmiate, nel caso
in cui quegli stessi occhi fossero appartenuti ad un altro fratello.
«Miss Granger! Miss!»
la vocina stridula di Daisy la raggiunse un minuto prima che le sue dita dalle
unghie perfettamente curate le artigliassero il braccio, strattonandola con
violenza verso l’ingresso dell’Ufficio. Era decisamente più forte di quanto il
suo metro e sessanta non lasciasse intendere. «Il Ministro non fa che
sbraitare, deve vederla immediatamente!»
Nel silenzio del piano – Kingsley era un ex auror in tutto e per tutto, odiava la
confusione – i tacchi delle donne facevano un rumore paragonabile agli spari di
un cannone. Un paio di impiegati le osservarono, mentre una trascinava l’altra,
ma si limitarono a sorridere sotto i baffi e tornare al proprio lavoro. La
stessa Hermione, col fiato corto per quella corsa fuori programma, sapeva bene
quanto il Ministro facesse correre i suoi sottoposti, Daisy più di tutti.
Quella non doveva essere una scena così fuori dal normale.
«Non si spaventi se lo sente
urlare, Miss» le disse la segretaria, correndo, senza avere neppure un accenno
di fiatone. «Il suo ospite lo ha fatto molto innervosire, potrebbe volerci un
po’ prima che riesca a recuperare la calma» aggiunse, fermandosi davanti alla
grande porta in legno intarsiato, con inciso “K. Shacklebolt – Ministro della
magia”. Mollata la presa sulle braccia della ragazza, le tirò via il cappotto
senza troppe cerimonie e, con un’ultima occhiata che doveva essere incoraggiante,
socchiuse l’entrata. «Miss Granger, Ministro»
Hermione era troppo sconvolta
da quella dimostrazione di forza, per reagire. Si limitò quindi a fissare il
retro del suo vestitino rosa, la bocca spalancata, imponendosi il minimo di
contegno necessario per non fare la figura dell’idiota davanti al Ministro ed
al suo ospite, quando l’assistente la spinse dentro, senza tante cerimonie.
«Bella macchia, Granger.
Fammi indovinare, è una moda babbana?»
Un brivido corse lungo la
spina dorsale di Hermione, sentendo quella voce. I suoi occhi si posarono
lentamente dapprima su un paio di scarpe nere, eleganti, più costose di sei
anni di terapia dallo psicologo, poi su gambe lunghe e sottili, fasciate da
pantaloni di un completo più costoso delle scarpe, infine, dopo un torace magro
ma non più scheletrico, arrivarono ad un viso affilato ma non troppo, coperto
da un filo di barba bionda come i capelli perfettamente ordinati, e a degli
occhi di diamante.
«Malfoy, cosa accidenti fai
qui?» ringhiò, stringendo i pugni ai fianchi, prima di ricordarsi della
terribile macchia di caffè sul completo. Allora incrociò le braccia al petto,
nel tentativo di salvare il salvabile.
L’uomo sorrise – un accenno
di movimento delle labbra, un lieve piegarsi che lei interpretò come un sorriso
di scherno, ma che sarebbe potuto essere qualsiasi cosa – mentre la squadrava.
I suoi occhi indugiarono su tutta la sua figura, per poi soffermarsi sul suo
viso. «Anche per me è un piacere, Granger, sono estasiato all’idea di lavorare
insieme».
Hermione fu tentata di scoprire i denti come
un gatto infuriato, ma le ultime parole del giovane la fecero immobilizzare.
Lavorare insieme?
Il Ministro dovette percepire
la sua tensione, perché si schiarì la voce. «Signor Malfoy, la contatterò non
appena avremo maggiori dettagli» disse, alzandosi in piedi e porgendo la mano
all’ex Serpeverde, in un chiarissimo invito a levarsi dai piedi. «Al momento,
l’appuntamento resta fissato per venerdì dieci settembre alle otto»
Malfoy, impeccabile, si
rialzò, abbottonandosi la giacca elegante, da vero gentiluomo.
Spostando solo allora gli occhi da Hermione, strinse la mano al Ministro e
disse qualche parola di commiato, che la strega non riuscì ad udire, tanto
forte era il rumore del battito cardiaco nelle orecchie. Con la sua cadenza
elegante, la fronteggiò e, estraendo la bacchetta dalla manica, con un gesto
così veloce che lei faticò quasi a scorgerlo, gliela puntò contro, mormorando «Tergeo».
Insieme alla macchia,
Hermione sentì sparire anche tutto il sangue dal suo cervello.
«A venerdì, Mezzosangue»
la salutò quindi il mago, con lo stesso sorrisino sottile, superandola ed
uscendo dall’Ufficio, chiudendosi delicatamente la porta alle spalle.
Gli occhi scuri della strega,
così asciutti da bruciarle, si puntarono allora sul Ministro, tornato a sedere
dietro la sua massiccia scrivania di legno. Shacklebolt ebbe il buongusto di
mostrarsi imbarazzato, mentre le indicava la poltroncina accanto a quella che
era stata occupata fino a quel momento da Malfoy.
«Stava scherzando, giusto?»
«Il signor Malfoy sarà il tuo
collega e consulente nelle indagini, iniziate venerdì alle dieci»
Non stava scherzando.
*** *** *** ***
»Marnie’s Corner
Questa è una storia di
supporto a Draco Malfoy. Fai un’opera buona ed adotta
anche tu un povero Serpeverde Incompreso.
Prima
di tutto, coordinate generali:
»
Ci troviamo a sei anni di distanza dalla Battaglia di Hogwarts, naturalmente
i primi sette anni scolastici hanno seguito il loro corso esattamente come previsto dai
libri.
»
Hermione ed Harry lavorano al Ministero, lei è sottosegretario alla Sezione
Inquisitoria (L’ho inventata io, non preoccupatevi se non la ricordate, si
occupa di svolgere le Indagini per i processi più importanti) del Winzegamot,
lui, invece, è un Capo Auror.
»
Se amate Ron Weasley, mi dispiace, avete sbagliato totalmente fan fiction.
Ancora non è stato detto nulla, ma la Donnola avrà una parte importante,
andando avanti. E no, non in senso positivo. Perdonatemi, ma io non lo posso
soffrire.
»
Ci sarà la comparsa di vari personaggi presenti nella saga, sia Harry che Ginny
avranno ruoli fondamentali. Quanto agli altri, sono i miei bambini.
Grazie
infinite se siete arrivati fin qui, per me significa molto.
Mi
rendo conto che sia un incipit trito e ritrito, la solita Dramione
che inizia con loro che si detestano ma devono lavorare insieme e tante belle
cose. Sono caduta nel clichè, lo ammetto. Ma ci sono tante altre cose che spero di poter trasmettere, andando avanti.
Vi
chiedo una possibilità, tutto qui. Fatemi sapere cosa ne pensate ed io mi
prostrerò ai vostri consigli, con tutta l’umiltà possibile.
Come
ho già detto, questa è una storia nata per esprimere il mio amore per il povero
Draco, che però non sarà mai trattato con i guanti.
Hermione è una donna con attributi, non si fa mettere i piedi in testa da
nessun Malfoy.
Attendo
vostre notizie,
-Marnie