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Autore: Adeia Di Elferas    31/12/2015    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ La prima votazione aveva portato a un nulla di fatto. Certo, Marco Barbo si era avvicinato pericolosamente alla vittoria, ma per fortuna non ce l'aveva fatta.
 “Siete folli! Quello non ha il taglio per essere un capo di Stato!” aveva controbattuto qualcuno, appena dopo lo spoglio elettorale.
 “Quello è un asceta, un santo! Non un papa!” aveva rimarcato qualcun altro.
 Le proteste sulla eventuale elezione di Barbo furono tali e tante che venne da chiedersi chi mai l'avesse votato, visto che ora tutti lo indicavano come impossibilitato a fare il papa.
 L'unica cosa certa, alla fine del giorno, fu che nessuno o quasi avrebbe più votato per Barbo. Ma era anche chiaro che la il conclave era immerso nella più nera delle confusioni.
 Era stato allora che Rodrigo Borja aveva cominciato a spingere per Juan Margarit i Pau, uno spagnolo come lui, ma molto più vecchio. Aveva capito bene che per lui non c'era speranza, a quel conclave, malgrado le elargizioni, i favori e le minacce fatte in quelle ore. Però, con un po' di fortuna, gli altri porporati avrebbero accettato di appoggiare quel vecchio di salute cagionevole, usandolo come papa di transizione. Dopo il suo breve regno, Rodrigo si sarebbe riproposto e sarebbe diventato finalmente papa.
 Mentre perorava la sua causa – sorprendendo per il suo entusiasmo Juan Margarit i Pau per primo – Rodrigo Borja si accorse immediatamente che c'era un altro candidato che stava velocemente guadagnando consensi.
 Giovanni Battista Cybo stava infatti parlottando con un gruppetto di elettori, spiegando come una stabile alleanza con Napoli e Firenze avrebbe portato ad anni di pace e stabilità per la Santa Madre Chiesa.
 Rodrigo Borja, con meno forza, proseguì nella sua campagna elettorale, ma sapeva bene che i veri giochi sarebbero cominciati al calar del sole.

 Quella notte Giovanni Battista Cybo non chiuse occhio. Andava da una cella all'altra e dispensava promesse e danaro, nonché velate minacce, e in ogni sua frase veniva citato in modo più o meno velato il nome dei Medici.
 Giuliano Della Rovere, che per tutto il giorno si era tenuto sul vago, circa la sua posizione, accolse nella sua cella Cybo a braccia spalancate. Sentì con attenzione le proposte di quell'uomo dall'aspetto fragile e convenne nel dire che era lui, il papa giusto per quel periodo burrascoso.
 Cybo fu pieno di gioia nel vedere la reazione di Giuliano, perchè la sua parola aveva molto peso, in quanto era un uomo abbastanza ricco da poter accontentare anche le tasche degli incontentabili.
 Così, dopo quella visita, a vagare per le stanze buie del Vaticano erano in due ed entrambi veicolavano il medesimo messaggio: “Domani mattina votate Giovanni Battista Cybo, se no...!”

 La mattina seguente, il 29 agosto, si tenne la più rapida delle votazioni.
 Quando si procedette con lo spoglio, fu evidente fin da subito che il conclave aveva deciso. Giovanni Battista Cybo era il nuovo papa.
 Rodrigo Borja osservava torvo il nuovo Santo Padre mentre riceveva i complimenti di tutti e si apprestava a sottoporsi a tutti i riti del caso.
 Al suo fianco, notò lo spagnolo, c'era un Giuliano Della Rovere fin troppo allegro. Per essere tanto felice di quella nomina, era ben certo che aveva avuto il suo ruolo in quella elezione...
 Poi guardò Francesco Todeschini Piccolomini, l'uomo che tanto era stato detto essere il favorito a quel conclave... Lui era il cardinale protodiacono, dunque sarebbe spettato proprio a lui annunciare a Roma: “Habemus papam...”
 Ah, quanto sapeva essere perfida, la sorte. E probabilmente era proprio quello che stava pensando il cardinale protodiacono, dato che aveva l'espressione di chi sta cercando di inghiottire una rana velenosa.

 “Mia signora – disse il messaggero, inchinandosi – mio signore.”
 I Conti Riario erano nella sala delle udienze, richiamati entrambi d'urgenza per una notizia della massima importanza appena arrivata da Roma.
 Girolamo stringeva il pugno sul bracciolo della sedia e osservava la staffetta con un misto di agitazione e aspettativa. Nella sua mente instabile si stava facendo strada l'ipotesi che suo cugino Giuliano potesse essere stato eletto papa e quindi che per prima cosa avesse deciso di restituirgli tutti i suoi privilegi, ivi compreso il permesso di entrare a Roma.
 Caterina ascoltava con un certo distacco, da giorni convinta del fatto che ormai Roma non era più affar suo.
 “Il conclave ha eletto un nuovo papa.” proseguì il messaggero, ancora inginocchiato: “Trattasi di Giovanni Battista Cybo, che si impose il nome di Innocenzo VIII. Verrà ufficialmente incoronato il dodici di questo settembre.”
 Girolamo Riario rimase a bocca spalancata. Come potevano aver eletto quell'insulso Cybo? Perchè non avevano eletto Giuliano? Ma che avevano nella testa quegli zucconi?
 Caterina sospirò. Era una scelta abbastanza prevedibile. Barbo era veneziano e aveva l'appoggio di Milano. Borja era un intrigante. Piccolomini non aveva saputo imporsi e Conti si era bruciato nel momento in cui lei aveva preso Castel Sant'Angelo. Era quasi ovvio che alla fine venisse scelto Cybo, fantoccio dei Medici e chissà di chi altro...
 “Questo è tutto quello che mi è stato detto di riferire.” terminò il messaggero, aspettando il benestare dei signori di Forlì per potersi congedare.
 Mentre Girolamo ancora restava a bocca aperta, con gli occhi persi, Caterina accordò il saluto al messo vaticano: “Grazie, siete libero di andare.”
 Appena la staffetto se ne fu andata, Caterina si alzò dalla sua sedia imbottita, tenendosi la pancia, e disse alle guardie che stavano in piedi alla destra e alla sinistra del palchetto: “Se qualcuno mi cerca sono nelle mie stanze.”
 “Ma adesso dovremmo rispondere alle questue della città...!” disse Girolamo, con un filo di voce.
 “Dite al Conte Riario che è appunto lui il Conte e il signore della città. Io sono solo una povera donna incinta che necessita riposo.” fece Caterina, ancora rivolta alle guardie.
 Girolamo la guardò allontanarsi, impotente. Da quando era tornata da Roma, Caterina non gli aveva ancora rivolto direttamente la parola. Inoltre, anche se erano passati pochi giorni dal suo arrivo, non lo aveva ancora affiancato nemmeno per un momento nello svolgere le attività legate all'amministrazione della città. Era una situazione orribile. Girolamo non sapeva cosa fare e cosa dire e voleva sopra ogni cosa che sua moglie tornasse a consigliarlo. O, ancora meglio, tornasse a comandare al suo posto.

 Caterina fece chiamare il medico di palazzo, quel pomeriggio.
 Il bambino tardava a nascere e lei non riusciva più a sopportare quello stato. Di tutte le gravidanze avute fino a quel momento, quella si stava dimostrando la più difficile.
 Il dottore la rassicurò, dicendole che, per quello che si poteva capire, il bambino stava bene ed era vigoroso. Forse era grosso e per quello le dava tanto fastidio. Tuttavia, per quanto i calcoli potessero essere precisi, poteva starci un ritardo, anche apparentemente eccessivo. Non dovevano preoccuparsi, almeno fino a che il feto dava segni di vitalità.
 Così Caterina, nei giorni che seguirono, fece per la prima volta vita ritirata, al fine di preservare quella piccola vita che portava in sé.
 Giocava coi figli e raccontava loro le storie di Bianca Maria e Francesco Sforza, e, ogni tanto, ci aggiungeva anche qualche parte nuova, in cui raccontava le sue stesse avventure e quello che aveva fatto mentre era al seguito dell'esercito degli Orsini.
 Cesare e Bianca l'ascoltavano rapiti, i grandi occhi da bambini spalancati e sognanti. Ottaviano, invece, non sempre era dell'uomore giusto e qualche volta, mentre Caterina raccontava, si isolava e non voleva più sentire nemmeno una parola. Questo succedeva soprattutto quando Caterina raccontava della battaglie più recenti.
 Ottaviano spesso le chiedeva: “E nostro padre?” e Caterina si accigliava un po' e rispondeva: “Mentre ero in battaglia vostro padre doveva svolgere importantissimi incarichi per conto di Paolo Orsini.”
 Ma Ottaviano non le credeva fino in fondo e così si arrabbiava e l'accusava implicitamente di dipingere il padre come un codardo, quando invece, il piccolo ne era certo, aveva comandato in prima persona la carica e tutto il resto.
 Caterina non voleva che i suoi figli si vergognassero di Girolamo, ma non poteva nemmeno mentire più di quello che già faceva. Se non glielo avesse detto lei, di certo prima o poi avrebbero sentito delle chiacchiere sul loro padre e avrebbero scoperto nel peggiore dei modi che quell'uomo che a loro pareva eroico altro non era che un vile.
 
 L'incoronazione del nuovo papa era arrivata e passata e con lei era sceso sulla penisola italiana l'inverno.
 Il tempo della nascita del quarto figlio dei Conti Riario sembrava essere quasi arrivato, anche se quel bambino si faceva desiderare più di ogni altro.
 Al nord scesero le prime nevi e arrivarono le prime gelate. Anche a Forlì, spesso, al mattino le piante erano piene di brina e verso sera le temperature si facevano tanto rigide da far tremare tutti come foglie.
 Gli inverni stavano divenendo sempre più rigidi e sempre più lunghi...
 Era la notte tra il 29 e il 30 ottobre e Caterina aveva dei dolori che conosceva bene. Se tutto fosse filato liscio, in meno di ventiquattr'ore avrebbe dato alla luce il suo quarto figlio.
 Chiamò una delle balie e le chiese di andare a recuperare il medico e la levatrice.
 La balia corse subito fuori, ancora in abiti notturni, senza badare a coprirsi e Caterina sperò che non incontrasse Girolamo lungo la strada.
 Speranza mal riposta.
 Infatti dopo pochi minuti, Girolamo entrò nella stanza come un ciclone. Indossava solo il camicione da notte e aveva i capelli tutti arruffati.
 “Sta per nascere?” chiese, senza fiato.
 “Vattene!” ringhiò Caterina, mentre una contrazione la faceva contorcere nel letto.
 “Perchè?!” chiese Girolamo, gonfiando il petto con un coraggio non suo: “Io voglio restare! Io vi amo e resterò qui!”
 Caterina, mentre riprendeva fiato, gli fece segno di avvicinarsi. Non appena Girolamo, con un sorriso incerto, fu al suo capezzale, ella chiese: “Sicuro di amarmi?”
 Girolamo annuì con forza, esltato dal tono apparentemente pacifico della moglie: “Vi ho sempre amata come nessun'altra. Vi ho sempre amata moltissimo, vi amo più di quanto io ami me stesso.”
 “Quante bugie...” sussurrò Caterina, scuotendo appena il capo. Stava sudando freddo e non vedeva l'ora che arrivasse la levatrice per avere una scusa valida per buttare fuori dalla stanza Girolamo.
 “Non sono bugie...” tentò l'uomo, sentendosi mancare la terra sotto i piedi. Si era solo illuso... Sua moglie lo odiava come sempre.
 “Se tu mi amassi, non saresti scappato, saresti rimasto accanto a me a prendere Castel Sant'Angelo. Tu ami solo te stesso...” fece Caterina, prima di essere scossa da una nuova contrazione.
 Girolamo attese che la moglie si riprendesse e, non sapendo come controbattere, la lasciò proseguire: “Sai, io vorrei amarti, davvero...” disse Caterina, la voce spezzata per il dolore del travaglio che ormai stava prendendo il sopravvento su ogni altra cosa: “Davvero, vorrei amarti, almeno un poco, perchè se ti amassi, forse, riuscirei a perdonarti per tutte le tue colpe e le tue mancanze e per tutte le imposizioni e per tutto il dolore e per tutto il ridicolo e per le umiliazioni e per tutto l'odio che hai gettato su di me...”
 Girolamo stava per dire qualcosa, la bocca appena aperta, quando entrarono di corsa il medico, la balia e la levatrice, che lo fecero uscire immediatamente dalla stanza.
 Da dietro la porta, Girolamo sentì la moglie urlare di dolore e la levatrice dire concitatamente qualcosa.
 Come un bambino impaurito, l'uomo si accasciò in terra, appoggiandosi al muro e mentre le orecchie gli rimbombavano, cominciò a piangere sommessamente in modo inconsolabile.

   
 
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