Credits:
i personaggi appartengono a Hajime
Isayama, mentre la fanfiction appartiene a shotgunsinlace.
Mia è solo la traduzione
:3
"La temperatura è piuttosto alta per essere
ottobre." Disse Eren, passando sopra ad un ramo caduto.
Indossava un giubbotto che gli arrivava al ginocchio, castano come i
suoi capelli, ed una delle sciarpe di Levi attorno al collo. Chi
avrebbe mai detto che la temperatura avrebbe potuto intaccare un
fantasma? "Questo posto è particolarmente rigoglioso."
Levi
emise un grugnito per fargli capire che lo stava ascoltando.
Dopo
aver passato una settimana da Erwin, quando Eren gli aveva chiesto di
fare una passeggiata lo aveva accontentato.
L'uomo non aveva
passato molto tempo ad aggirarsi per la foresta che circondava casa
sua, Eren invece sì. Era noioso, gli aveva detto, stare solo per
giornate intere. Levi si era sentito terribilmente in colpa, quando
gli aveva detto quella cosa, perché era passato un intero mese senza
che il ragazzo osasse lamentarsi. Era troppo felice dei momenti
passati in compagnia.
Con le mani dentro le tasche, Levi
continuò a camminare tra gli alberi, rocce e rami secchi. Stava due
passi dietro al fantasma, che andava avanti come se già conoscesse
il sentiero. Magari era proprio così. "Il corso d'acqua
dovrebbe essere vicino," Gli disse. "Mi sembra di
sentirlo."
Era snervante quanto la vista e l'udito del
ragazzo fossero fini, ma Levi scosse la testa ed evitò di
rimuginarci sopra. Aveva già condiviso un letto col fantasma in
questione: le cose non sarebbero potute peggiorare.
Effettivamente
poco dopo sentì lui stesso lo scrosciare dell'acqua.
Continuarono
a camminare per mezzora, tanto che l'uomo iniziò a pensare di aver
preso il percorso sbagliato. Era da un po' che sentiva il rumore
dell'acqua, eppure non aveva ancora visto nessun ruscello. Il
pomeriggio stava divenendo lentamente sera e il tepore stava sparendo
assieme al Sole.
Di fronte a lui, vide Eren scalare una salita
ripida, voltarsi a guardarlo per essere certo di venire seguito.
"Dai, Levi. Non sei così vecchio. Pensavo che riuscissi
a starmi dietro."
Simpatico, considerando che
probabilmente il moccioso non aveva alcun peso da sopportare. "Sto indossando le
scarpe che uso all'ufficio," Fu la sua risposta ed Eren rise.
"Quanto manca ancora?"
"Siamo quasi
arrivati."
Scalarono una collinetta e, se non fosse stato lui
stesso ad aver camminato fino a quel punto, avrebbe potuto giurare di
trovarsi in un posto del tutto diverso.
Del fiumiciattolo non
si vedeva l'inizio né la fine, la sua acqua limpida bagnava le rocce
disposte come piccoli gradini, creando candide cascatelle. L'erba
stava ingiallendo lungo le sue rive, a causa delle rigide temperature
d'inizio inverno. I massi che costeggiavano il corso d'acqua erano
coperti da uno strato di muschio e odoravano di terra.
Levi
sorpassò Eren, avvicinandosi alla costa incuriosito. Era di una tale
bellezza, quel posto, che venne improvvisamente colpito dal desiderio
di immergere i piedi nell'acqua gelida.
"E' bello, vero?"
Gli chiese Eren, fermandosi al suo fianco, attento a non scivolare
sul muschio. "Un po' lontano, ma la camminata ne vale la
pena."
"Sembrava più vicino."
Il
ragazzo annuì. "Già."
Godendosi il silenzio,
l'uomo si prese il suo tempo ad esplorare il paesaggio di fronte a
lui, cosa che lo fece calmare. Avrebbe potuto addormentarsi in un
posto del genere, se ne avesse avuta la possibilità. Il ruscello non
produceva un rumore ritmico, ma seguiva il suono della natura.
Un
movimento dall'altra parte del fiumiciattolo catturò la sua
attenzione, ma tutto quello che vide fu l'ombra di un cervo tra gli
alberi. Cercò di seguirlo con lo sguardo, ma più si allontanava e
più faticava a vederlo, grazie anche al buio che stava iniziando a
calare. Il tramonto stava prendendo posto al pomeriggio, quindi
avrebbero dovuto presto tornare a casa.
Voltandosi, notò che Eren
non era più al suo fianco.
"Eren?"
L'uomo si
voltò dall'altra parte, ma le uniche cose che vide furono alberi
morti e acqua scrosciante.
"Avresti potuto almeno
avvisarmi prima di allontanarti, eh." Disse. Quando non
ricevette alcuna risposta sentì l'irritazione iniziare a ribollirgli
nello stomaco. "Non ignorarmi, moccioso."
Fece
qualche passo in avanti, guardando tra gli alberi senza allontanarsi
troppo dalla riva. Stava iniziando a fare freddo, ma non a causa
della presenza di Eren. Ormai stava scendendo la notte e aveva
bisogno di tornare a casa, prima di ritrovarsi in un bosco senza
nulla se non l'applicazione della torcia nel cellulare.
L'unica
cosa che poteva fare era sperare che Eren conoscesse abbastanza bene la
via di ritorno.
Un movimento periferico lo fece voltare, ma
ovviamente non vide nulla. Senza la luce del Sole, le ombre
sembravano prendere vita, inghiottendo la foresta nel buio. Qualcosa
gli diceva che non gli sarebbe piaciuto trovarsi lì, se fosse
accaduto qualcosa.
Vide nuovamente qualcosa e non poté dare
nuovamente la colpa all'immaginazione. Questa volta non si girò a
guardare. Non voleva guardare, perché nonostante sapesse che
non avrebbe visto nulla tra gli alberi, avrebbe potuto. Non sapeva
cos'avrebbe fatto, in quel caso. Lottare? Scappare? Chiamare
aiuto?
Si fermò e inspirò a fondo.
Non c'era nulla di
cui avere paura, al buio. Non esistevano i mostri, anche se
condivideva la casa con un fantasma. Nulla sarebbe potuto saltare
fuori da un cespuglio e mangiarlo e, magari, se si fosse dato una
mossa, sarebbe riuscito ad uscire dalla foresta prima che fosse
completamente buio.
Il problema era che non riusciva a muovere
i piedi, per qualche motivo.
Il cuore sembrava volergli
esplodere nel petto, tuttavia l'uomo cercò di calmarsi e mise le
mani in tasca, in modo da tenerle calme. Era un attacco di panico,
quello? Non gliene era mai venuto uno. Non avrebbe saputo come
comportarsi, se lo fosse stato.
Un altro movimento e questa
volta dovette voltarsi verso di esso. Si voltò per vedere il cervo
bere dal ruscello: era enorme. Non aveva mai visto cervi dal vivo, ma
si sarebbe mai aspettato che fossero così grossi.
Non era
neanche a conoscenza del fatto che fossero neri. O che avessero occhi
completamente bianchi.
"Eren?" Si ritrovò a dire,
anche se il suo fu solo un sussurro.
Nella sua vita Levi aveva
fatto un sacco di cose ed era sopravvissuto ad un numero maggiore di
avvenimenti. Spacciatori, ladri, gang, pure un padre violento. L'uomo
conosceva fin troppo bene le tragedie, la violenza, la morte. Aveva
combattuto contro di loro e ne era emerso vittorioso. Ma c'era
un'altra cosa che continuava a visitarlo, qualcosa che non era ancora
riuscito a sopprimere anche dopo trent'anni di repressione emotiva e
perfetto controllo.
La paura.
In quel momento aveva
paura e quell'emozione gli aveva rubato la voce.
Avrebbe
saltato, pensò, tenendo gli occhi fissi sul cervo che ancora si
stava dissetando, i suoi occhi bianchi e vuoti fissi su di lui. Lo
avrebbe caricato e l'uomo non aveva alcuna arma con cui difendersi.
L'unica cosa di cui era capace sarebbe stato correre e sperare
di non cadere, sperare di arrivare a casa e non essere incornato da
una bestia delle dimensioni del pickup di Erwin.
L'animale
alzò la testa e prese numerosi passi indietro, scrollando il cranio
per mettere in mostra i palchi.
Non c'era la Luna ad
illuminare il sentiero, ma a Levi non importava.
Saltò un
tronco caduto e scivolò su una roccia. Dei rami gli sfregiarono le
guance mentre correva alla cieca nella foresta, perso, perché ormai
avrebbe dovuto aver raggiunto la collinetta rocciosa. Continuò a
scappare perché era bravo a farlo, a correre, ad allontanarsi da
qualsiasi cosa che avrebbe potuto compromettere la sua persona. Non
poteva nascondersi, ma poteva scappare e, se fosse riuscito a correre
abbastanza veloce, per abbastanza tempo, sarebbe forse arrivato a
casa.
Magari avrebbe finalmente raggiunto Eren, il vero Eren e
non il suo eco. Magari avrebbe raggiunto Marie-Elise o Nicolas che lo
guardavano nella sua culla in Calais. Diamine, magari avrebbe
incontrato un Erwin più giovane ad aspettarlo con una coperta calda,
pronto a sedere assieme a lui davanti al suo camino, mentre i suoi
genitori erano fuori città per lavoro.
Levi cadde quando
incontrò rialzamento del terreno e si ritrovò a capitombolare giù
dalla collinetta che aveva scalato assieme ad Eren precedentemente.
Si rimise velocemente in piedi, con l'aiuto dell'adrenalina che gli
scorreva nelle vene, e riprese a correre.
La cavità del suo
petto gli bruciava, gli sembrava che il suo cuore fosse pronto a
collassare, e non c'era niente che avrebbe potuto fare per evitarlo.
Continuò a correre, inciampando senza però scivolare, lontano
dall'oscurità e verso una casa che non riusciva a trovare.
Una
forza invisibile lo pregava di restare, di voltarsi e combattere. Con
cosa? Le tue mani. Ma non poteva combattere solo con le sue mani.
Non c'era modo di riuscire ad afferrare quella cosa e metterla a
terra, non c'era modo di stringergli le mani al collo e soffocarlo.
Se si fosse fermato, la bestia lo avrebbe raggiunto.
Gli
sarebbe entrato dentro.
Avrebbe fatto della sua pelle la sua
casa.
Lo avrebbe consumato, bruciato ciò che non gli serviva
e divorato ciò che gli sarebbe piaciuto.
L'animale, i quali
zoccoli contro la terra producevano un rumore tanto forte da
annullare lo scrosciare dell'acqua, lo stava raggiungendo. Stava
caricando con i palchi pronti ad impalarlo, pronto a sollevarlo da
terra sopra la sua testa.
Levi non smise di correre. Chiamò
Eren, urlò il suo nome, ma nessun suono lasciò la sua bocca. La
pressione sul suo petto lo stava facendo impazzire, ma non si fermò.
Cercò di urlare più forte, correre più veloce, ma tutto quello che
riusciva a vedere erano sempre gli stessi alberi, ancora e ancora.
Non stava correndo in tondo, stava correndo sempre sullo stesso
posto. I suoi piedi non si erano mai mossi. Era ancora davanti al
fiumiciattolo, con quegli occhi bianchi sempre fissi su di lui, occhi
che lo stavano invitando ad attraversare il ruscello, a bagnarsi i
piedi - a uccidere con le sue mani soltanto.
Levi
si svegliò di soprassalto, tremando dalla testa ai piedi. Era zuppo
di sudore, le sue mani erano umide e la cosa lo disturbò più di
quanto avrebbe potuto fare un incubo.
Scalciando le lenzuola e
correndo verso il bagno, ignorò l'assenza di un corpo - il vuoto nel
suo letto.
"Sembri uno zombie."
Furono le prime parole che lasciarono la bocca di Hanji, quando Levi
mise piede nel suo ufficio.
"Che novità." Rispose,
chiudendosi la porta dietro di lui, attraversando il corridoio
diretto all'ascensore, dove avrebbe trovato gli altri ad
aspettarlo.
Hanji rise e gli diede un pugno giocoso sulla
spalla. Se non fosse stato così stanco avrebbe ricambiato, ma al
momento l'unico desiderio che provava era quello di acciambellarsi
sul divano di Erwin e dormire un mese intero. Fanculo pure alla
doccia e al cibo.
"Petra ci aspetta al ristorante."
Annunciò Auruo mentre scriveva qualcosa sul telefono, quando Hanji e
Levi lo raggiunsero.
"Fantastico. Più siamo e meglio è."
Con la sua emicrania, anche il Papa sarebbe potuto uscire con loro e,
senza alcun dubbio, Levi gli avrebbe detto di tacere se avesse
parlato a voce troppo alta.
Come la prima notte che aveva
passato in via Ashbury, l'uomo si era trovato nelle condizioni di non
poter guidare, ma l'aveva fatto. Si era messo dietro il volante e
aveva percorso il tragitto di due ore in un'ora e mezza ancor prima
dell'alba.
Era stanco, dolorante e le sue mani non sembravano
voler smettere di sembrargli bagnate. Non bagnate nel senso di
sudate, ma insanguinate. Non importava quanto le lavava,
il sangue era lì. Invisibile, ma c'era.
"Levi," Lo
chiamò Erwin, piano e gentilmente. Toccò il suo gomito, facendolo
sussultare. L'ascensore aveva aperto le porte e tutti gli altri
stavano aspettando che entrasse. Lo fece, ma non gli rispose e non
chiese scusa a nessuno.
Vicini com'erano, i suoi amici
mantennero un tono di voce bassa in modo da non infastidirlo
ulteriormente.
Erwin si mantenne a distanze ravvicinate tutto
il tragitto sul marciapiede, soprattutto quando lo vide sobbalzare
violentemente quando un carabiniere a cavallo passò di fianco a
loro.
I due rimasero numerosi passi indietro rispetto agli
altri, in modo da poter parlare indisturbati.
"Prima o
poi dovrai dirmi cos'è successo." Gli disse Erwin, mettendo in
tasca il cellulare e riservando a Levi un'occhiata che probabilmente
avrebbe dovuto farlo sentire in colpa. "Hai bussato alla mia
porta alle quattro di mattina, Levi."
"Lo so cos'ho
fatto." Fu l'unica cosa che gli disse, pentendosi di non essersi
portato dietro gli occhiali da Sole. I raggi di Sole che si
riflettevano sugli edifici gli stavano facendo bruciare gli
occhi.
Erwin tacque, ma quando l'altro non accennò a
continuare, annuì. "Non hai completato la gran parte dei tuoi
rapporti e quelli che mi hai portato erano pieni di errori." Si
fermarono ad un semaforo, attendendo il verde. Il resto del gruppo
aveva già attraversato la strada. "Se hai problemi a
concentrarti, mandameli per email e li correggerò io."
"Posso
fare il mio lavoro."
"Non ti sto dicendo che non ce
la fai," La luce cambiò e la folla li spinse in avanti. "Ma
sono seriamente preoccupato per te."
La preoccupazione
nella sua voce era ovvia, ma a Levi non provocava nessun dispiacere.
Erwin doveva solo tacere e lasciarlo stare. Il conforto che poteva
dargli doveva assumere la forma di cibo, di un divano su cui dormire e
magari di una buona scopata, ma quest'ultima cosa era impossibile, se
Mike non lo avrebbe permesso.
"Sono un ragazzo grande,
ormai," Rispose ironico, giocherellando con uno dei bottoni del
suo cappotto. "Non c'è nulla che una bella dormita non mi
faccia passare."
"Stai da noi, questa notte. Cucina
Mike."
Levi annuì, senza il bisogno di fare il timido o
far finta di pensarci sopra.
Non voleva tornare a casa per un
po', non mentre Eren non c'era. Il vuoto in quella casa lo
inquietava, nutrendo la paranoia che gli aveva provocato
quell'incubo. Il solo ricordo di correre attraverso la foresta gli
faceva stringere il petto.
L'uomo si fermò improvvisamente,
quasi finendo col cadere quando scoprì di non poter andare avanti.
Sentì il panico risalirgli lungo la gola, prima di accorgersi che
era stato solo Erwin, che lo aveva fermato afferrandogli un braccio.
Le persone dietro di loro gli riservarono delle occhiatacce, per
essersi fermati così di colpo.
"Cosa c'è?" Chiese,
confuso dallo sguardo dell'altro uomo. La preoccupazione era ancora
lì, ma ora c'era qualcos'altro. Magari lo stava solo immaginando, ma
Levi poteva giurare di vedere rabbia nei suoi occhi.
"Sei
uscito con qualcuno?" Non era un'accusa: era più una domanda
curiosa. Tuttavia il suo tono di voce era misurato, attento.
La
domanda gli fece alzare un sopracciglio. "Ovviamente no,"
Sbottò, apparendo comunque poco convincente. "Perché ti viene
anche solo-?"
"Hai dei segni sul collo."
I
marciapiedi affollati erano sempre chiassosi, di per sé, ma quel
giorno sembrava quasi che l'universo volesse vendicarsi su di lui. Il
Sole accecante, i pedoni troppo rumorosi. Era certo di aver capito
male. "Ho dei segni sul collo?"
Scrollando il
braccio per liberarsi dalla presa di Erwin, Levi si massaggiò il
polso prima di portarsi la mano sul collo. Effettivamente al tocco era
gonfio.
Erwin sembrò percepire la sua confusione. "Sembra
quasi che qualcuno abbia provato a strangolarti." Disse, col tono
di voce basso abbastanza da farsi sentire solo da Levi.
Ovvio
che Erwin fosse arrivato a pensare che avesse deciso di uscire con
qualcuno. Lui in particolare conosce le sue preferenze, come il suo
bisogno di essere sottomesso tendesse a sfociare nella violenza. Ma i
lividi sul suo collo non erano la conseguenza di preliminari.
Se
la solitudine della sua casa era terrificante, l'espressione di Erwin
fu ancora peggiore. Raramente Levi ha visto quell'espressione sul
volto dell'amico ed ogni volta è peggiore di quella precedente.
Il
suo primo istinto fu quello di dire all'uomo che non aveva idea di come
potesse essere successa una cosa simile, ma una risposta del genere
avrebbe peggiorato la situazione. Non perché Erwin non gli
avrebbe creduto, ma
perché c'era qualcosa che non andava e neanche Levi sapeva cosa
fosse. In tutta
onestà, sarebbe stato meglio se avesse detto che stava uscendo
con qualcuno.
"No." Disse il più basso, voltandosi
sui tacchi, tornando a camminare nella direzione del ristorante.
Avevano ancora solo mezzora di pausa.
"Levi."
"Ho
detto di no," Rispose, senza neanche preoccuparsi di guardarlo.
"Non qui."
Erwin lo raggiunse velocemente, senza
insistere sull'argomento.
Levi doveva trovare una scusa, una
credibile, perché la verità non lo sarebbe stata. Erwin non lo
avrebbe preso in giro, ma non si sarebbe tirato indietro nel portarlo
ad un ospedale psichiatrico. Il pensiero di abbandonare Eren gli fece
venire la nausea.
L'assenza di chiacchiere tra i due non
significava nulla, perché il più alto tra i due continuava a
controllare ogni minima mossa dell'altro. Ogni battito di ciglia e
ogni respiro irregolare, tutto veniva catalogato per uno studio più
approfondito più tardi.
Nel frattempo, Levi cercò qualcosa
che avrebbe potuto distrarlo dai lividi presenti sul suo collo. "Sai
qualcosa sulla caccia?" Gli chiese, spostando l'argomento sulla
prima cosa che gli venne in mente.
Stupido, ma efficiente, se
il modo in cui Erwin sbatté le ciglia e lo guardò potevano dire
qualcosa.
"Mi dispiace, ma non sono mai stato uno da
uscire più del dovuto," Avendo capito che l'altro voleva
cambiare argomento, Erwin decise di fare la persona civile e
continuò. "Quello che posso dirti lo devo aver imparato da
Animal Planet."
Nulla che una ricerca su internet non
potesse sistemare.
"Come mai questo improvviso
interesse?"
"Vivo nel mezzo di una foresta,"
Rispose, scrollando le spalle. "Voglio solo abituarmi al mio
nuovo habitat."
"Però tu non sei un animale."
Sbuffò Erwin, avendo anche il coraggio di apparire quasi
offeso.
Levi lo interruppe prima che potesse iniziare una
lunga discussione sul perché aveva deciso di comprargli casa nel bel
mezzo del nulla. "Tutti gli umani lo sono. Siamo mammiferi,
proprio come i cervi e gli orsi e la maggior parte di quello che
abita la foresta. Facciamo gli orgogliosi, dandoci il primo posto
nella catena alimentare, uccidiamo per mangiare... Com'è tutto
questo diverso da quel che fanno gli altri animali?"
Semplice,
pulito e vero. Levi rimase scosso dal peso delle sue stesse
parole.
Immaginarsi come un animale gli fa sentire quasi un
senso di solennità. L'idea inoltre gli offre l'illusione di avere
delle risposte a delle domande che è troppo turbato dal
soffermarcisi troppo.
"Intendi mangiare la tua preda?"
Il modo in cui Erwin sottolineò l'ultima parola la fa sembrare una
presa in giro, ma il suo viso dice l'opposto.
L'altro si prese
un momento per considerare la domanda e gli diede l'unica risposta
che gli venne in mente. "Probabilmente."
Vuole solo
una pistola per proteggersi, in caso si ritrovi perso nel mezzo della
foresta con un cervo selvatico alle calcagna. Quello non significa
che lo mangerà, una volta morto. La difesa, così sembrava, era un
altro fattore per il quale uccidere gli appariva
accettabile.
Uccidere.
Quella parola si portava
appresso un significato che era inevitabile. Non aveva mai ucciso
nessuno prima d'ora, anche se aveva provocato ferite che avevano
portato chi ne era stato colpito ben vicino. Levi non aveva mai
immaginato che si sarebbe ritrovato a puntare una pistola e premere
il grilletto.
Se mai avrebbe ucciso, lo avrebbe fatto con un
animale che sembrava intento a volevo uccidere a sua volta.
Ma
non erano stati anche i suoi genitori, degli animali che avevano
tentato di ucciderlo?
Non lo era stato anche il preside,
ancora alle scuole medie, un altro animale che ci aveva
provato?
Eren, pure, anche lui non era stato un animale che
aveva affondato gli artigli nel suo cuore fino a
soffocarlo?
"Prenditi il resto della giornata libera,"
Gli disse Erwin, allontanando ancora una volta Levi dai suoi
pensieri. "Dopo pranzo vai a casa mia." L'uomo aveva
corrugato le sopracciglia e lentamente aveva portato una mano contro
il suo braccio, come se fosse spaventato che Levi potesse fare
qualcosa. "Sei pallido."
Erwin non lo aveva ucciso,
non ancora. Erwin era il bracconiere più furbo, quello che
nascondeva le sue tracce in modo da non farsi scoprire o spaventare
la sua potenziale preda.
No, decise Levi. Era più di quello.
Non era un predatore, ma un salvatore. Un Dio. Erwin Smith era un
messia.
"Non ho fame." Disse, voltando la testa per
guardare le strade affollate. Aveva freddo, la sua emicrania era
peggiorata e le sue mani erano nuovamente bagnate.
"Vuoi
che ti porti a casa?"
Levi alzò la testa quel che
bastava per guardare Erwin, giusto per controllare se nel suo viso si
poteva notare un secondo fine. Non c'era. "Chiamo un
taxi."
"Fammi sapere quando sei arrivato." Gli
disse Erwin, leggendo Levi nell'unico modo in cui riusciva: come un
libro aperto.
Alla fine non chiamò un taxi,
ma decise di tornare a casa a piedi. Il freddo non fece nulla per
calmarlo, tuttavia la vista di negozio lo fece.
Levi era
orgoglioso della sua abilità di prendere decisioni al momento senza
un minimo di esitazione. Così, senza dare un seconda occhiata al
negozio, decise il corso delle sue prossime azioni.
Una volta
arrivato all'appartamento si fece una doccia e indossò vestiti più
informali. Decise per un jeans e un maglioncino col collo alto,
piuttosto del completo elegante che aveva usato precedentemente, e si
mise sopra lo stesso cappotto. Nel frattempo accese la macchina del
caffè. Caffè, perché il tè lo avrebbe solamente calmato e
l'ultima cosa di cui aveva bisogno era di addormentarsi al
volante.
Sorseggiò la bevanda mentre sistemava la temperatura
dei caloriferi, quasi come se facendo più caldo nella casa lo
avrebbe aiutato a scaldare il ghiaccio dentro le sue
ossa.
Raggiungendo il salotto, decise di fermarsi di fronte
alla finestra che dal pavimento arrivava al soffitto per guardare
l'orizzonte. L'appartamento di Erwin era pretenzioso così come il
suo proprietario, ma non poteva di certo
lamentarsene.
L'appartamento era decorato con toni che
variavano dal grigio all'azzurro, schema che aveva deciso Levi
svariati anni prima. Caldo e confortevole, c'era un caminetto sotto
lo schermo piatto: una replica di quello che c'era stato nella
vecchia casa degli Smith, dove lui ed Erwin si erano baciati per la
prima volta a diciassette anni.
Quello era anche il camino di
fronte al quale lui, Eren ed Erwin avevano giocato qualche mese prima
del matrimonio. Troppo vino, buona compagnia, l'incessante flirt da
parte di Erwin. Ricordava come quelle grandi mani avevano preso
dolcemente il viso di Eren tra di esse, come le loro labbra si erano
unite in un bacio passionale. Levi ricordava anche di essersi eccitato alla
vista del suo fidanzato venir toccato dal suo ex.
Dopo quella
notte Erwin aveva occupato più di una volta il loro letto e loro il
suo. Avevano trovato il perfetto accordo per tenere sotto controllo
la loro stabilità emotiva e fare del gran sesso.
Ora Eren era
moto, Erwin usciva con Mike e lui non riusciva a smetterla di pensare
di ammazzare un animale che aveva sognato.
Divertente come la
vita di una persona potesse cambiare così drasticamente in così
poco tempo.
Cupo, Levi si voltò e raggiunse la cucina, dove
sciacquò la tazza e si lavò per un lungo periodo di tempo le mani.
Dovette combattere l'istinto di lavare ogni cosa che già era
immacolata perché aveva poco tempo. Se voleva riuscire a fare tutto,
avrebbe dovuto farlo prima che Erwin o Mike arrivassero a
casa.
Inspirando a fondo, Levi si allontanò dal lavandino e
prese le chiavi della sua macchina.
Ritrovare
il negozio fu semplice, più complicato fu trovare un parcheggio non
troppo lontano.
Alla fine decise di parcheggiarsi davanti ad
un idrante, sperando di sbrigarsi e tornare prima che un vigile
potesse vedere la sua auto. Tuttavia, anche se avesse preso la multa,
il prezzo sarebbe stato pagato facilmente. Prima o poi.
Il
negozio era antiquato, col riscaldamento troppo alto e nessuna
ventilazione. Sembrava essere uno di quei negozi dove nessuno mai
entrava, cosa facile da aspettarsi da un negozietto del genere
sbattuto nel bel mezzo di una città conosciuta soprattutto per la
sua vita notturna. Lì i grandi capi non erano neanche interessati a
cose complicate come la pesca. Il golf, magari, ma nessun genere di
cose dove avrebbero potuto rischiare di sporcarsi i pantaloni.
Levi
fece una smorfia, addentrandosi maggiormente nel negozietto. In uno
dei muri c'era un assortimento di vestiti che variava da cose leggere
a cose pesanti, fino ad arrivare a giacche da neve.
Nel muro
opposto c'era il vestiario da pesca.
I muri erano decorati con
una serie di poster che pubblicizzavano equipaggiamenti da campeggio.
Ce n'era uno il cui significato gli sfuggiva e mostrava un kayak
pieno di libri sulla tassidermia e una pila di oggetti riciclati
tenuti assieme da scovolini colorati.
Le cose che lo
disturbarono maggiormente furono le numerose teste di cervo, orso e
gatti della neve attaccate ai muri.
Levi poteva apparire come
una persona fredda e senza sentimenti, inumana a detta dalla maggior
parte delle persone che lo avevano conosciuto, eppure adorava gli
animali. Animali più piccoli di me, penso tra sé e sé.
Gatti, cani, conigli... Se ne sarebbe preso cura, se non avesse avuto
altra scelta.
Si fermò di fronte ad una pila di libri,
chiedendosi come potesse fare pensieri così contraddittori.
Solo
un'ora prima stava pensando di sparare ad un animale indifeso. Cazzo,
si trovava in quel negozietto proprio per quella ragione ed ora si
ritrovava a pensare di adottare dei gattini.
Aveva seriamente
bisogno di dormire.
Si massaggiò le palpebre e sospirò,
completamente perso. Aveva bisogno di qualcuno che gli dicesse che
strada prendere.
Ma una strada verso cosa? Gli sembrava come
se una questione importante gli stesse sfuggendo.
"Nuovo
in questo genere di cose, eh?"
Levi si voltò verso la
voce e si ritrovò davanti un uomo corpulento e con l'inizio di
calvizia poco più alto di lui. Sembrava stranamente fuori luogo, con
addosso un vestito poco costoso e una targhetta sulla quale c'era
scritto Dimo. Con le sue mani in tasca, mentre molleggiava sui
talloni, dava l'idea di essere un uomo d'affari pronto a fare la sua
vendita in un modo o nell'altro.
Levi mugugnò un
assenso.
"Quale sport hai deciso, quindi? La pesca,
forse? O qualcosa di più grintoso, come il combattimento con gli
orsi."
L'interessato fu quasi deciso di voltarsi, uscire
dal negozio e non tornare mai più.
"Caccia," Disse,
soddisfatto nel vedere l'uomo sussultare. "Animali
grossi."
Visibilmente snervato dal comportamenti di Levi,
l'uomo, Dimo, si voltò verso la cassa. "Ambizioso per un
neofita. Vuoi qualcosa di specifico?"
Levi lo seguì,
lasciando i suoi occhi vagare sulle assurdità presenti sui vari
scaffali. "Vivo in una foresta e i cervi continuano ad entrarmi
nel giardino. Speravo di trovare qualcosa per tenerli lontani e nel
frattempo trovarmi un hobby."
"Mi sembra che sia tu
ad aver invaso il loro giardino," Disse Dimo, tirando fuori una
pila di giornali per porgerli a Levi. "Ma hey, sono i tuoi
soldi. Chi sono io per discutere sulle tue scelte?"
Levi
fissò i giornali accigliato. Avrebbe probabilmente dovuto
sfogliarli, ma non aveva la forza di toccarli. C'erano macchie di
dubbi origine nei loro angoli.
"Ho solo bisogno di una
pistola." Sbuffò l'uomo, puntando con la mano le armi chiuse a
chiave in una scatola in vetro dietro la cassa.
"Sai
almeno come usarle?"
"Punto e sparo." Disse,
cercando di non apparire troppo irritato dall'idiozia
dell'uomo.
Dimo rise. "Colpire un obiettivo che si muove
non è così facile, ragazzo. Non puoi lasciare che ti veda. Devi
seguirlo. Farlo sentire al sicuro, prima di colpire." Aprì il
giornale più grosso su una pagina dove c'erano diversi fucili, di
cui alcuni cerchiati a penna.
"Puoi cacciare, ma devi
imparare a rispettare gli animali che abbatterai," Continuò.
"Anche quelli che invadono il tuo territorio."
"E'
per questo che la gente li mangia?" La domanda gli venne
automaticamente, dato che era occupato a guardare i diversi fucili
sul catalogo di fronte a lui.
"Sì, sì, esattamente,"
Gli rispose l'altro, tamburellando con le dita contro il bancone. "Ma
non tutti lo fanno. Alcuni ne tengono i trofei, come queste
bellezze."
Levi alzò lo sguardo per vedere Dimo puntare
con la mano le teste appese ai muri.
Avrebbe decisamente
preferito cucinare gli animali che avrebbe abbattuto.
Portò
nuovamente l'attenzione sul giornale. "Quale mi
consiglieresti?"
"Se ti piacciono le cose grosse
come a me, ti direi il Shilen DGV. Ha un prezzo abbastanza alto, ma
con la sua canna fatta a mano e su misura, assieme al grilletto della
Timney, non puoi sbagliare."
Il fucile era simile a tutti
gli altri presenti nel catalogo, solo più elegante. Il prezzo, che
era la metà delle spese per l'auto in un anno, non era apprezzabile.
Certo, i soldi non erano un problema, ma Levi non avrebbe sprecato i
suoi soldi in un prodotto che avrebbe potuto comprare a metà
prezzo.
Dimo notò il suo disinteresse e voltò pagina. Puntò
una pistola cerchiata in rosso. "Sennò c'è questa damigella,
che ho proprio qui."
Prendendo un paio di chiavi da
dietro la cassa, Dimo le usò per aprire l'espositore. Da esso tirò
fuori un fucile sempre simile agli altri. Era più piccolo e compatto
del resto e fu quello a catturare l'attenzione di Levi.
"Il
Savage MK II." Gli disse l'uomo, porgendo l'arma al
cliente.
L'apparenza inganna decise Levi, perché il fucile
era pesante, nonostante la sua struttura più piccola. Il caricatore
era grosso e laminato in legno e gli fu difficile capire come
tenerlo, ma la canna in acciaio gli dava un accenno di grazia. "E
cosa c'è di speciale in questo?"
"E' al primo posto
nei test di quest'anno per la precisione. E' stato creato per essere
usato dal suo proprietario anche in movimento. Se sei bravo a
sparare, beh..." Non concluse la frase e incrociò le braccia,
rivolgendo a Levi un sorriso professionale che sapeva di
presunzione.
Levi guardò il biglietto rosso e rotondo
attaccato sul calcio del fucine e notò l'espressione dell'uomo
vacillare.
Il prezzo sull'arma era minore di quello stampato
sul catalogo. Non ebbe neanche bisogno di farglielo notare, quando passò il fucile
al venditore per prendere il portafogli. "Lo compro."
Come
c'era da aspettarsi, Dimo non disse nulla e chiese a Levi di firmare
un contratto di proprietà.
"Buona caccia." Gli
disse, passandogli l'arma appena impacchettata.
In
tutti gli anni in cui Levi ha conosciuto Erwin, ha imparato una serie
di verità che avrebbero annichilito ogni tipo di idea che le persone
che lo conoscevano poco avrebbero potuto farsi di lui. Per esempio,
Erwin amava i videogiochi. Spesso si ritirava nella sua stanza a
giocare coi suoi sparatutto in prima persona.
Una volta Erwin
aveva anche provato a dedicarsi alla scrittura della letteratura
erotica, ma aveva fallito. Levi aveva fatto presto a scoraggiare lui
e i suoi usi di atroci eufemismi per indicare il pene.
Per
ultima cosa, la sua passione per la musica anni ottanta era
impareggiabile. Certo, non era una rarità per qualcuno che andava
per i quaranta, ma al posto di tenersi la sua musica sull'iPod, aveva
la tendenza a spararla al massimo volume sulle sue casse, che erano
decisamente potenti.
Quando Separate Ways dei Journey
iniziò, Mike tirò fuori dal forno la lasagna e la lasciò a
raffreddare. Levi stava ancora affettando i pomodori per metterli poi
in una ciotola piena di lattuga, mentre Erwin invece stava preparando
la tavola.
"Lo fa spesso?" Chiese Mike, cercando in
un cassetto una spatola. "Questa cosa della musica,
dico."
Sciacquando il coltello e mettendolo ad asciugare,
Levi prese a cercare i crostini. "Solo quando sta rimuginando."
Ne trovò un pacchetto chiuso in una delle dispense. Nonostante fosse
uno che cucinava raramente, di certo teneva la sua casa sempre ben
fornita di tutto. Levi era certo che avrebbe potuto fare un soufflé,
se avesse voluto.
"Ok," Disse Mike, riuscendo a
sembrare disinteressato, nonostante lo sguardo paragonabile a quello
di un rapace. "Cosa mi sono perso?"
"Pensa che
io abbia bisogno di protezione." Ora doveva cercare un
condimento, preferibilmente il Thousand Island.
Mike ridacchiò
e si appoggiò sull'isola della cucina, con le braccia incrociate
contro il petto. Non avrebbe mai smesso di sorprendere Levi come una
persona così grande potesse avere una natura così buona e serena.
Era tipo una giraffa, i suoi capelli rispecchiavano pure il loro
colore.
"Non è esattamente una novità." Gli disse.
La sua bocca s'incurvò in un sorriso.
Con l'insalata pronta e
il condimento trovato, Levi si diresse nuovamente verso il lavandino,
finendo di lavare il resto degli utensili che si erano sporcati
mentre avevano preparato la cena. Normalmente avrebbe ignorato
qualsiasi tentativo di approfondire il discorso, ma quello era Mike.
C'erano pochissime persone capaci di farli parlare, ma l'uomo era
senza dubbio uno di quelle.
"Non c'è nient'altro da
dire," Gli disse, lavando un piatto. "L'allocco è
probabilmente convinto che finisca con l'uccidermi."
La
mancanza di reazioni esagerate in Mike è una delle tante ragioni per
la sua quale ci va così d'accordo. Scrollò una spalla e voltò il
viso verso il soggiorno, dove Erwin stava giocherellando con lo
stereo. "Se è quello che pensa, ci dev'essere un
motivo."
Erwin tendeva a pensare troppo, vero, ma era
capace di farlo razionalmente. Con la testa lucida sarebbe stato in
grado di rovesciare un governo con solo poche ore di lavoro nella
giusta direzione. Ma quando era compromesso psichicamente, tendeva a
fallire in modo spettacolare.
I segni sul suo collo erano a
forma di mani, non di corda o lenzuola o qualsiasi altra cosa con cui
avrebbe potuto provare ad impiccarsi. Levi era lusingato che Erwin
pensasse che fosse abbastanza forte da provare a strangolarsi
da solo, ma era ovviamente impossibile applicare una forza del genere
al proprio collo.
Un'altra opzione sarebbe stata quella di un
attacco, ma Erwin lo conosceva abbastanza bene da sapere che Levi
avrebbe spaccato il culo a chiunque avesse osato una cosa del genere,
prima di chiamare la polizia. Inoltre non avrebbe mantenuto un
avvenimento del genere segreto.
"Non mi suiciderò."
Disse Levi. Era troppo debole per farlo.
"Glielo hai
detto?"
"Regolarmente negli ultimi due anni."
"Che
scemo che è."
Le sue parole furono così piene d'affetto
che Levi quasi sorrise.
Solo in quel momento Erwin si addentrò
in cucina, sfilando un guanto da forno dalla mano sinistra di Mike e
mettendoselo sulla propria.
Sia Mike che Levi lo guardarono,
indecisi se essere confusi o divertiti, mentre afferrò la lasagna e
si diresse in sala da pranzo. "Sono affamato." E' tutto
quello che disse, al ché Mike rispose ridendo e Levi invece accennò
un sorriso.
"Quando non lo sei." Gli disse,
afferrando l'insalata prima di seguirlo.