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Autore: j a r t    01/01/2016    2 recensioni
Dal primo capitolo:
L'espressione di Michael si addolcì.
«Sì, lui guadagna bene. Noi viviamo insieme, ma io non volio stare a sue spese... non so se tu capisce cosa voglio dire» riprese, mentre con uno straccio asciugava il bancone.
«Capisco.»
Federico sorrise.
«Sei un bravo ragazzo, Michael.»
Genere: Angst, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Fedez, Morgan, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Il mattino seguente non si poteva certo dire che Michael avesse un bell’aspetto. Il riccio si guardò allo specchio e vide un riflesso pallido con delle terribili occhiaie. Non se ne meravigliò: ci aveva messo davvero troppo tempo ad eccitarsi, la notte precedente, contro l’impazienza del biondo. Era stato il peggior sesso della sua vita. Non sapeva perché gli era capitato quello, di solito gli bastava un niente per eccitarsi con Danny: un succhiotto sul collo, la sua mano nei pantaloni, una frase sconcia pronunciata dal biondo con una voce troppo roca. Forse era stata la loro discussione di poco prima a renderlo così pensieroso e poco concentrato su ciò che invece stavano facendo.
In un appartamento non molto lontano anche Federico si guardava allo specchio: il suo riflesso era invece tonico come sempre. D’altronde, quello della sera precedente era stato il miglior sesso della sua vita. Stava osservando i suoi tatuaggi riflessi quando Giulia fece felicemente irruzione nel bagno e schioccò al ragazzo un bacio a stampo sulle labbra. Finalmente la sua situazione con la fidanzata, da tre mesi a quella parte, era diventata stazionaria. Era tutto merito di Michael, ovviamente, ma non l’avrebbe mai detto a Giulia. Anzi, in realtà si rese conto di non averle neanche mai parlato di lui.
«Giulia, ti ho già detto di Michael?»
La ragazza si voltò stranita verso Federico, smettendo per un attimo di frugare nel cassetto dei pantaloni.
«No, chi è?»
Giulia tornò a rovistare tra i jeans.
«È un ragazzo inglese. Lavora al Cafè Milan, quel bar non troppo lontano da un vicolo del Duomo. Hai presente?»
«Sì, ho capito. Io ci andavo spesso con le amiche. Antonella e Luisa, ricordi?»
«Sì, mi ricordo. Comunque qualche mese fa, quando litigammo, andai lì a prendere una birra. No, ti giuro non mi sono ubriacato» ridacchiò Federico quando la ragazza gli lanciò uno sguardo truce. «Dicevo che ho passato lì una serata. L’ho praticamente salvato da un ciccione enorme che voleva aggredirlo perché voleva sfinirsi di birre.»
La ragazza si voltò di nuovo verso il suo fidanzato smettendo la ricerca, che stavolta era passata all’armadio delle maglie.
«Tu sei intervenuto a salvare qualcuno più grosso di te?»
Giulia era divertita e per questo Federico fece il finto offeso.
«Ehi» ribatté mettendo un broncio fasullo. «In ogni caso abbiamo parlato un po’ e poi da lì abbiamo fatto amicizia. Quando litigavamo o quando tu non potevi uscire in questi mesi sono andato lì a parlare con lui, oppure ci siamo sentiti per cellulare quando sapevo che non stava lavorando al bar. È un ragazzo simpatico. È anche dolce. Sai quella cosa che si dice dei ragazzi gay, che sono carini e sensibili? È la verità.»
Giulia lo guardò seccata.
«È un luogo comune Fede, non è sempre vero. Conosco un sacco che non sono carini e sensibili per niente.»
Federico alzò le spalle.
«Hai ragione tu. Comunque lui lo è.»
«Com’è che me ne parli solo adesso?» gli domandò mentre cominciava finalmente a vestirsi, dopo aver trovato il jeans e il maglioncino da indossare.
«Non so perché non mi è mai venuto di dirtelo prima» cominciò pensieroso il tatuato. «Forse perché sono stato troppo impegnato a non perderti.»
Giulia si addolcì visibilmente e gli sorrise, dopodiché si fiondò sulle sue labbra.
 
Se c’era un giorno che Michael odiava particolarmente - e c’era - quello era senza dubbi il sabato sera. Al locale l’aria diventava irrespirabile e tutto cominciava a puzzare inevitabilmente di alcool e fumo, perfino i ricci morbidi di Michael. C’era troppa gente ed era sempre un casino, specialmente per un locale così piccolo e stracolmo in cui l’unico dipendente era proprio Michael - il titolare aveva insistito per non assumere un altro ragazzo ad aiutarlo, “tanto il locale è piccolo”. La verità era che il titolare era uno spilorcio inaudito, ma il riccio non poteva di certo dirglielo.
Così, da ormai più di due ore, Michael si destreggiava dietro il bancone per cercare di accontentare tutti i clienti, che sembravano moltiplicarsi come virus in un organismo infetto. Si poteva dire che fosse passato solo pochissimo della lunga nottata a cui Michael andava incontro, ma già stava sudando, come se stesse correndo una maratona: aveva le guance arrossate e alcuni ricci che gli ricadevano sulla fronte e sulla nuca erano bagnati dal suo sudore.
«Arivo subito» disse in risposta all’ultima richiesta e riempì un boccale di birra che poi porse al ragazzo.
Federico e Giulia entrarono nel locale proprio durante quella confusione, ma Michael non se ne accorse nemmeno. Offrì gli stuzzichini ad una coppietta di ragazzi e stappò loro anche una Pepsi, poi si rivolse ai clienti successivi, tra scontrini e bibite.
Federico lo guardò e capì quanto fosse indaffarato.
«Sediamoci lì. Te lo presento dopo» sussurrò a Giulia e lei annuì.
Dopo una mezz’oretta il peggio era passato. Alcuni clienti erano già andati via dal locale, che era leggermente più silenzioso e sgombro. Michael si accorse solo allora dei due ragazzi, che vide seduti su dei pouf poco lontano. In quello stesso istante, mentre stava per richiamarli, anche Federico si accorse di aver attirato l’attenzione dei riccio, quindi indicò a Giulia di avvicinarsi al bancone.
«Ciao Mich, lei è Giulia, la mia ragazza.»
Il tatuato e la ragazza gli sorrisero e anche Michael ricambiò.
«Piacere, Michael.»
Con uno sguardo eloquente Michael fece capire al ragazzo che era merito suo se stavano ancora insieme. Federico annuì impercettibilmente.
«Alora, cosa fai nela vita?» Le domandò Michael, fingendo che Federico non gli avesse raccontato vita, morte e miracoli su di lei.
«Studio al Politecnico» sorrise.
Michael non poté non notare quanto quella ragazza fosse bella. Ordinaria ma bella. Lui, al contrario, in quel momento era accaldato, con le guance rosse e i capelli scombinati e sudati. Per non parlare di quelle occhiaie che non era riuscito a nascondere più di tanto dalla mattina. Abbassò lo sguardo. Quasi si sentiva male. Gli veniva da vomitare tanto che si sentiva a disagio in quel momento.
«Deve esere bello studiare ala università» disse, più perché non sapeva che altro dire mentre asciugava il bancone da una piccola pozza di birra versata poco prima da un cliente.
«Sì, ma è molto stancante, anche. Le feste non sono feste e i fine settimana...»
«Non sono i fine setimana» concluse per lei ridacchiando e arricciando il naso in un’espressione che Federico e Giulia trovarono adorabile.
«Sì, esatto» rise la ragazza, sapendo che Michael aveva afferrato il concetto.
«Ok, dai, che prendiamo?» Le domandò Federico.
Alla fine lui prese una birra, lei un thè alla pesca.
Michael era visibilmente e stranamente a disagio quella sera e Federico se ne accorse, ma non ebbe abbastanza tatto da chiederglielo in privato, bensì lo fece davanti alla ragazza.
«Mich, ti senti bene? Ti vedo un po’ strano.»
«No, è solo che... c’è sempre troppa gente il sabato ed è tanto stancante» disse flebilmente.
Era vero, da una parte. Dall’altra non sapeva dire con certezza cos’altro ci fosse. Forse stava ancora pensando a Danny e alla maledetta notte trascorsa. Oppure era la presenza dell’impeccabile Giulia.
«Hai ragione. Dovresti dire al titolare di affiancarti qualcuno altro.»
Michael gli rivolse uno sguardo annoiato.
«Sì, così buta fuori anche me. Lui è intratabile» scandì sperando di non inciampare fra le lettere, cosa che fece sorridere Federico. Michael era così adorabilmente buffo.
 
Anche quella notte Michael tornò a casa con un groppo in gola. Si sentiva una persona orribile: Danny gli stava dando tutto, le sue fatiche e il suo cuore, e lui invece non riusciva neanche a dargli il suo corpo. Neanche a dimostrargli quanto lo amava. Perché lui era sicuro di amarlo ancora, ma per qualche strana ragione l’essere avvicinato da lui quasi lo disgustava. In quel modo, poi, con cui Danny sembrava non aver alcun rispetto per il suo ragazzo, per i suoi tempi e per la sua intimità.
Michael scosse la testa mentre metteva piede nell’attico. Si fermò un attimo a guardare il panorama nero di Milano, illuminato soltanto dai lampioni e dalle insegne dei negozi, che da lassù sembravano comunque tutti puntini luminosi.
Non ci sono stelle, pensò Michael. Poi si diede dello stupido. Non si vedono mai le stelle in città.
«Ehi. Ti ho sentito arrivare.»
Danny gli sussurrò quelle parole all’orecchio e il riccio sobbalzò per la vicinanza inaspettata. Il biondo si appiccicò al suo corpo e poggiò la guancia sulla sua schiena, socchiudendo gli occhi.
«Ti amo» gli disse.
«Anche io ti amo.»
Ma quelle parole, per quanto Michael le sentisse realmente, erano gelide e vuote, mentre se ne stava ancora al centro del salotto con la borsa in mano e lo sguardo allungato sulla città. Danny si staccò da lui e gli accarezzò le spalle, scendendo fino alle braccia e poi alle dita delle mani, costringendo l’altro a lasciare la presa sulla borsa e tentare di rilassarsi. Invece il riccio restò rigido e con lo sguardo verso la città e non sapeva perché, ma credeva di stare per impazzire. Si morse il labbro inferiore con violenza, poi sentì Danny sbuffare. Fu un attimo e il biondo lo girò con forza verso di sé.
«Adesso mi dici che cos’hai. Ieri è stato uno schifo, adesso non mi calcoli neanche. Che ti prende? Ti vedi con un altro?»
Michael scosse freneticamente la testa e strabuzzò gli occhi.
«Non pensarci neanche questo!»
Si fiondò sulle sue labbra per tentare di rimediare, ma il biondo lo staccò violentemente da sé.
«Rispondimi e smettila di fingere che vada tutto bene! Voglio sapere cosa ti sta succedendo.»
Ma la verità era che Michael non voleva perderlo comunque, nonostante quel suo modo di volerlo, di toccarlo e di costringerlo stesse diventando troppo. Voleva dirglielo, ma le parole gli morirono in gola e quando aprì le labbra ne uscì solo un gemito strozzato. I suoi occhi si appannarono di lacrime pronte a rotolare giù. Riuscì a parlare solo dopo un po’.
«Ieri tu ha detto che io non ti amo, ma non è vero! È che a me non piace quanto tu... quando tu mi toca così e pretende che io lo faccio con te anche quando non volio
Ormai Michael stava quasi gridando.
«Io sono venuto qui per te da Inghiltera, io ti ho seguito perché mi sono innamorato di te e tu adeso pensa solo che io sto approfitando di te. Ma non è così e io penso che forse sei tu che cominci a profitare di me, con questa cosa che non ti dimostro mai che ti amo e in realtà ti interesa solo scoparmi!»
«Mich, ma che cazzo stai dicendo?»
«No, tu adeso ascolta! Sono tre anni che mi dici che mi stai aiutando con il mio music project ma non mi porti mai un cazo di risultato! Dici sempre che devo spetare, sai cosa ti dico? Che sono stanco di aspetare. Vaffanculo.»
Alla fine, per quanto lo amasse, non era riuscito a contenersi.
Michael uscì dall’attico sbattendo la porta, sapendo che non sarebbe stata l’ultima volta in quell’appartamento. Solo quando stava scendendo le scale in lacrime ricordò che aveva dimenticato portafogli e tutto nell’appartamento. Per fortuna, almeno il cellulare, lo aveva in tasca. Poi ricordò anche che era all’ultimo piano di un grattacielo e non poteva scendere tutte quelle scale. Quindi si fermò ad un piano qualunque e chiamò rapidamente l’ascensore, mentre come un bambino si puliva il naso sulla manica della camicia e non riusciva a smettere di singhiozzare.
Come aveva fatto ad essere così cieco fino ad allora? Come non si era accorto che per tre anni Danny lo aveva ingannato? Si catapultò fuori dall’ascensore e poi dal palazzo, senza sapere dove andare. Si ritrovò in strada con gli occhi gonfi e senza neanche un cappotto nel freddo gelo milanese. La prima cosa che gli venne in mente fu di chiamare qualcuno.
Federico.
Era l’unico amico che aveva, e improvvisamente si rese anche conto di quanto fosse solo, di quanto senza Danny non fosse nulla. Non aveva niente, e quel paese gli sembrò in quel momento ancora più straniero del solito.
«Pronto, Mich?» la voce di Federico era impastata dal sonno e solo allora si rese conto dell’orario. Erano le 3:46.
«Scusa, scusa Fede io non voleva chiamarti a questa ora» si maledisse per aver chiamato. Per dirgli cosa, poi?
Ma il tatuato fu allarmato dal suo tono di voce e riconobbe chiaramente che Michael stava piangendo. Nel suo appartamento di Milano, Federico si tirò a sedere sul letto matrimoniale e anche Giulia si svegliò e gli chiese di mettere in vivavoce per poter ascoltare. Erano entrambi visibilmente allarmati.
«Non fa niente, Mich, dimmi che succede.»
«Io non so dove andare» tirò su col naso. «Ho litigato con Danny. Lui è uno sstronzo e io non so dove andare adesso» non sapeva se l’aveva già detto, ormai era confuso e non capiva più nulla. Stava anche cominciando a tremare per il freddo. Iniziò a camminare in chissà quale direzione per cercare di portare un po’ di calore al corpo, anche se le sue lunghissime gambe non ne volevano sapere di smettere di tremare.
«Ok ok, calma. Danny ti ha cacciato di casa?»
«No sono andato via io.»
Federico e Giulia si guardarono comprensivi. La ragazza mimò un “digli di venire qui”. Ovviamente il tatuato non ci pensò su neanche un attimo: erano state tantissime le volte in cui lui l’aveva aiutato con Giulia, anche se questa non lo sapeva. Glielo doveva almeno per quello, se non per il fatto che ormai erano amici.
«Vieni qui a casa mia. Ti scrivo l’indirizzo per messaggio, se è lontano da dove sei ora vengo a prenderti.»
Federico inviò il messaggio e attese una risposta dell’altro, che probabilmente fece mente locale perché era abbastanza confuso.
“Vallo a prendere” sussurrò Giulia e Federico si alzò dal letto per prepararsi, ma le parole di Michael lo bloccarono.
«Poso arivare a piedi Federrico. Sono vicino.»
Non era proprio vicinissimo, ma in quel momento voleva solo correre e fottersene di tutto. Le sue gambe tremavano ancora, ma non ci badò e iniziò a correre.
«Sei sicuro? Guarda che posso venire a prenderti.»
«No, Fede aspetami, sto arivando
Riattaccò e Federico lanciò un ultimo sguardo preoccupato al telefono.
«Dai, vestiti» gli disse Giulia, che nel frattempo faceva altrettanto.
 
Michael arrivò dopo dieci minuti buoni. Non perché fosse realmente molto distante dalla casa di Federico, bensì perché, una volta arrivato sotto il suo portone, le ginocchia gli cedettero e si accasciò a terra piangendo. Era stremato. Da tutto. Gli ci vollero alcuni minuti per rendersi davvero presentabile e permettere al suo respiro di regolarizzarsi. Dopodiché bussò al citofono e Federico gli aprì il cancelletto e poi il portone, attendendolo accanto a Giulia sull’uscio della porta.
Quando Michael salì, era un metro e novanta di stanchezza, occhi gonfi e capelli scombinati. Aveva ancora la camicia bianca della divisa da lavoro e la cravatta argentata slacciata al collo.
Federico lo guardò davvero per la prima volta e vide un uomo distrutto. Lui ci teneva davvero tanto, si vedeva. Non sapeva come fossero andate le cose, ma qualunque cosa Danny avesse fatto aveva tradito il cuore di Michael, ed era gravissimo perché lui aveva lasciato la sua casa e la sua famiglia per seguirlo in Italia. Doveva davvero essere uno stronzo, Danny.
Giulia e Federico non ebbero il coraggio di dirgli niente. Solo la ragazza, vedendo che Michael tremava dal freddo, gli poggiò un plaid sulle spalle e gli preparò una tazza di thè caldo.
Il riccio non aveva alzato lo sguardo per tutto il tempo. Lo fece solo per sussurrare un “grazie” a Giulia, che ricambiò con un sorriso. Cominciò a sorseggiare la sua bevanda calda. Stava ancora tremando quando iniziò a parlare.
«Mi dispiace che vi ho fatto sveliare» disse tra un sorso e l’altro. «Io... non sapeva dove andare.»
«Non dirlo neanche per scherzo, Mich» lo ammonì Federico.
Passarono altri minuti di silenzio che Michael occupò per decidere se raccontare o no quello che era successo. Da un lato sapeva che glielo doveva, almeno quello. Ma dall’altro, aveva paura di fare la figura dell’idiota, dal momento che solo ricordare la faccia di Danny gli faceva terribilmente male.
Ma tanto cosa c’era di più idiota di chiamare un amico nel cuore della notte e presentarsi a casa sua e della sua ragazza con il fiatone, la camicia sudata del pomeriggio e gli occhi gonfi di lacrime?
«Danny mi ha preso in giro, per tre ani. Mi ha detto che mi avrebe aiutatto con un mio progetto musicale e non l’ha mai fato. Io mi sono innamorato di lui, come un colione. Ci sono cascato e lui ha aprofitato di questo per farmi sentire in colpa. Mi diceva che si stava impeniando e che io invece non gli dimostravo di amarlo, ma poi lo diceva solo per portarmi a leto
Michael si interruppe e calò la testa sulla tazza per non far vedere gli occhi lucidi, che Federico e Giulia notarono lo stesso.
«È davvero uno stronzo» cominciò Federico. «Mich, tu ti meriti molto di più.» Concluse, e non erano solo parole di circostanza.
Michael lo fissò come se avesse detto una bestemmia. Poi, quando riprese a parlare, la sua voce era di un tono leggermente più alto.
«Ma tu non capisce! Io ho lasciato tutto per lui! La mia familia, la mia casa che avevo in London e adeso non ho più niente!»
Per quanto si fosse sforzato, Michael non riuscì a trattenersi oltre e cominciò a piangere quasi silenziosamente, come se non volesse disturbare gli altri due. Ma Federico continuò comunque con la sua tesi.
«No, ascoltami, non è così. Innanzitutto devi calmarti, ok? Stanotte passala qui, domani mattina vai a chiarire con lui, magari... magari ti stai sbagliando, no? E se invece lui è davvero uno stronzo, te lo ripeto, tu meriti di meglio. Sei un bravo ragazzo, sei dolce, gentile. Hai tutto quello che un partner vorrebbe. Non ci metterai niente a trovare un altro ragazzo, davvero. Qui in Italia o in Inghilterra, dove vuoi, puoi fare quello che vuoi.»
Le parole del tatuato erano abbastanza persuasive, anche se convincere Michael in quello stato era un’impresa ardua, soprattutto per la scarsa stima che il riccio aveva di sé stesso.
«Fatti una doccia calda, adesso, poi vai a dormire» cominciò Giulia con dolcezza. «Fede ti presta qualcosa di suo, ok? Poi puoi stare qui, è un divano-letto. Lo sistemiamo e intanto vado a prenderti altre coperte e un cuscino.»
Come una perfetta donna di casa, Giulia sparì nella loro camera da letto per prendere vestiti e coperte.
«È una ragaza perfetta» sussurrò Michael, nonostante conoscesse alcuni dettagli raccontati da Federico che lasciavano intendere tutt’altro. Ma era in quei momenti che anche Federico si rendeva conto della perfezione di quella ragazza: malgrado tutto, lei era sempre presente. Per tutti.
Michael sospirò. Avrebbe desiderato anche lui un ragazzo così.
«Lo so. Troverai anche tu un ragazzo perfetto. E non lo dico tanto per.»
Il tatuato gli sorrise e, finalmente, lo fece anche Michael.
 
Michael storse il naso nel guardarsi allo specchio. La tuta di Federico gli stava decisamente corta. Nella sua immagine c’era qualcosa di buffo che stava facendo ridacchiare Federico e Giulia da un po’.
«Volette smetterla?!»
«Ma non è colpa mia se hai gli arti di due metri!» Replicò il tatuato.
Michael sbuffò, ma anche lui non riuscì a trattenersi a lungo e scoppiò a ridere. Federico pensò a quanto fosse veramente bello quando Michael rideva: non solo era bello e luminoso lui, ma in qualche strana maniera rendeva luminoso l’intero ambiente che lo circondava. Era bello, punto e basta. E il fatto che lo pensasse Federico era strano, per lui.
Inutile dire che si fermarono dopo cinque minuti buoni, quando Michael stava davvero per crollare dal sonno e sbatteva ripetutamente le palpebre per non addormentarsi in piedi.
Giulia aveva allungato il divano letto e sistemato il cuscino e un pesante piumino blu elettrico che al riccio sembrava piacere particolarmente. Nonostante fosse, appunto, un divano-letto, le lunghissime gambe di Michael incontrarono un po’ di difficoltà a sistemarsi, all’inizio, cosa che fece ancora ridere gli altri due. Quindi si vide costretto a rannicchiarsi per bene per entrare tutto sotto la coperta.
«Buonanotte, Mich.»
«Buonanotte anche a voi» replicò mentre chiudeva gli occhi, ma poi si ricordò dell’urgenza di dover dire un’altra cosa.
«Ehi» li richiamò.
I due ragazzi si voltarono nuovamente verso di lui.
«Grazie.»

 

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ANGOLO AUTRICE 

Ebbene mi sono appena svegliata. Dato che sto passando un post-sbornia di merda, ho deciso di fare qualcosa per distrarmi e postare un nuovo capitolo mi sembrava una buona idea. L'ho rivisto, ma è possibile che ora come ora mi sia sfuggito qualche errore, nel caso vi chiedo scusa ahah anyway: il capitolo è un po' di transizione fra la situazione del primo e quella che vedrete nel terzo. Però è comunque importante per spiegare alcune dinamiche che si andranno a creare dopo, in un climax che in generale definirei ascendente per quanto riguarda la situazione di Federico (capirete in seguito, vi giuro <3).
Come al solito ringrazio chi recensirà e anche chi leggerà, perché è bello sapere che qualcuno dedica dei minuti a leggere qualcosa di tuo. <3
P.S.: vaffanculo Danny mlm

Vi voglio bene tutti e lancio baci a profusione.
Buon Anno Nuovo, anche. <3

  
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