Videogiochi > Sonic
Segui la storia  |       
Autore: Vicarious10    01/01/2016    5 recensioni
Nell'anno 3234, il pianeta Mobius fu distrutto dall'impatto di un meteorite. I mobiani che riuscirono a salvarsi cominciarono una nuova vita sulla Terra, trovandosi però in un modo pieno di lotte per il potere. Sonic the Hedgehog, a causa dei poteri acquisiti dagli Smeraldi del Chaos, decide di rimanere per sempre nella sua forma "super" e viene visto sia dai mobiani che dagli umani come una divinità.
Dopo 100 anni, il mondo è sull'orlo di una catastrofe a causa del pesante razzismo verso i mobiani e della criminalità organizzata. Il governo continua a nascondere al popolo la verità con ogni mezzo necessario e senza alcuno scrupolo.
Un solo essere può fermare tutto questo, un mobiano creduto morto da più di un secolo.
Il suo nome è Shadow the Hedgehog.
[Questa fic è una versione aggiornata e riscritta di "Black Hedgehog"]
Genere: Avventura, Drammatico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Shadow the Hedgehog, Sonic the Hedgehog, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
The Black Hedgehog
Revolution
 

2.
I demoni della grande città
 
 
Dopo la guerra, quello che era rimasto di New York City, Manhattan per la precisione, non era nient’altro che un cumulo di macerie carbonizzate. Quando le bombe avevano cessato la loro grottesca opera di distruzione, la città isola era stata trasformata in un cimitero. Ci volle tanta fatica per rimettere tutto in piedi, trasformando quell’immensa fossa comune in un rigoglioso centro di vita e opportunità, ma della vecchia Manhattan ormai non era rimasto niente. Non era più la città amata da Woody Allen o il luogo in cui erano nati altri artisti del calibro di Martin Scorsese. Non era più quella distesa di grattacieli immensi che facevano da sfondo alle numerose pellicole cinematografiche del secolo scorso. L’anima della Grande Mela se ne era andata via, ora c’era soltanto Neo Crisis City, una città giovane ma che ospitava tante realtà.
Nell’uso comune, si è soliti catalogare i quartieri delle città in due modi. Ci sono posti che è meglio evitare e altri dove si può tranquillamente sostare senza il rischio che possa capitare qualcosa di brutto. Di giorno, Neo Crisis City pullulava di cittadini onesti, studenti universitari, instancabili lavoratori e tutte quelle persone che non avevano niente in comune con la criminalità organizzata, almeno non “ufficialmente”. Di notte, la “feccia”, ovvero tutti quei disagiati della società nascosti nei bassifondi dei quartieri più poveri, usciva fuori indisturbata per dare sfogo a tutti i suoi desideri violenti e perversi. Era incredibile per chiunque notare come due realtà totalmente differenti potessero “convivere” in un solo posto, per quanto grande potesse essere. Si parlava pur sempre di una delle più grandi città degli Stati Uniti, ma la realtà era ben diversa da ciò che i mass media in generale volevano far credere. È difficile crescere e sopravvivere in un ambiente del genere, soprattutto se non si è umani. C’era chi riusciva a riscattarsi e a diventare un membro perbene della comunità nonostante tutti i problemi e chi invece veniva sommerso dalla povertà e dalla fame senza più uscirne. A questi, si aggiungeva un’altra piccola categoria di persone, ovvero quegli individui che pensano solo a loro stessi e ai propri interessi, nel bene e nel male. Non avevano alcun pensiero verso gli altri e al danno che avrebbero potuto recargli, volevano  solo accumulare sempre più potere fino ad esserne corrotti, fino a diventare più potenti delle normali istituzioni.
Francis the Cat, il nostro caro Funky, conosceva fin troppo bene tutto questo. Era nato lì, tra quelle strade violente dove era facile perdersi e, forse, lui più di tutti aveva il diritto di farlo e di lasciarsi trascinare nell’abisso. Suo padre Jonathan the Cat, pluridecorato poliziotto, morì quando suo figlio aveva undici anni nell’eroico tentativo di fermare una rapina in un supermercato. Suo madre, Annabelle the Lynx, insegnante della scuola elementare Alessa Gillespie, morì per una malattia quando lui ne aveva appena compiuti ventuno. Tante cose gli erano capitate durante la sua infanzia e adolescenza, ma nonostante i rimpianti e quei segreti che si sarebbe portato fino alla tomba, Francis era riuscito a diventare qualcuno. C’era voluto impegno, costanza e tanta fatica, ma i risultati alla fine arrivarono e furono più che soddisfacenti. Dopotutto, aveva solo venticinque anni e scriveva per il New Frontier, uno dei giornali più importanti del paese. Il segreto principale per lavorare nel mondo del giornalismo era solo uno, secondo il nostro gatto: bisogna abbassare la testa quando ci sono di mezzo i “piani alti”. Nonostante il suo carattere libertino e indomabile, il mobiano era riuscito molte volte a rispettare questa regola. Dopo anni, però, quella direttiva comincia a stare scomoda e a perdere di significato.
È così che si arriva a fare un errore madornale in questo mondo.
Ed ora, sperduto nella grande città, un gatto grigio dalle umili origini sente di essere stato bruciato dal Sole.
 
Il centro della città era pieno di immensi grattacieli. Molti di questi ospitavano importanti società, gli studi dei più importanti avvocati della zona, due delle università più prestigiose a tante altre attività fuori dalla portata di un cittadino al di sotto della media. Le strade erano piene di gente, mobiani e umani, tutti occupati a raggiungere i loro posti di lavoro o a recarsi chissà dove per motivazioni diverse. Sopra le loro teste circolavano i mezzi pubblici che funzionavano solo lì, nel cuore della metropoli. Erano autobus carichi di persone che fluttuavano grazie alla strabiliante tecnologia mobiana, progredita a livelli incredibili soprattutto negli ultimi anni. Ancora più in alto, alla stessa altezza dei grandi palazzi ultra sofisticati, volavano lentamente le grandi “aereonavi” adibite per le pubblicità. Alcune presentavano spot di prodotti come Coca Cola, McDonald’s o tutte quelle altre schifezze da fast food, ce ne erano altre invece che mostravano i nuovi prodotti dell’industria informatica, come i nuovi computer della SkyNet Inc. o le nuove console per videogame, come la PlayStation Orbs, ultimo e costosissimo modello della Sony.
Per le strade, lontano dalla sede del New Frontier, Francis the Cat camminava a passo lento dentro la grande folla. Il fascicolo del suo prossimo e “insignificante” articolo era nascosto dentro la sua giacca, lasciandogli la libertà di stare con le mani nelle tasche a guardarsi intorno. La rabbia era sbollita già da un po’, ora provava solo un senso di vuoto, di rammarico, di tristezza verso ciò che era successo, con il sottofondo musicale di qualche vecchia canzone dei Depeche Mode che non riusciva a togliersi dalla testa.
Non voleva pensare alla tremenda situazione in cui si era messo, l’unica cosa che voleva era soddisfare il suo bisogno di caffè per leggere in santa pace il fascicolo che portava con sé e, perché no, finire le sigarette rimastegli nel pacchetto. Quando si ritrovò di fronte alla grande facoltà di medicina, svoltò l’angolo tra Cameron Street e Annie Boulevard, trovandosi all’entrata di un piccolo bar, un locale gestito da alcuni amici di famiglia.
Con fare stanco come se non avesse dormito per 48 ore, il gatto varcò l’entrata trovandovi i soliti tavoli colmi di studenti e impiegati di banca, probabilmente della Akroyd Bank a qualche isolato più avanti. Diede una breve occhiata al bancone, ma non vide nessuno, nemmeno il gestore, ovvero un vecchio scoiattolo amico dei suoi genitori. Decise di sedersi nella zona più vuota del locale, trovando finalmente riposo su una comoda sedia rossa accanto ad una vetrata che mostrava la strada e tutti i numerosi passanti. Sul tavolo di fronte a lui c’era solo un distributore di tovaglioli e un posacenere che portò velocemente accanto a sé. Tirando fuori dalla giacca il fascicolo, si accese un sigaretta con una manualità da far invidia un giocoliere esperto e, senza curarsene più del dovuto, cominciò a leggere quei pochi fogli che aveva stilato un suo collega, uno che aveva cominciato da poco a lavorare da loro e di cui nemmeno si ricordava il nome. Di cosa trattava quindi questa notizia da quattro soldi a cui Francis avrebbe preferito una lobotomia?
È uso comune non curarsi più degli indicibili atti di violenza che decorano le strade di Neo Crisis City la notte, stessa cosa vale anche per tutte le grandi città. Nel corso degli anni, però, tra la popolazione più povera, soprattutto quella mobiana, cominciò a svilupparsi una credenza strana, quasi mistica per alcuni e demoniaca per gli altri. Quasi tutte le vittime erano tossicodipendenti di entrambe le specie o comunque criminali di bassissimo profilo, gente che non contava un cazzo per nessuno se non per gli spacciatori e o per i rappresentanti dei piani alti della criminalità, ma comunque persone di cui non si sapeva nulla. Qualcuno di notte usciva da chissà dove, scovava i già citati criminali da quattro soldi e li pestava a sangue, questa era la storia. Nessuno è mai morto, ma i “sopravvissuti” non potevano più vivere una vita normale dopo quell’evento. C’era chi si ritrovava per sempre sulla sedia a rotelle oppure chi aveva il corpo ancora sano ma qualche rotella fuori posto nel cervello. Così si alimentò la leggenda del vigilante tra i poveri, ovvero la storia di un essere sovrannaturale che viene a prenderti a calci in culo se cerchi di rapinare qualcuno, violentare qualche ragazza, assassinare il solito stronzo che torna a casa da solo o altre tipologie di crimini di una bassezza morale senza alcun paragone. Erano tutti disperati che si erano trasformati in bastardi senza cuore, gente che viveva facendo del male agli altri per poter sopravvivere. Tutta gente che si era data alla malavita, per questo Funky dovette riconoscere una cosa.
Se lo erano meritato.
Tutte le ossa rotte, le commozioni cerebrali, i lividi, i tagli e via dicendo non erano nemmeno la metà del prezzo che avrebbero dovuto pagare per poter espiare le loro colpe, ma era comunque meglio di niente. Tornando al caso, questi pestaggi avvenivano senza una continuità temporale di alcun tipo. Capitavano quando capitavano e senza alcun modus operandi specifico dell’artefice. Chi si era ripreso dalla sua “furia” non sapeva dire nulla su di lui, alcuni perché erano troppo impauriti da riuscire a ricostruire i fatti e altri perché erano così “fatti” da non riuscire a ricordarsi nemmeno la tabellina del 2. Ovviamente, tutta la merda di cui quegli idioti si facevano era gentilmente offerta dal Comico, il figlio di puttana numero uno al mondo. Francis ebbe qualche difficoltà a spostare le sue attenzioni lontano dal criminale, sentendo la rabbia fare di nuovo la sua solita entrata in testa.
Ritornò a concentrarsi sul caso, ma c’era veramente poco su cui lavorare.
Con la coda dell’occhio, vide qualcuno avvicinarsi al suo tavolo.
-Buongiorno balordo! cosa ti porto?-
Francis lasciò perdere i fogli sparsi e si voltò verso la cameriera. Era una ragazzina mobiana, uno scoiattolo di 16 anni che conosceva bene. Francis la squadrò un attimo notando i suoi abiti da cameriera di colore rosa, cosa che entrava un po’ in contrasto con la sua pelliccia castano chiaro.
-Tu non dovresti essere a scuola?- chiese il gatto lasciandosi andare al comodo appoggio dello schienale.
-Giorno libero, Funky- disse la ragazza facendo spallucce -E poi papà aveva bisogno di una mano qui. Tu invece non dovresti essere al lavoro?-
-Diciamo che anch’io ho preso un giorno libero, Vicky- rispose Francis mentre spegneva la sigaretta nel posacenere.
La ragazza si sedette sul tavolo del gatto, tirando fuori una sigaretta da un taschino sul suo petto. I due ragazzi si conoscevano da tantissimo tempo, più o meno dalla nascita di lei. All’inizio erano vicini di casa e Francis le faceva spesso da babysitter quando i suoi genitori erano fuori per lavoro. Lui era il fratello maggiore che Vicky non aveva mai avuto, mentre per Funky quel petulante scoiattolo era l’unica sorella minore che avrebbe mai voluto avere. Intorno a loro, la maggior parte dei tavoli si erano svuotati, rimanevano soltanto due umani che discutevano tranquillamente a bassa voce.
-Abbiamo visto la tv ieri sera- cominciò la ragazza dopo aver fumato la sua sigaretta -Gliele hai cantate a quell’imbecille!-
-Spero che tu non ti ritrovi mai in una situazione come quella-
La ragazza notò quel tono malinconico, chiedendosi il perché dello strano comportamento dell’amico. Da anni ormai avevano costruito un rapporto fatto di battute, insulti, di “se ti vedo ancora fumare lo dico ai tuoi” e di “tu provaci e io ti prendo a calci in culo”. Oggi invece era spento, come se avesse ben altro a cui pensare.
-A che stai lavorando?- chiese Vicky notando i fogli.
Francis si riprese dal suo mondo, notando la ragazza che leggeva il contenuto di quella “carta straccia” che si era portato dall’ufficio.
-Sono degli appunti sulla storia del vigilante. Devo scriverci un articolo-
-Wow, forte!- esclamò lo scoiattolo che, in un impeto di entusiasmo, tirò a sé tutti i fogli per leggerli.
-Non dirmi che tu ci credi?- chiese Francis.
-Perché? Guarda che esiste davvero!-
-Sei abbastanza grande per fumare ma non per smettere di credere a queste cavolate?- chiese Francis sarcasticamente.
-Quando ero piccola mi raccontavi sempre di lui, non ricordi?- disse Vicky ridendo, noncurante delle parole dell’amico.
-Era solo una scusa per farti smettere di rompermi le palle- disse Francis esausto da quel dialogo.
-Sarà, ma io ho sentito alcune voci. Qualcuno nei bassifondi l’ha visto per davvero. Anche mia madre dice di averlo visto quand’era piccola!-
-Ok, Stan Lee. Vediamo se riesco a farti cambiare idea- cominciò il gatto -Tua madre dice di averlo visto quand’era bambina, ovvero all’incirca quarant’anni fa. Se è vero, significa che questo supertizio è più vecchio di almeno sessant’anni. Vuoi dirmi che una persona vecchia e decrepita picchia le persone durante la notte?-
-Chi ti dice che sia un uomo? E se fosse un mobiano?- protestò lo scoiattolo.
Francis rimase piuttosto interdetto a quella domanda.
-C’è comunque il dettaglio dell’età-
Irremovibile, Francis raccolse i fogli dal tavolo e li rimise al proprio posto nella custodia del fascicolo.
-Ok, signor guastafeste, allora secondo te chi c’è dietro questa storia?- chiese Vicky divertita dal nervosismo dell’amico.
-Probabilmente saranno un gruppo di esaltati, magari dei fondamentalisti da quattro soldi. Qualcuno che crede di poter spaventare i criminali. Peccato che non ci siano “bat-caverne” nei dintorni, la polizia saprebbe sicuramente dove cercare-
-Sei il solito. Almeno c’è qualcuno disposto a fargliela pagare a quei bastardi!- commentò la ragazza alzandosi dal tavolo.
La discussione finì quando Francis avvertì una leggera vibrazione dentro il taschino interno della sua giacca. L’oggetto che tirò fuori fu un piccolo cercapersone che usava per lavoro, ovvero per farsi contattare dalle numerose fonti sparse per la città. Gente che qualche volta gli davano una dritta su quello che accadeva lontano dagli occhi di tutti. Questa volta, però, il numero da cui aveva ricevuto una chiamata non era quello di un suo informatore. Quando comprese chi fosse, ripose il fascicolo dentro la giacca e tirò fuori il portafogli.
-Tieni, questa è la tua mancia. Cerca di non spenderli tutti in sigarette- disse il gatto porgendo una banconota da dieci dollari allo scoiattolo.
-Te ne vai di già? Ma non hai ordinato niente!- esclamò perplessa Vicky dopo aver preso i soldi.
-Devo andare a trovare una persona. Ci sentiamo in questi giorni- disse Francis per liquidarsi.
La ragazza osservò l’amico andarsene a testa bassa, costatando che forse quel venerdì era cominciato come una giornataccia per lui.
Se avesse saputo da chi stava andando ora, avrebbe compreso che sarebbe andata peggio.
 
Il mezzi fluttuanti si trovavano solo all’interno del centro di Neo Crisis City. Per spostarsi in tutti gli altri quartieri bisognava prendere la metropolitana, l’unico mezzo rimasto ancora invariato da quasi un secolo, del tutto identico al periodo precedente ai bombardamenti. Sporco e rovinato, era l’alternativa più intelligente alle automobili, visto che le strade erano quasi sempre bloccate a causa del traffico. Dopo essersi fermato per qualche commissione, Francis the Cat prese la metropolitana per andare a Red Hook, quello  che era considerato il quartiere più povero della città. Un tempo doveva essere la vecchia Little Italy, ma dopo la guerra divenne un posto abitato soprattutto da mobiani. Che fossero umani o alieni, tutti coloro che risiedevano lì vivevano una vita da “accattone”. Gente che viveva nella miseria, senza lavoro o comunque con impieghi dallo stipendio bassissimo. C’erano anche numerosi criminali da strapazzo, ma questi preferivano non mettere piede fuori dai loro sudici appartamenti durante il giorno. Le strade erano piene di sporcizia e vecchie auto da rottamare, c’era pure un piccolo mercato pieno di bancarelle di roba usata o, più probabilmente, rubata. Con in mano un sacchetto preso ad un fast food, Francis camminò tranquillo per quelle degradanti strade. I muri dei palazzi erano pieni di graffiti o di disegni osceni, i lampioni della luce erano arrugginiti e mal funzionanti, ma al gatto non faceva impressione tutto questo. Conosceva fin troppo bene quella realtà e, soprattutto, conosceva fin troppo bene la gente che abitava lì. Uno in particolare era il motivo della sua visita nel quartiere.
Arrivato di fronte ad un piccolo portone di legno marcio di un palazzo di cinque piani in mattone rosso ancora più fatiscente, Francis prese un respiro profondo e vi entrò dentro. C’era un silenzio  quasi inquietante, interrotto a volte dai rumori delle porte degli appartamenti, o dai figli più piccoli dei residenti che facevano un casino infernale. Salito al secondo piano del palazzo, il cui interno presentava pareti ingiallite dal tempo, trovò un barbone umano che dormiva sul pavimento usando vari giornali come coperta.
Il gatto si fermò alla porta numero 8, bussando per avvertire della sua presenta. Dopo aver sentito il rumore della serratura che scattava all’interno, la porta si aprì. Di fronte a lui si presentò un camaleonte di colore rosso. Aveva delle occhiaie ben evidenti, sicuramente causate da una notte insonne.
-Vieni dentro- disse senza pronunciarsi più del dovuto.
Il suo nome era Mickey, ma Francis lo conosceva bene con il nome di Munky. Quando perse suo padre, il gatto passò molto tempo con lui e altri ragazzi mobiani. Ai tempi erano un gruppo di sprovveduti, nullafacenti e, cosa più importante, senza alcuna prospettiva per il futuro. Non avevano figure a cui ispirarsi, gli piaceva soltanto vivere per strada e combinare qualche marachella di poco conto. Fu il periodo più buio della vita di Francis, ma fortunatamente riuscì ad uscirne e a tornare sulla retta via.
Lo stesso non si poté dire per Munky.
Con il tempo, le marachelle divennero furti. Alla fine, quei furti diventarono qualcosa di più grave, fino a cominciare con altre cose di cui il gatto non voleva mai saperne nulla.
Eppure non riusciva a smettere di considerare quel camaleonte come uno dei suoi amici.
-Dove sei stato in questi mesi?- chiese Francis entrando dentro l’appartamento.
Si ritrovò nella stanza principale, un  misto tra una stalla e una cucina. C’erano tanti piatti sporchi nel lavandino, un tavolo sommerso da cumuli di cenere e due divani malconci come tutto il resto. Su uno di questi vi era un’altra vecchia conoscenza.
-Sono stato sempre qui, in città. Ero da amici- rispose seccamente il camaleonte, cominciando a pulire il tavolo con un pezzo di stoffa.
Era da maggio che i due non si vedevano.
-Che cos’è?- chiese Munky indicando la busta che Francis portava con sé.
Il gatto la tirò su, rivelando il marchio di un fast food stampatovi sopra.
-I tuoi preferiti. Ho pensato che avessi fame-
Il gatto poggiò la busta sul tavolo, tirando fuori due hamburger. Mentre il camaleonte era occupato a mettere a posto la piccola cucina, Francis si andò a sedere accanto al terzo mobiano lì presente. Questo era un pipistrello grigiastro con qualcosa di anomalo nella sua figura. Portava una strana mascherina medica che gli copriva il muso, ma la cosa che inquietò di più il gatto fu il suo sguardo.
Spento, vuoto e fisso di fronte a lui.
-Ehi Fieldy, mi riconosci?- chiese Francis sorridendogli.
Gli ripose l’hamburger sulle gambe mentre tirò fuori qualcosa dalla giacca. Era un fumetto, uno di quelli che il gatto leggeva con lo strano pipistrello quando erano bambini.
-Ti ricordi? Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere. Ricordi di tutte quelle volte che aspettavamo per leggerlo?-
Non ci fu alcuna reazione da parte dello strano ragazzo.
-Non può sentirti. Non parla più da settimane, riesce solo a fare quello che gli dico. Forse perché ha vissuto tutto questo tempo con me.. o almeno questo è quello che mi ha detto il dottore-
Il cuore di Francis si spezzò quando comprese quella situazione.
Come già detto, alcuni riuscivano ad uscire fuori da quel brutto mondo che erano i bassifondi, mentre altri si lasciavano risucchiare da quell’abisso.
Alla fine, ciò che rimaneva di loro non era nient’altro che un guscio vuoto.
-Da quanto tempo è ridotto così?-
Il gatto grigio si alzò dal divano, avvicinandosi verso il suo interlocutore con occhi iracondi.
-Non lo vuoi sapere- rispose Munky addentando il suo panino come se niente fosse.
-Perché me l’avete nascosto, Munky? Perché non mi hai mai detto che aveva cominciato a farsi?-
Fu una domanda troppo diretta, ma in quel momento non gli importava di essere “delicato”.
-Non cominciare. Non sono in vena di litigare con te, non oggi-
Il camaleonte aveva un espressione più stressata del solito, questa era una cosa che Francis dovette riconoscere. Era anche più silenzioso rispetto al passato, ma non aveva qualcosa di così diverso da placarlo da ciò che provava in quel momento.
Gli avevano dato fin troppe delusioni quella mattina.
-Non sei in vena per un litigio? Guardalo, Mickey. Guarda come si è ridotto per quella merda. Guarda che cosa fa lo schifo che gira per le strade, quello che ha creato il Comico. Come hai potuto permettere che si riducesse in questo stato? Come fai a guardarti allo specchio e a non sentirti un pezzo di merda?-
-Non provare neanche a scaricare la colpa su di me. Sei tu quello che se ne è andato e ci ha abbandonato. Non dimenticarti che mentre tu eri a fare la “bella vita”, io e Fieldy eravamo qui a rischiare la vita per mangiare-
I due si guardarono dritto negli occhi. Erano a pochi centimetri l’uno dall’altro, uno spazio più che sufficiente affinché un pugno potesse colpire il bersaglio.
-Io non vi ho abbandonato. Quante volte ho cercato di trovarti un lavoro? Quante volte ti ho aiutato ad uscire da questo postaccio? Tu non ne hai mai voluto sapere. Hai sempre voluto rimanere per queste strade, a fare il teppista con quei pezzi di merda dei tuoi amici. Scommetto che frequenti ancora Slug, non è vero?-
Francis gli ringhiò contro quelle parole, ma Munky abbassò le armi prima del previsto. Questo spostò lo sguardo verso il basso.
-Non è vero?- ripeté il gatto con più enfasi.
Ci fu solo silenzio. Entrambi poterono sentire meglio il respiro pesante di Fieldy, un rumore che gli diede fastidio. A quel punto, Francis non riuscì più a sostenere quella situazione. Tutto, dall’appartamento al palazzo, dalle strade al quartiere, cominciò a non reggere lo schifo in cui si erano ridotti non solo i suoi amici, ma tutti quanti.
-Quanto vuoi?- chiese Francis tirando fuori il portafogli.
Munky lo guardò di nuovo, sorpreso da quella domanda.
-So perché mi hai chiamato. Va a finire sempre così, quindi dimmi quanto ti serve sta volta e facciamola finita- continuò Francis infastidito.
-Io.. non ti ho chiamato per questo-
Quella risposta lasciò incuriosito e interdetto il giornalista. Mentre Munky si mise a sedere su una sedia, il gatto ripose il portafogli nella tasca della giacca per poi osservare meglio il suo amico di vecchia data. C’era davvero qualcosa di strano in lui, sembrava diverso rispetto a come si era sempre mostrato nei suoi confronti. Era più grande del gatto di due anni, per questo Munky voleva sempre dimostrarsi il più “duro” del loro gruppo, il più coraggioso e, soprattutto, il più sconsiderato. Faceva sempre di tutto per avere guai con la legge e prendeva parte alle risse con i suoi coetanei per sfogare tutta la sua frustrazione verso quella città così brusca nei suoi confronti. Era diventato a suo modo razzista verso gli umani, purtroppo. Quella volta, però, Munky si mostrò stanco, cosa che non era mai successa da quando si conoscevano.
-Tu hai.. qualche contatto ai piani alti?- fu la domanda del camaleonte.
-Di quali piani alti stiamo parlando?- chiese Francis perplesso.
-Qualcuno.. come un politico o magari un giudice. Qualcuno che stia in alto, dannazione!- rispose Munky tormentandosi le mani.
-Che sta succedendo?-
Il camaleonte, nonostante la sua attività come criminale, sembrò davvero impaurito in quel momento. Sembrò prendere tutto il coraggio di cui era a disposizione per poter spiegare al gatto il motivo della sua chiamata.
-Tra due giorni.. domenica, a mezzanotte. Arriveranno una serie di piccole navi, una di quelle telecomandate a distanza senza nessuno a bordo. Attraccheranno al porto, non so con esattezza a quale molo, non me l’hanno voluto dire-
-Chi non te l’ha voluto dire?- chiese Francis sbalordito.
-A me l’ha detto Slug… ma è stato qualcun altro a dirglielo. Non so chi sia, ma ha avvertito anche gli altri, gente da tutta la città, perlopiù umani probabilmente. Dobbiamo farci trovare lì a quell’ora, non ci sarà nessuno a controllare il porto in quel momento. Dobbiamo scaricare tutto in fretta, nasconderli nei container vuoti e aspettare che dei camion arrivino per portarseli via-
-E che cosa c’è in quelle navi?-
La storia cominciava a scottare. Francis lo capì quando avvertì un brivido lungo la schiena. Munky sembrò non voler continuare a parlare, distogliendo lo sguardo dagli occhi del suo amico.
-Mickey, guardami e dimmi che cosa diavolo ci sarà lì dentro- gli intimò il giornalista.
Munky ritornò a fissarlo più impaurito di prima.
-Si tratta del toxin-
Il toxin era una delle droghe più usate negli Stati Uniti e che, ormai, stava spopolando in tutto il mondo. Aveva sostituito tutto il resto degli stupefacenti, divenendo la sostanza più abusata dai criminali e dai tossicodipendenti in generale. Distruttiva, poteva essere assunta tramite iniezione o, più comunemente, ingerendola. Se ne abusavi, gli effetti diventavano sempre più devastanti con il passare del tempo, per non parlare del fatto che l’aumento del dosaggio è proporzionale al danno al cervello e a tutto il corpo. Entrambi i mobiani la conoscevano bene, perché è la stessa cosa che ha ridotto Fieldy in quello stato pietoso che non riuscivano a reggere.
-Chi manda quelle navi? Chi c’è dietro?-
Più si rivelavano nuovi dettagli e più Francis rimaneva scosso. Munky si mise a ridere, forse per impedirsi di piangere di fronte al vecchio compagno di strada.
-Non ci crederesti mai- fu la sua risposta.
Convinto che avrebbe dovuto tirargli fuori le parole a forza, Francis collegò un attimo il puzzle che gli si era formato sotto il naso in quei giorni. Sapeva che G.U.N. aveva bloccato tutte le zone portuali dalla costa ovest degli Stati Uniti, sottoponendole ad un rigido controllo giorno e notte. Tutta l’attenzione era concentrata lì, a detta loro, ciò significava che per far passare tutte le merci sporche c’erano tre vie disponibili. Il Canada, il Messico e la costa est, la parte del paese bagnata dall’Oceano Atlantico.
Ovvero dove si trovava Neo Crisis City.
-Non ne sono sicuro, ma credo che sia lui. Non me l’hanno voluto dire- rispose Munky rompendo il filo di pensieri del gatto.
-Non è possibile- commentò Francis sottovoce.
Ancora una volta, l’ombra del Comico tornò ad oscurare tutto.
Ciò che amavano, ciò che odiavano, ciò per cui molti si battevano non contavano più nulla.
-Riforniranno tutti gli stati da qui, probabilmente. Ci metteranno tempo, ma non avranno ostacoli- aggiunse Munky massaggiandosi la fronte.
-Mickey, ti prego ascoltami- cominciò il gatto -Dobbiamo andare dalla polizia e avvertirli. Devi dirgli tutto quello che sai-
-Non ci sono più sbirri come tuo padre- rispose il camaleonte -Chiuderanno gli occhi e faranno finta di niente. Hanno tutti paura, c’è di mezzo gente troppo in alto sta volta. Se spifferò questa cosa a qualcuno mi faranno fuori. Per questo ti ho chiamato, credevo che tu potessi dirlo al tuo capo, a qualcuno che potesse fare davvero qualcosa, a chiunque-
-Allora non andare! Troverò un modo, contatterò qualcuno che può fare qualcosa, ma tu non devi essere lì!- protestò Francis.
-Se io e Fieldy non saremo lì, ce la faranno pagare cara. Devo ubbidirgli, o lunedì non ci troverai più qui-
Francis dovette ricorrere a tutte le sue forze per non urlare dalla disperazione. Non aveva nessuno da contattare, non conosceva nessuno che poteva aiutargli a impedire che quelle navi arrivassero lì domenica. In quel fetido appartamento di Red Hook, i mobiani che erano cresciuti insieme per le strade cominciarono a provare qualcosa di nuovo, un sentimento impossibile da contenere o almeno placare.
La paura.
 
L’orologio del Kadie’s Bar segnalava che erano appena scoccate le 23. Normalmente, quello sarebbe dovuto essere l’orario di chiusura, ma il proprietario, un vecchio uomo di origine ebraica di nome Sam Kovacs, lasciava sempre il locale aperto fino alla mezzanotte. C’erano pochissimi clienti in quel momento, ma era meglio lasciare le porte aperte per un po’ nel caso qualcuno decidesse all’ultimo minuto di farsi una bevuta. Bisognava sbarcare il lunario in tutti i modi possibili, nonostante il suo locale fosse il più frequentato della zona, cosa di cui si vantava parecchio con la “concorrenza”. Si trovava in un quartiere tranquillo, non era mai capitato che qualche idiota entrasse per fare casino. Se un giorno sarebbe accaduto avrebbe risolto il problema con il Remington nascosto sotto il bancone, ma si augurava che quel momento non arrivasse mai.
-Ehi Funky, giornata pesante oggi?- chiese Sam portando l’ennesimo bicchiere al tavolo su cui il giornalista si era seduto.
Il gatto si limitò ad un leggero cenno con il capo, tracannando del whiskey direttamente dalla bottiglia questa volta. Si trovava lì da tre ore ormai, ma al barista non dispiaceva la compagnia del mobiano. Conosceva quel santo di suo padre e gli doveva tutto, per questo chiudeva un occhio se Francis esagerava al punto da non riuscire a mantenersi in piedi. Questa volta era diverso, lo vedeva nella sua figura rigida e dai movimenti meccanici. Conosceva la rabbia e sapeva che quando si è azzannati da quella bestia era meglio essere lasciati in pace. Così, Sam lasciò il gatto alla propria solitudine, comprendendo che forse era meglio non stargli troppo intorno.
Senza mezzi termini, era stata una giornata di merda, la più brutta da tanto tempo per Francis. Aveva scoperto qualcosa di orribile, un evento che avrebbe distrutto quella che era già una città piena di marciume e disonore, per questo non c’era un solo pensiero positivo nella sua testa.
Vedeva tutto nero, tutto troppo sbagliato per poter vivere in pace. La sua carriera da giornalista era caduta inesorabilmente nel baratro e sarebbe rimasta lì per chissà quanto tempo. Non aveva al momento nessuno con cui confidarsi, con cui spegnere quell’incendio che lo consumava dall’interno. Gli amici che aveva servivano davvero poco, perciò era lì nel vano tentativo di sfogare i suoi sentimenti nell’alcool. Forse, cosa ancora più probabile, era lì per perdere il controllo.
Si vergognò all’idea di farlo, poiché abbassarsi a tanto significava diventare uno dei demoni che infestavano quella città. Se avesse avuto fede, avrebbe pregato con devozione affinché qualcuno lo aiutasse a risolvere i suoi problemi.
Francis, però, era troppo lontano dal Paradiso per poter essere sentito da qualcuno.
-Non credevo che ti avrei trovato qui-
Il tono triste e pieno di rammarico di Jerry Thompson fu strano per Francis, soprattutto se paragonato alla violenza che aveva sprigionato quella mattina. L’uomo, coperto da una pesante giacca e da un cappello simile a quello dei detective dei vecchissimi film hollywoodiani, si sedette accanto al gatto in quel locale vuoto.
-Dovresti risolverlo questo problema del bere. Sei uno troppo in gamba per poter cadere in questi vizi- continuò l’uomo.
Per tutta risposta, Francis tirò fuori l’ultima sigaretta che gli era rimasta, accendendola e fumandosela tra un sorso e l’altro.
-Non la pensavi così in ufficio oggi- rispose il gatto -Cosa sei venuto a fare qui? Hai trovato qualcos’altro per potermi buttare a terra?-
Il voce di Funky era spezzata. Non osava voltarsi verso l’uomo che gli sedeva accanto.
-Francis.. mi dispiace per quello che è successo. In realtà non ero arrabbiato con te, ma con quel bastardo del sindaco che mi ha costretto a baciare le chiappe di quel dannato ministro. Ho esagerato, ho sfogato su di te tutta la mia rabbia. Devi ammettere, però, che hai alzato troppo la testa. Non puoi dire delle cose del genere ad una persona così in alto e passarla liscia. Volevano che ti licenziassi, ma li ho convinti che sarebbe stato troppo estremo e che non l’avresti più fatto in nessuna circostanza. Ti è andata bene questa volta, ma immagina se al posto di quel ministro ci fosse stato qualcuno che è davvero in combutta con il Comico-
Il tono sincero e pieno di rammarico del suo capo non riuscì a placare gli attuali sentimenti del mobiano.
-Sono quattro anni che lavori per me. Sapevo fin dall’inizio che avevi talento, che eri uno di quelli che fa la differenza. Ti ho dato la possibilità di lasciare la strada non per i tuoi voti o per i tuoi risultati all’università, ma perché capivo chi eri davvero guardandoti negli occhi. So che ce l’hai con me, figliolo, ma voglio che tu sappia che con il tempo ho cominciato a considerarti più di un semplice impiegato. Sei come un figlio per me e non riuscirei mai a sopportare che loro ti facciano i pezzi. Sono dei mostri, hanno venduto l’anima al diavolo e faranno di tutto per mantenere ciò che hanno. Se questo paese è marcio, noi non abbiamo il diritto di dirlo a voce alta. Non mi piace, non piace a nessuno che sia sano di mente, ma è così- concluse l’uomo.
L’unica reazione che il giornalista ebbe in quel momento fu quella di smettere di bere. Lasciò la bottiglia e si coprì il volto tra le mani.
Jerry deglutì quando lo sentì ridere.
-Lo sai qual è il vero problema, Jerry? Il problema è che tu hai ragione. Il problema è che tutto questo è così fottutamente sbagliato da essere diventato giusto. È perverso, ma è così. Io sono il cattivo e loro sono i buoni. Io cerco di capire chi sia il pezzo di merda e loro insabbiano tutto e mi chiamano “pazzo”. Cerco di uscirne, cerco di vedere il bicchiere mezzo pieno, ma loro me lo strappano via dalle mani e lo buttano per terra. Sai cosa ti dico? Dico che mi va bene. Mi va bene di essere un giornalista fantoccio, mi va bene che chi ha il potere ucciderà chiunque per mantenerlo, mi va anche a genio che il Comico faccia stragi in giro per il mondo senza che nessuno lo fermi e, soprattutto, mi va benissimo che le persone muoiano e che nessuno cerchi giustizia-
Trattenendo le lacrime con le risate, Francis gettò via la sigaretta e fece un ultimo grande sorso dalla bottiglia, finendola.
-Francis, per l’amor di Dio smettila di..-
Jerry provò a poggiare una mano sulla spalla del mobiano, ma questo si allontanò alzandosi dalla sedia e stringendo la bottiglia nella sua mano destra.
-Sai cos’altro mi va bene, Jerry? Mi va bene che non esista nemmeno una G.U.N. che ci protegge. Hanno ucciso tutti gli eroi e hanno dato il via libera a tutti quei figli di puttana che ci godono nel far soffrire gli altri in tutti i modi possibili e inimmaginabili. Amo il fatto che l’unico che possa fermare tutto questo vive lontano da noi e ci osserva. Sai cosa credo, “boss”? Credo che noi gli facciamo schifo. Scommetto che se dovesse scoppiare un’altra guerra lui non farà nulla. Anzi, scommetto tutte le mie nove vite che un giorno sarà così disgustato da distruggere il pianeta con le sue mani. È Sonic the Hedgehog, è Dio! Ha il potere, ma non fa nulla. Comincio ad amare tutto questo, lo sai?-
Quell’ultima frase sembrò tramutarsi in un urlo. Il gatto non si accorse nemmeno di aver spaccato la bottiglia nella sua mano, lasciando che i pezzi di vetro sporchi del suo sangue raggiungessero il pavimento.
Alzatosi, Jerry Thompson cercò di farlo ragionare.
-Francis, calmati-
-Tu non sei mio padre!- urlò il gatto con tutte le sue forze.
L’uomo si fermò al suo posto, tristemente offeso dalle parole del giornalista.
-La verità è che tu sei un umano e io sono un mobiano. Quand’ero bambino, mia madre mi accompagnò all’asilo per potermi iscrivere. C’era una donna alla segreteria che ci guardò disgustati quando ci vide entrare. Sai cosa ci disse, Jerry? Disse che quell’istituto era per bambini umani, non per degli “sporchi mobiani”. Hanno chiamato me e tutti i miei simili in questo modo per tutta la vita. La verità è che questo mondo e i suoi padroni vogliono che io e te siamo nemici per natura. Vogliono che ci facciamo la guerra e che ci sputiamo in faccia!-
A quel punto, Francis lasciò cadere ciò che rimaneva della bottiglia in frantumi, mentre il sangue continuava ad uscire dal palmo della sua mano. Cominciò a piangere e non poté impedirlo.
-La verità è che io non posso più vivere così. Non posso vivere in un mondo dove ci sono solo chiese e prigioni. Dovrebbe esserci qualcosa di più.. deve esserci-
Concluso il suo sfogo, Francis corse via da quel locale. Jerry rimase lì, seduto a quel tavolo, comprendendo i sentimenti del gatto e maledicendosi per tutto quello che era successo.
Fuori, per le strade, il cielo notturno era spezzato da un violento temporale. Avvolto nella sua giacca a vento, Francis the Cat cominciò a percorrere in fretta i marciapiedi bagnati. Quei pochi che erano ancora lì fuori guardarono il gatto spaventati dal suo modo di fare. A causa dell’alcool, cominciò a barcollare e a tremare con un pazzo. Il freddo gli penetrava nelle ossa e le gocce di pioggia gli impedivano la vista. Attraversò la strada con il semaforo rosso, finendo quasi per essere investito da una macchina sportiva di chissà quale riccone.
Non gli importava di morire in quel momento. Non voleva nemmeno tornare a casa, dato che in quel momento non riusciva nemmeno a ricordarsi la strada per arrivarvi. Dopo aver percorso qualche altro isolato in fretta e furia, nonostante cominciasse a non reggersi più in piedi, il gatto imboccò un vicolo strettissimo tra due palazzi e sbatte contro il muro di uno di questi. I volti di tutte le persone a lui care occuparono la sua testa. Vicky e i suoi genitori, Munky e Fieldy, Jerry e i suo colleghi, i suoi compagni dell’università e, alla fine, i suoi genitori. Aveva di loro un immagine pulita e perfetta, troppo giusta per poter essere infangata da quella città. Una marea di sensazioni sconvolse il gatto in quel momento. Cominciò a respirare a fatica, chiudendo gli occhi per il forte mal di testa che iniziò ad affliggerlo. Si piegò accanto ad un cassonetto dell’immondizia e cominciò a vomitare, sfogando tutto ciò che era “sbagliato” e che gli era rimasto dentro. Dopo aver rimesso, Il gatto percepì tutti i suoi sensi tornare alla normalità.
-Ehi! Qualcuno qui deve avere esagerato!-
Dal buio del vicolo cominciarono a sbucare delle figure. Lì la pioggia arrivava sottoforma di qualche goccia a causa del vicinanza ristretta dei palazzi circostanti. A parlare fu un aquila con un giubbotto di pelle pieno di catene.
-Poveraccio, secondo me non è abituato a scolarsi più di una birra!-
Subito dopo sbucò una tigre vestita pesante e con le mani in tasca.
-Ragazzi, ragazzi.. ma non lo vedete che è un mobiano come voi? Dovreste essere più gentili, abbiate più rispetto!-
Alla fine fece la sua uscita un umano. Un ragazzo che forse era poco più grande di Francis e che, sicuramente, sembrava essere il capo banda. Vestiva come l’aquila ma aveva le braccia scoperte, in modo tale da poter mostrare i tatuaggi che aveva.
-Permettimi di presentarmi. Io sono Kevin, e questi sono i miei amici Mark e Steve- cominciò l’umano -Siamo del quartiere e conosciamo bene tutta la città. Perché non vieni con noi? Ti accompagneremo a casa.. ovviamente ad un prezzo ragionevole-
-Che ne dici del tuo portafogli, gatto?- aggiunse l’aquila.
Il tono intimidatorio di quei tre non scalfirono minimamente il gatto. Nonostante la sua attuale condizione, con la mano ancora sanguinante, Francis trovò la forza di tirarsi su, seppur con fatica.
-E se voi giraste al largo e andaste a farvi fottere? Non vi sembra un opzione migliore?-
Quella sua dimostrazione di coraggio non piacque ai tre.
-Il gatto ha la lingua lunga- commentò la tigre mentre si accese qualcosa che sicuramente non era una sigaretta.
-Già.. perché non gliela strappi, Steve?- disse Kevin riferendosi all’aquila.
Senza dire nulla, il mobiano piumato cominciò ad avvicinarsi al gatto.
Come già detto, Francis non aveva paura di morire in quel momento. Un’altra cosa da sapere sulla vita nelle grandi metropoli era che per sopravvivere in strada bisognava saper combattere.
E lui lo aveva imparato.
Per dimostrarlo, il gatto fece avvicinare l’aquila. Quando questa lo prese per le spalle, Funky lo sorprese colpendolo con una ginocchiata in pieno stomaco. Seguì il suo pugno che, con la rapidità di un pugile, si abbatté contro il volto di Steve, facendolo cadere a terra.
La tigre e l’umano scoppiarono a ridere.
-Accidenti! Il gatto ha gli artigli!- commentò Mark.
L’aquila tornò indietro strisciando velocemente ed impaurita, mentre Francis si mantenne in piedi con tutte le forze che aveva.
-Avanti! Chi è il prossimo!?- urlò guardando uno ad uno i suoi aggressori.
-Non avresti dovuto colpire così il mio amico-
Ridendo, l’uomo tirò fuori dalla giacca la pistola. Nonostante questo, Francis non retrocesse di un passo. L’umano caricò il proiettile e la puntò verso di lui, facendosi passare la “sigaretta” dalla tigre.
-Voglio proprio vedere se hai nove vite!-
-Allora fallo, che aspetti!?- urlò Francis -Vuoi un pezzo di me, idiota!? Allora premi quel grilletto e facciamola finita!-
Francis strinse i denti, mentre dall’altra parte i tre cominciarono a ridere. Suo padre era morto con un colpo di pistola e, in quel momento, gli sembrò giusto che anche la sua vita finisse così.
Tenne aperto gli occhi fino all’ultimo.
Qualcosa, però, andò storto.
Un rumore, come qualcosa che cade pesantemente a terra, provenne dalle spalle dei tre criminali. All’unisono, questi smisero di ridere e spostarono l’attenzione verso il fondo del vicolo. Era troppo buio per poter vederci qualcosa.
-Che cazzo è stato?- chiese la tigre nervosa.
Prima che qualcuno potesse dire qualcosa, l’aquila di nome Steve venne tirata in avanti da qualcosa che non riuscirono a vedere. Con una velocità impressionante, il mobiano piumato scomparve nel buio. Il suo urlo fece sobbalzare tutti i presenti, Francis compreso.
Il ragazzo di nome Kevin cominciò a sparare nel buio, sperando di poter colpire chiunque avesse preso il suo complice. Scaricò il caricatore dell’arma, non riuscendo a capire se fosse servito a qualcosa. Le urla dell’aquila erano cessate nel frattempo.
-L’hai.. l’hai preso?- chiese la tigre tremando.
Come risposta, il corpo incosciente dell’aquila si scagliò contro Mark mentre Kevin osservò stupefatto la scena. Quando si voltò di nuovo verso la parte buia del vicolo, un devastante pugno lo colpì allo stomaco. Quando fu all’altezza del suo aggressore, un calcio lo spedì violentemente indietro verso i suoi complici e Francis.
Qualcosa cominciò a uscire dal buio. Sotto gli occhi del gatto grigio, una figura alta quanto lui stava immobile come una statua. C’era troppa poca luce per poterla descrivere e Francis risentiva ancora degli effetti dell’alcool.
Tirato fuori un coltello a serramanico, la tigre si rialzò per lanciarsi contro il misterioso individuo. Nel buio più totale, questi lo bloccò e lo colpì in pieno petto con una gomitata. Quando fu in ginocchio, Mark venne messo al tappeto con un brutale colpo alla nuca.
Steve, l’aquila, era già priva di sensi poco lontano da Francis, rimasto pietrificato da quello spettacolo di violenza.
Il rumore di una pistola scarica attirò l’attenzione di quell’essere attualmente indefinibile, che sembrò posare gli occhi di nuovo su Kevin. Con il naso che colava sangue e la bocca serrata, il ragazzo tentava inutilmente di far fuoco sul suo aggressore. Questo gli si avvicinò e gli prese il braccio, girandolo così bruscamente da spezzargli l’osso. Lo lasciò urlare un altro po’, sembrava quasi che gli piacesse.
-Ti prego.. ti darò tutto quello che vuoi! I soldi non sono un problema.. tu dimmi quanto vuoi e ti darò tutto!-
Probabilmente Kevin si sarebbe messo a frignare di lì a poco. Lo straniero, seppur più basso di lui, lo prese per la schiena e lo scaglio contro il muro alla sua destra, stendendolo definitivamente. Scese il silenzio, vi era solo il rumore della pioggia che sbatteva contro il suolo.
Lo strano essere si era avvicinato un po’ alla parte illuminata del vicolo. Francis si inginocchiò a terra per la stanchezza, ma non staccava gli occhi di dosso da quella figura.
Chiunque egli fosse, ora rimaneva immobile nel buio. Ad un certo punto, il lampione che illuminava quella parte di vicolo si spense, lasciando Francis senza alcuna luce.
Preannunciando il tuono, un lampo partì dal cielo ed illuminò per poco ciò che era di fronte a Francis. Forse grazie alla sua memoria fotografica, il giornalista si stampò nella mente ciò che vide.
Di fronte a lui vi era una figura nera, avvolta in un mantello rovinato e del medesimo colore. Come già aveva intuito, era alto quanto lui. In quel momento il vento fece sì che il mantello ricoprì il suo corpo. La testa era nascosta da un cappuccio da cui fuoriuscivano delle ciocche nere.. identiche ad aculei. I suoi occhi erano rosso scarlatto, come il sangue che usciva dalla ferita di Francis.
Erano vuoti, ma sembravano fissare il giornalista con sguardo accusatorio.
La paura che il gatto provava in quel momento fu così forte da fargli passare la rabbia e la sbronza. Quando tutto ritornò nel buio, riuscì a sentire un rumore, come se quell’essere avesse fatto un balzo. Il gatto capì che quell’essere se ne era andata via.
Francis rimase lì e si risedette pesantemente a terra, tra i corpi privi di sensi e tumefatti dei criminali.
Quel giorno, il gatto grigio era stato bruciato dal Sole. Nella sua caduta, però, qualcuno lo aveva afferrato in tempo. Al momento non poté dire con certezza se a farlo fosse stato un angelo.
O il Diavolo.
 
 
 
Note dell’autore
Ed eccoci arrivati ad una svolta importante! Colgo l’occasione per augurarvi un buon 2016, sperando che abbiate passato delle buone feste e che questi giorni siano ancora meglio. Spero che questo capitolo e che questa storia vi stia piacendo, inoltre spero di non aver fatto alcun errore.. ma è meglio lasciar perdere xD
Grazie a tutti e ancora tanti, tantissimi auguri!
Vic.
  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Sonic / Vai alla pagina dell'autore: Vicarious10