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Autore: _armida    02/01/2016    5 recensioni
“Sono stupito, non credevo che un bel faccino riuscisse anche a maneggiare un’arma con tale bravura”, disse il Conte.
Elettra provò a tirarsi su, ma finì per andare ad urtare contro la lama della spada, ferendosi leggermente uno zigomo.
“Dovete stare attenta, non volete di certo rovinare tutta questa bellezza così”, aggiunse allontanando la spada dalla faccia della ragazza. Doveva dargliene atto, era davvero bella. Non lo aveva notato prima, quando Grunwald l’aveva portata all’accampamento priva di sensi, era troppo preso dal chiedere al garzone di Da Vinci dove si trovasse la chiave.
Fece cenno a due guardie svizzere di tenerla ferma, mentre lui la perquisiva in cerca di altre armi nascoste. Non ne trovò, ma la sua attenzione fu catturata da qualcosa che la ragazza teneva nella tasca sinistra dei pantaloni: si trattava del suo blocco da disegno. Quando fece per sfogliarlo, una moneta, contenuta al suo interno cadde a terra; non si trattava di una moneta comune, era in oro e presentava sulla sua superficie la faccia di un dio pagano. La raccolse e la osservò accuratamente.
“Cosa sapete riguardo ai Figli di Mitra?”
VERSIONE RIVEDUTA E CORRETTA SU WATTPAD
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Girolamo Riario, Giuliano Medici, Leonardo da Vinci, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Elettra'
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Capitolo XXV: Seppellire l'ascia di guerra
 
Alcuni giorni più tardi...

Elettra sbuffò per l'ennesima volta, quella mattina. Si sistemò meglio sulla propria poltrona, lasciando cadere in modo tutt'altro che delicato il piccolo volume che teneva in mano, sulla scrivania del proprio studio, a palazzo de Medici. Si trattava di uno dei preziosi libretti vergati di suo pugno da Dragonetti e che conteneva i nomi dei malcapitati che, per loro sfortuna, erano stati trovati dal Capitano a vagare per le strade di Firenze dopo il coprifuoco.
Con l'aiuto di Bertino, li aveva 'presi in prestito' dall'ufficio di Dragonetti, a sua insaputa. Il termine più esatto, per quello che aveva fatto, era rubato. Ma presi in prestito era decisamente una parola più carina. 
Sarebbe finita in guai grossi, se qualcuno fosse venuto a conoscenza di quello che stava facendo. Che Giuliano le aveva chiesto di fare.
Era da un po' che il giovane de Medici pensava ad un modo per scoprire la vera spia che aveva tentato di incastrare Gentile Becchi e che ancora vagava indisturbata per il palazzo. E poi, una sera, mentre si trovava al Cane Abbaiante, insieme a Vanessa, ecco che l'ispirazione era finalmente arrivata. 
Ovviamente era toccato ad Elettra, fare tutto il lavoro sporco.
La ragazza guardò con aria disgustata la colonna di libretti che si stava accumulando sulla propria scrivania; solo studiandoli attentamente, si era resa conto che forse aveva un po' esagerato, con le uscite insieme a Leonardo, Nico e Zoroastro: i loro nomi comparivano decisamente troppo spesso! 
Anche Giuliano e Bertino, negli appartamenti del giovane de Medici, ne stavano analizzando altri. Con tutto quel lavoro, si vedevano davvero poco. E sempre per discutere delle reciproche scoperte.
Stava per allungare la mano, per prenderne un'altro, quando la maniglia della porta che dava su uno dei numerosi corridoi del palazzo, si mosse.
Elettra era certa che da un momento all'altro sarebbero entrati Bertino e Giuliano, per comunicarle qualche novità.
"Ho bisogno di un aumento!", disse mentre la porta si apriva.
Con sua grande sorpresa sulla soglia non comparvero Bertino e Giuliano, ma il Conte Riario.
L'uomo la guardò con un'espressione che poteva quasi dirsi divertita. Sempre restando nella limitatezza della sua apatia, si intende. "I Medici vi fanno forse lavorare troppo, Madonna?", chiese. C'era una vena di sarcasmo, nella sua voce.
Elettra si mise più composta, sulla propria poltrona, e rimise a terra le gambe, fino a quel momento incrociate sulla seduta. "Non si usa più bussare, Conte?",chiese, mantenendosi sulla difensiva.
Dalla sera della festa, dopo avergli dato dell'idiota (per ben due volte), lo aveva deliberatamente evitato.
"Il Magnifico mi ha gentilmente chiesto di riferirvi che, per oggi, siete sollevata dal compito che state svolgendo, qualunque esso sia", le disse, mentre osservava con interesse il volume aperto al centro della scrivania e la pigna di libretti simili a quello, di fianco.
Elettra chiuse il libretto di Dragonetti, appoggiandolo sopra agli altri, e poi prese l'intera colonna, deponendola in un'anta dell'armadio, che chiuse poi a chiave; non voleva di certo che quell'impiccione del Conte si mettesse a frugare tra le sue cose. Specialmente se esse riguardavano un'indagine sulla spia romana.
"Adesso fate anche il piccione viaggiatore per Lorenzo?", chiese lei, mentre tornava alla sua scrivania, con quel suo solito tono impertinente.
A giudicare dalla quasi impercettibile contrazione della mascella dell'uomo, Elettra doveva aver detto qualcosa di grosso. Gioì di sè stessa, pensando a quanto tempo il Conte avrebbe impiegato, a girare sui propri tacchi e uscire, sbattendo rumorosamente la porta e borbottando parole incomprensibili su quanto fosse esasperante ed infantile.
"Oh, ma non vi siete ancora chiesta quale nuovo compito vi abbia affidato il Magnifico". Le sue labbra si incurvarono in un affilato sorriso. 
La ragazza lo fissò attentamente: si capiva da lontano, che Riario ne era a conoscenza. "Parlate, dunque", disse irritata.
"Verrete con me a visitare le rovine romane"
Se fosse stato realmente possibile, ad Elettra sarebbe cascata la mascella, da quanto rimase a bocca aperta. "Ho da fare, Conte. Sarà per la prossima volta", ribattè sbrigativa. Dovette mordersi la lingua, per evitare di cominciare ad apostrofarlo con epiteti non proprio adatti.
"Non potete sottrarvi ad un ordine di Lorenzo"
Riario aveva ragione, ma in quel momento non aveva nessuna intenzione di ammetterlo.
"Andrò a chiederlo a Lorenzo, di persona", ribattè adirata.
Quasi a volerlo fare apposta, in quel momento qualcun'altro bussò alla porta. "Un messaggio del Magnifico". Era la voce di Fabrizio.
"Entra pure Fabrizio", disse Elettra, sedendosi stancamente sulla propria poltrona.
Il fidato servitore entrò. "Lorenzo riferisce che..."
"Che dovrò accompagnare il Conte Riario a visitare le rovine romane fuori città", lo interruppe lei, con voce annoiata.
L'uomo la guardò, sorpreso."E voi come fate a saperlo di già?". Solo in quel momento, si accorse della presenza del Conte. 
Il suo sguardo passò dalla figura di  Riario, ad Elettra, tutt'altro che felice, della notizia appena comunicale.
"Ho qualche altra opzione, su come passare la mia giornata, oggi?", chiese lei, ormai senza più speranze.
"Io non mi azzarderei a contestare un ordine del Magnifico", rispose cauto il servo. "Specialmente oggi... pare che sia di pessimo umore"
"Perfetto", commentò sarcastica, la ragazza.
Evitò di guardare la faccia di Riario, ben consapevole del ghigno di vittoria che gli era comparso in volto.
Congedò Fabrizio che, prima di uscire, fece un ampio inchino.
Elettra sospirò. "Perchè proprio le rovine romane?"
Il Conte le sorrise, con uno dei suoi soliti sorrisi affilati. "Vostro zio mi ha parlato degli studi accurati che avete fatto su di esse. E poi, come immagino avrete senz'altro udito, io e il Magnifico siamo finalmente giunti ad un accordo, riguardo alla questione del debito pontificio. E desideravo visitare meglio Firenze, prima di fare ritorno a Roma"
"Aspetto con ansia il giorno in cui ve ne andrete, Conte", disse la ragazza, con uno dei suoi soliti sorrisi strafottenti alla Leonardo Da Vinci.
 
***

"Perchè avete deciso di non portare con voi qualche guardia?", chiese Elettra mentre smontava da cavallo. Ad una decina di metri da loro, i primi cumuli di mattoni, indicavano la presenza di una qualche antica costruzione. 
La ragazza si era cambiata, prima di partire, sostituendo la scomoda gonna di broccato con un paio di pantaloni di pelle nera. 
Avrebbe decisamente preferito che ci fosse qualcun'altro con loro; non lo avrebbe mai ammesso a sè stessa eppure, il trovarsi sola con Riario, in un luogo isolato, la faceva sentire inquieta.
Il Conte ridacchiò tra sè e sè, intuendo i suoi pensieri. "Sono perfettamente addestrato e in grado di garantire l'incolumità di entrambi", disse, rispondendo alla sua domanda.
"So difendermi da sola", ribattè Elettra, sistemandosi la spada che aveva preso in prestito dall'armeria di Palazzo della Signoria. Nonostante quella fosse il modello più piccolo e leggero di cui disponessero, era comunque troppo pesante per lei. Non lo avrebbe mai detto a Riario, eppure rimpiangeva la propria, di spada, fatta su misura e in acciaio di Damasco, il migliore in quanto a leggerezza e resistenza. E, ovviamente, lasciata a casa.
"Quella spada non è adatta a voi". Da ottimo soldato, il Conte aveva intuito pure quello.
"Ho altre armi, se proprio vi interessa saperlo", ribattè lei, seccata. Per altre armi, intendeva il piccolo pugnale che teneva nascosto nella fodera dello stivale sinistro.
"E così questo è un posto di briganti", constatò Riario, girandosi lo stiletto tra le mani, per poi rinfoderarlo nella propria cintura. Anche il Conte aveva lasciato a palazzo la propria divisa, optando per degli abiti senza impresso il simbolo pontificio. Ovviamente sempre neri; le altre gamme di colori erano inesistenti.
"Di notte non è consigliabile vagare per questi luoghi", aggiunse Elettra.
Passò a fianco a Riario e, senza controllare che lui la stesse seguendo, si diresse a passo spedito verso le rovine. 

Elettra spiegò a Riario la storia, di quelle rovine, come dovevano apparire secoli prima e la loro architettura. Per permettere al Conte di avere un'idea più chiara, fece anche qualche schizzo veloce sul proprio blocco degli appunti, porgendoglielo e, con quel suo solito tono sarcastico, raccomandagli di restituirglielo, una volta osservato quello che doveva. Visto quello che era successo, in quello stesso luogo, durante il loro primo incontro, ad Elettra sembrava ovvio, fargli quella raccomandazione. L'altro libretto, non glielo aveva più restituito.
Il Conte restava sempre di qualche passo distanziato, rispetto alla ragazza, facendo sentire la propria presenza solo quando le porgeva qualche domanda, oppure annuendo ad alcune sue affermazioni. Per il resto, quell'uomo aveva il passo più silenzioso di quello di un felino; fatto che faceva innervosire ancora di più Elettra.
Ad un certo punto, entrarono in un edificio -uno dei pochi, ancora in piedi-.
"Questa costruzione veniva usata come luogo di culto per il dio Mitra", disse lei, fermandosi al centro della sala.
Ora, come minimo, si sarebbe aspettata qualche domanda riguardante i figli di Mitra e il Libro delle Lamine. Invece ci fu solo un lungo silenzio.
Elettra si chiese se magari il Conte non si fosse perso lungo il tragitto; si voltò, ritrovandosi il viso di Riario a pochi centimetri dal suo. Aveva un'espressione divertita, stampata in faccia.
La ragazza fece un passo indietro, sentendosi sempre più a disagio. Si spostò di lato, per oltrepassarlo, ma anche lui, fece la stessa cosa; allora Elettra provò a spostarsi dall'altra parte, ma l'unico risultato che ottenne fu di finire a sbattere contro il suo solido petto.
Indietreggiò di qualche passo, incrociando le braccia sotto al seno. Le sue guance, per l'imbarazzo, avevano assunto un colore vermiglio. Sbuffò spazientita, non sapendo neanche lei se ad irritarla di più fosse il comportamento di Riario oppure il proprio corpo, che dava risposte completamente diverse a quelle che il suo cervello ordinava.
"Pensate di aver finito di giocare, Conte? Perchè, in caso affermativo, vi mostrerei l'affresco che si trova su quella parete, alle vostre spalle", disse sarcastica.
Con un suo tipico sorriso da presa per i fondelli, Riario si fece da parte, per permetterle di passare.
Elettra si diresse verso la parete, dove l'affresco si trovava. Nonostante i secoli trascorsi e le condizioni atmosferiche non proprio ideali, esso era molto ben conservato; si trattava di uno sfondo rosso, sul quale erano state dipinte con maestria e perizia, alcune scene di caccia. 
"Come vi sembra?", chiese la ragazza.
"Splendido, quasi quanto voi", le sussurrò lentamente ad un orecchio.
Elettra non si aspettava di certo che le fosse nuovamente così vicino e sobbalzò. Si impose di restare immobile pensando che, rimanendo impassibile, probabilmente Girolamo l'avrebbe lasciata in pace. Il suo cuore che batteva all'impazzata e il suo respiro irregolare, però, la tradivano.
Lo sentì affondare il viso tra i suoi capelli e assaporarne il profumo. Le mani, invece, le sfioravano lentamente le braccia.
La ragazza si accorse di avere la pelle d'oca, come conseguenza dei gesti del Conte. Nel tentativo estremo di resistere al proprio corpo, intenzionato a fare tutto l'opposto di quello che lei desiderava, ripensò a quello che Girolamo aveva fatto, contro Firenze, contro Lorenzo e contro Leonardo. Ma anche questo fu inutile.
Il Conte le poggiò delicatamente le mani sulle spalle, tese, facendola voltare. Le sorrise, guardandola dritta negli occhi. C'era confusione e indecisione, nelle sue iridi azzurre.
Senza farselo ripetere due volte, Girolamo annullò completamente la breve distanza che divideva le loro labbra, poggiando delicatamente le proprie su quelle di lei.
Elettra si stupì, di quel gesto così inaspettato, e tentò con una debole spinta di liberarsi dalla sua presa. Ma, forse, neanche lei voleva che lui si allontanasse. E il suo corpo se ne era reso conto molto tempo prima di lei.
Sentì la lingua di Girolamo sfiorarle delicatamente le labbra e dischiuse la propria bocca, soddisfacendo così la sua muta richiesta. 
In un ultimo istante di lucidità, si chiese se volesse davvero che tutto ricominciasse. La risposta che si diede da sola, la stupì.
Sfiorò la lingua di Girolamo con la propria, ricambiando così il bacio.
"E' ora di deporre l'ascia di guerra, mia diletta", sussurrò il Conte, staccandosi dalle sue labbra. La sua voce era più arrochita di quanto pensasse. E il suo respiro irregolare.
Elettra lo guardò dritto negli occhi. Non disse nulla, limitandosi ad annullare di nuovo quella distanza, di sua spontanea iniziativa. Un bacio vale più di mille parole, in fondo.
Girolamo le cinse la vita, annullando ogni possibile distanza fra i loro corpi. La ragazza allacciò invece le proprie braccia attorno al suo collo.
Con il passare dei secondi il loro bacio divenne più passionale e profondo, il loro respiro più irregolare e i loro battiti cardiaci aumentarono di frequenza.
Elettra sentì le sue mani vagare per il proprio corpo e poi poggiarsi sull'allacciatura dei pantaloni, nel tentativo di aprirli.
A Girolamo sembrava così strano: non gli era mai capitato di spogliare una dama che portava dei pantaloni; ma lei non era una dama qualunque...
Sorrise, a quel pensiero.
Lei, intuendo i suoi propositi, lasciò andare la presa sul suo collo, prendendo delicatamente le sue mani tra le proprie e staccando le labbra dalle sue.
Il Conte la osservò con uno sguardo interrogativo, mentre entrambi riprendevano fiato.
"Stasera", disse semplicemente Elettra, conducendolo verso l'uscita. "Ci sono ancora molte cose, da vedere qui"
Girolamo sorrise tra sè e sè, ricordandosi che prima di tutto, per lei veniva l'arte. In qualsiasi momento e in qualsiasi occasione.
 
***
 
Quella sera...

Quanto tempo ci aveva messo Elettra, per pentirsi di quello che aveva fatto? Le era bastato chiudersi la porta di casa propria alle spalle, per rendersi conto di tutto. Fortunatamente Maria era già andata via, se no sarebbe impallidita, ad udire le imprecazione che la sua signora aveva lanciato, con il Conte ma, sopratutto, contro sè stessa.
'Stasera', gli aveva detto. Gli aveva dato appuntamento per quella sera! A casa propria, poi!
Elettra scosse la testa, sconsolata. Cosa le era passato per la testa, per cascarci di nuovo? Più che il termine 'cascarci di nuovo', avrebbe dovuto usare 'cadere tra le sue braccia di nuovo'. Era bastato semplicemente sentire le sue mani passare lentamente sulle proprie braccia e il suo fiato caldo sul proprio collo, per mandare completamente il tilt il proprio cervello e mandare all'aria tutti i buoni propositi che si era imposta la sera dell'arresto di Leonardo, mentre si trovava in lacrime sul freddo marmo della biblioteca di Cosimo de Medici, a Palazzo della Signoria, intenta a reprimere l'ennesimo attacco di panico causato da quell'uomo. 
Un fosco presentimento la portò a pensare che sarebbe presto tornata, a piangere in quell'angolo della biblioteca.
E poi erano bastate le sue labbra premute sulle proprie, per ridurre ad un flebile sussurro appena udile la propria coscienza. E tutti i sensi di colpa ad essa connessi.
E cosa doveva dire, poi, di quella sera?
Elettra non riusciva neanche a capacitarsi di cosa le era passato per la mente quando, dopo essersi fatta un bagno caldo, invece dei suoi soliti vestiti maschili, aveva indossato quella sottile sottoveste in seta nera, con le spalline sottili e quel pizzo, posizionato sull'ampio scollo a v e sul fondo, e che produceva un leggero e piacevole frusciare contro il pavimento di candido marmo bianco ad ogni singolo passo.
Ora era là, che passeggiava avanti e indietro, rivolgendo continuamente lo sguardo alla porta d'entrata, con indosso quella ridicola sottoveste e con una bottiglia di chianti dall'aria invitante, appoggiata sul tavolino del salotto, di fianco a due raffinati calici di cristallo.
Sbuffò, spazientita: avrebbe voluto levarsi subito quell'abito, sostituirlo con la sua solita camicia che usava per dipingere, stappare la bottiglia e berla direttamente a canna, mentre si dirigeva verso la soffitta! E poi scolarsela tra uno schizzo su una tela e l'altro! Altro che perdere il suo tempo così! L'unica cosa che voleva era sentire la rassicurante consistenza della tempera sulle proprie mani, o il liscio legno di uno dei suoi pennelli fra le dita.
Eppure una parte di lei lo aspettava. Lo aspettava con crescente aspettativa e desiderio. Non riusciva a fare nient'altro, in quel momento, se non aspettare che Girolamo arrivasse.
Così convinta che il Conte sarebbe entrato da quella porta, che dava su quella via trafficata, dove chiunque l'avrebbe potuto vedere e chiedersi cosa ci facesse lì (già, idea di Elettra era proprio buona...) sobbalzò, sentendo la porta sul retro, quella che dava su una traversa secondaria sempre deserta, cigolare.
Lo sguardo della ragazza si focalizzò immediatamente sul tagliacarte, posizionato sul piccolo mobiletto di fianco alla porta d'ingresso. Senza pensarci due volte, lo prese e, cercando di vedere qualcosa nelle tenebre che avvolgevano la casa, si diresse cauta verso la cucina, dove vi era l'uscita adibita alla servitù, che di fatto non veniva mai usata.
Aveva appena oltrepassato la soglia, quando sentì qualcuno arpionarle la vita con un braccio. Istintivamente alzò il tagliacarte, per colpire lo sconosciuto.
La sua mano però fu fermata da quella libera dell'intruso, che strinse il suo polso con una tale forza da farle cadere l'arma improvvisata a terra.
L'estranio rise ed Elettra lo riconobbe subito. "Che fai? Stavi, forse, tentando di uccidermi?", chiese sarcastico Girolamo.
La ragazza si diede della stupida, per non aver pensato che sarebbe passato dalla porta sul retro -come in ogni sua precedente visita- e non da quella principale.
"Avresti potuto bussare", disse massaggiandosi il polso dolorante. Non sapeva di essere più irritata con sè stessa, per quella svista, o con lui, per averla disarmata con una tale facilità. "Sai che avrei potuto farti male, vero?", aggiunse.
"Con quel tagliacarte?". Girolamo dovette sforzarsi, per trattenere una risata, mentre si chinava a raccogliere l'oggetto da terra. Restò inginocchiato a terra, tenendo l'arma sui palmi aperti delle proprie mani. "Tenete, mia signora. Fate di me ciò che volete", disse solenne. 
Elettra sbuffò, infastidita dal quel tono da presa per i fondelli. Prese il tagliacarte e poi si diresse a grandi passi verso l'entrata, dove lo rimise a posto, in modo tutt'altro che delicato. Girolamo, alle sue spalle, ridacchiava tra sè e sè.
"Avevo preparato del vino da offrirti, ma penso che serva più a me che a te", disse la ragazza, dirigendosi verso il salotto.
Il Conte entrò nella stanza, guardandosi intorno curioso. "Vino, bicchieri di cristallo, la veste che indossi... Mi aspettavi con impazienza, non è vero?"
"Certo che no", ribattè lei, immediatamente, "Il vino qui c'è sempre e in quanto al mio abito, la mia governante è parecchio indietro con il lavare e lo stirare", mentì.
Neanche se fosse stata di ottimo umore, avrebbe ammesso di aver fatto tutte quelle cose per lui.
"Come dite voi, mia diletta", le sussurrò alle spalle, cingendole la vita con entrambe le braccia. Le solleticò l'orecchio con il leggero accenno di barba. Sapeva perfettamente riconoscere quando diceva la verità o meno. Quella era una delle volte meno.
Sentì Elettra rabbrividire, per quelle ultime due parole usate. Era certo che le sue guance avessero ormai assunto una colorazione tendente al rosso. Fatto che lui adorava.
Lentamente, tracciò tutta la curva del suo morbido collo di porcellana, con le proprie labbra calde. Quanto tempo era che non gli era più permesso farlo? Troppo.
Con una mano, le scostò delicatamente i biondi capelli. In risposta, lei piegò il collo dall'altra parte, per permettergli di avere più spazio a disposizione.
La sentì trattenere il fiato, quando sostituì la propria lingua con i denti. Le diede un piccolo morso.
Elettra, dopo numerosi tentativi andati a vuoto a causa della forte stretta in vita, riuscì finalmente a girasi, osservandolo in volto. Avvicinò le proprie labbra alle sue, baciandolo. Le sue mani, nel frattempo, vagavano per la folta chioma corvina di lui, scompigliandoli e arruffandoli i capelli, sempre perfettamente in ordine. A lei piaceva, lasciare un po' del proprio disordine su di lui, perfetto e in ordine ai limiti dell'esasperazione.
Girolamo la prese fra le proprie braccia e cominciò a salire le scale, verso la camera da letto della ragazza. Zittì ogni sua protesta sul fatto di essere perfettamente in grado di camminare da sola, con le proprie labbra.

La fece distendere sull'ampio letto matrimoniale, osservando il suo petto alzarsi ed abbassarsi velocemente, al ritmo del suo respiro accelerato.
Sotto lo sguardo attento di Elettra, si tolse prima la giacca e poi la camicia. Le si avvicinò, aiutandola a sfilarsi la leggera sottoveste di seta.
Tornarono nuovamente a baciarsi, mentre Girolamo si slacciava i pantaloni, unico indumento che ancora divideva i loro corpi, desideriosi l'uno dell'altra.
Ad Elettra scappò un leggero gemito, quando tornò ad essere sua per l'ennesima volta. Si strinse forte alle spalle del Conte, mentre tutto ciò che c'era intorno a loro perdeva lentamente consistenza. C'erano solo loro due. E il momento che stavano vivendo assieme.
Quando tutto finì, Girolamo scivolò al suo fianco, cingendole le spalle con la sua stretta protettiva. Elettra, quasi a voler cercare ancora più protezione, si rannicchiò contro il suo petto.
"Vivere l'attimo", sussurrò, ancora ansante, persa tra i suoi pensieri.
Girolamo non disse niente, limitandosi ad appoggiare le proprie labbra sulla sua fronte, prima di chiudere gli occhi.


Nda
I nostri due piccioncini hanno finalmente fatto pace.
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Si, lo so: non vedevate l'ora che questo accadesse. Ma il tempo a disposizione di Girolamo, per stare a Firenze, sta scadendo... Cosa succederà nelle prossime puntate? Ahahahah non vi resta che leggere.
Grazie ancora un sacco a Shaon Nimphadora, per i suoi fantastici disegni :D
Ps: per una volta, passetemi eventuali errori di battituta. Cercate di capirmi...sono le due e mezza del mattino! Ahahahah
 
   
 
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