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Autore: Adeia Di Elferas    02/01/2016    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ 'Con gioia vi informo che vostra nipote Caterina Riario ha ricevuto la benedizione di un quarto figlio, a cui diede personalmente il nome di Giovanni Livio – aveva scritto l'ambasciatore di Milano a Forlì – ed ella desidera rendervi partecipe della sua stessa contentezza e felicità'.
 Ludovico Sforza ributtò la lettera sulla scrivania. Che gliene importava a lui di quel nuovo bambino che sua nipote aveva messo al mondo?
 “Rispondete subito.” ordinò Ludovico a Bartolomeo Calco, il suo cancelliere.
 “Che cosa devo scrivere, mio signore?” chiese questi, ossequioso.
 “Che siamo estremamente felici per il lieto evento, che aspettavamo con ansia notizie di questo bambino e tutte quelle frasi ipocrite in cui siete tanto bravo...” disse veloce Ludovico, agitando ambo le mani davanti al viso, infastidito.
 Calco prese la lettera appena ricevuta, per avere davanti il messaggio originale mentre scriveva la risposta e si eclissò con un semplice: “Sarà fatto, mio signore.”
 Ludovico lo seguì subito fuori dalla porta. Faceva un gran freddo a Milano. Quell'anno il ghiaccio la faceva da padrone, poco ma sicuro. Anche i fiumi, perfino il Po, di notte gelavano. Di quando in quando, verso l'alba, si poteva sentire un rumore sinistro arrivare dal fiume: era la corrente che causava qualche crepa nel ghiaccio.
 Per cercare di scaldarsi, Ludovico si recò alla sala adibita al gioco della palla. Di tutte le cose stupide che aveva fatto suo fratello Galeazzo Maria, quella era stata la migliore. Una camera dedicata solo a quel gradevole passatempo...!
 Ludovico si preparò a farsi una bella sudata e prese la palla tra le mani, mentre, col pensiero, tornò involontariamente alla lettera arrivata da Forlì. Se solo gli fosse arrivata una lettera simile da Zavatterello... Allora sì che avrebbe potuto accelerare le cose anche su quel fronte...!

 Chiara Sforza stava osservando la valle oltre le merlature del castello. Tutto intorno a lei c'era solo neve. Bianca, fredda, inutile neve.
 Odiava quel clima, che la isolava dal mondo. Zavattarello non era un brutto posto, nel cuore delle colline dell'Oltrepò, ma era tremendamente solitario, soprattutto in quegli inverni rigidi.
 Una delle guardie che faceva la spola sul camminamento le passò accanto, cercando di non disturbarla. Chiara gli fece un cenno col capo, a mo' di ringraziamento e quello ricambiò nello stesso modo.
 Quel castello era una vera e propria fortezza. Arroccata su una collina molto alta, la struttura che chiamavano pomposamente 'palazzo' o 'castello Dal Verme' altro non era che una rocca usata per l'addestramento dei militari. Che poi Pietro Dal Verme avesse cercato di ingentilirla e di renderla più gradevole era tutta un'altra storia.
 Sentendo improvvisamente un gran freddo fin nelle ossa, Chiara decise di tornare davanti al caminetto.
 Camminò in fretta, verso l'ingresso, calpestando quella che era stata una pozzanghera, ma che ora era una sottile striscia di ghiaccio. Sotto al peso del suo piede si aprì una piccola crepa.
 Lasciò il sentiero di ronda, si scrollò la neve dal bordo del vestito, discese le ripide scale che portavano alla sua camera privata e si piazzò davanti al camino acceso in cerca di un po' di calore.
 Suo marito, con ogni probabilità, era coi soldati o stava girovagando al piano inferiore.
 Inconsciamente, Chiara sfiorò la lettera che teneva in una tasca segreta cucita all'interno della sua veste. Era di suo zio Ludovico Sforza, e risaliva ormai a qualche mese addietro.
 Per quanto Ludovico avesse usato parole velate, il messaggio le era ben chiaro. O Pietro generava con lei un erede degno di questo nome, o era meglio che il caro Dal Verme si togliesse di mezzo e lasciasse Zavattarello a Milano.
 Chiara era sposata con Pietro ormai da quattro anni, eppure di figli nemmeno l'ombra. Tra loro c'erano state solo incomprensioni e malintesi. Inoltre, cosa non trascurabile, Pietro era ancora innamorato della sua bella Cecilia Del Maino, morta da cinque anni. Era evidente, da come guardava Chiara, da come le parlava e da come la sfiorava mentre danzavano alle feste del paese o a Natale, che egli continuava a fare confronti tra le due. Era evidente, inoltre, che ogni singola volta a vincere il confronto fosse Cecilia. E chi mai potrebbe vincere, contro un fantasma?

 Caterina Sforza uscì dalla chiesa con una certa riluttanza. Per quanto si fosse annoiata a morte durante la funzione, almeno tra l'odore d'incenso e la gran quantità di persone presenti faceva un po' più caldo...
 Forlì era stretta dalla morsa del gelo, come tutta l'Italia e le vesti autunnali che Caterina indossava ormai non bastavano più.
 Girolamo aveva avuto negli anni la pessima idea di far riportare a Roma quasi tutti gli abiti che avevano trasferito a Forlì in occasione della loro prima visita. Così quasi tutti i loro capi d'abbigliamento erano finiti distrutti o bruciati dalla folla inferocita alla morte di Sisto IV.
 Il risultato era che nei loro guardaroba era rimasto ben poco da indossare in inverno.
 La soluzione, in altri tempi, sarebbe stata quella di comprare nuovi abiti, più belli e sfarzosi di quelli andati persi, ma le nuove condizioni finanziarie dei Conti Riario non lo permettevano.
 Così i Conti si limitavano a sfruttare quelli che avevano, mettendo in conto di chiedere in prestito a qualche famiglia amica gli abiti per le cerimonie ufficiali a cui avrebbero dovuto partecipare sotto Natale.
 O meglio, Caterina faceva di questi calcoli, mentre Girolamo si era fatto già confezionare costosissimi vestiti che ancora non aveva pagato.
 “Mia signora, avete freddo?” chiese una donna imbacuccata che passava accanto a Caterina in quel momento.
 La giovane le sorrise, distogliendo l'attenzione dai propri pensieri per un momento e rispose: “No, non vi preoccupate per me. Sapete, quando vivevo a Milano, da bambina, nevicava molto e faceva molto freddo. A queste temperature il mio corpo è ben abituato.”
 La donna la guardò un momento, indecisa se crederle o meno, e alla fine la salutò: “Come dite voi, mia signora. A domenica prossima.”
 “A domenica prossima.” ricambiò Caterina, osservando l'anziana forlivese che se ne andava a passo altalenante.
 Girolamo non aveva ancora capito l'importanza di farsi vedere in giro per la città come persone comuni. Non si rendeva conto delle chiacchiere che si spendevano alle sue spalle, né voleva ammettere che la sua presenza tra le strade di Forlì le avrebbe almeno in parte messe a tacere.
 In molti, aveva notato Caterina, andavano dicendo che il Conte Riario fosse ammalato, visto che non lo si vedeva mai, se non nelle pochissime occasioni in cui la sua presenza era indispensabile. Altri dicevano che fosse pazzo e che vivesse chiuso in cantina.
 Caterina, invece, sapeva quello che teneva Girolamo chiuso nel palazzo. La paura, come sempre.
 Più lei lo lasciava a se stesso, fingendo di disinteressarsi degli affari di Stato, più lui si richiudeva in se stesso e si lasciava trascinare nel gorgo della paura.
 Si era circondato di uomini poco chiari. Oltre a Codronchi e Zaccheo, adesso attorno a lui gravitavano anche Matteo Menghi e Ludovico Orsi.
 Il primo, secondo Caterina, era l'uomo più viscido e fasullo che esistesse sulla faccia della terra, mentre il secondo si era avvicinato tanto a Girolamo solo ed esclusivamente per far sì che il Conte accordasse alla sua famiglia un prestito esorbitante che non aveva alcuna intenzione – non era difficile intuirlo – di restituire né a breve né a lungo termine.
 “Buongiorno...” salutò Caterina, quando arrivò al negozio del Novacula: “Che si dice oggi in paese?”
 Andrea Bernardi si profuse in inchini e salamelecchi, e poi rispose, con un ampio sorriso: “Mia signora, nessuna novità saliente rispetto a ieri. Solo...”
 Gli occhi attenti del Novacula caddero sui tre clienti che aspettavano il loro turno per essere sbarbati. Caterina capì che non voleva testimoni per le parole che stava per dire, così sfruttò la propria autorità e disse, con gentilezza: “Miei signori, devo parlare di una questione importante da sola con il signor Bernardi. Vi spiace uscire un momento?”
 I tre clienti si alzarono subito e con reverenza si sistemarono fuori dalla porta, senza lamentarsi nemmeno del freddo pungente.
 “Parlate, mio caro amico.” lo incitò Caterina.
 Il Novacula sospirò e disse, con la morte nel cuore: “Mia signora... Ho sentito brutte cose sulla famiglia Orsi, ma non so quanto ci sia di vero.”
 Caterina si sedette su una delle sedie lasciate libere dai clienti appena usciti: “Non tenetemi sulle spine.”
 “Ecco, si dice che siano ancora vicini agli Ordelaffi e che abbiano dei contatti abbastanza frequenti con Roma.” disse Bernardi, facendo una pausa per vedere le eventuali reazioni scatenate dall'ultima parte del discorso, poi riprese: “E siccome so che uno degli Orsi ora è consigliere di vostro marito...”
 “Ho capito quello che intendete dire.” affermò Caterina, ancora pensierosa.
 Che gli Orsi fossero personaggi ambigui lo aveva capito anche da sé. Certo, ora ne aveva una mezza conferma. Ma che poteva fare, per salvaguardare la sicurezza della sua famiglia?
 “Non fatene parola con nessuno, ve ne prego.” disse Caterina, rialzandosi: “Nemmeno con chi ritenete un amico.”
 Il Novacula annuì con forza e fece un profondo inchino mentre la Contessa Riario si avviava all'uscita dicendogli: “Siete sempre un amico prezioso, mio caro Bernardi.”
 
 “Ma che se ne fa il mondo di una bolla in cui si incita alla caccia alle streghe?” chiese Poliziano, massaggiandosi il mento.
 Le lezioni erano state momentaneamente interrotte da Lorenzo Medici in prima persona, per discutere con l'amico di una notizia appena arrivata dalla Santa Sede.
 Innocenzo VIII, praticamente come sua primissima azione importante da papa, aveva risposto alle lamentele di Enrico Kramer niente meno che con una bolla intitolata 'Summis desiderantes' con cui permetteva, di fatto, di cacciare streghe e stregoni da Brema, Colonia, Salisburgo e così via.
 “Quello che dico anche io.” fece Lorenzo, contento di vedere il suo caro amico Angelo Poliziano d'accordo con lui: “Già Sisto IV aveva fatto abbastanza danni, visto che si diceva contrario ai metodi dell'inquisizione spagnola, ma di fatto la permetteva e spesso l'aiutava...”
 “Magari cadrà nel vuoto, questa bolla.” provò a dire Poliziano: “In fondo Kramer è un mezzo pazzo. Potrebbe spegnersi tutto in un nulla di fatto.”
 “Comunque dobbiamo riportare Innocenzo VIII sulla strada giusta.” proseguì Lorenzo, senza ascoltare più Poliziano: “Non ci importa nulla di quello che succede al nord del continente. A noi interessa quello che succede qui nella nostra penisola.”
 Poliziano mostrò i palmi delle mani: “Su questo sono concorde in tutto e per tutto.”
 Lorenzo si fece un attimo scuro in volto, poi buttò lì: “Cybo ha un figlio illegittimo a cui tiene molto, non è vero?”
 Poliziano strinse gli occhi e rispose, cauto: “Sì, un certo Francesco o Franceschetto...”
 Lorenzo si morse il labbro e poi sospirò: “Sai anche che tipo è?”
 Poliziano alzò le spalle: “Non ho idea... So solo che non gode di buona reputazione...”
 Lorenzo aveva un'idea che gli frullava per la testa, ma non volle condividerla subito con Angelo Poliziano, per paura che l'amico, di buon cuore oltre che di buon senso, cominciasse subito a opporsi.
 “Che le lezioni ricomincino pure...” disse Lorenzo, improvvisamente: “Che le mie figlie si erudiscano un po', che è l'unica cosa conta.”
 Poliziano sorrise, già dimentico dell'aria scura che aveva reso il volto di Lorenzo tremendamente cupo solo pochi istanti prima, e ritornò nella saletta in cui stava tenendo banco.
 Lorenzo si mise a vagare per il palazzo, le mani allacciate dietro la schiena e ancor più pressante quell'idea nella testa...
 L'idea era stata improvvisa eppure aveva preso piede, spazzando via ogni altro pensiero. Era come una crepa nel ghiaccio che, una volta formatasi, non può più andarsene.
 Lucrezia era fuori discussione, visto che per lei c'era già in vista un ottimo partito, ma la più giovane, Maddalena... Lei sembrava di tempra abbastanza forte e intelligenza abbastanza viva da poter ben affrontare lo sposalizio con un uomo dalla fama non proprio ottima.

   
 
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