Anime & Manga > D.Gray Man
Segui la storia  |       
Autore: Liy    10/03/2009    6 recensioni
Raccolta di One-shot con Pairing AllenxLenalee.
[5. "Chocolate Cake"] “Allen-kun… hai chiuso la porta a chiave, vero?”
Il ragazzo si puntellò sui gomiti, osservando la ragazza sotto di sé. “No.” - Rating: Arancione
[6. "The Truth in a Nightmare"] Il ghignò sul volto angelico di Allen si allargò, e nell'aria si diffuse il suono della sua risata. “Io...” Un passo verso di lei. “... non sto...” Ancora uno, più pesante del precedente. “... dalla parte...” Si chinò, afferrandole i capelli con la mano destra. “... di nessuno!” La sollevò, e la buttò a terra, lasciandola cadere a pochi passi dal corpo del compagno. - Rating: Arancione
Genere: Romantico, Malinconico, Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Allen Walker, Lenalee Lee | Coppie: Allen/Lenalee
Note: Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Premessa (perché non ci saranno le note dell'autore a fine pagina): Grazie a tutti quelli che hanno seguito e recensito questa fanfiction. Mi scuso per l'enorme attesa, ma spero che questa ultima One-Shot sia di vostro gradimento. Se farete domande nelle recensioni, vi risponderò nel prossimo capitolo di "Underwater Moon" (la prossima in linea da completare e aggiornare).
Dedica (questa volta c'è): ad Edward, che voleva un finale con almeno un morto; a Noriko che voleva che, per una buona volta, non morisse nessuno.




The Truth in a Nightmare

 

Si voltò di scatto.

Aveva sentito un rumore alle sue spalle.

Nulla.

Dietro di lei c’era solo buio.

Nii-san…?” La voce che era un sussurro, le lacrime lungo le gote e le gambe che minacciavano di cedere da un momento all’altro.

Nii-san!?”

Non le rispose nessuno, come prima.

Allen-kun?”

Mosse qualche passo in avanti, le mani strette al petto.

Era sola.

Lavi?”

Inciampò e cadde a terra, portando le mani in avanti per frenare la caduta.

Dove siete finiti…?”

Doveva trattarsi di un incubo, di un brutto scherzo della sua fervida immaginazione.

Era tutto buio, tranne quella luce davanti ai suoi occhi che tentava –invano- di raggiungere. La vedeva proprio davanti a sé ma, nonostante questo, pareva sempre irraggiungibile.

Allen-kun…”

Si rialzò a fatica, l’abito che ondeggiava come sospinto da un vento inesistente.

Qualche passo, calmo e controllato, e li vide.

Vide ancora quella scena che tanto l’aveva spaventata tempo addietro.

Erano tutti morti.

Tutti a terra, con un rivolo di sangue che correva dalle loro labbra e gli occhi chiusi. Potevano parere addormentati, se non fosse stato per quel sangue. No… Basta!

Si prese la testa fra le mani, piangendo ininterrottamente. No… Allen-kun!

 

---

 

Spalancò gli occhi, ritrovandosi distesa sulla schiena ad osservare un cielo pieno di nuvole plumbee.

Cercò di issarsi sulle braccia, ma quelle non le risposero; era svuotata di ogni singola energia.

Si girò su un lato, osservando il sangue a terra. Il mio sangue…

Cercò di tamponare la ferita al fianco con le mani, mentre la vista le si annebbiava ancora. Cosa…?

Un boato lontano attirò la sua attenzione, facendola rinsavire per qualche momento.

Allen-kun…”

Si trascinò a fatica fino al corpo che giaceva accanto a lei.

Allen-kun?”

Lo scosse, fino a che non poté vederlo in volto.

Lavi.

Lavi… Lavi, stai bene?”

Sembrava addormentato, ma la pozza di sangue a terra tradiva quell’immagine di pace dipinta sul suo volto.

Lavi! Lavi, no!”

Lo scosse ancora, la vista totalmente appannata dalle lacrime.

No… No…”

Qualche ciuffo sporco di sangue le ricadde sulla fronte, sospinto dal vento freddo che cercava di spostare le pesanti nuvole cariche di pioggia. Perché…?

Erano stati inviati in missione qualche giorno prima. Una missione semplice, che non avrebbe dovuto avere molte complicazioni, il massimo che avrebbero trovato sarebbe stato qualche akuma di livello tre. Eppure, era tutto andato per il verso sbagliato.

No…”

Picchiò un pugno senza forza a terra e poggiò il capo sulla spalla del compagno, mentre le lacrime le pulivano il volto sporco di polvere e sangue. Tutto questo è… è dannatamente sbagliato…

Un altro pugno.

Un’altra lacrima.

Ed un’ultima immagine stampata nella mente.

Allen-kun…

Lontano, oltre le immense chiome di quegli alberi, un altro boato.

Lenalee alzò il capo, trattenendo a stento le altre lacrime che minacciavano di tornare a rigarle il volto, si puntellò sui gomiti, riuscendo infine a sedersi. La colse subito un capogiro e la sua mano corse all’istante al fianco, alla ferita ancora aperta.

Doveva trovare Allen.

(Doveva fermarlo.)

Si alzò a fatica, strappando la manica della divisa e avvolgendola attorno al fianco ferito e sanguinante.

Allen-kun…”

Aveva freddo. Forse perché era inverno inoltrato. Ma la sua divisa era molto imbottita.

Alle…”

Una fitta la attraversò da parte a parte, smorzandole il respiro e facendola barcollare.

Quanto avrebbe desiderato poter cancellare gli ultimi attimi di quella dannata missione che a nulla di buono aveva portato, se non la perdita di molti compagni.

A suo fratello sarebbe venuto un colpo al cuore vedendo quei capelli –appena ricresciuti- già da tagliare, tanto erano impregnati di sangue. Ma nemmeno quel pensiero la fece sorridere. Non poteva sbuffare e fare la faccia offesa, in attesa di scuse, aspettando che tornasse la tranquillità che c’era prima di quella battaglia. Era impossibile.

Aveva visto con i propri occhi contro cosa si erano apprestati a combattere –e a perdere- ed aveva capito che lei sarebbe morta, piuttosto che combattere contro di lui. Non ne avrebbe avuta la forza. Non poteva permettersi di mancare ai suoi doveri di esorcista, ma non poteva nemmeno provare a ferirlo, era troppo importante per lei. Non avrebbe mai ucciso Allen, piuttosto sarebbe morta lei.

Si appoggiò al tronco di un albero e respirò a fondo. Cosa avrebbe fatto allora? Non era meglio forse scappare e lasciarsi tutto alle spalle?

Se non poteva ucciderlo, e qualcuno le aveva impedito di amarlo, cosa poteva fare lei se non stare in disparte a guardare ed attendere la propria morte? Che morte stupida sarebbe stata la sua. Sarebbe rimasta ferma, attendendo il colpo di grazia e, probabilmente, non avrebbe neppure pianto perché sapeva che, almeno, non lo avrebbe più visto compiere omicidi per i quali si sarebbe dannato a vita.

Scusami, Nii-san.”

Sì, quello a cui avrebbe fatto più male sarebbe sarebbe stato suo fratello Komui. Lui teneva a lei e, anche se non lo avrebbe mai ammesso apertamente, ad Allen. Sperava davvero che la sua sorellina tanto adorata avesse trovato qualcuno da amare oltre a lui, qualcuno con cui compiere il tanto odiato grande passo dalla quale l'aveva sempre tenuta lontana.

Qualcuno le sfrecciò davanti e interruppe i suoi pensieri. Una scia di capelli corvini, seguiti a ruota da una katana, le ridiedero la speranza. Forse qualcuno poteva fermare veramente Allen. Però...

Kanda!”, urlò, sperando che lui la sentisse tant'era preso dalla sua piccola battaglia, “Non ucciderlo!”

Ci fu qualcosa nello sguardo che le rivolse che la fece trasalire. Non aveva intenzione di fermarsi. Ma nel contempo era consapevole del fatto che non ce ne fosse bisogno. Sapeva che sarebbe morto, come gli altri.

Si rivoltò burbero verso l'avversario invisibile agli occhi di Lenalee, perché semplicemente lei non vedeva nessun nemico da dover abbattere. La sua mente aveva escluso quell'immagine che le provocata tanto dolore. (Era ancora Allen.)

Non potevano esserci dubbi. Non doveva avere dubbi.

Se avesse perso anche la fiducia, e la speranza, cosa poteva rimanere di lei se non un involucro vuoto, pronto ad accasciarsi al suolo al minimo soffio di vento?

Doveva sperare. Sperare e credere che tutto fosse uno stupido incubo. Uno dei tanti che l'avevano tormentata. Uno dei tanti che, al risveglio, l'avevano fatta piangere. Uno dei tanti che aveva predetto la morte dei suoi compagni e amici.

Sentì un rumore, uno schiocco ed un urlo basso.

(Non doveva sentire. Non voleva sentire.)

Chiuse gli occhi e premette le mani sulle orecchie. Lacrime silenziose iniziarono a rigarle di nuovo il viso, mentre si sorreggeva a stento con la schiena contro il tronco di quell'albero.

Lo sentiva avvicinarsi. Percepiva il suo respiro tanto conosciuto quanto estraneo in quel momento che avanzava nella sua direzione. Sembrava calmo. Sorrideva, Lenalee lo sapeva ma, all'improvviso, la ragazza colse un qualcosa che prima non aveva notato.

Iniziò a piovere, lentamente, e quasi subito la leggera pioggia cedette il passo ad una più copiosa, una che impiegò pochi secondi ad impregnare i suoi vestiti d'acqua.

Inspirò a fondo Lenalee, mentre un singhiozzo le causava un dolore lancinante nel petto. Sentì quel sorriso farsi più vicino e si lasciò scivolare al suolo. Affondò le mani nella terra bagnata e tenne la testa bassa, lasciando libero sfogo alle proprie lacrime, che le annebbiarono la vista.

Se magari non avesse visto in volto il suo assassino, il dolore della morte sarebbe stato un po' soffocato. Forse avrebbe potuto persino accettarla. Sarebbe morta con il capo chino, con la vergogna di chi non ha saputo lottare. L'unica che rimpianse in quel momento fu che, inconsapevolmente, sapeva che non avrebbe incontrato Dio. Non avrebbe potuto sfogarsi, dirgli di com'era stato ingiusto con gli esorcisti, con l'umanità intera. Si sarebbe semplicemente annullata. Avrebbe smesso di esistere. Negli annali della storia sarebbe stata solo una delle tante macchie d'inchiostro che il Quattordicesimo aveva versato. Sarebbe stata nulla più che un nome scritto su un foglio qualunque. Quindi, a questo punto, avrebbe fatto differenza se fosse morta lottando, in piedi, con lo sguardo fiero e la croce degli esorcisti che svettava sul petto? Sicuramente no...

Un paio di stivali si fermarono a pochi centimetri da lei. Li vide bene. Esitavano, come trattenuti da qualcosa di più potente. Per un attimo Lenalee provò l'impulso di alzare il volto, cercare quegli occhi non più grigi e trovare una scintilla del suo Allen che la fissava colma di tristezza. La ragione però le disse di star ferma, di aspettare; non doveva avere fretta di morire. Per sua sfortuna, se così la si poteva chiamare, l'impulso vinse sulla ragione e si costrinse ad alzare lo sguardo. Percorse con gli occhi gonfi di pianto ogni parte della figura che aveva davanti e sobbalzò alla vista del sangue nero che colava dalla gamba destra.

Una goccia salata le si posò sulle labbra, ma non era sua. Alzò gli occhi di scatto e quasi se ne pentì quando si accorse che quello che aveva dinnanzi era un semplice uomo, nulla di più. Allen se ne stava lì, di fronte a lei, con il sorriso di chi ha vinto sulle labbra, e la disperazione di chi ha perso la cosa che le era più cara negli occhi dorati, colmi di lacrime come quelli di colei che lo fissava.

Normalmente, in una situazione come quella, Lenalee si sarebbe coperta il volto con le mani, singhiozzato il suo nome e si sarebbe lasciata cullare dalle sue braccia che, ne aveva avuto prova più volte, non mancavano mai di avvolgerla stretta in quelle occasioni. Era sempre stato lì con lei, pronto a proteggerla e rassicurarla, a difenderla dalle battute acide di Lavi, ed ora il mondo pareva essersi ribaltato. Lui era lì. Ma per ucciderla, perché quel gesto avrebbe lacerato definitivamente la sua anima. E un'anima come la sua, che dalla vita aveva sempre ricevuto notevoli colpi, non avrebbe retto ad un ulteriore dolore, ad un ulteriore taglio profondo. Non avrebbe retto alla perdita di una persona a lui cara.

Era dunque quello il destino di una persona che aveva sempre dato tutto se' stesso per il prossimo?

(Che mondo crudele.)

Poi, mentre il vento aveva iniziato a soffiare tra le chiome degli alberi e ad aumentare la forza della pioggia, Allen si mise in ginocchio davanti a Lenalee. Per un attimo un barlume di speranza la sfiorò, facendole credere che quella mano che allungava verso di lei fosse per aiutarla ad alzarsi, o stesse per asciugarle le lacrime e dire di non piangere, che non ce n'era bisogno, che se la sarebbero cavata come sempre. Quando, però, sentì quella mano stranamente calda stringersi attorno al suo collo, soffocò un singhiozzo e sentì un brivido lungo la schiena. La ferita al fianco iniziò a pulsare, più forte di prima. Le gambe si mossero in uno spasmo mentre le dita stringevano, bloccandole il respiro e le lacrime in gola. Tutto il suo corpo la stava spronando a difendersi, a lottare. Eppure lei aveva deciso di non pensare più, di abbandonarsi a quella sensazione fredda che la stava accogliendo, estranea e per nulla attesa. Chiedeva solo di poter morire prima di vedere ulteriori stragi compiute da lui. Voleva troppo forse?

Quella mano strinse ancora di più, strappandole un gemito di dolore che non fece altro che far allargare, maligno, quel sorriso sulle labbra ora fredde del ragazzo. Lui si alzò piano, trascinandola con se'. Era diventato alto. I piedi non toccavano più a terra. Si sentiva sospesa come nel vuoto. Le braccia le caddero inermi lungo i fianchi. Non avrebbe lottato, non poteva farlo.

Aveva desiderato non guardarlo negli occhi, perché sapeva che non avrebbe fatto altro che provocarle un dolore immenso, ma ora voleva morire in quella maniera. Voleva morire soffocata, mentre sprofondava nel suo sguardo triste, nei suoi occhi gonfi di pianto. Avrebbe conservato quell'immagine inquietante di lui per sempre, anche se una volta smesso di respirare avrebbe smesso anche di esistere.

Cercò di fissare gli occhi di lui, muovendosi con le poche energie che le rimanevano. All'improvviso quell'oro acceso incontrò il suo sguardo e l'espressione di puro orrore che vi lesse la spiazzò. Allen non voleva ucciderla. Era costretto a farlo e ad assistere, perché il Quattordicesimo voleva ridere della sua disfatta, voleva godersi il momento in cui avrebbe dominato sul Distruttore del Tempo. Il momento in cui avrebbe disfatto anche l'ultimo nodo che lo teneva legato alla propria coscienza.

Allen volse altrove lo sguardo, nascondendo gli occhi sotto la frangia ormai castana, ma le lacrime e il ghigno mefistofelico in volto erano ancora visibili. Anche troppo. Voleva sentirlo parlare ora. Voleva auto infliggersi un'altra tortura.

Allen-kun...”

Nel sentire la sua stessa voce così debole, così piena di dolore, si spaventò e smise di piangere. Quante volte quelle lacrime erano scese sulle sue gote senza alcun motivo? Ed ora, ora che avevano un motivo più che valido per tornare a bagnarle il viso, erano scomparse. Forse le aveva finite. Aveva pianto troppo in precedenza, ed ora non era più in grado di piangere.

A... Al...”

Accadde tutto rapidamente. Sentì la presa sul collo farsi più forte, il vento aumentare e vide il ragazzo allontanarsi da lei di scatto. Poi un dolore al capo e alla schiena la percorsero senza alcun preavviso, e nel momento in cui si sentì scivolare contro il tronco di un albero capì che non era stato lui ad allontanarsi, ma lei ad esser scagliata lontano con violenza. Cadde su un fianco e iniziò a sputare sangue, una mano sulla bocca e una sulla ferita al fianco.

Perché non aveva stretto di più? Perché non le aveva spezzato il collo e messo fine alle sue sofferenze? Era forse questo che voleva il Quattordicesimo, sentire l'animo di Allen sbriciolarsi poco a poco mentre la uccideva lentamente?

Un piede le premette sul viso, schiacciandola nel fango. Una mano la sollevò e sentì un dolore forte allo stomaco. Cadeva, eppure non toccava mai il suolo. Rimaneva sospesa a mezz'aria, colpita da quei pugni carichi d'odio e di pazzia, di tristezza e d'orrore, e non riusciva a cadere a terra. La pioggia le scorreva sul viso, cancellando i rivoli di sangue e colpendola con ferocia.

Perché Allen non le parlava? Perché si limitava a sorridere, piangere e colpirla? Le andava bene sentire anche solo un “muori” sussurrato a mezza voce, una risata che probabilmente non era nemmeno sua, ma voleva sentirlo.

La colpì in pieno viso e la lasciò cadere. Non atterrò sul terreno però, sotto di lei c'era qualcosa di più morbido, per quanto fosse rigido e freddo. Si scostò quel tanto che bastava per guardare e inorridì davanti a quegli occhi vacue e spenti. Soffocò un urlò, si scostò di fretta e si mise le mani sugli occhi. Non ancora. Non ancora, ti prego...

Era tutto un brutto incubo. Doveva essere tutto un brutto incubo, perché se non era così...

Mo...”, sussurrò, mentre le parole le uscivano a fatica dalle labbra serrate, “Mostro! Sei un mostro!”

Non guardò il volto di Allen. Sapeva che il sorriso aleggiava ancora sulle sue labbra e che quegli occhi compassionevoli l'avrebbero tradita. Sapeva che Allen voleva essere ucciso, proprio come lei ed entrambi non avevano controllo del proprio corpo. Erano schiavi di ciò che avevano dentro di loro, e nulla li avrebbe smossi da quella situazione. Il loro destino era stato tessuto tempo addietro, ancora prima che si conoscessero, e a poco si sarebbe compiuto. Lei sarebbe morta, e per mano sua.

Non era rimasto nessuno, solo loro due, del gruppo di sei esorcisti che erano partiti verso quella missione non troppo complicata. Di tutti loro, ne sarebbe tornato solo uno alla Home, e si sarebbe recato là probabilmente per continuare la sua opera di sterminio. Se solo fosse riuscita a contattare suo fratello per avvisarlo, magari avrebbe evitato un'ulteriore strage.

Perché...?”, bisbigliò, stringendo le mani al petto, “Perché fai tutto ciò?! Non avevi rinnegato il Conte, non lo avevi tradito?! Dovresti stare dalla nostra parte, maledizione!”

Il ghignò sul volto angelico di Allen si allargò, e nell'aria si diffuse il suono della sua risata. “Io...” Un passo verso di lei. “... non sto...” Ancora uno, più pesante del precedente. “... dalla parte...” Si chinò, afferrandole i capelli con la mano destra. “... di nessuno!” La sollevò, e la buttò a terra, lasciandola cadere a pochi passi dal corpo del compagno.

 

---

 

Lenalee ricordava bene ogni momento della sua vita – fatta eccezione del periodo precedente alla sua entrata nell'Ordine Oscuro. Ricordava i volti di tutte che persone che avevano varcato quell'immenso portone, felici per ave raggiunto la loro meta e spaventate per quello che poteva accader loro da quel momento. Però, ricordava anche tutti coloro che erano usciti e mai più rientrati.

Ricordava il volto di Kanda, il giorno in cui lo incontrò. Lo aveva scambiato per una ragazza a causa di quei capelli così lunghi e quei tratti teneri da bambino, sebbene fosse burbero sin d'allora.

Ricordava Lavi, a sedici anni, accanto al vecchio panda che risaliva il torrente sotterraneo dell'Ordine su di una barca. Lo aveva salvato dalla furia omicida di Kanda e subito aveva capito che quello non era un ragazzo come gli altri. Era abituata ad esser circondata da cose “strane”, ma che un ragazzo dovesse non provare sentimenti lo trovava contro natura. Però non si era mai lamentata, ne' mai avrebbe espresso ad alta voce quel pensiero. Infondo aveva trovato sia il vecchio che il rosso ben disposti nei loro confronti. Non era il caso di stressarli con i suoi pensieri.

Ricordava, quel giorno nella sala di controllo, la scalata impossibile di Allen lungo la rupe della sede dell'Ordine. Si era preoccupata – poteva benissimo essere un akuma – ma dentro di se' aveva anche riso. Kanda, ancora una volta, si era lanciato all'attacco e lei, come era sua consuetudine da anni, lo aveva fermato, impedendogli di uccidere il presunto compagno. Aveva accompagnato il nuovo arrivato per la sede, gli aveva mostrato ogni stanza – tranne quelle di suo fratello. Alla notizia che lui fosse un quindicenne si era rallegrata. Finalmente non sarebbe più stata la 'piccola e indifesa Lenalee'. C'era finalmente qualcuno più piccolo di lei. Avrebbe potuto essere una sorella per lui, in qualche modo. Aveva scoperto presto, però, che quell'espressione dolce sul viso del ragazzo nascondeva un carattere forte e fu in quel momento che capì che non poteva essere nulla di più che se' stessa con lui, che era ancora lei la più piccola e la più indifesa. Lui aveva degli ideali più forti dei suoi per cui combattere. E quella maledizione... era una cosa che, per quanto si fosse sforzata, lei non poteva comprendere.

Si era affezionata subito a tutti loro. Erano diventati pezzi nuovi per il suo puzzle e li aveva stretti al petto, terrorizzata al pensiero di perderli e gelosa che qualcun altro potesse pretenderli.

 

 

 

Poi era tutto cambiato.

 

 

 

Quell'amicizia iniziale era scomparsa, sostituita da un legame più forte. Per Lenalee quei ragazzi non erano più amici, compagni o semplici conoscenti: erano la sua famiglia.

Si era promessa che avrebbe combattuto per loro e per suo fratello ma più lei tentava e più falliva.

Vedeva tutti allontanarsi, creare una voragine insuperabile fra loro e lei. Loro crescevano, cambiavano e si evolvevano. Lei era bloccata. Bloccata, senza innocence e forza di camminare. Odiava quella situazione. Tutti si preoccupavano più del solito e lei non poteva fare nulla per rassicurarli oltre dire un semplice 'sto bene', ma quella debolezza non poteva nasconderla. Le gambe le tremavano di continuo e, se si sforzava di camminare, si stancava velocemente.

Lungo tutta la strada attraverso l'Arca si era sentita debole e spaventata. Voleva aiutare i compagni, la sua famiglia, a combattere. Voleva tornare indietro assieme ad Allen per salvare Kanda e Crowley. Voleva poter saltare da quelle macerie e afferrare Lavi e Chaoji prima che cadessero. Voleva poter aiutare Allen a cancellare il download o, almeno, non esser d'intralcio a Cross mentre rallentava il trasferimento dell'uovo.

 

 

 

E poi erano tornati a casa.

 

 

 

Aveva sperato Lenalee. 'Tutto sarebbe tornato come prima'.

E invece l'Ordine, all'improvviso si era ritrovato sotto attacco.

Era successo tutto di mattina presto, qualcuno ancora dormiva. I combattimenti si erano prolungati a lungo e lei, senza innocence, non aveva potuto far altro che stare ad aspettare assieme a Lavi e le infermiere che accudivano Crowley. Alla fine però, aveva potuto combattere. Aveva rischiato la sua vita pur di tornare sul campo di battaglia. Suo fratello era in pericolo. Allen era in pericolo. E anche tutto l'Ordine. Non poteva rimanere ferma ad aspettare in una stanza buia. Si era precipitata da Hebraska, accompagnata da Leverrier, e aveva recuperato l'innocence, lottato contro il livello quattro, assieme ad Allen.

 

 

 

E l'home era cambiata. Si erano trasferiti in un altro posto.

 

 

 

Aveva dovuto abbandonare il luogo in cui era cresciuta. Il luogo in cui aveva rincontrato suo fratello, dove aveva conosciuto i suoi amici, la sua famiglia. Il luogo in cui però aveva perso molte persone a lei importanti. Aveva pensato allora che si sarebbe rifatta una vita una volta arrivata all'home nuova. Avrebbe provato a ricominciare da capo, con i suoi amici ancora in vita, mettendo da parte, ma non dimenticando, coloro che erano morti.

Purtroppo, però, qualcuno aveva stravolto i suoi piani. Tutto era cominciato per il peggio. Allen era stato portato via da dei funzionari della Sede Centrale e, una volta tornato, era cambiato, era diverso. Lei aveva chiesto se stesse bene e lui aveva risposto di sì, che non aveva nulla. Aveva subito intuito che quelle sue parole erano false; le aveva dette solo per tranquillizzarla perché era sicuro che lei non lo avrebbe accettato o, nel peggiore dei casi, si sarebbe preoccupata fino all'inverosimile. E Lenalee gli avrebbe creduto, come aveva sempre fatto d'altronde, se non fosse stato per quel sorriso tirato che aveva in volto. Era un ragazzo spontaneo, per lui mentire bene non era semplice e, quando tentava di farlo, ci riusciva con scarsi risultati. E, malgrado il suo tentativo di non dirle nulla, Lenalee era venuta a sapere cosa tanto lo preoccupava. Lvellie aveva svelato loro tutto il giorno dopo. Aveva radunato i Generali e gli esorcisti e, assieme a Komui, li aveva informati del fato del ragazzo e del fatto che, nonostante tutto, avrebbe continuato a svolgere i suoi doveri da esorcista.

E Allen aveva chiesto di esser ucciso nel caso il Quattordicesimo si fosse svegliato e attaccato l'Ordine.

Lenalee avrebbe voluto urlare, picchiare i pugni a terra, piangere e chiedere perché, però rimase ferma dov'era, con gli occhi spalancati e le braccia lungo i fianchi, incredula che parole tanto amare potessero uscire da una bocca tanto candida.

 

---

 

Non aveva mai visto Allen giocare a carte e la cosa non la entusiasmava poi molto. Non lo aveva mai visto barare per accaparrarsi soldi o, semplicemente, perché il suo ego non avrebbe sopportato una sconfitta. Però, in quel momento, Lenalee era sicura che avrebbe preferito vedere il suo “Lato Oscuro” - come lo aveva chiamato Lavi – piuttosto che quel ghigno sul suo volto.

Lo vedeva davanti a sé, lo sguardo indeciso.

Sai”, esordì la voce di Allen, con una nota di disprezzo, “sono proprio indeciso in questo momento: ucciderti qui e subito, o divertirmi ancora un po' con te?”

Si chinò verso di lei, la mantella dell'Ordine volteggiante nell'aria gelida, e le prese il viso fra il pollice e l'indice, alzandolo e squadrandolo, quel ghigno ancora sulle labbra candide. “Lui”, ed indicò sé stesso, “ti ama così tanto. Mi chiedo cosa diavolo abbia mai visto in te.” E con uno strattone la fece cadere all'indietro, inciampare nel corpo del compagno ed abbandonarsi al suolo, le braccia aperte e le lacrime lungo le gote arrossate dal freddo.

Gli occhi piangevano ancora. Era una cosa così strana e straziante.

Voleva essere ucciso. Lui voleva morire. E insieme a lei, probabilmente.

Eppure, quella volta nell'arca, superata la porta della stanza in cui Jasdebi aveva teso loro un'imboscata, quella volta che lei, Lenalee, aveva pianto e scalciato per tornare indietro a salvare Crowley, lui non aveva desiderato la morte. Desiderava vivere, più di ogni altra cosa, e salvare i suoi compagni. Voleva tornare all'home assieme a tutti e festeggiare con Komui e gli altri.

« I'm not giving up either.

I'm struggling and struggling to

protect everybody, no matter what. »

Però, ora si era dato per vinto.

Possibile che le parole di un solo uomo possano cambiare così radicalmente un'esistenza?

Un uomo morto, come se non bastasse.

(Loro lo credevano morto.)

Allen non era stato più sé stesso da quando Cross gli aveva rivelato che Mana era il fratello del Quattordicesimo, e lui ne era l'ospite. Aveva mascherato quella tristezza, quel senso di oppressione, giorno dopo giorno con sorrisi che parevano veri e quella voce ferma e sicura che, in realtà, nell'animo era in bilico sulla punta di un coltello.

Allen-kun...”, iniziò Lenalee, voltando la testa verso gli alberi per non vedere ne il corpo del compagno ne gli occhi di Allen, “... lui, voleva vivere! Voleva distruggere il Conte perché altra gente non soffrisse come lui e Mana!”

Il Quattordicesimo smise di ridere, e si fece serio in volto.

 

 

---

 

Quando Komui aveva aperto quella porta aveva strillato e la torta al cioccolato gli era scivolata dalle mani.

Lenalee era rimasta immobile, spaventata. Allen, dal canto suo, aveva assunto in volto varie sfumature di rosso che crescevano d'intensità più il dito dell'uomo davanti a loro lo indicava, colpevole.

Tu!”

Il ragazzo aveva spalancato gli occhi. “Io...?”

Tu... e la mia Lenalee!”

La bocca dell'uomo, spalancata in un urlo ormai sordo, aveva toccato terra e il dito che li puntava aveva iniziato a tremare.

Voi due...!”

Lenalee a quel punto aveva urlato e sbattuto il fratello fuori, chiudendo la porta. Si era vestita ed aveva aiutato Allen a fare lo stesso. Erano poi usciti, per trovarsi di fronte un Supervisore della Sezione Scientifica ancora sconvolto e pietrificato, la bocca sempre spalancata e il dito accusatore puntato verso il vuoto, tremante. Lo avevano aiutato ad alzarsi e ad andare nel suo ufficio con la promessa di spiegare tutto, ma l'uomo era rimasto ancora immobile con il volto contratto in un urlo silenzioso. Avevano deciso di ignorarlo ma, nell'istante in cui Lenalee disse “Andiamo, Allen-kun”, Komui era scattato verso la sorella, bloccandola per un braccio.

Non l'aveva guardata in volto. Sembrava imbarazzato.

Lenalee, perché mi fai questo?”, aveva puntato il dito nuovamente verso Allen, con le lacrime agli occhi e il naso che gocciolava.

La ragazza si era voltata e, dopo uno sbuffo e un sussurro che solo il compagno accanto a lei aveva udito – che palle -, rispose al fratello. “Io non ti sto facendo nulla, Nii-san. Sono libera di stare con chi voglio, o sbaglio?”

Komui era scoppiato in lacrime. Aveva imprecato, scalciato, ma non aveva smosso la sorella dalla decisione che aveva preso.

Era in quel momento che aveva iniziato a pianificare la sua vendetta contro Allen Walker.

 

 

 

Lavi non aveva resistito a lungo. Da mesi si teneva quel segreto che non aveva avuto il coraggio di svelare nemmeno al suo vecchio Panda.

(Le minacce di Lenalee lo spaventavano.)

Ormai che Komui sapeva tutto, si era lasciato andare, sbandierando ai quattro venti il fatto che avesse visto Allen e Lenalee assieme mesi addietro. Questo non aveva fatto altro che aumentare la rabbia omicida che cresceva nel Supervisore ogni giorno. Gli avevano mentito e, per giunta, per dei mesi interi.

Alcuni ragazzi della scientifica avevano appeso un calendario, vicino alle loro scrivanie, che segnava il conto alla rovescia della fine di Komui. Erano sicuri che, una volta che Lenalee fosse venuta a conoscenza del nuovo Komurin, non avrebbe risparmiato il fratello. Loro, però, erano stati costretti a tener chiusa la bocca.

(Le minacce del Capo funzionavano sempre.)

E Allen non era quasi mai in sede. Komui continuava a spedirlo in diverse missioni, una dopo l'altra, senza lasciargli il tempo di poggiare la valigia da viaggio nell'atrio e dire “sono tornato”. Ad ogni sua partenza, stranamente, coincideva ogni ritorno di Lenalee, anche lei messa agli stremi.

Kanda si era lamentato, e più di una volta. Questo continuo spedire i due compagni in missione, e sempre separati, non lasciava molto lavoro ad altri esorcisti e lui iniziava ad annoiarsi, anche con la meditazione Zen.

Lavi, invece, se la spassava, anche se continuava a ricevere rimproveri dal vecchio Bookman.

 

 

 

Verso la metà di Ottobre, era accaduto l'inevitabile: Komurin, all'alba, aveva distrutto la camera di Allen con il ragazzo ancora all'interno. Il boato provocato aveva svegliato diversi esorcisti e finders, e alcuni scienziati erano rinsaviti dal loro stato di coma apparente, scioccati.

Lavi era stato il primo a raggiungere la stanza ormai distrutta dell'amico. Aveva fatto in tempo a vederlo fuggire, ancora in pigiama, con al seguito il nuovo Komurin.

Fermo, Polipo!”, aveva urlato in continuazione il Supervisore, lanciando diversi razzi verso Allen.

Non sono un polipoooo!”

Lavi aveva tentato di fermare il robot, ma non aveva fatto altro che peggiorare la situazione. Gli attacchi verso il suo Komurin avevano aumentato la rabbia di Komui.

Vai, Komurin! Uccidi il polipo!”

Allen aveva saltato una ringhiera, atterrando tranquillamente al piano sottostante. “Signor Komui, la prego, mi lasci spiegare!”, aveva urlato, fermo in mezzo al corridoio, osservando l'uomo in groppa alla gigantesca macchina che aveva costruito. “La prego...”

Komui aveva riso, maleficamente, abbassando il capo. Quando l'aveva rialzato, Allen gli aveva letto in volto le sue intenzioni: non lo avrebbe lasciato andare, non così facilmente, almeno.

Che spiegazioni vuoi dare, eh?”, aveva sibilato l'uomo, il volto che era il ritratto della pazzia, “Chiunque osi toccare la mia adorata Lenalee non merita un processo. Devi pagare per ciò che hai fatto.”

Tecnicamente io non l'ho solo...”

Zittoooo!”, il dito dell'uomo (ormai totalmente fuori di senno) si era allungato ad una velocità spaventosa verso un grosso pulsante rosso, cosa che aveva provocato le urla di Reever.

Stupido Supervisore boccoloso, vuole ucciderci tutti?!”

Komui era scoppiato a ridere, mentre osservava intento la luce che il robot emanava. “Se questa è l'unica soluzione, s..!” Non aveva fatto in tempo a finire la frase che Komurin era esploso, e lui si era sentito precipitare, sempre più veloce, verso il pavimento mezzo distrutto dell'ordine. Nella sua visuale erano entrati un paio di stivali rossi, aveva sentito un gran male alla testa e poi era diventato tutto bianco.

 

 

 

Allen si era svegliato nella sua stanza, la testa dolorante ed una gamba fasciata. Si era guardato attorno confuso, cercando di muovere il meno possibile il collo – anche quello era fasciato. Aveva alzato una mano e se l'era passata fra i capelli scompigliati, con fare assonnato.

Cosa...?”

Aveva sentito qualcosa muoversi alla sua sinistra e subito aveva scorto, fra quelle lenzuola candide, la chioma scura di Lenalee. Aveva sorriso, l'espressione più calma e rasserenata ora. Dormiva, il capo fra le braccia appoggiate al bordo del suo letto.

Lenalee...”

La ragazza aveva un cerotto sulla mano pallida, una benda su di un occhio e diversi taglietti in volto, ma a lui appariva sempre e comunque bellissima e insostituibile. Avrebbe dato la sua vita per potersi svegliare sempre col pensiero che lei stesse bene, per poi voltarsi e vederla dormire beata al suo fianco.

La amava, e non poteva far nulla per cambiare quel fatto.

Le aveva baciato i capelli e si era alzato piano, cercando di non svegliarla, andando dritto verso l'armadio per cambiarsi. Era stato in quel momento che si era accorto del vassoio di mitarashi dango sulla sua scrivania stracolma di fogli.

Lo conosceva bene, lei.

Aveva sorriso ancora, un sorriso dolce ed indirizzato al caldo corpo che ancora dormiva poggiato al suo letto.

Grazie, Lenalee”, aveva sussurrato, tornando da lei. L'aveva stretta in un debole abbraccio e l'aveva sentita gemere di dolore. Era ferita più gravemente di quanto pensasse.

Scusa. Scusa perché non potrò proteggerti per sempre, non da me, almeno.”

 

 

 

---

 

A quel nome, il Quattordicesimo, non seppe più cosa dire. Mana... lo ricordava, e bene. Sia per le sue memorie che per quelle di Allen. Entrambi i carichi d'emozioni che scaturivano dall'udire quel nome erano immensi e dolorosi. Allen aveva voglia di piangere, picchiare i pugni a terra e successivamente rialzarsi, esclamare di star bene ed esser convinto più che mai nel continuare la sua lotta contro il Conte; il Quattordicesimo provava rabbia, sete di vendetta.

Mana non è affar tuo”, esclamò la voce aspra e rotta dai singhiozzi di un Allen che ancora pareva posseduto.

Mana è morto a causa mia...”

Che voce strana, che tono piagnucoloso.

Mio fratello...”

Dalle gote del ragazzo erano cadute altre lacrime, che andarono immediatamente a mischiarsi con la pioggia.

Ho ucciso io mio padre, l'unica persona che mi aveva accettato.”

Lenalee aveva visto le ginocchia di Allen tremare, minacciare di cedere, ma lui era rimasto fermo dov'era. Aveva mantenuto la sua posizione di superiorità nei suoi confronti.

Se il Lord l'ha ucciso, è tutta colpa mia.”

Avrebbe potuto alzarsi ed andare a consolarlo, ma non lo fece. Allen l'avrebbe lasciata fare, si sarebbe aggrappato a lei o avrebbe cancellato le sue lacrime, fingendo di star bene; ma il Quattordicesimo l'avrebbe quasi sicuramente uccisa per essersi intromessa in affari che non la riguardavano.

Io volevo bene a Mana, Lenalee. Nessuno oltre a lui m'aveva mai accettato.”

E Lenalee seppe che era Allen quello che stava parlando in quel momento. La voce era la sua. Le parole erano sue. Il Quattordicesimo c'era, ma era Allen quello che stava parlando e piangendo.

Allen-kun...”, allungò la mano verso di lui e vide gli occhi colmi di lacrime spalancarsi, dilatarsi e spegnersi. Se solo ne avesse avuto le forze, si sarebbe alzata e lo avrebbe stretto attorno al collo, sussurrandogli che era tutto apposto, di non piangere, che sarebbero tornati a casa immediatamente ed avrebbero dimenticato tutte quelle brutte storie. Avrebbe appoggiato il capo sulla sua spalla ed avrebbe pianto assieme a lui, felice perché era tornato sé stesso e triste per lui, per quello che aveva sempre subito. “Allen-kun...”

Lenalee...”, Allen mosse un passo verso di lei, la mano tesa come ad incontrare quella sporca di sangue e fango di lei, e si inginocchiò a terra con un gemito di dolore. “Lenalee!”, prese la mano tesa della ragazza fra le sue a la strinse, portandosela al petto ed abbassando il capo verso di lei. “Lenalee, io...”, iniziò lui, gli occhi già lucidi e la voce incrinata da quel muto pianto. Strinse più forte le mani al petto e chiuse gli occhi sperando che, una volta riaperti, tutto quello che era appena accaduto sarebbe scomparso, lasciando il posto a qualcosa di meno sgradevole e doloroso.

Allen-kun”, lo chiamò Lenalee, alzandosi appena per raggiungere la sua spalla e posarvi sopra il capo, “Allen-kun, va tutto bene.” Era lui. Era sicuramente tornato in sé.

Il ragazzo spalancò gli occhi, incredulo, e strinse Lenalee forte, fra le sue braccia. “No che non va tutto bene. Io...”

Tu non ne hai colpa, Allen-kun...”

Il rumore della pioggia improvvisamente sembrò farsi più forte. Il ticchettio delle gocce che si infrangevano al suolo era sempre più ritmato. Il vento si era calmato ma, fra un singhiozzo e l'altro, le foglie degli alberi non smettevano di muoversi.

Allen non aveva la ben che minima idea di come comportarsi.

Lui aveva colpa, eccome. E lo sapeva.

Lenalee...”

Sentì il corpo della ragazza rilassarsi fra le sue braccia e, solo qualche attimo dopo, si accorse che era svenuta. Le passò una mano fra i capelli bagnati e sporchi e attese.

Rimase semplicemente in attesa che le parole di scusa che voleva sussurrarle uscissero dalle sue labbra.

... da quando sono entrato nella tua vita non ho fatto altro che causarti problemi. A te. A tutti. Scusa.”

Spostò il capo quel che bastava per vederla in volto: sembrava stesse dormendo beatamente. Aveva tante – troppe – ferite su tutto il corpo. Ed era stato lui.

Lenalee aveva detto che lui non ne aveva colpa, ma aveva torto. Se non riusciva ad impedire che il Quattordicesimo prendesse il possesso di lui la colpa era sua, di nessun altro. Se aveva fatto tutto quello a Lenalee era colpa sua. Se, in uno di quegli attimi di lucidità, non era stato in grado di fermarsi dall'uccidere coloro che amava, la colpa era sua. Se l'unica cosa che era riuscito a fare era stato piangere, la colpa era sempre e solo sua.

Aveva promesso ai suoi compagni che avrebbe fermato lui stesso il Quattordicesimo, e non aveva mantenuto la promessa. Il Noah era lì, che ancora premeva per uscire, per terminare la sua opera.

Afferrò saldamente il proprio braccio sinistro e levò il Crown Clown sopra di lui.

Allen!”

Il ragazzo si voltò spaventato, incontrando gli occhi spaventati di un Lavi che reggeva Kanda per un braccio, ancora incosciente e sanguinante, però vivo.

Lavi... BaKanda”, sibilò, abbassando appena il braccio.

Non farlo.”

Allen sorrise, inclinando il capo di lato e socchiudendo li occhi.

Schiuse appena le labbra, quel tanto che bastava a sussurrare.

Saluta tutti per me, Lavi.”

E calò la spada.

 

   
 
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > D.Gray Man / Vai alla pagina dell'autore: Liy