Crossover
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Autore: Odinforce    02/01/2016    4 recensioni
In un luogo devastato e dominato dal silenzio, Nul, un essere dagli enormi poteri si diverte a giocare con i mondi esterni per suo diletto. Da mondi lontani sono giunti gli eroi più valorosi, pronti a sfidare le loro nemesi che hanno già sconfitto in passato. I vincitori torneranno al loro mondo, siano i buoni o i malvagi. Saranno disposti ad obbedire alla volontà di Nul?
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Image and video hosting by TinyPic Capitolo 29. L’isola nebbiosa
 
« Finché resteremo uniti, io continuerò a proteggerti. »
Luke?
Lara Croft aprì gli occhi. Si trovava su una superficie sabbiosa e umida, sotto un cielo nuvoloso tinto di rosso: l’alba di un nuovo giorno su Oblivion. Si alzò a sedere, costretta ad accettare un nuovo dettaglio di quella triste realtà: era sola in quella spiaggia: non c’era traccia dei suoi compagni, spariti dalla sua vista negli ultimi istanti prima che il Titanic affondasse.
Lara capì subito di non essere tornata nel suo mondo, ma un dolore lancinante alla spalla sinistra attirò la sua attenzione; aveva un taglio profondo e sanguinava copiosamente. L’archeologa cercò il suo kit di pronto soccorso, ma questo era sparito, insieme alle pistole e al resto dell’equipaggiamento; doveva aver perduto tutto durante il naufragio, e questo rendeva la situazione ancora più grave.
Io sono viva...
Continuò a ripeterlo per mantenere la calma, poi tornò a occuparsi della sua ferita. Non avendo alternative, strappò un lembo del suo top e lo usò per fasciarla, stringendo forte per fermare l’emorragia; il dolore si fece più acuto, ma riuscì a non urlare. Aveva subito ferite ben peggiori di quella, dopotutto, e ne portava ancora le cicatrici: segni indelebili che avevano temprato il suo spirito di avventuriera.
Lara voltò le spalle al mare, concentrandosi sulla terraferma su cui poggiava i piedi. La sabbia terminava poco più avanti, lasciando il posto a una distesa enorme di vegetazione tropicale. L’aria era fredda e umida, e una buona dose di nebbia avvolgeva l’ambiente; il silenzio era quasi assoluto, interrotto appena dal rumore delle onde e dai consueti versi animaleschi provenienti dalla giungla.
Il primo pensiero di Lara fu di essere tornata, in qualche modo, sull’isola di Yamatai, il luogo che l’aveva cambiata per sempre. L’ipotesi fu demolita comunque pochi secondi dopo, quando si rese conto di trovarsi in un luogo molto diverso: non c’erano relitti nei paraggi, e la spiaggia era piatta e sabbiosa anziché rocciosa. Ciò non bastò comunque a tranquillizzarla: nulla poteva togliere il fatto che Lara fosse ancora sola e disarmata in un luogo del tutto sconosciuto.
Sembrava un vero ritorno alle origini della sua carriera. Lara Croft era sopravvissuta ancora una volta a un disastro, e ora doveva cavarsela da sola in un territorio ostile, priva di armi ed equipaggiamento. Quindi, dopo aver accettato il nuovo stato delle cose, strinse i pugni e si addentrò nella giungla.
Per prima cosa doveva procurarsi un’arma. Lara aveva con sé solo un coltello da caccia tirato fuori da uno stivale, ma già sapeva che non sarebbe servito a molto: era troppo sperare, infatti, che quella giungla fosse disabitata o priva di creature feroci, perciò le occorreva un’arma più letale. La vegetazione fu in grado di fornirgli il materiale necessario: l’archeologa impiegò le due ore successive per fabbricarsi un arco rudimentale e una dozzina di frecce, servendosi di rami e corde. Non era il massimo per difendersi, ma ricordava di essersela cavata a Yamatai con roba simile.
Lara avanzò, muovendosi con cautela tra la vegetazione che si faceva sempre più fitta. L’aria mattutina era ancora fresca e umida, e i versi animaleschi si fecero sempre più forti: alcuni non erano affatto familiari, e ciò la fece preoccupare; se la giungla ospitava creature sconosciute provenienti da altri mondi, non sapeva come affrontarle.
Doveva assolutamente riunirsi ai suoi amici, ovunque fossero finiti. Era certa che fossero scampati al naufragio.
Luke...
Un brontolio allo stomaco interruppe i suoi pensieri. Aveva molta fame, non poteva negarlo: non mangiava da almeno un giorno, da prima degli allenamenti sul Titanic. Senza dubbio, aveva bisogno di nutrirsi al più presto. Si fermò, scrutando attentamente i dintorni finché non individuò la preda adatta: un uccello tropicale appollaiato sul ramo di un albero a una decina di metri di distanza. Lara si appostò dietro un tronco caduto, con molta calma, poi tese l’arco; non lo faceva da un po’, ma per lei era come andare in bicicletta... impari a usarla e non dimentichi più come si fa.
Incoccò la freccia.
Tese la corda.
Respirò a fondo...
Lasciò andare.
La freccia fendette l’aria, rapida come un proiettile. Pochi attimi dopo l’uccello cadeva morto a terra, centrato in pieno da un colpo quasi perfetto. Soddisfatta, Lara afferrò la sua preda e si allontanò, in cerca del riparo adatto in cui mangiare.
Fu allora che l’archeologa si rese conto che insetti e uccelli non erano i maggiori rappresentanti della fauna locale. Mentre camminava vide un tronco ricurvo, del tutto spoglio; poi il tronco si mosse e si girò verso di lei. Lara capì che quello non era affatto un tronco. Aveva davanti a sé l’aggraziato collo ricurvo di una creatura gigantesca, alta quindici metri.
Stava guardando un dinosauro.
« Oh » mormorò Lara. Si era fermata di botto sul sentiero e fissava l’animale che si stagliava imponente davanti a lei. Era un Brachiosaurus, uno degli erbivori più grandi che avessero mai camminato sulla Terra: questi la scrutò con attenzione per alcuni secondi, poi la ignorò e tornò a brucare il fogliame dell’albero vicino. Altri brachiosauri erano nelle vicinanze, tutti intenti a fare colazione in quella parte di giungla.
Lara rimase immobile, stordita dalla nuova rivelazione. In verità aveva già avuto modo di incontrare dinosauri vivi e vegeti in passato, ma l’idea di ripetere l’esperienza così all’improvviso era comunque una sorpresa. Ora più che mai le sembrava di essere tornata indietro nel tempo, a giorni difficili della sua vita. Cercò di riprendersi e si rimise in cammino, percorrendo il sentiero ancora un po’ fino a trovare riparo tra un gruppo di rocce: Lara si sistemò là in mezzo e accese un fuoco per arrostire la sua preda.
La sosta fu breve, e quando ebbe finito di mangiare, Lara riprese la marcia, l’arco di nuovo in pugno. Ora si sentiva molto meglio, e la ferita alla spalla non faceva più così male. Dopo pochi minuti, l’archeologa vide la vegetazione interrompersi all’improvviso, divisa in due da una strada asfaltata: era sicuramente opera dell’uomo, ma abbandonata da tempo a giudicare dalle pessime condizioni in cui versava. Lara si voltò a sinistra e fu assalita da una nuova ondata di stupore: si trovava a pochi metri da una porta gigantesca, verso cui conduceva la strada. L’arco di pietra che la sosteneva recava una scritta, in lettere gialle e rosse.
 
JURASSIC
PARK
 
Lara era senza parole. La sua mente stordita impiegò un bel po’ a trovare una spiegazione, per quanto assurda, al nuovo contesto in cui era finita dopo il naufragio. Jurassic Park. Ripescando a fatica tra i suoi ricordi, Lara riconobbe quelle parole come il titolo di un libro, da cui era poi stata tratta un’intera saga cinematografica. Parlava di un parco a tema in un’isola tropicale, dove i dinosauri erano l’attrazione principale, riportati in vita grazie all’ingegneria genetica...
Che senso aveva tutto questo? Come aveva fatto a trovarsi in un’opera letteraria? Tali domande furono inevitabili, sebbene avesse incontrato stranezze più grandi fin da quando Nul l’aveva prelevata dal suo mondo. Anche questa doveva essere opera sua, pensò Lara, che riprese a camminare scuotendo la testa.
Attraversò la porta, che era rimasta socchiusa, addentrandosi sempre di più nella selva. Da quel lato la strada era quasi inghiottita dalla vegetazione, e fu difficile seguire il sentiero artificiale. Ora ne sapeva un po’ di più sulla sua attuale posizione, ma non cambiava nulla: doveva ritrovare i suoi amici. Nel frattempo intravide altri dinosauri tra la vegetazione, ma erano tutti erbivori e non ci fu nulla da preoccuparsi; a un certo punto Lara trovò la strada interrotta da un grosso masso, e cercò di aggirarlo. Dall’altra parte, un nuovo elemento attirò la sua attenzione: lo scheletro di un altro dinosauro, ricoperto in parte da foglie e radici. Lara lo riconobbe: era un Velociraptor, uno dei predatori più famosi, comparsi anche nella saga di Jurassic Park. Questo, tuttavia, appariva in modo strano. L’animale sembrava seduto come un uomo, e indossava i resti di quelli che sembravano vestiti umani. Doveva trovarsi lì da anni... difficile stabilire cosa l’avesse ucciso.
Lara spostò lo sguardo verso la roccia, sulla quale era incisa un’iscrizione in inglese:
 
QUI TROVERAI LE ULTIME PAROLE DI SAM V. RAPTOR, SUPERSTITE DEL JURASSIC PARK, PRIMO DI 99 FRATELLI E INTREPIDO AMANTE DELL'AVVENTURA. MENTRE LA MORTE SI AVVICINA A GRANDI PASSI PER PORTARMI VIA, DIVENTO CONSAPEVOLE DI CIO' CHE SONO SEMPRE STATO: NIENT'ALTRO CHE IL PARTO DELLA MENTE DI QUALCUN ALTRO... NIENT'ALTRO CHE UN AMICO IMMAGINARIO. LA MIA VITA, I MIEI RICORDI... TUTTO FINTO.
EPPURE, SONO STATO FELICE DI AVER VISSUTO QUESTA VITA. ECCO PERCHE' IL TUO TENTATIVO SARA' VANO, NUL... TUTTI CAMBIANO, TUTTI CRESCONO, MA I RICORDI RESTANO. E NOI NON SAREMO DIMENTICATI.
MAI.

Lara sospirò dopo aver finito di leggere, tornando a guardare l’autore che giaceva ai suoi piedi. Non era sicura di aver capito tutto ciò che diceva l’iscrizione, ma su una cosa non aveva dubbi: quello era un altro eroe, strappato dal suo mondo e costretto a combattere nella guerra senza fine di Nul. Un altro poveretto sacrificato per il diletto di un’entità sconosciuta.
Dal momento che in giro non c’erano oggetti utili, Lara si allontanò senza portare nulla con sé.
Avanzò per qualche altro minuto, quando sentì all’improvviso un tonfo. Si voltò appena in tempo per intravedere una sagoma scura venir fuori dalla vegetazione.
Lara alzò lo sguardo e vide qualcosa di enorme, ruvido come la corteccia di un albero; ma era qualcosa di molto più pericoloso di un albero... dapprima vide le possenti zampe posteriori, poi le due piccole anteriori, poi l’enorme bocca irta di fauci del Tyrannosaurus rex.
Stava guardando lei, senza ombra di dubbio.
Il tirannosauro lanciò un urlo terrificante. Lara cercò di non muoversi, di non provare paura... ma come poteva resistere alla presenza di una bestia simile? Un altro incubo sbucato dal passato, all’epoca in cui si era messa sulle tracce dello Scion... e proprio in quell’occasione si era ritrovata ad affrontare un T-rex! Ma allora poteva contare su armi migliori, perciò aveva in mente un’unica soluzione.
Scappare!
L’archeologa corse più veloce che poteva nella direzione opposta. Come previsto, il T-rex si lanciò all’inseguimento, calpestando con forza il terreno e abbattendo i tronchi più fragili. Lara si fece largo tra la vegetazione, schivando tutto quello che le capitava davanti: resisteva grazie alla sua agilità, sviluppata in anni di allenamenti ed esplorazioni in ogni angolo del mondo. Sentì tuttavia che il T-rex guadagnava terreno, alle sue spalle; non poteva scappare per sempre.
Sembrò una situazione di stallo finché Lara non vide il sentiero interrompersi bruscamente. Si fermò a pochi centimetri dal ciglio di un burrone: abbassò lo sguardo e vide l’acqua di un fiume che scorreva sotto di lei, a circa quindici metri di altezza.
Non ebbe altro tempo per pensare. Il tirannosauro emerse dagli alberi con un ruggito poderoso; Lara si voltò a guardarlo. Ormai non aveva via di fuga; da una parte c’era il vuoto, dall’altra una sicura morte tra le fauci di un dinosauro... poteva solo scegliere tra queste due opzioni fatali.
Doveva sopravvivere.
Lara chiuse gli occhi e balzò all’indietro, tuffandosi nel vuoto. Il T-rex scattò in avanti ma non riuscì ad afferrarla, e rimase sul ciglio del burrone ad osservare la sua preda mentre spariva tra le acque del fiume. La bestia ruggì ancora, per poi tornare delusa nella giungla.
In lontananza, qualcosa di più piccolo e pericoloso del tirannosauro aveva visto tutta la scena, ma non aveva fatto in tempo a intervenire. Fissò il punto del fiume in cui Lara era caduta, in un misto tra delusione e soddisfazione; se fosse morta o sopravvissuta non poteva ancora dirlo.
Natla, tuttavia, era sicura che la sua rivale se la fosse cavata.
L’importante era averla ritrovata; e in un modo o nell’altro, avrebbe portato il suo cadavere a Nul.
 
Lara riprese conoscenza poco più tardi. L’impatto con l’acqua era stato molto forte e aveva perso i sensi per un po’. Non aveva potuto impedire alla corrente di trascinarla via, impotente come una foglia; l’archeologa riemerse quindi dall’acqua e si trascinò a riva, con una certa fatica. Sentiva male dappertutto, soprattutto alla gamba destra; doveva aver sbattuto con una roccia, riportando un brutto taglio che sanguinava ancora. Lara uscì dal fiume, bagnata fradicia e sofferente, ma sollevata di essere ancora viva.
Ancora una volta doveva ricominciare daccapo. Aveva perso l’arco e le frecce nella caduta, e aveva bisogno di nuove cure mediche. Mentre pensava a come risolvere i nuovi problemi, il suo sguardo cadde su qualcosa di grosso che si stagliava poco lontano da lei, lungo la riva del fiume; dapprima pensò che fosse un dinosauro, ma quando mise a fuoco scoprì che era una barca. Era grossa e dotata di armi pesanti, forse appartenuta a una banda di pirati; aveva un enorme squarcio al centro dello scafo che la rendeva inutilizzabile. Ma forse, si disse, poteva ancora trovare qualcosa di utile al suo interno...
L’archeologa avanzò zoppicando verso la barca, quando vide ciò che ormai era inevitabile trovare nei pressi di un disastro. Un corpo giaceva sulla riva del fiume, immerso per metà nell’acqua. Lara lo raggiunse e scoprì che si trattava di una giovane donna, molto simile a lei nell’aspetto: aveva lineamenti sia cinesi che occidentali, e lunghi capelli castani raccolti in una coda di cavallo. Sul suo braccio destro spiccava un tatuaggio tribale che arrivava fino al collo. Indossava un paio di stivali da combattimento, jeans cortissimi, un paio di guanti neri senza dita e un top nero che lasciava il suo ventre esposto. Sembrava morta da poco, forse da appena un giorno; una ferita profonda all’addome le era stata fatale, dalla quale era uscito tutto il sangue. I suoi occhi spenti fissavano il cielo, ancora colmi di enorme sofferenza.
Lara non riuscì a non provare dispiacere per lei, nonostante le fosse del tutto ignota. Le era bastato uno sguardo per capire che tipo doveva essere: una dura, amante dell’azione e del pericolo. Lo dimostravano le due pistole che portava con sé: due Beretta 92 modificate, 9mm Sword Cutlass. Lara le prese insieme alle fondine, osservandole; sull'impugnatura erano incise due sciabole e alcune scritte in thailandese, ma non ne capiva il significato.
Poi trovò un nome, inciso sotto l’impugnatura: Revy.
Lara le portò con sé, anche se non avrebbe voluto farlo: quelle pistole sostituivano egregiamente le sue, perdute nel naufragio del Titanic. Lanciò un ultimo sguardo al cadavere, poi si rialzò e salì sulla barca, in cerca di altri oggetti utili. Aveva risolto il problema delle armi, ma aveva ancora bisogno di cure; avanzò lungo il ponte inclinato ed entrò sottocoperta, esaminando le stanze. Trovò quasi subito l’infermeria e la saccheggiò, ottenendo il necessario per medicarsi in modo efficiente; la dispensa era sottosopra ma conteneva ancora del cibo commestibile; l’armeria la rifornì di munizioni per la pistola e di una mitragliatrice modificata con lanciagranate. Trovò anche il ponte di comando, distrutto, e il resto dell’equipaggio... morto come la povera Revy. Lara vide tre cadaveri: un ragazzo giapponese vestito con una camicia bianca, un afroamericano alto e muscoloso e un uomo biondo con una camicia hawaiana. I loro corpi erano spezzati e mutilati, probabilmente morti nell’impatto che aveva distrutto la barca.
Lara non poteva stabilire chi fossero quelle persone. Eroi o malvagi? Forse entrambi, visto l’ambiente che li circondava: ormai era chiaro che si trovava in una moderna nave pirata. Da qualunque mondo provenissero, quei tipi avevano attirato l’attenzione di Nul... ritenuti degni di combattere nel suo ciclo di guerre.
Non poteva fare niente per loro.
Lara uscì dalla barca. Il suo sguardo si posò subito sul cadavere di Revy: un dinosauro si era avvicinato a lei per mangiarsi i suoi resti. Era un Dilophosaurus, un divoratore di carogne.
« Ehi, tu! » gridò Lara, saltando giù dalla barca. Il dilofosauro alzò la testa, incuriosito, mentre l’archeologa gli puntava contro le pistole. Lara non sapeva perché lo stava facendo, ma sentiva di non poter lasciare così il corpo di quella ragazza. Il dinosauro emise un lungo sibilo, mentre una sorta di ventaglio variopinto si apriva intorno al suo collo. Lara fece fuoco, sparando a volontà contro la bestia; i proiettili sforacchiarono per bene il collo e la testa del dilofosauro, che dopo pochi secondi cadde a terra morto.
Tornò a guardare il corpo di Revy. Era ancora intatto, quel dinosauro aveva appena fatto in tempo ad addentarle un braccio. Lara si chinò su di lei e le chiuse gli occhi; sentiva di doverlo fare, nonostante non la conoscesse. Non poteva fare nulla per lei, a parte impedire che i suoi resti fossero masticati; non era giusto che diventasse cibo per dinosauri, perciò se la caricò sulle spalle e la riportò sulla barca. La posò insieme agli altri corpi sul ponte di comando, ricoprendo ognuno di essi con un lenzuolo. Una foto rimasta intatta dall’incidente le aveva mostrato quelle persone riunite insieme, come amici... forse come una famiglia; l’unica che potessero avere. E come tali, meritavano di restare insieme, uniti anche da morti.
« Grazie » fu tutto ciò che riuscì a dire Lara. Grazie a loro aveva di nuovo armi ed equipaggiamento che le avrebbero permesso di sopravvivere. Così, sperando di avere molta più fortuna di quel gruppo di sventurati, l’archeologa lasciò la barca e riprese la marcia.
Trascorse l’ora successiva risalendo il fiume. La sua priorità non era cambiata affatto: doveva ritrovare i suoi amici, sperando con tutto il cuore che fossero vicini. Se davvero si trovava nello stesso Jurassic Park di cui aveva letto, allora si trovava su un’isola, e più tardi avrebbe dovuto inventarsi un modo per lasciarla. Continuava a ripetersi di aver affrontato sfide peggiori di quella: nulla di tutto ciò che aveva intorno in quel momento poteva essere paragonato – neanche lontanamente – alle terribili insidie dell’isola di Yamatai. Là non c’erano pazzi fanatici, né antichi spiriti in attesa di reincarnarsi; era solo una tranquilla isola nebbiosa piena di alberi e dinosauri... dal suo punto di vista, non era niente di così serio.
Lara giunse nei pressi di una cascata. Il terreno si era fatto ripido e fu costretta a prendere una deviazione arrampicandosi sulle rocce; la piccozza e il rampino presi dalla barca di Revy si rivelarono estremamente utili. A quel punto ritrovò l’asfalto, dove giacevano i resti di un’automobile. Una Land Cruiser verde-rossa, con il logo del Jurassic Park stampato sulla fiancata; senza dubbio era un’auto usata dall’equipe del parco, abbandonata lì da parecchio tempo. Lara alzò lo sguardo: oltre la strada si ergeva una grande recinzione, ridotta in pessimo stato come l’auto. Ricoperta dall’avanzare della vegetazione, presentava inoltre un enorme squarcio, come se qualcosa di grosso e pesante fosse venuta fuori. Fu sul punto di chiedersi quale gigantesca creatura avessero cercato di trattenere oltre quella recinzione, quando udì la risposta nell’aria. Un ruggito terribilmente familiare spezzò il silenzio, nelle immediate vicinanze.
Il tirannosauro era tornato.
Lara era pronta, stavolta. Impugnò le pistole mentre il T-rex la individuava e si lanciava in un nuovo feroce attacco. La ragazza scappò nuovamente nella direzione opposta, dirigendosi verso il muro della recinzione; il dinosauro avanzò minaccioso, convinto di averla messa in trappola. Lara non si fermò e corse su per il muro, mentre il T-rex abbassava l’enorme testa; l’archeologa balzò all’indietro e fece fuoco. Il tirannosauro urlò mentre una manciata di proiettili gli spappolavano un occhio, e andò a sbattere contro la recinzione. Lara atterrò poco lontano, sorridendo per la prima volta durante quella pessima giornata.
Il tirannosauro si rialzò, ferito ma più furioso che mai. Lara indietreggiò un poco; non era la prima volta che uccideva un T-rex, occorreva solo un po’ di pazienza. Strinse perciò la presa sulle pistole, pronta per il secondo attacco.
Ci fu un lampo improvviso, e il rombo di un tuono echeggiò in tutta l’area circostante. Lara vide distintamente un fulmine abbattersi sul tirannosauro, facendolo cadere all’indietro; la scarica elettrica fu così forte che la bestia fu abbattuta all’istante, riducendola a un’enorme carcassa fumante nel giro di pochi secondi.
Lara era esterrefatta. Non riusciva a capire da dove provenisse quel fulmine, tanto era stato improvviso e provvidenziale. Poi, tuttavia, dal cielo giunse la risposta che cercava.
Natla atterrò con grazia di fronte a lei, lo sguardo duro e minaccioso come al solito. Aveva un aspetto diverso dal loro ultimo incontro: la regina di Atlantide aveva abbandonato la tuta bianca, e ora indossava un’armatura in stile nordico, simile a quello di una valchiria. Un abbigliamento che si confaceva all’arma che ora stringeva in mano, un grosso martello nero adorno di simboli runici.
Lo sguardo di Lara s’indurì a sua volta non appena la riconobbe.
« Natla! »
« Salve, Lara » salutò lei, compiaciuta. « Pare che io sia arrivata appena in tempo... non mi andava l’idea di lasciare a un dinosauro il merito di averti uccisa. Vedo inoltre che ti sei separata dai tuoi amici, e questo rende tutto più semplice. »
Lara guardò per un attimo il T-rex morto, prima di concentrarsi di nuovo sulla sua nemica.
« Come hai fatto a trovarmi? »
« Con il sistema tradizionale: cercandoti. Ho setacciato vari settori di Oblivion prima di trovare le tue tracce su quest’isola. È stata una lunga ricerca, ma la mia pazienza è stata finalmente premiata; e ho portato anche un vecchio amico, come vedi. »
E indicò il martello tra le sue mani. Lara rimase quasi senza fiato per lo stupore.
« Quello è... il Martello di Thor! »
« Esatto » concordò Natla. « Ritrovato nel Cimitero dei Mondi... insieme a tutta l’attrezzatura necessaria per maneggiarlo. Mi aspettavo di dover competere con Excalibur, ma pare che tu abbia perduto anch’essa... in tal caso il nostro duello sarà molto breve. »
Lara strinse la presa sulle pistole, mentre un nuovo flusso di ricordi irrompeva nella sua mente. Il Martello di Thor... un’altra arma mitologica, giunta in possesso dell’archeologa durante la ricerca di sua madre. La stessa arma era servita a sconfiggere Natla, prima che lei potesse distruggere il mondo con il suo piano diabolico... poi era andata perduta di nuovo, caduta in un fiume di liquido mortale.
Ma nulla andava perduto per sempre, e poteva essere ritrovato nel Cimitero dei Mondi, come appena dimostrato da Natla; Lara vide anche la cintura e i guanti necessari per impugnare il Martello, e questo rendeva tutto più difficile. L’arma più potente del mondo era ora tra le mani della creatura più spietata che avesse mai incontrato... ma ciò non significava che l’avrebbe avuta vinta così facilmente.
Lara alzò le pistole, puntandole contro Natla.
« Siamo di nuovo faccia a faccia, dunque » dichiarò l’archeologa. « Era quello che volevi, no? Solo tu e io, senza alleati in grado di aiutarci o di intromettersi. Se vuoi il duello, lo avrai... ma non sottovalutare il tuo nemico solo perché è sprovvisto di superarmi! »
Natla restò in silenzio, ma in compenso fece un sorriso maligno.
« Dunque preferisci batterti » osservò. « Hai sempre avuto un gran fegato, mia cara, oltre alle tette...  ugh! »
All’improvviso si era piegata in avanti, reggendosi il collo con la mano libera.
« Non hai una bella cera » disse Lara, notandola.
Natla tornò in guardia subito, ignorando quella fitta di dolore.
« Tra poco... tu ne avrai una ben peggiore! »
Lara non si lasciò comunque ingannare: a un’occhiata più attenta, la sua nemica appariva in condizioni più gravi di quanto volesse ammettere. Era febbricitante e aveva il fiatone... inutile dire che forse era malata, ma non ci fu il tempo per accertarsene.
Il Martello brillò di luce. Lara si gettò a terra, appena in tempo per schivare un fulmine che si abbatté invece sull’asfalto, distruggendolo. L’archeologa rispose al fuoco, sparando numerosi colpi con pistole di Revy; Natla spiccò il volo e schivò le pallottole, e nel frattempo scagliava un nuovo fulmine. Lara cominciò a correre; doveva continuare a muoversi, per impedire a Natla di prendere la mira con quell’arma. Sapeva che un solo colpo, se andato a segno, sarebbe bastato per incenerirla all’istante.
Che fare? Con una come Natla era inutile mettersi a discutere, soprattutto dopo il loro ultimo incontro. Non aveva scelta, doveva fermarla una volta per tutte... ma prima doveva separarla dal Martello, e sapeva come fare; le occorreva solo l’occasione giusta.
E l’occasione giunse poco dopo dal cielo, imprevista ma ben accetta. Natla era ancora sospesa in aria quando fu aggredita alle spalle da qualcosa di enorme: uno Pteranodon, un dinosauro volante dal lungo becco affilato. La regina di Atlantide fu presa alla sprovvista, ma reagì subito all’attacco.
« Argh! Lasciami, dannato uccellaccio... come osi...! »
Lara non poteva chiedere di meglio. Mentre i due mostri si agitavano nel cielo sopra la sua testa, non appena furono abbastanza vicini, l’archeologa sparò con il lanciagranate, mirando alla cintura di Natla. L’esplosione investì la donna alata e lo pteranodonte, separandoli l’una dall’altro. Qualcosa di piccolo e scintillante cadde a terra; Natla non lo recuperò, pensando piuttosto a sbarazzarsi del suo feroce aggressore. Un nuovo fulmine scaturì dal Martello e si abbatté sullo pteranodonte; la bestia precipitò nella vegetazione oltre la strada, sparendo alla vista.
Natla atterrò. La granata e il dinosauro le avevano arrecato appena qualche graffio, ma appariva comunque affaticata. Tornò subito a guardare Lara, più furiosa che mai, quando accadde un nuovo imprevisto: il Martello di Thor divenne improvvisamente troppo pesante e cadde a terra; Natla cercò di sollevarlo, ma invano. Guardò i suoi guanti, che non brillavano più, e quando rivolse lo sguardo sulla cintura capì cosa non andava.
« Perso qualcosa? » dichiarò Lara, mostrandole ciò che aveva perduto: la fibbia della Cintura di Thor, staccatasi dopo l’esplosione e raccolta subito quando era caduta a terra. Essa dava energia ai guanti per sollevare il Martello; senza di essa, l’arma era inutile.
Lo sguardo di Natla si riempì di orrore, aggiungendosi alla rabbia.
« Maledetta... ridammela subito... argh! »
La donna crollò a terra, toccandosi il petto come se stesse avendo un infarto, sotto lo sguardo stupefatto di Lara.
« Ghhh... quel male...detto... vampiro... »
Lanciò un urlo agghiacciante, pervasa da un dolore che sembrava divorarla all’interno. Dopo una breve agonia, ancora inspiegabile agli occhi di Lara, si accasciò al suolo.
L’archeologa attese per almeno un minuto, avanzando lentamente con le pistole in pugno. Si aspettava una nuova reazione da parte di Natla, che tuttavia non avvenne. Quando fu sopra di lei le toccò il collo; niente battito. Vide inoltre una ferita simile a un morso, avvenuta di recente.
Barnabas...
Aveva molti dubbi, ma solo una certezza. Natla era appena morta davanti ai suoi occhi, su quella strada nel bel mezzo del Jurassic Park. Il Martello di Thor giaceva lì accanto, intatto e inutile. Lara pensò subito a recuperarlo, indossando la Cintura e i Guanti presi dal cadavere della nemica; ancora non sapeva cosa aspettarsi, ma l’istinto di sopravvivenza le diceva di prendere tutto ciò che poteva finché era in tempo.
I Guanti di Thor tornarono a brillare sulle sue mani, e fu così in grado di sollevare il Martello. Fu allora che un nuovo rumore attirò la sua attenzione... sembrava un applauso. Si voltò e vide un nuovo individuo, apparso come dal nulla su quella strada: un uomo vestito con un lungo soprabito bianco, il cui volto era celato completamente da un cappuccio; due ali nere da uccello spuntavano dalla sua schiena.
« Complimenti, Lara Croft » dichiarò lo sconosciuto, terminato l’applauso. « Sei sopravvissuta. »
Lara lo fissò incuriosita.
« Tu... chi sei? »
« Io sono Nul. »
L’archeologa trattenne il fiato, e il suo sguardo si spostò diverse volte su Lara e sull’incappucciato.
« Ma cosa è successo? » domandò. « Perché è morta all’improvviso? »
« Non ricordi più? » fece Nul. « Natla era stata morsa giorni fa da quel vampiro, Barnabas Collins. So che non sei una patita del cinema horror, ma dovresti sapere bene che il morso di un vampiro comporta spesso conseguenze spiacevoli. »
Lara non chiese come Nul facesse a sapere dell’accaduto. Se era davvero il padrone di quel mondo, allora era come un dio: onnisciente, onnipotente e tutto ciò che questo comportava. Piuttosto era la sorte di Natla a preoccuparla, se doveva credere alle cause del suo improvviso decesso.
« Vuoi dire... che diventerà un vampiro? »
Nul scosse la testa.
« Nah... Natla non è umana, ma per il suo corpo quel morso è stato comunque velenoso... e l’ha indebolita lentamente, fino a ucciderla. Non poteva evitarlo, è stata incauta fin da quando ha pianificato di assalirti a Burton Castle, e ora ha finalmente pagato per il suo errore. Ti posso garantire che non si rialzerà mai più. »
« Be’, meglio così » ammise Lara. « Ora che si fa? Se Natla è morta e io sono viva, significa che ho vinto la sfida. Mi riporterai nel mio mondo? »
Nul rise.
« Uhuhuh... chi ha detto che hai vinto la sfida? E poi, mi è parso di percepire una buona dose di affetto nei confronti del tuo alleato Luke. Vorresti davvero andare via senza salutarlo? »
« Luke? Che cosa gli hai fatto? » disse Lara, stringendo la presa sul Martello.
« È sopravvissuto, proprio come te... e tutti gli altri. »
L’incappucciato si avvicinò e le tese una mano. Lara esitò: non si fidava di quel tipo, eppure sentiva che dargli la mano era la cosa giusta da fare. Così si abbassò e strinse la mano a Nul...
Poi tutto il mondo divenne buio, e Lara perse conoscenza.
   
 
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