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Autore: Lady Stark    04/01/2016    2 recensioni
«Per lei, tutto è possibile, ufficiale.» con un gesto delle braccia, il taverniere l'invitò a seguirlo.
Len sapeva che quello che stava per fare era sconsiderato, irrazionale e pericoloso.
Era perfettamente a conoscenza del fatto che quel comportamento l'avrebbe potuto distruggere.
Avrebbe potuto demolire tutto ciò che per anni aveva così faticosamente costruito...
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Len Kagamine, Rin Kagamine | Coppie: Len/Rin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chapter III 

Le lancette dell'orologio ticchettavano con insistenza nel quartier generale.

Il prezioso oggetto sembrava essersi trasformato in una calamita per le sue iridi iniettate di desiderio. Sentiva il corpo fremere all'idea di uscire nella notte e correre da lei.

Era seduto a tavola da due ore, ormai; un numero indefinibile di portate gli erano passate di fronte agli occhi senza che il suo insaziabile appetito venisse destato.

Salmone servito con riccioli di burro su crostini di pane bianco, pezzi di carne succulenta condita con aromi provenienti da Oriente. Quaglie, capponi e verdure cotte sul fuoco avevano poi imbandito la tavola assieme ad un'illimitata quantità di formaggi e marmellate dai colori sgargianti.

Vino, sidro e liquori di ogni genere avevano riempito i calici dei suoi compagni in un costante avvicendarsi di richiami alle servette che correvano con gli otri stretti al petto. Len aveva appena toccato le porzioni servitegli dai camerieri, giocherellando piuttosto con i rivoli densi dei condimenti che si accumulavano ai bordi dei piatti di porcellana. Di fronte al suo posto, un uomo grasso quanto un maiale continuava ad affondare la forchetta in tutto ciò che gli fosse servito, innaffiando il tutto con generose quantità di vino rosso. Il generale avvertì un penetrante senso di disgusto afferrargli lo stomaco nel disgraziato momento in cui il suo sguardo cadde sulla camicia di raso che indossava.

Il candido colore dell'indumento era stato irrimediabilmente macchiato da tracce di sugo, miele e vino; nulla avrebbe più potuto riportare al suo stato originario il capo di vestiario.

La luce generata dal lampadario di cristallo non faceva altro che mettere in risalto tutti quei repellenti dettagli. Alla sua destra, il superiore non la smetteva di ridere, estasiato dai fumi dell'alcool e dalle chiacchiere leziose di una donzella dagli occhi color nocciola.

Len si appoggiò allo schienale imbottito della sedia, maledicendo in silenzio chiunque avesse avuto l'idea d'organizzare quel banchetto senza prima informarlo.

Da quando si erano seduti a quel lunghissimo tavolo apparecchiato, il generale aveva avuto il modo d'osservare la luna sollevarsi nel cielo.

Ora quell'immobile occhio lattiginoso, scrutava il palazzo ducale in cui l'esercito si era insediato.

«Non hai bevuto praticamente nulla, generale!» strillò uno dei sottotenenti, facendo cenno ad una ragazzina dall'aria stanca.

«Sai che non amo particolarmente bere, amico mio.» sorrise lui, cercando di non far trapelare quanto quella situazione l'innervosisse. In un'altra occasione, si sarebbe lasciato andare all'allegria della festa e della musica; avrebbe brindato assieme a tutti coloro che avevano contribuito alla conquista.

Eppure, in quel momento, lei occupava irrimediabilmente i suoi pensieri.

Una servetta gli passò accanto chiedendogli se desiderasse ancora un po' di vino speziato ma prima che Len potesse risponderle, il viso di lei si trasformò in una ciliegia.

Strillando per l'imbarazzo, la giovane si girò di scatto per allontanarsi dalla mano sfacciata che aveva sollevato l'orlo della gonna. Il liquido contenuto nella brocca fuoriuscì simile ad un'onda rosata, colpendo il generale dritto sul viso.

Il silenzio calò bruscamente in tutta la sala mentre la ragazza, avvertendo su di sé centinaia di sguardi, si girò con lentezza, pallida come un lenzuolo. Non appena scorse il disastro combinato, cominciò a tremare come una foglia, biascicando qualche incomprensibile scusa. Len si alzò dalla sedia, raccogliendo da tavola il fazzoletto di tessuto. A giudicare dalla condizione della casacca e dei capelli, nella brocca non doveva esserci rimasto che un misero rivolo di vino. Tutti attendevano la furiosa reazione del militare ma, in cuor suo, Len avrebbe voluto baciare quella sbadata domestica.

Finalmente, con quel pretesto, poteva abbandonare la sala e quel tedioso banchetto.

«Vattene.» abbaiò con voce asciutta ed irata.

Il suo superiore gli afferrò il polso, mettendo in mostra i denti ingialliti dal fumo e dall'età.

«Sei congedato, amico mio. Va' pure a lavarti.»

Len chinò il capo in segno di ringraziamento prima di uscire, seguito dal rinato, allegro baccano. Dovette aggrapparsi a tutto il suo autocontrollo per non mettersi a correre lungo i lussuosi corridoi; un paio di inservienti si inchinarono con deferenza nel vederlo passare.

Gli sguardi su tela dei precedenti regnanti lo squadravano con acredine, come se volessero rimproverarlo d'aver invaso il loro territorio.

Dopo qualche minuto di passeggiata veloce, Len giunse di fronte alla porta della propria camera. Tanta fu la furia di entrare e chiudere la porta che la punta dei suoi stivali si incastrò nel tappeto disteso sul pavimento, minacciando di farlo cadere. Afferrando i lembi della sua casacca fradicia di vino, l'uomo se la sfilò dalla testa senza neanche sbottonarla.

Il piccolo catino di porcellana era vuoto e, ordinatamente sistemate sul sostegno di legno, una serie di boccettine di sapone attendevano d'essere utilizzate.

Len si guardò allo specchio sbuffando per il fastidio. La situazione era persino peggiore di quello che si sarebbe potuto immaginare: i capelli erano ridotti ad una massa appiccicaticcia di crine, la pelle emanava un fortissimo odore di alcool speziato.

Sistemarsi in maniera decorosa era assolutamente fuori discussione. Solo per togliersi di dosso il puzzo del vino avrebbe impiegato la maggior parte del tempo rimastogli e l'uomo non aveva alcuna intenzione di mancare alla sua promessa.

Perciò, in una vera guerra contro il tempo, l'ufficiale si sciacquò la testa e la pelle del petto prima di indossare dei semplicissimi abiti privi di insegne militari.

Senza dare nell'occhio, uscì nel gelido abbraccio della notte cercando di non pensare al freddo che gli mordeva la pelle, ancora umida sotto i vestiti.

Nell'incamminarsi per le strade buie, accompagnato solo dalla lattea lanterna che galleggiava nel cielo, Len ebbe il timore di non riuscire a ricordare la strada attraversata in compagnia della sua truppa. I suoi stivali producevano un suono sordo ogni qual volta colpivano i mattoni divelti del camminamento. Quello era l'unico rumore presente in un manto di tenebre innaturalmente immobile.

Un gatto, acciambellato su un cumulo di sporcizia, si drizzò sulle zampe magre non appena vide avvicinarsi lo straniero. Il pelo si sollevò sul collo della bestia, accompagnato da un basso sibilo intimidatorio. Len ignorò quell'avvertimento, guardandosi attorno nella speranza di riconoscere uno dei tanti diroccati edifici che lo circondavano.

Osterie, bordelli e taverne si avvicendavano in un turbinio di insegne, riportanti gli squallidi nomi dei locali. Il senso dell'orientamento dell'ufficiale era sempre stato infallibile.

L'uomo riusciva a ricordare senza difficoltà le cartine dei luoghi conquistati e quell'insignificante roccaforte non faceva di certo eccezione.

Eppure, così avvolta nel buio, sembrava che la città stesse volontariamente spostando i propri confini per confonderlo e fargli così perdere del tempo prezioso.

«Ma dove diamine sono finito?» borbottò, fissando in cagnesco il minuscolo fiumiciattolo che scorreva alla sua destra. L'odore dell'acqua stagnante rimestò tutto quello che aveva mangiato a cena, facendogli venire la nausea.

«Ti sei perso, generale?»

Una ridente voce alle spalle lo sorprese, facendolo voltare di scatto. Sotto la luce debole di un lampione, il suo desiderio si materializzò in una nuvola di ricci capelli color oro.

Len trattenne il fiato, abbagliato dalla ballerina. La sua bellezza, benché celata da stracci cenciosi, eguagliava quella della luna, unica custode del loro incontro.

La giovane avanzò, tenendo le braccia incrociate dietro la schiena.

«Cosa te lo fa credere?» Len arricciò le labbra verso l'alto, ritrovando la felicità perduta in quel gioco di sguardi.

Malgrado la puzza di urina e lo squallore del luogo in cui si trovavano, Len non si era mai sentito più a suo agio in vita sua.

La presenza della ragazza era sufficiente a cancellare qualsiasi altro pensiero.

«Forse il fatto che hai vagato per le strade guardandoti attorno come un pazzo per quasi venti minuti, senza accorgerti che ti stavo seguendo.»

«Potrebbe essere una prova alquanto schiacciante.» ammise l'ufficiale, appoggiando la schiena contro il muro coperto di umida edera.

«Dovresti fare più attenzione. I bassifondi non sono una giostra per poppanti.»

Rin si posizionò di fronte all'ufficiale, sollevando il mento in un chiaro gesto di sfida.

Gli occhi dell'uomo ebbero un guizzo nel momento in cui l'affermazione abbandonò le labbra della ragazza, materializzandosi tra loro.

Il suo orgoglio cominciò a gonfiarsi, simile ad una spugna imbevuta d'acqua.

«Lo so fin troppo bene. Credi forse di parlare con uno sprovveduto?»

«Voi dell'esercito, molto spesso, non siete altro che palloncini gonfi d'aria.»

A quel punto, Len scattò in direzione della ragazza con il solo intento di spaventarla.

Lei però, a dispetto delle sue aspettative, reagì davvero.

Scartando di lato, veloce come un serpente, la giovane afferrò il polso dell'uomo torcendolo con forza. Poi, senza dargli tempo di reagire, entrò nella presa delle sue braccia e spingendolo contro il muro, gli bloccò la gola con l'avambraccio.

«Te lo ripeto, ufficiale, questo non è un parco giochi..» sibilò ad un centimetro dal suo viso, arricciando le labbra rosee in un'espressione tagliente. Len cominciò a ridere, l'adrenalina gli rombava nelle vene, assieme all'entusiasmo d'aver trovato una creatura squisitamente unica.

Rin si aspettava una risposta ma il generale replicò in maniera totalmente diversa.

Deciso a rivendicare il proprio orgoglio offeso, l'uomo rispose all'affronto della ballerina.

Sfruttando il proprio peso, nettamente superiore a quello di lei, l'uomo si sottrasse alla presa strangolatrice. Colta alla sprovvista, la ragazza barcollò indietro scivolando sulla patina melmosa che ricopriva il camminamento.

Len scattò avanti afferrandole entrambi i polsi con le mani.

Una fitta di paura gli chiuse la gola quando le ossa del polso di lei premettero contro il suo palmo. Erano così sottili da dare l'impressione che si sarebbero potute spezzare solo esercitando una maggiore pressione. A quel punto, l'uomo bloccò la sua offensiva, sostenendo con il braccio libero la vita della ragazza, per far si che non scivolasse nel fango.

Ogni distanza di sicurezza era svanita tra loro.

I visi erano tanto vicini che Len poté ammirare ciascuna piccola sfumatura presente negli occhi di lei.

I loro respiri si fusero in un silenzioso rincorrersi di pensieri che mai sarebbero stati pronunciati.

«È un peccato che tutto questo non sia un parco divertimenti,» quel solo sussurro infranse la tensione vibrante. L'ufficiale arricciò le labbra, affondando le dita nel costato della ballerina quasi a rivendicare materialmente la sua vittoria.

«Perché io amo giocare.»

Rin avvertì una scossa elettrica attraversarle il sangue mentre, rispondendo a quel sorriso, si liberava per rimettersi in piedi.

Il placido gorgogliare del fiumiciattolo era l'unico rumore che infrangeva la sacralità della notte.

Rin adorava quella quiete; aveva sempre amato i piccoli rumori prodotti dalle tenebre.

Len, al contrario, aveva sempre prediletto la luminosità della luce solare ma, in quel determinato frangente, sarebbe riuscito ad amare persino il colore assunto dal cielo di mezzanotte.

I loro occhi si ricercarono nuovamente, simili a due calamite dai poli opposti.

Quella ragazza riusciva a scatenare in lui un sentimento strano, indecifrabile, che tanto assomigliava a quella sensazione che i romanzi rosa classificavano come “amore”.

Durante le feste nobiliari, Len aveva sentito centinaia di volte quelle mielose storielle in cui la passione esplode con la veemenza d'un fuoco nei cuori dei due innamorati.

Il generale, nel suo mantello di cinismo, non aveva mai creduto a quelle frottole.

L'amore che lui aveva conosciuto non era altro che uno strumento per ingannare e privare un uomo della sua dignità. In un flash amaro, l'ufficiale si rivide chino sulla fanciulla dai fluenti capelli color carbone che, quella notte, aveva finto d'adorare alla follia.

Ricordava, come un pugno nello stomaco, lo sguardo speranzoso di lei mentre le dita dell'uomo scivolavano sulla pelle d'alabastro della guancia.

Nel giro di un battito di ciglia, rivide i suoi soldati strattonare la giovane ed il vecchio padre al centro della piazza costellata da fiaccole minacciose.

Il sovrano aveva gridato infamie contro l'esercito invasore mentre il sangue dei suoi servitori ruscellava tra le intercapedini del pavimento, bagnando gli steli delle erbacce che vi crescevano.

Len rivide le lacrime di lei, celanti l'odio e la disperazione di una donna tradita. Avvertì nuovamente il peso della mano del suo capo sulla spalla mentre la risata roca esplodeva nel cielo, producendo nel suo petto un senso di viscido odio verso sé stesso.

Aveva ormai perso il conto delle volte in cui aveva ingannato e pugnalato alle spalle per favorire l'affermazione del proprio potere.

Il suo cuore si era prosciugato di tutti quei positivi sentimenti che, generalmente, le persone avvertono in prossimità dei piccoli piaceri della vita.

Il cibo aveva perso ogni sapore; il vino non era altro che un'acida bevanda simile all'acqua; il sorgere del nuovo giorno allungava quella misera esistenza d'apatia ed indifferenza.

Len era un guscio vuoto, nient'altro un corpo senza più anima.

«Sei sempre così tenebroso, generale?» La voce di Rin punzecchiò il suo cervello come un lungo spillo, allargando le trame soffocanti dei suoi pensieri.

Gli occhi dell'ufficiale si tuffarono in quelli di lei, ricercando in quel colore così intenso una qualche salvezza alla sua disperata situazione.

«Quali fantasmi si agitano nella tua testa?»

La ragazza scavò a fondo nello sguardo del compagno, alla ricerca di quel ricordo che l'aveva trascinato lontano, nell'oceano della rimembranza, lì dove nessuno avrebbe mai potuto raggiungerlo.

«Fantasmi più neri della pece, mia cara.»

«A me piace il buio.» Rin si avvicinò d'un passo, afferrando il polso dell'uomo.

Len si liberò dalla sua presa, voltando di lato la testa con un sorriso amaro ad incorniciargli le labbra. I capelli gli scivolarono di fronte agli occhi, nascondendo parzialmente il fiume di ricordi che ora gli solcava le iridi.

«Generale, tutti abbiamo sulla coscienza almeno uno spettro che ci perseguita.»

«Non sai quanto siano raccapriccianti i mostri che mi perseguitano.»

Rin tornò ad afferrare il polso dell'uomo e, questa volta, gli piantò le unghie nella carne di modo che lui la guardasse. «Lascia che ti dica una cosa, ufficiale..»

La voce della giovane s'abbassò di colpo mentre i suoi stessi ricordi tornavano a perseguitarla.

«Non è chiudendoti in te stesso che riuscirai ad esorcizzarli.»

«E chi dovrebbe aiutarmi, sentiamo? Tu?» Len stava iniziando a perdere la pazienza e la giovane se ne accorse all'istante, allontanandosi per precauzione d'un paio di passi.

Rin non rispose e guardò l'uomo in piedi davanti al muro.

Era forse lei la persona che avrebbe potuto salvare l'ufficiale dalla sua oscurità?

Quando lei stessa non era altro che un amalgamo di mostri terrificanti?

«Forse, la nostra unica salvezza risiede in chi condivide lo stesso buio presente nelle nostre anime.»

La ballerina tentò d'abbozzare un sorriso mentre la luna, con la sua luce, disegnava ghirigori sulla pelle perfetta.

Len si passò una mano tra i capelli, inclinando il capo di lato.

Il suo sguardo si tramutò in un oceano di tristezza.

«Allora lasciamo che il buio ci inghiotta..»

Le sue parole fluttuarono nell'aria, tramutandole in una promessa.

«Insieme.»

   
 
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