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Autore: effewrites    04/01/2016    3 recensioni
[JeanMarco, Boyband AU, scritta per un Christmas Exchange.]
In cui una storia d'amore fiorisce tra le classifiche, i flash dei paparazzi sono abbastanza accecanti da portare a scelte sconsiderate, Levi è un produttore fin troppo esigente e la scena musicale pare essere una provincia del famigerato closet in cui parecchi sono bloccati.
Questa è la storia di parole più facili da pronunciare di fronte alla folla che dinanzi alla persona che si ama.
Questa è la storia di Marco e Jean.
Genere: Angst, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Armin Arlart, Eren Jaeger, Jean Kirshtein, Marco Bodt, Reiner Braun
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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The words you speak (surrounding me)

 
 
Cinque giorni dopo.  
 
Marco aprì gli occhi quando una vibrazione costante comincio a solleticargli lo stomaco. Grugnì, nascondendo la faccia nel cuscino prima di rotolare sul letto fino a trovarsi disteso di schiena, recuperando il proprio telefono su cui doveva essersi addormentato. Si sforzò quel tanto che bastava per riconoscere il nome sullo schermo – Eren – e poi alzò a fatica un braccio per accettare la chiamata.  

“’Onto?” biascicò nel telefono, sbadigliando.  

“Ah, ma allora sei vivo!” esclamò Eren all’altro capo del telefono, per poi urlare a chiunque fosse insieme a lui in quel momento: “Piano annullato, è ancora vivo!”  

“Ciao Eren,” sospirò Marco, portando la mano non impegnata a reggere il telefono a stropicciarsi gli occhi.  

“Come va?”  

“Dovrei essere io a chiedertelo, visto che è da giorni che non ti fai vivo.”  

Dal telefono arrivò il rumore di una porta che veniva chiusa, e il rumore di sottofondo che prima Marco non aveva notato diminuì notevolmente fino a quasi scomparire. Eren doveva essersi spostato in un luogo più appartato.   

“Hai saputo di Jean, immagino,” disse poi con voce molto più seria rispetto a poco prima. Il solo nome di Jean bastò a strappare alle labbra di Marco un lamento. Se non attaccò il telefono in faccia a Eren tornando poi a dormire fu solo in nome dell’amicizia che li legava.   

“Esatto,” mormorò dopo aver sospirato pesantemente.  

Era da giorni che Marco non aveva notizie di Jean. Da dopo la sera in cui avevano rotto – perché ormai era chiaro come il sole che avessero rotto – Jean non si era fatto vivo. Era sparito dalla faccia della terra, salvo poi ricomparire in maniera indiretta quando Erwin aveva contattato i ragazzi annunciando loro che Jean si stava muovendo per lasciare ufficialmente il gruppo.  

“Dovrà comunque aspettare il prossimo mese, quando scadrà il vostro contratto,” aveva spiegato Erwin durante la riunione a seguito dell’annuncio. “Ma dubito che un così breve lasso di tempo possa servire a fargli cambiare idea.”  

“Ci ho parlato, sai?” disse Eren, e Marco fece leva su un gomito per tirarsi a sedere nel letto.  

“Uh?” esclamò, troppo stupito per formulare una qualunque altra risposta. Il petto gli si strinse appena in una morsa di gelosia. Quindi Jean era entrato in contatto con Eren, mentre aveva ignorato totalmente l’esistenza di Marco nei giorni passati. Non che Marco l’avesse cercato, comunque, quindi sarebbe stato ipocrita da parte sua portargli rancore.    

“Già. Abbiamo avuto una lunga chiacchierata – penso la più lunga mai sostenuta senza urlarci addosso,” rise Eren. Nonostante tutto, Marco sorrise. Era raro che Eren e Jean riuscissero a parlarsi per lungo tempo senza cominciare a discutere. Questo poteva dare l’impressione che si detestassero, quando in realtà nonostante i litigi e i vari screzi sapevano essere buoni amici. “Non riesco ancora a credere che abbia deciso di andarsene.”  

“Già,” biascicò Marco, girandosi per restare sdraiato su di un fianco, rivolgendo il viso al muro. Non gli andava di parlare di Jean, ma non avrebbe saputo come chiedere ad Eren come cambiare argomento. Fortunatamente, però, le successive parole di Eren per quanto vertessero ancora su Jean furono abbastanza per far scattare l’attenzione di Marco.  

“E’ preoccupato per te, sai?”  

“Jean?” domandò scettico Marco.   

“Mh mh. E’ per questo che mi ha chiamato. Dice che è da ieri sera che prova a contattarti.”  

“Impossibile,” sentenziò Marco. Se Jean avesse provato a contattarlo se ne sarebbe accorto… no? Era anche vero però che la sera precedente era crollato a dormire ancor prima del tramonto, complice il fatto di non essere riuscito a dormire decentemente dalla sera dell’incidente al ristorante. “Oh… aspetta un attimo,” disse ad Eren. Allontanò il cellulare dal volto e mosse le dita sul touch screen fino a rivelare un considerevole numero di notifiche, perlopiù chiamate perse e un paio di messaggi. Quasi tutto era da parte di Jean.   

“Allora?” fece Eren, e la sua voce suonò lontana e distorta dal telefono. Marco inserì il vivavoce.   

“Sono un numero infinito di chiamate e qualche messaggio. Mh – oh!”  

“Oh? Cosa oh?”  

Marco si morse il labbro, cercando di ignorare la dolorosa scarica di speranza che gli attraversò il petto nel leggere il messaggio. “Chiede se possiamo vederci al più presto, lui ed io. Dice che è importante.”  

“Dovresti andare, allora,” lo incitò Eren. “In fin dei conti sei tu quello a cui è sempre stato più unito nel gruppo. Magari riesci a fargli cambiare idea.”  

“Posso fargli cambiare idea tanto quanto posso cambiare il mondo, cioè per niente,” sospirò Marco, alzandosi suo malgrado dal letto mentre cercava le parole giuste per rispondere a Jean. “Ma tanto vale tentare, immagino. Se dice che è importante ci sarà un motivo.”  
 
***  

“Grazie per essere venuto,” disse Jean, porgendo a Marco il caffè che aveva ordinato per lui e che Marco di certo non avrebbe bevuto, già fin troppo nervoso senza bisogno di caffeina nelle vene.   

Questo nervosismo in presenza di Jean era una novità inaspettata e sgradita. Da quando si erano conosciuti, infatti, Marco aveva sempre trovato estremamente facile trovarsi in compagnia di Jean, come fosse qualcosa di naturale e familiare. Era stata, questa, una delle ragioni che l’avevano spinto a trascorrere sempre più tempo insieme a lui. Una delle ragioni per cui Jean l’aveva da subito affascinato.  

“Figurati. Sembrava qualcosa d’importante.”  

“Lo è,” disse Jean, sorseggiando con aria corrucciata il proprio caffè. Dalla smorfia che assunse, Marco dedusse che la bevanda era troppo bollente, ma Jean continuò a berla. Effettivamente sembrava averne bisogno: sul suo viso pallido spiccavano due profonde occhiaie violacee, i ciuffi di capelli che spuntavano dal berretto calato sulla sua testa puntavano tutti in direzioni diverse, e in generale ogni singolo dettaglio dell’aspetto di Jean sembrava suggerire estrema stanchezza.   

Marco doveva costringersi a non guardare il viso di Jean, altrimenti era sicuro che avrebbe allungato una mano per cercare di sistemargli i capelli. Ne era certo. E non era assolutamente il caso.   

“Come stai?”, disse invece.  

Jean si strinse nelle spalle, con lo sguardo basso. “Bene, bene. Io, umh, non sono bravo nel fare conversazione,” disse poi, sfregandosi il collo con una mano.   

Marco strinse tra le proprie mani il contenitore bollente del caffè. “So che hai parlato con Eren.”  

“Già. Non riuscivo a contattarti e ho pensato che forse se fosse stato lui al telefono avresti risposto.”  

Non lo aveva detto con cattiveria o con acidità, il che fu forse il motivo per cui Marco si sentì rimpicciolire sulla sedia del bar per il senso di colpa. Jean pensava che lo stesse ignorando di proposito?   

“Ho completamente ignorato il telefono ieri sera. Avrei risposto, altrimenti,” si giustificò. Jean annuì lentamente in risposta, e prese un altro sorso di caffè.  

“Ad ogni modo,” disse poi, portando una mano alla bocca per coprire un colpo di tosse. Si chinò per un attimo per recuperare la propria borsa, abbandonata per terra accanto alla sua sedia. Marco seguì con attenzione i suoi movimenti mentre Jean apriva la borsa e ne tirava fuori un cd, poggiandolo poi sul tavolino tra loro due. “Volevo darti questo.”  

Marco osservò il cd. Era un semplice cd vergine, di quelli che si comprano in pacchi da cento per masterizzare musica in casa. Nella custodia in plastica trasparente era stato infilato anche un foglio di carta dall’aria decisamente usata. Marco alzò un sopracciglio con aria curiosa, spostando il suo sguardo su Jean, che sorprendentemente arrossì.  

“E’ una canzone,” spiegò, chiaramente a disagio. “L’ho scritta l’altro ieri e sul cd c’è una semplice versione che ho registrato a casa, solo voce e chitarra. E’ per te. Cioè, per la band. E’ per te e i ragazzi.”

“Hai scritto una canzone per noi?” ripeté Marco. Tutto questo era… inaspettato. In primis perché era da settimane che Jean si lamentava perché non riusciva a scrivere nuove canzoni. “Perché?”  

Jean incrociò le braccia al petto, abbandonandosi contro lo schienale della sedia con un’espressione torva in viso. “Perché è il minimo che potessi fare. Non volevo lasciarvi nella merda più totale con Ackerman. Potete provare a proporgli questa canzone come nuovo singolo, se vi piace.”  

“Quindi hai davvero deciso,” mormorò Marco, annuendo tra sé e sé. “Ci abbandoni.”  

Per un istante gli occhi di Jean parvero talmente combattuti che Marco si sentì in colpa per aver volontariamente scelto tali parole. Ma fu solo un istante, e nulla di più.   

“Sì,” disse seccamente, per poi rimanere in silenzio a fissare il cd ancora fermo sul tavolo. Lo indicò con un cenno del capo. “Non lo prendi?”  

Marco si decise ad allungare una mano e recuperare il cd. Non appena le sue dita lo sfiorarono gli parve che Jean emettesse un sospiro. “Lo porterò agli altri in serata, così potremo ascoltarlo.”  

“No,” lo interruppe Jean, e Marco lo osservò con fare confuso. “Se puoi, tu – ascoltalo prima tu. Per favore, Marco,” disse Jean, e nel momento in cui lo sentì pronunciare il suo nome Marco seppe che l’avrebbe fatto. Annuì in risposta, e Jean accennò un sorriso prima di alzarsi e infilare la propria borsa a tracolla. Marco provò una vaga fitta di panico.  

“Te ne vai di già?”  

“Ho degli impegni,” si scusò Jean, trangugiando l’ultimo sorso del suo caffè – in un modo o nell’altro, senza che Marco se ne accorgesse, aveva trangugiato l’intera bevanda nonostante fosse bollente. Controllò poi l’orologio che aveva al polso, e una smorfia gli si disegnò sul viso. “O meglio, li avevo cinque minuti fa.  
Dovrò correre.”  

“Jean,” mormorò Marco sconcertato. Scosse il capo con un sospiro. “Avremmo potuto rimandare, se avevi altri impegni.”  

“Darti il cd era più importante,” rispose di getto Jean. “Una priorità.”  

Rimasero qualche attimo entrambi in silenzio prima che Jean mormorasse un “Ciao, Marco” e uscisse dal bar, lasciando Marco da solo a chiedersi come dovesse sentirsi riguardo l’essere una priorità per una persona che l’aveva lasciato, preferendo la propria carriera. Strinse il cd nelle proprie mani con un sospiro, e con lentezza tirò fuori il foglio di carta piegato dalla custodia. Era macchiato di inchiostro blu. La prima cosa che vide fu il titolo, scritto con la grafia affilata e disordinata di Jean. Jet Black Heart. Marco cominciò a leggere il testo della canzone.  

Everybody’s got their demons  
Even wide awake or dreaming  
I’m the one who ends up leaving  
Make it okay…”   
 
***  

The blood in my veins is made up of mistakes
Let’s forget who we are and dive into the dark  
As we burst into colors returning to life  
‘Cause I’ve got a jet black heart  
And there’s a hurricane underneath it trying to keep us apart  
I write with a poison pen  
But this chemicals moving between us are the reason to start again.”   

Levi lasciò che la registrazione di Jean sul cd terminasse, e quando il rumore bianco che aveva accompagnato l’esecuzione del brano venne a mancare a Marco parve che la sala riunioni fosse fin troppo silenziosa. Si guardò in giro, osservando le reazioni dei presenti.  

Levi, la cui opinione risultava essere la più importante, se ne stava con i gomiti sul tavolo e le mani intrecciate davanti al viso. I suoi occhi grigi e freddi erano posati su di un punto indefinito nella stanza. Erwin, seduto lì accanto, stava annuendo con fare compiaciuto. Chiaramente la canzone di Jean l’aveva colpito. Eren e Armin, allo stesso modo, se ne stavano in silenzio ad osservare il loro manager e il produttore. Già durante l’ascolto della canzone si erano lasciati sfuggire esclamazioni di stupore e approvazione, riconoscendo pienamente il potenziale del brano di Jean.  

Non che Marco si fosse aspettato qualcosa di diverso.   

Il pezzo era una bomba, se n’era reso conto dal primo momento in cui ne aveva letto il testo. L’aveva amato, soffermandosi su ogni singolo verso, ed era corso a casa per poter ascoltare la registrazione prima di tutti gli altri, come Jean gli aveva chiesto di fare. Aveva inserito il cd nel suo computer e quando Jean aveva iniziato a cantare, accompagnato dalla chitarra, Marco aveva premuto le dita delle mani contro le labbra per costringersi al silenzio.  

Avrebbe voluto urlare. Amava quella canzone e la odiava allo stesso tempo, perché Jean aveva ragione, aveva avuto ragione per tutto quel tempo. Era questo il sound su cui dovevano puntare. Marco finì con l’ascoltare la registrazione più di una volta, immaginando mentalmente come la batteria si sarebbe potuta introdurre nell’insieme, immaginando lo scoppio delle chitarre durante il ritornello, immaginando le voci di Eren e di tutti loro creare armonie. Era fenomenale.   

“E’ perfetta come versione base,” sentenziò Levi alla fine, cosa che strappò un’esclamazione di gioia dalle labbra di Eren. “Ma,” continuò però il produttore, alzando un dito in direzione di Eren per farlo stare in silenzio. Il viso di Eren assunse un’espressione catastrofica ancor prima che Levi riprendesse a parlare. “E’ stato Kirschtein a comporla. Lo stesso Kirschtein che ufficiosamente non fa più parte di questa band, e dunque si presuppone non parteciperà a un eventuale secondo album.”  

Erwin strinse le sue labbra piene in una linea sottile, accigliandosi. “Ha ragione,” disse infine, chinando appena il capo in avanti con fare pensieroso.   

Contemporaneamente, sia Marco che Eren che Armin si lasciarono andare contro lo schienale delle loro sedie, chiaramente avviliti dal responso ricevuto.   

“Ma questo è comunque un inizio, no?” mormorò Armin, forse tentando di risollevare il morale dopo la caduta precipitosa subita. “Potremmo usare questa canzone come linea guida, ispirarci al sound che Jean ha utilizzato come fonte d’ispirazione per qualche nuova canzone.”  

Erwin alzò lo sguardo, aggrottando le sopracciglia come faceva sempre quando un’idea gli attraversava la mente. “Non è una cattiva ipotesi. In fin dei conti il problema principale era trovare un nuovo indirizzo musicale che fosse adatto al nuovo disco, e penso che Jet Black Heart possa essere preso come campione , per costruirci il disco intorno. Non trovi?” disse poi, volgendosi verso Levi, che annuì seccamente senza però lasciar trasparire nulla dalla sua espressione.  

“Sarebbe un azzardo,” disse, “ma effettivamente ritengo che potrebbe essere una buona idea.”  

“Per cui adesso cosa faremo?” domandò Eren. Si era aggrappato al tavolo e si stava sporgendo verso Erwin e Levi, con una chiara determinazione nello sguardo.  

Levi si voltò appena, recuperando la sua agenda e sfogliando qualche pagina. Si umettò le labbra, scorrendo con gli occhi qualunque cosa fosse appuntata sulla sua agenda prima di richiuderla con cura. “Adesso,” disse, “vi propongo un patto.”  
 
***  

“Siamo spacciati,” si lamentò Armin, lasciando cadere la testa sulla sua scrivania. Il rumore riecheggiò attraverso le casse del computer di Marco, che adocchiò con area preoccupata il riquadro della videochiamata sullo schermo.  

“Armin?” lo chiamò, ricevendo in risposta solamente un grugnito. Dall’altro riquadro della videochiamata Eren strinse le mani a pugno e le batté sulla scrivania.   

“Non siamo affatto spacciati!” esclamò. “Abbiamo pur sempre una base.”  

Come a sottolineare le sue parole, imbracciò la propria chitarra e prese a ripetere per l’ennesima volta gli accordi della canzone che erano riusciti a buttar giù quel pomeriggio, mormorando a mezza voce una melodia per accompagnarla. Marco sentì un sorriso formarsi sulle labbra, perché Eren aveva più che ragione: avevano una base, un’ottima base.  

Tre giorni prima, al termine della riunione, Levi aveva annunciato ai ragazzi che se fossero riusciti a presentargli una nuova canzone per la fine del mese, una canzone che eguagliasse Jet Black Heart ma che fosse composta senza l’aiuto di Jean, allora avrebbero ottenuto il via libera per l’album. Aveva soltanto bisogno di una prova che i Wings of Freedom sarebbero riusciti a funzionare anche senza la loro fonte creativa principale. I ragazzi si erano ripromessi che a qualunque costo sarebbero riusciti nell’impresa.  

Comporre la musica vera e propria si era rivelato più facile del previsto, nonostante ci fossero voluti quasi tre giorni per ottenere qualcosa che soddisfasse pienamente tutti e tre i ragazzi. Su suggerimento di Erwin avevano ascoltato più e più volte la canzone di Jean, cercando di assimilarne il sound e la mentalità per creare un pezzo sulla stessa linea d’onda.   

“E’ fantastica,” disse Marco mentre Eren continuava a suonare.   

Eren si fermò, rivolgendo un sorriso allo schermo del suo pc prima di ridimensionare la propria espressione. “Il problema restano sempre le parole, però.”  

Marco si strinse nelle spalle. Avevano trascorso l’intera giornata insieme per cercare di buttar giù un testo accattivante, e anche adesso a sera inoltrata stavano continuando il lavoro della giornata su Skype. I risultati, però, tardavano ad arrivare.   

“Avanti, Armin!” incitò Eren tutto d’un tratto. La testa bionda di Armin, rimasta posata sulla scrivania, si alzò quel tanto che bastava perché il ragazzo rivolgesse uno sguardo avvilito allo schermo mentre Eren diceva: “Di solito sei tu quello bravo a parlare. Devi solo trovare l’ispirazione.”  

“Parlare e scrivere una canzone sono due cose molto diverse, Eren,” ripeté Armin per l’ennesima volta.   

“Lo sappiamo,” disse Marco, cercando a suo modo di confortare l’amico. Sapeva che quasi tutte le loro speranze pesavano sulle spalle di Armin, e il biondo stava iniziando a cedere alla la pressione delle aspettative. “Non è colpa tua se non ci riesci. Essere un buon paroliere è difficile.”  

“Già,” borbottò Armin. “Vorrei davvero sapere come fa Jean a scrivere canzoni senza cadere in un esaurimento nervoso.”  

“Ce la faremo,” riprese Marco, cercando di infondere nel povero Armin quel minimo di fiducia tale da risollevarlo dall’abbattimento in cui pareva essere caduto. Eren, attraverso lo schermo, annuì.  

“Magari hai solo bisogno di riposo,” disse, con un tono di voce conciliante che raramente sceglieva di utilizzare. “Abbiamo lavorato senza sosta in questi giorni. Dovresti andare a dormire e cercare di recuperare un’intera notte di sonno.”  

“Oh mio Dio,” borbottò Armin, tirandosi finalmente a sedere e passandosi una mano fra i capelli scompigliati. “Stai parlando come farebbe Mikasa. La situazione è grave, allora.”  

“Wow, grazie mille, la prossima volta eviterò di preoccuparmi per te,” fece Eren, ma nel pronunciare tali parole si lasciò sfuggire una risata che tradì il suo non essere affatto offeso.   

Marco sorrise. “Dovremmo andare tutti,” disse poi, dopo aver lanciato una veloce occhiata all’orario segnato sul computer. “Si sta facendo tardi e domani non saremo per niente in grado di continuare a scrivere se dormiremo ad occhi aperti.”  

Eren e Armin annuirono, quasi in sincrono. “Cerca di dormire anche tu, Marco,” disse Armin, e Marco annuì nonostante il dormire fosse l’ultima delle sue priorità al momento. Si salutarono, dandosi la buonanotte, e dopo pochi istanti lo schermo del computer di Marco segno solamente la homepage di Skype. Marco sospirò, e una volta incrociate le braccia sulla sua scrivania vi poggiò su il viso.  

Nella testa continuavano a ronzargli gli accordi della loro nuova canzone, e per quanto si sforzasse sapeva che non sarebbe riuscito a pensare ad altro per il resto della notte.   

Il suo appartamento era estremamente silenzioso, per cui quando qualcuno nelle vicinanze prese ad ascoltare vecchie carole natalizie anche Marco tese le orecchie, sperando in una distrazione da quello strazio creativo. Ormai erano a metà dicembre. Natale si stava avvicinando, ma al suo confronto persino il Grinch avrebbe avuto un’aria festiva. Era impossibile per Marco riuscire a pensare a qualcosa che non fosse Jean, o la band, o le loro canzoni, o Jean, o gli ultimatum di Ackerman, o Jean.   

In un vago tentativo di tirarsi su di morale, Marco si disse che almeno avevano rotto prima che gli comprasse un regalo di Natale. Magra consolazione, ma bisognava lavorare con ciò che si aveva a disposizione.   

Sempre con la testa sulla scrivania, Marco liberò un braccio per afferrare il mouse e cliccare sull’icona del suo browser di internet preferito. In uno slancio masochista digitò il nome suo e quello di Jean, insieme al nome del ristorante in cui erano andati insieme poco più di una settimana prima. Le foto che comparirono pochi istanti dopo li mostravano insieme all’uscita del ristorante, lui sorridente e Jean imbronciato alle sue spalle. Continuò a scorrere i risultati: foto in cui camminavano, foto accanto alla macchina, persino una foto sfuocata del momento in cui Marco aveva abbracciato Sasha all’interno del ristorante.   

Con un lamento, Marco nascose nuovamente il viso tra le braccia.   

Adesso, troppo tardi, iniziava a comprendere come doveva essersi sentito Jean per tutto questo tempo. Probabilmente anche lui aveva trascorso momenti davanti allo schermo del computer o del telefono, scorrendo foto rubate e leggendo articoli di gossip sulla sua vita. L’intrusività delle parole di persone sconosciute che raschiavano la sua vita fino a far emergere verità reali o costruite diede a Marco la nausea.  Mi dispiace, Jean, pensò. Mi dispiace di non essermi reso conto prima di tutto questo.  

Stanco e abbattuto, Marco non riuscì a combattere il nodo che si stava formando nella sua gola. Deglutì più volte, pizzicandosi la base del naso per scacciare ogni minaccia di pianto, e decise di ascoltare ancora una volta la registrazione di Jean. Inserì il disco, afferrò gli auricolari e premette play. La voce di Jean risuonò nella sua testa, calmandolo all’istante.   

Conosceva a memoria le parole, ormai, ma quella fu la prima volta che si concentrò solo su di esse. A primo impatto gli erano sembrate incredibilmente amare e tristi. Le parole di Jean lo circondarono, e Marco iniziò ad analizzarle più in profondità. C’era qualcosa di familiare in esse. Qualcosa di non totalmente negativo, una speranza di fondo che Marco aveva già riscontrato in un altro contesto: negli occhi di Jean, la sera in cui avevano rotto. Marco rabbrividì e scosse il capo. Maledetto Jean, pensò con un sorriso appena accennato. L’idea che quella canzone condividesse qualcosa con quello che c’era stato tra di loro insinuò in Marco una strana euforia.   

Quando la canzone giunse al termine, Marco restò in silenzio.  

Gli tornarono in mente ciò che aveva detto ad Eren giorni prima, di non poter cambiare né il mondo né tantomeno ciò che Jean pensava.   

E in un attimo, un meraviglioso attimo di chiarezza, nella sua mente si formarono nuove parole.   

Recuperò dalla scrivania un foglio di carta e una penna, e ricordando la canzone composta con Eren e Armin cominciò a scrivere.  
 

*** 
 
Una settimana dopo.  

The words you speak, surrounding me  
This is broken love, in the first degree  
The air you breathe is haunting me  
Maybe I'll change your mind  
  
All my life, I've been waiting for moments to come  
When I catch fire, and wash over you like the sun  
I will fight, to fix up and get things right  
I can't change the world  
I know that I can't change the world  
But maybe I'll change your mind.”  

Jean stette in silenzio, immobilizzato dal traffico dell’ora di punta. Strinse il volante tra le mani con una forza tale che le sue nocche sbiancarono di colpo, e aspettò che lo speaker alla radio ricominciasse a parlare.  

“E questa era Catch Fire, il nuovo singolo dei Wings of Freedom, qui con noi in studio!” esclamò, con voce fin troppo entusiasta per risultare totalmente genuina. Jean lo aveva già preso in antipatia nel momento in cui aveva aperto bocca per la prima volta, e la situazione non faceva che peggiorare. “Wow, ragazzi, davvero wow. Questo è quello che potrebbe essere definito un ritorno col botto. Permettetemi ancora di ringraziarvi per aver scelto il nostro programma per il lancio della canzone.”  

Qualche risata di circostanza, dopodiché subentrò la voce di Eren. “Grazie a te, Jeff, per averci ospitati.”  

“Ah, ci hanno pensato già i vostri fan a ringraziarci, a quanto sembra twitter è in fiamme. L’hashtag Catch Fire sta scalando la classifica dei Trend Topic, a quanto mi viene detto.”  

Il telefono di Jean vibrò nella tasca del pantalone. Jean diede un’occhiata alla situazione per strada, e dal momento che prevedeva di rimanere imbottigliato nel traffico senza muoversi ancora per molto decise di poter tranquillamente stare al cellulare. Quando controllò lo schermo, c’era un nuovo messaggio di Reiner.  

R: L’hai sentita?  

Jean sospirò. Lo speaker alla radio stava continuando a lanciarsi in convenevoli con Eren, ed era una scena così stucchevole che Jean fu tentato di cambiare stazione. Ma non lo fece. Avrebbe pazientato ancora per un po’, sottoponendosi a questo strazio. Intanto, per distrarsi, digitò una risposta per Reiner.  

J: Yep    

Yep. Yep non era una risposta adeguata, Jean ne era pienamente consapevole. Yep era tranquillo e disinteressato, due aggettivi che non avrebbero potuto mai descrivere lo stato d’animo di Jean mentre aveva aspettato di ascoltare la nuova canzone della sua ex band.   

“Quegli stronzetti!” aveva esclamato con fare indignato quando era venuto a sapere che il nuovo singolo dei Wings of Freedom non sarebbe stata la canzone che aveva scritto per loro – be’, per uno di loro in particolare, ma queste erano questioni private. Aveva trascorso giorni interi a sentirsi ferito nel proprio orgoglio, perché la canzone che aveva scritto era una bomba, ne era sicuro, e se i ragazzi l’avevano messa da parte poteva solamente significare che avevano scritto una canzone ancora migliore della sua.  

R: E tu ti lamentavi anche della loro musica????  

“Oh per l’amor del cielo!”  

Jean lasciò cadere la fronte contro il volante, sobbalzando però quando venne azionato il clacson. Dannato traffico. Dannato Reiner che gettava dannato sale sulle dannate ferite.   

“A dire il vero è stato tutto lavoro di squadra,” stava dicendo Armin alla radio. Anche solo dal tono di voce, Jean riuscì a comprendere che stava sorridendo. “Anche se la maggior parte del merito per Catch Fire va a Marco. E’ stato lui a scrivere il testo.”  

Jean sbarrò gli occhi, tornando lentamente a sedere come una persona normale. Non poteva aver sentito bene. Di certo Armin non aveva detto che –  

“Davvero, Marco?” domandò Jeff, lo speaker. “Questo ritorno col botto è opera tua?”  

Si sentì una risata in sottofondo, e il cuore di Jean reagì con una morsa ancor prima che il suo cervello realizzasse cosa stava succedendo. Quando Marco cominciò a parlare, Jean alzò quasi al massimo il volume della radio.   

“Be’, Eren e Armin hanno creato la musica, per cui senza di loro non avremmo niente oggi.”  

Sempre fin troppo modesto.  

“Non essere così modesto, Marco,” fece Eren, riecheggiando i pensieri di Jean.   

“Non è modestia, è la verità!” si difese Marco, ma Jeff lo interruppe domandando: “Ma dicci, Marco, qual è stata la fonte di ispirazione per questo brano? Mi sembra un pezzo pieno di energia, molto positivo, anche.”  

“Lo è, sì. Il che è strano, considerando che era notte fonda quando l’ho scritto e avevo alle spalle decisamente troppe poche ore di sonno. Ma, umh, sì. E’ una sorta di riscatto per un periodo molto duro che ho affrontato – sia come membro della band che a livello personale.”  

“C’entra forse il temporaneo abbandono di Jean Kirschtein dalla band?”  

Jean strinse i denti nel sentir nominare il proprio nome e si protese verso l’impianto radio della macchina.   

“In parte,” rispose Marco, e Jean ringraziò il cielo che non ci fossero altri passeggeri in macchina a testimoniare come si fosse preso il viso tra le mani con aria afflitta. “Ovviamente rispettiamo la decisione di Jean , ma è stato duro. E’ stato… sì, estremamente duro.”  

“Mh, mh. E a livello personale?”  

“Perdonerai la mia vaghezza,” rise Marco, e dannazione Marco, dannazione, smettila di ridere così, ti prego smettila, fu tutto ciò che Jean riuscì a pensare. “Senza entrare troppo nei particolari, mi sono reso conto di quanto stessi ingenuamente vivendo una situazione molto più complicata di quanto pensassi. Non riuscivo a vedere i problemi che occupavano i pensieri di – della persona che condivideva questa situazione con me, e questo mi ha portato a perderla. O a lasciarla andare, forse sarebbe più appropriato. Catch Fire è un inno alla presa di coscienza e alla volontà di cambiare le cose, di agire, di non lasciare tutto in stallo. E’ un esorcismo di tutto ciò che in qualunque tipo di rapporto può portare alla rottura.”  

“Wow, ragazzi. A quanto pare Bodt ci sa davvero fare con le parole!” gracchiò lo speaker, andando avanti con l’intervista. Jean non riuscì più ad ascoltare neanche una parola.  

Respirava a fatica, con le mani premute sul viso e le parole di Marco che ancora aleggiavano nella sua testa.   

La prima ondata che lo travolse e che Jean riuscì a riconoscere fu la rabbia. Ne sentì il sapore amaro e pungente in fondo alla lingua, la riconobbe per lo stomaco serrato e il tremore alle mani e la voglia di colpire qualcosa, qualunque cosa, non avrebbe avuto importanza. Poi arrivò uno strano senso di orgoglio e compiacimento: Marco aveva scritto una canzone. Una splendida canzone. Una canzone che parlava di loro due. Marco, il suo Marco, lui aveva…  

“Maledizione!” ringhiò quasi, premendosi poi una mano chiusa a pugno sulle labbra e guardando fuori al finestrino per cercare di distrarsi.   

Perché Marco aveva parlato come se fosse stato facile per Jean lasciarlo? Come poteva credere che i giorni successivi all’incidente del ristorante non fossero stati un’anticamera dell’Inferno? Fottutissimo Bodt. Pensava davvero che fosse stata colpa di una qualche sua inadeguatezza che Jean se n’era andato?   

Ecco la fottutissima ultima notizia, Marco, tu non c’entri nulla. Assolutamente nulla. Tu sei sempre stato perfetto e meraviglioso e meritavi qualcuno che non entrasse nel panico di fronte alla prospettiva di uscire a cena con te o di baciarti in un luogo pubblico.   

Il telefono che Jean aveva lasciato in grembo riprese a vibrare. Quando Jean controllò lo schermo vide che Reiner lo stava chiamando. Accettò la chiamata per riflesso, nonostante il tremore delle sue mani e il bruciore negli occhi lo inducessero a lasciar squillare a vuoto.  

“Stava parlando di te, non è così?” fu la prima cosa che Reiner disse.  

Jean inspirò in maniera violenta. “Come fai a saperlo?”, disse, ma nella sua voce non c’era traccia di panico o di difesa. Come se ormai non ci fosse più motivo di nascondere nulla.   

“Perché non sono un idiota, Jean. Ormai ti conosco. Ma l’avevo capito già da tempo,” fu la risposta quasi esasperata di Reiner.   

Jean usò la mano che non stringeva il telefono per sfregarsi la fronte. Fantastico. Quindi era stato tremendamente palese fino a quel momento. “Be’, non è più importante, no?”  

“Maledizione, Jean! Ma hai ascoltato l’intervista oppure hai filtrato solo ciò che volevi sentire?” “Cosa stai –”  

“Muoviti a portare il culo a casa di Bertholdt,” lo interruppe Reiner con un tono autoritario che non ammetteva repliche. Jean si sentì combattuto tra l’imputarsi contro di lui per il puro gusto dell’anarchia e l’obbedire docilmente, perché un Reiner incazzato era un Reiner con cui non voleva avere a che fare.   

“Che hai intenzione di fare?” fu l’unica cosa che replicò, mentre già inseriva sul GPS le coordinate dell’appartamento di Bertholdt appena fuori città.   

“Fare chiarezza nel tuo cervello,” rispose Reiner. “Perché il ragazzo di cui sei schifosamente innamorato ha appena lasciato intendere con una canzone in diretta radio di volerci riprovare con te, e Dio mi maledica se lascerò che questa squallida commedia romantica di serie B si trascini avanti ancora a lungo senza il finale che si merita solo perché hai paura. Perché tu hai paura, Jean, paura di cosa succederebbe se la gente scoprisse di voi. Non rifilarmi stronzate a riguardo. Per cui adesso ti tocca scegliere una volta e per tutte cos’è che davvero vuoi. La tua carriera o Marco. Il non preoccuparti della tua vita privata o Marco. Il vivere con la consapevolezza di non averci provato o Marco.”  

Marco, pensò Jean, mentre con una manovra spericolata s’infilava in un vicolo per sfuggire al traffico. Scelgo Marco.  
 
***  
 
24 dicembre.  

“Mikasa ti prego basta! Non ho intenzione di salire sul palco conciato così!” esclamò Eren, tentando invano di allontanare la ragazza che gli stava calando a forza un berretto di lana in testa.  

“Eren,” ribatté lei. “Prendi esempio da Armin, lui non ha fatto problemi a coprirsi.”  

Eren volse appena il capo per rivolgere un’occhiataccia ad Armin, che stava osservando la scena con un enorme berretto verde in testa. “Be’, Mikasa ha ragione,” disse sulla difensiva, stringendosi nelle spalle. “Fa un freddo tremendo lì fuori.”  

“Traditore!” urlò Eren, ma il suo urlo venne soffocato quando Mikasa riuscì finalmente a infilargli il cappello, coprendogli nel mentre anche metà del viso.   

Marco rise, scuotendo il capo. Aveva ormai fatto l’abitudine al continuo susseguirsi di urla come “Eren!” e “Non sei mia madre!”, e a dire il vero non gli dispiaceva affatto sentire i ragazzi strepitare: gli dava un senso di familiarità. Perché in fin dei conti era la vigilia di Natale, e a Marco l’idea di trovarsi circondato da sconosciuti metteva addosso una forte malinconia.  

Certo, si rendeva anche conto che Levi era riuscito davvero a operare un miracolo riservando ai Wings of Freedom uno spazio durante il concerto di Natale della città, trasmesso in diretta da una delle emittenti televisive nazionali più famose. Il successo del loro nuovo singolo aveva aperto le porte a interviste ed eventi disparati, ma era il concerto la vera occasione che i ragazzi non avrebbero potuto mai lasciarsi sfuggire. Era il loro grande ritorno, la prima esibizione dal vivo di fronte a un pubblico enorme  

Era sciocco lasciare che la malinconia avesse la meglio sull’entusiasmo.   

“Ehi,” mormorò Armin alle sue spalle. Marco si voltò a fronteggiare l’amico, che aveva abbandonato i bisticci di Eren e Mikasa e l’aveva raggiunto, stretto in un enorme giacca a vento. Aveva un’aria vagamente malaticcia. “Sei stranamente silenzioso, ti senti bene?”  

“E’ una domanda che dovrei rivolgere io a te,” disse Marco. Armin, come a sottolineare le sue parole, starnutì.  

“Sto bene, sto bene. E’ solo che il freddo mi fa quest’effetto. Erwin mi ha procurato questa giacca, il tempo di riscaldarmi e starò meglio. Ma non hai risposto alla mia domanda.”  

“Sto bene,” rispose Marco. Lì nel backstage risuonavano le note della band che si stava esibendo in quel momento, ma nonostante ciò si riusciva a parlare senza dover necessariamente alzare il tono di voce. “E’ solo che tutto questo sembra surreale.”  

Armin rise. “Hai detto la stessa cosa al nostro primo concerto,” disse, e le sue parole strapparono a Marco un sorriso genuino.  

“Immagino sia perché ancora faccio fatica ad abituarmici.”  

“E’ una cosa positiva.”  

Tra loro calò poi il silenzio, e Marco tornò ad osservare i battibecchi di Eren e Mikasa con la presenza confortante di Armin al suo fianco. Armin era il genere di persona con cui non è necessario parlare costantemente per goderne la presenza. Il silenzio insieme a lui non era né imbarazzante né forzato, ma una condizione naturale e confortante. Marco aveva imparato ad accorgersene trascorrendo più tempo con lui da quando Jean se n’era andato.   

Jean. Era diventato bravo a pensare a lui senza sentire l’impulso di abbassare il viso e lasciarsi andare all’abbattimento. Il ritrovarsi nuovamente invischiato nelle operazioni promozionali della band aveva distratto Marco quel tanto che bastava per relegare il pensiero di Jean nella parte della mente che si azionava solo nei rari momenti di calma piatta, o durante la notte, quando Marco tirava fuori dall’armadio quell’unica t-shirt di Jean si cui tempo addietro si era appropriato e la stringeva per pochi secondi al petto prima di decidere che stava diventando patetico.   

Avevano smesso di parlarsi con la stessa costanza con cui si sentivano prima che tutto andasse a rotoli. L’ultimo messaggio che Marco aveva ricevuto da Jean era stato uno di congratulazioni e di in bocca al lupo per il concerto di quella sera. Erano in buoni rapporti, in fin dei conti, ma “buoni rapporti” ha un qualcosa di infernale quando è riferito alla persona di cui sei innamorato. “Buoni rapporti” è un limite troppo doloroso per essere considerato positivo.   

“Ragazzi,” richiamò la sua attenzione Erwin Smith, di rientro nel backstage con alle calcagna un Levi Ackerman dall’aria chiaramente poco lieta. Quando Eren si accorse della sua presenza si allontanò di almeno due passi da Mikasa, risultando tra l’altro per niente discreto nel farlo, e la ragazza si ritirò in disparte con un sospiro.  

“Tra quindici minuti in scena,” disse Erwin. Sia lui che Levi stringevano tra le mani dei contenitori fumanti, probabilmente una qualche bevanda calda per combattere il freddo della sera, e Marco vide Armin adocchiarli con aria sognante.   

“Non mandate a puttane quest’occasione,” fu il secco commento di Levi, prima che questi prendesse a sorseggiare la propria bevanda. I ragazzi annuirono.   

La tracklist prevedeva che suonassero due canzoni del vecchio album, che i fan avevano votato in un sondaggio durante la settimana precedente, insieme a Catch Fire. Avevano provato per giorni sino allo sfinimento per assicurarsi che tutto fosse perfetto, e per adattare le vecchie canzoni senza la voce e la chitarra di Jean. Erano determinati a ottenere il miglior risultato possibile, a non lasciare che niente e nessuno potesse interferire con il concer–  

“Ti ho detto di andartene, chiaro?! Non hai i permessi per stare qui!”  

“Levami immediatamente le mani di dosso prima che io decida di spaccarti la faccia!!”  

“Ma che diamine…” mormorò Erwin. Tutti quanti si voltarono per cercare la fonte di tanto frastuono, e Marco non riuscì a credere ai propri occhi.  

Jean?” esclamò, dirigendosi a passo svelto verso il ragazzo e la guardia di sicurezza che lo stava trattenendo per un braccio. Bastarono poche parole di Erwin per convincere la guardia a lasciarlo andare, e Jean lo guardò in cagnesco mentre si sistemava gli abiti mormorando imprecazioni tra i denti.   

“Che cosa ci fai tu qui?”, domandò Eren, decisamente esterrefatto. Jean alzò un sopracciglio.  

“Ciao anche a te, Eren, anche per me è un piacere rivederti.”  

“Meno sarcasmo, più spiegazioni,” disse Levi. “Dammi solo una scusa per buttarti fuori a calci da questo backstage e lo farò personalmente,” aggiunse poi, lasciando trasparire chiaramente il profondo disprezzo che aveva accumulato per Jean da quando quest’ultimo aveva lasciato la band – Marco ricordava con un misto di disagio e tenerezza il momento in cui aveva sentito Levi dire ad Erwin che Jean avrebbe rimpianto amaramente di aver mollato i suoi ragazzi. Più disagio che tenerezza, ad essere sinceri.   

Jean stava guardando in basso, col volto corrucciato, e Marco non riusciva a staccargli gli occhi da dosso neanche per un istante. Aveva un aspetto decisamente migliore rispetto a quando l’aveva visto quell’ultima volta al bar. Era stato così tanto tempo prima… tutto il periodo di lontananza parve ricadere sulle spalle di Marco come un masso, in una volta sola, facendolo quasi crollare sotto al bisogno di toccare Jean come ad accertarsi che fosse davvero lì davanti a lui.  

“Io, umh,” mormorò Jean. “Io… ascoltate, mi sono reso conto di aver fatto una cazzata, okay? A mollare la band.”  

“No,” lo interruppe immediatamente Levi, mentre Erwin diceva: “Jean, non puoi pensare seriamente che basti una scusa del genere per tornare nel team,” e Jean sgranò gli occhi prima di esclamare: “Dannazione, non mi avete neanche fatto finire di parlare!”  

“Parla, allora,” gli accordò Erwin, alzando le mani in segno di resa. Jean annuì e prese un grosso respiro prima di riprendere a parlare.   

 “Io ho – ho delle nuove canzoni. Per la band. Se non volete me, almeno prendete quelle.”  

“Cosa?” mormorò a mezza voce Armin, incredulo, anticipando un silenzio stupito che scese tra i presenti.  

“Be’,” disse alla fine Eren. “Non so voi, ma personalmente credo che per un nuovo disco avremmo bisogno di nuova musica. E se per una singola canzone eravamo sull’orlo di un esaurimento nervoso, magari dovremmo considerare l’offerta di Jean.”  

Erwin annuì impercettibilmente. Aveva assunto la sua aria da uomo d’affari, con uno sguardo calcolatore in grado di non lasciar trapelare i suoi pensieri. “Cosa vuoi in cambio?”, disse a Jean, che alzò il viso a fronteggiare il manager. “Perché dubito tu non stia cercando di ottenere qualcosa in cambio.”  

Jean deglutì e sembrò impallidire tutto d’un tratto, ma quando parlò la sua voce era chiara e forte. “Fatemi esibire sul palco. Subito prima di voi. Una sola canzone.”  

Levi si portò una mano a massaggiarsi la fronte, mormorando qualcosa che Marco non riuscì a sentire chiaramente ma che non doveva essere una risposta positiva.   

“Perché dovremmo?” domandò Erwin, inclinando appena il capo nel guardare Jean, che rispose prontamente: “Perché se dopo avermi ascoltato lo riterrete opportuno, tornerò nella band.”  

“Tch,” fece Levi, scuotendo il capo. “Parli come se ci guadagnassimo qualcosa a riaverti nel branco di mocciosi,” disse, e anche se Jean fu bravo a nasconderlo Marco riuscì comunque a notare l’espressione al contempo ferita e furiosa che gli attraversò gli occhi.   

“Forse dovremmo lasciarlo provare,” disse con un filo di voce, e immediatamente si ritrovò tutti gli sguardi puntati su di lui. Anche quello di Jean. Che non l’aveva guardato neppure per un istante da quando aveva fatto la sua comparsa. Marco incrociò le braccia al petto.   

“Per favore,” mormorò Jean, guardando Marco . “Per favore. E’ – è importante.”  

“Cinque minuti per i Wings of Freedom!” urlò uno degli addetti alla scaletta, gettando una nuova urgenza sul gruppo. Dopo un silenzio che parve interminabile, Erwin sospirò.  

“D’accordo,” mormorò, seguito immediatamente da un “Oh, mi prendi in giro?!” esclamato da Levi. “Una sola canzone,” continuò imperterrito Erwin, voltandosi per andare probabilmente ad avvisare del cambio nella scaletta. Levi lo seguì dopo qualche istante.  

“Che cosa ti salta in mente, Jean?” domandò un allibito Eren.   

Jean rimase in silenzio, come combattuto sul cosa dire. Quando parlò, però, non fu per rispondere a Eren.   

“Mi dispiace,” disse a Marco, mandando una scarica di pura adrenalina lungo la sua schiena. “Mi dispiace per quello che è successo, mi dispiace di aver aspettato così tanto per aggiustare le cose e mi dispiace anche per aver capito con troppo ritardo cosa è davvero importante per me, a cosa non riesco a rinunciare. Spero davvero che questo possa risanare la situazione,” concluse, prima di avviarsi verso l’entrata per il palco.   

Marco si trovò da solo, scombussolato e in preda a un’assurda frenesia, ad affrontare lo sguardo confuso di Eren e quello raggiante di Armin.  

“Io…” iniziò Marco, faticando a trovare parole che potessero spiegare ciò che stava accadendo. Si morse l’interno delle guance, percependo le guance scaldarsi e arrossarsi. Fortunatamente, però, la loro attenzione venne richiamata da ciò che stava accadendo sul palco. Tutti e tre si spostarono verso gli schermi che trasmettevano nel backstage il concerto in atto.  

La folla era in visibilio. Jean, con una chitarra tra le braccia, era al centro del palco. Batté con due dita sul microfono, per poi dire: “Be’, questa cosa è abbastanza improvvisata, per cui non ho preparato qualcosa di intelligente da dire in questo momento. Ma questa canzone è per una persona in particolare, e… questa persona sa chi è.”  

La folla aveva smesso di parlare, e nella piazza era sceso un silenzio surreale. Jean cominciò a cantare.  

People say we shouldn’t be together  
We're too young to know about forever  
But I say they don’t know what they're talk-talk-talkin’ about…”  
 
***  
 
They don’t know how special you are  
They don’t know what you’ve done to my heart  
They can say anything they want  
'Cause they don’t know us  
  
They don’t know what we do best  
It's between me and you,our little secret  
But I wanna tell 'em  
I wanna tell the world that you're mine  
  
They don’t know about the things we do  
They don’t know about the "I love you"’s   
But I bet you if they only knew  
They would just be jealous of us,  
They don’t know about the up all nights  
They don’t know I've waited all my life  
Just to find a love that feels this right 
Baby they don’t know about, they don’t know about us. 
 

***  

Quando Jean scese dal palco gli parve di trovarsi in un sogno. Il suo corpo si muoveva per volontà propria, la sua testa era talmente leggera che avrebbe potuto spiccare il volo da un momento all’altro. I fari del palcoscenico lasciarono spazio alla relativa oscurità del backstage, lasciandolo accecato.   

L’aveva fatto davvero.  

Aveva davvero cantato una canzone per Marco in diretta nazionale. Santa merda.  

Era certo che in quel momento, ovunque si trovasse nel bel mezzo della bolgia infernale del concerto, Reiner fosse fiero di lui. Le parole che gli aveva inculcato a forza nel cervello continuavano a risuonare nella mente di Jean, ancora di salvezza a cui aggrapparsi per ricordare a sé stesso di aver fatto la scelta giusta.  

“Mi sembra un controsenso, ma rispetto i tuoi timori,” gli aveva costantemente ripetuto per le settimane precedenti. “L’idea che dire alla tua famiglia e ai tuoi conoscenti che stai con un altro ragazzo non ti spaventa, ma la prospettiva che ciò influenzi la tua carriera sì. Solo che è tutto molto più semplice di quello che credi, Jean. Sei un chitarrista fenomenale e un paroliere ancor più eccezionale, e se pensi che i tuoi meriti possano venire oscurati dalla tua sessualità sbagli di grosso. Ascoltami, Jean, ascoltami per bene: un domani la tua carriera potrebbe improvvisamente andare allo scatafascio. Non te lo sto augurando, sto cercando di essere realista: è un business tosto, il nostro. E quindi, un giorno potresti svegliarti e renderti conto che hai rinunciato a poter essere felice con Marco per… per cosa?”  

Era questo il momento in cui si voltava, cercando con lo sguardo Bertholdt per rivolgergli un sorriso appena accennato ma colmo di adorazione. Questa volta in particolare Bertl era seduto sul divano nel salone adiacente alla cucina del loro appartamento, intento a giocare a un qualche videogioco collegato alla tv.  

“Può sembrare ipocrita detto da me,” aveva continuato Reiner. “Ma se credi di aver trovato quella persona per la quale vale la pena stringere i denti e lottare, fallo. Lotta. Perché se sarai fortunato quella persona resterà per sempre al tuo fianco, anche quando tutto il resto potrebbe scomparire.”    

Reiner aveva ragione. Aveva sempre avuto ragione, quel dannato. E Jean lo aveva capito con molto ritar–  

“Woah!” esclamò Jean, sentendosi strattonare con violenza. Nel tentativo di non cadere si ritrovò a saltellare comicamente, precipitando nel buio di un anfratto nascosto del backstage dietro ad alcune enormi casse. Non ebbe modo di reagire, o neppure di ragionare, perché nel giro di pochi istanti si ritrovò sopraffatto da stimoli esterni. Numero uno: un paio di braccia calde e forti a sorreggerlo. Numero due: un profumo familiare a circondarlo, scaldandogli il petto nonostante il freddo bestiale. Numero tre: le labbra di Marco, morbide e sicure, premute sulle sue.   

Una volta realizzata la situazione, la risposta di Jean fu immediata. Circondò il corpo di Marco con le braccia, premendolo contro il proprio mentre una mano andava ad infiltrarsi tra i suoi capelli scuri, morbidi al tatto esattamente come li ricordava. Ricambiò il bacio con insistenza, schiudendo le labbra per sfiorare con la lingua quelle di Marco, che le separò a sua volta con un gemito basso e rauco. Il corpo di Jean rispose immediatamente. Questo sarebbe stato un bel problema quando avrebbero lasciato quel nascondiglio… se mai fossero riusciti a lasciarlo…  

“Jean,” mormorò Marco, allontanandosi appena per prendere il viso di Jean tra le mani. Era così vicino che anche nell’ombra Jean riusciva a contare le lentiggini che gli ricoprivano le guance e il naso. “Quella canzone…”  

“Il mio modo per chiederti scusa,” biascicò Jean, afferrando la maglia di Marco per avvicinarlo a sé e baciarlo ancora una volta, con urgenza. Marco rise – quella sua maledetta risata che rendeva le ginocchia di Jean deboli e lo faceva sembrare un ragazzino di fronte alla sua prima cotta, dannazione – e prese a lasciare una scia di baci leggeri sul viso di Jean.   

“Aspetta, aspetta,” lo fermò Jean a malincuore. Sospirò, ben consapevole di dovere a Marco una spiegazione molto più esaustiva. E l’avrebbe fatto, gli avrebbe spiegato ogni singola cosa, ogni singolo pensiero che l’aveva portato a tornare da lui, a comprendere i suoi errori e a mettere da parte ogni paura di fronte al prospetto di una vita al suo fianco. L’avrebbe fatto, se solo Marco non avesse premuto il viso contro il suo collo, mordendo appena la pelle prima di sussurrare con voce gutturale e tremendamente sexy: “Non posso aspettare.”  

Oh, dolcissimo Gesù bambino appena nato.   

Jean stava ancora boccheggiando di fronte alla prospettiva di un Marco impaziente e di tutte le cose che avrebbero potuto fare per recuperare il tempo perduto, quando con un ultimo bacio sulle sue labbra Marco si allontanò da lui, lasciandolo improvvisamente esposto al freddo.  

“Dove stai andando?!” esclamò Jean sconcertato.  

Marco allargò le braccia, stringendosi nelle spalle mentre camminava all’indietro. “Te l’ho detto, non posso aspettare! Siamo i prossimi in scaletta, devo raggiungere gli altri sul palco.”  

Ah. Quindi era questo ciò che intendeva.   

“Farai meglio a riportare il tuo culo qui da me una volta finito,” gli disse Jean con aria vagamente minacciosa. Marco gli sorrise, un perfetto lampo di denti bianchi nel buio del backstage.  

“Sempre,” disse, per poi, se possibile, allargare ancora di più il suo sorriso. “Ti amo!” esclamò, prima di sparire tra la folla.  

Jean si sentì improvvisamente accaldato, nonostante il freddo. “Ti amo anche io,” mormorò, sperando che nonostante tutto le sue parole giungessero a destinazione. In un modo o nell’altro. Nonostante tutto.  

E sapendo che Marco sarebbe tornato, con la facilità e la semplicità che a lui erano mancate, Jean si diresse verso gli schermi nel backstage per assistere all’esibizione.















Le canzoni sono, rispettivamente: Jet Black Heart & Catch Fire dei 5 Seconds of Summer, They Don't Know About Us dei One Direction. Grazie per aver letto!
  
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