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Autore: Small Wolf    04/01/2016    1 recensioni
-Il bimbo si voltò verso di lei e dopo averla guardata con una dolce espressione infantile esclamò "Mamma!" e Sakura non si sentì mai più tanto gioiosa e colpevole al tempo stesso. Quel sostantivo era tutto per lei ma di regola, non avrebbe dovuto essere suo. Sasuke la guardò con un'espressione indecifrabile, lascinadola per la prima volta completamente sola nel dilemma della sua scelta-
-L'ambiente era pieno solo di vuote parole che alimentavano il silenzio nelle loro anime. Naruto tentava di tutto per non farle percepire l'immensa mancanza a cui erano stati costretti ma Hinata proprio non riusciva a mentirgli. Non era mai stata brava con le bugie e per questo lui l'amava. Ma ora quell'amore la stava facendo ammalare e lui non poteva vederla morire a causa sua-
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Hinata/Naruto, Neji/TenTen, Sai/Ino, Sasuke/Sakura
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Sasuke rimase impietrito davanti al viso chino di Sakura che intanto si proteggeva le lacrime con i ciuffi rosati che le cascavano dal morbido chinion. 
Una folata di vento molto meno gentile delle brezze precedenti li travolse, smuovendo gli abiti in un'unica direzione e probabilmente, anche le emozioni del moro che provò un moto di stizza e di consapevolezza riguardo il fatto che probabilmente, in quel momento, la sua Sakura non era in sé.
Le afferrò con sicurezza il piccolo polso cinto di perle e non le lasciò neanche il tempo di protestare che si incamminò verso l’entrata del salone. 
La gente affianco a cui passavano rimaneva a guardarli un po’ scioccata da tanta teatralità e fra loro si scambiavano occhiate complici e già ghiotte di pettegolezzi. Ma Sasuke non badava a nessuno di loro, il suo cuore batteva molto più velocemente del normale e l’unica cosa che desiderava in quel momento era saltare a bordo della Ferrari nero metallizzato parcheggiata nel grande cortile del parco privato della villa e correre a casa loro.
-Ah, ecco il signor Uchiha e la signora Haruno!-esclamò Akimiji, frapponendosi fra loro e l’uscita dalla sala affollata proprio nel momento più sbagliato.
-Siamo dolenti d’informarla che dobbiamo abbandonare la festa-gli disse il giovane mentre aumentava la stretta contro la mano della sua fidanzata per comunicarle di stare al gioco.
-Ma come, non è ancora iniziata la cena-ridacchiò l’altro un po’ imbarazzato.
Sasuke si bloccò pochi passi oltre il grasso proprietario di ristoranti e, voltando appena il viso gli puntò addosso gli infuocati occhi neri. In quel momento, Akimiji dovette aver sentito un brivido corrergli lungo la schiena poiché impallidì e non protestò oltre quando l’Uchiha ripetè la stessa frase di prima con una calma spaventosa che contrastava paurosamente con la sua espressione.
Dal canto proprio, Sakura non aggiunse altro se non un arrivederci sussurrato e continuò a seguire Sasuke senza opporre resistenza. Era felice che la stesse portando via da quel luogo in cui non avrebbe mai potuto dare apertamente sfogo alla propria frustrazione ed era altrettanto sollevata nel vedere che per l’ennesima volta era stato lui a prendere provvedimenti senza lasciarla da sola nella disperazione. Ad un occhio esterno quell' improvvisa presa di decisioni per entrambi poteva apparire sgarbata e indelicata da parte dei Sasuke, ma Sakura lasciava con piacere che fosse lui a muoversi come ritenesse meglio in quegli ambienti e soprattutto conosceva il modo di far del suo uomo ed era certa che non c’era ombra di cattiveria in quel gesto, solo preoccupazione manifestata in malumore.
Raggiunsero il cortile, scansando camerieri e custodi curiosi, Sasuke prese le chiavi dall' autista che gli aveva parcheggiato la macchina e dopo averle aperto la portiera con una certa fretta, saltò dentro.
Sakura si legò la cintura di sicurezza in silenzio e rimase zitta fino a quando non fu lui a prendere parola.
-Dimmi cosa significa tutto questo.- le ordinò mentre con manovre precise e rapide attraversava il centro paurosamente affollato e trafficato della capitale.
Sakura non gli rispose subito ma si prese del tempo, osservando dal finestrino abbassato ora la due uomini d’affari che si scontravano, ora un gruppo di ragazzini in skate, ora un trio di uomini a lavoro. Tutto catturava il suo sguardo ma nulla la interessava realmente poiché nella sua testa l’unico pensiero che aveva era riuscire ad esprimere a Sasuke la sua frustrazione e dirgli che non avrebbe dovuto pesargli oltre. 
-Allora?- le domandò mentre tamburellava impaziente le dita sul volante di cuoio e lanciava rapide occhiate al semaforo rosso.
Continuò a fissarla intensamente ma lei non faceva altro che spingersi contro al sedile come alla ricerca di protezione e, nonostante si sentisse addosso lo sguardo penetrante del ragazzo continuò a tenere il volto girato verso la strada stretta fra gli alti grattacieli brillanti agli ultimissimi raggi solari.
-Non ho voglia di parlarne..-mormorò e si morse il labbro inferiore.
-Dopo quello che mi hai detto? Non vuoi parlarne ora?-la freddezza nel tono che utilizzò sperò che riuscisse a far capire a Sakura quanto dolore e negativa meraviglia stesse provando in quel momento ed avesse provato quando lei gli aveva detto quella assurda frase sul terrazzo degli Akimiji. Sakura era diventata parte integrante della sua vita e lui, sebbene non lo dimostrasse apertamente, non avrebbe mai voluto perderla. Non avrebbe sopportato facilmente il distacco dall’unica donna che a modo suo lo avesse realmente colpito e coinvolto in qualcosa di diverso dai ricordi dolorosi e dai sentimenti contrastanti verso la propria famiglia.
-Sakura-insistette dopo qualche minuto di ostinato silenzio da parte della rosa.
-Basta Sasuke!-gli urlò in un impeto d’ira che però non fece mutare di un millimetro l’espressione seria dell’Uchiha-Non capisci che si tratta di nuovo di “quello”?
Sta volta Sasuke non riuscì ad impedirsi di lasciarsi sfuggire un sussulto né di stringere con forza le dita attorno al volante. 
-Possibile che tu non ti accorga mai di niente?!-aggiunse mentre nuove lacrime iniziarono ad appannarle la vista e un fiume di parole spingeva da dentro la gola per uscire-possibile che debba spiegarti ogni cosa, che tu non comprenda quando smetterla di insistere?!
I singhiozzi iniziarono a scuoterle le spalle strette e il naso cominciò a colare. 
Sasuke dapprima rimase in silenzio e solo dopo qualche secondo si rese conto del suono dei clacson delle altre automobili e del semaforo ormai verde. Con rabbia e confusione svoltò a sinistra, verso il parcheggio semi-sgombro del centro commerciale lì vicino.
Si allontanò a sufficienza dalle auto dei consumatori e frenò bruscamente in una zona più libera e distante dalle porte scorrevoli che si spalancavano ai carrelli carichi di roba ed intere famiglie, coppie per mano e gruppi di ragazzini saltellanti.
Sakura non aveva smesso di singhiozzare per tutto il breve tragitto ed ora si teneva una mano davanti alla bocca e lo guardava con le sopracciglia fini contratte di frustrazione e dolore.
Lui, dal canto suo, scese dall’auto e, sbattuta con violenza la portiera, fece qualche passo lontano dalla sportiva per tentare di calmarsi. Odiava sentirsi dire di non capire le situazioni proprio lui che sapeva calcolare e prevedere quasi ogni reazione. In questo assomigliava al suo defunto papà il quale affermava con ironia che il lavoro negli uffici di statistica sarebbe stato più appropriato per lui rispetto quello del dirigente d’azienda. 
Fece dei profondi respiri prima di sentire il ticchettio dei tacchi della sua ragazza invadere l’angolo di pace che si stava creando. 
Si voltò e incontrò il corpo minuto di lei, stretto in quell’elegante vestitino e i capelli scompigliati che si addicevano al carattere un po’ bipolare e si sentì in vena di andare lì e portarle il capo contro la sua spalla. Qualcosa però non lo fece muovere e rivide un lampo di delusione apparire negli occhi lucidi dell’Haruno, lo stesso molto meno raro che appariva dei primi mesi di conoscenza quando lei non era ancora abituata alla fragilità di Sasuke ed interpretava la lontananza come un rifiuto. 
Si rese conto da solo di star peggiorando le cose e si decise infine ad andarle di fronte e prenderla per le braccia, portandosela dritta davanti alla faccia, apparentemente apatica.
-Sei tu a non capire-le alitò-che questi comportamenti sono da ragazzina noiosa.
-Lo vedi?!-si liberò dalla sua presa e gli diede la schiena visibile dal profondo spacco dell’abito-cazzo, Sasuke, così staremo sempre male! Io non posso darti quello che vorresti, ok? E non posso neanche sentirmi bene senza potertelo dare!
Sasuke chinò il capo e lo voltò leggermente dalla parte opposta a quella di lei. Comprese in un attimo che quella conversazione aveva molto di più di una banale lite di coppia. Sakura era giunta da sola ad una conclusione che lui non avrebbe neanche voluto prendere in considerazione.
-A me va bene così, dannazione!-sbottò lui.
-Sasuke, non cercare di mentirmi…-la voce le si affievolì e d’improvviso la rabbia sembrò disperdersi per lasciare il posto alla malinconia della consapevolezza-Lo so che non ti va bene così… l’ho sempre saputo, sai? Credi che non mi accorga di come tu guardi la famiglia Yamanaka? Come ti lasci sfuggire sorrisetti alla vista della piccola Misha che corre in braccio a suo padre e fa i dispetti? Sasuke tu ne hai bisogno… hai bisogno di quel calore che io non posso darti.


Un piccolo sorriso di nervosismo si accese come una lampadina guasta sul volto della rosa. I denti stretti del moro e i pugni chiusi erano chiari segni che ciò che gli aveva appena detto fosse vero. Per l’ennesima volta era stata lei a capire i suoi sentimenti. 
-Se solo quel giorno fossi riuscita a scappare…-il mento le tremò ed un brivido le scosse il busto mentre i suoi occhi si perdevano in immagini di una ragazzina di quattordici anni e di un uomo sopra di lei, del dolore lancinante fra le cosce ancora troppo immature per ciò che si era consumato una notte d’inverno. D’un tratto i suoi incubi notturni si proiettarono come immagini vive di un film davanti agli occhi sbarrati e le sue stesse grida stridule simili a quelle di un agnellino sgozzato, il pregnante odore di sudore e il suono delle sirene tornarono ad essere attimi pieni. 
Quelle immagini nascevano ogni volta che lei e Sasuke discutevano, come se legasse ogni propria frustrazione a ciò che le era accaduto da ragazzina. A volte si domandava come riuscisse ad amarlo tanto se proprio l’insensibilità era ciò che più la faceva soffrire in un uomo, senza però mai riuscire a darsi una piena risposta. In parte era dovuto al fatto che comunque Sasuke riusciva, proprio attraverso quell’involontario sistema di autodifesa che era l’impassibilità, a calmare le sue crisi e sapeva trasmetterle quiete attraverso i propri modi sicuri. Come di routine, anche quella volta fu lui a placare la situazione, avvicinandosi senza che lei se ne accorgesse per offrirgli il suo corpo come appoggio. 
-Io ho solo bisogno che tu stia zitta… zitta-Le mormorò mentre le mani le stringevano i bicipiti sottili. 
A quelle parole dette con tanta schiettezza, la rosa non potette far a meno di ubbidire e provare a regolare il respiro. 
-Torniamo a casa-concluse quando le lacrime di Sakura si furono asciugate almeno un po’ e con la galanteria che utilizzava quando voleva esser dolce, le aprì la portiera e l’aiutò a salire nuovamente in auto poi, prima di dare gas, le spostò con delicatezza un ciuffetto di capelli rimasto appiccicato alla guancia.
-Perdonami, Sasuke…
Il moro incurvò un angolo della bocca in un sorriso sghembo ed in quell’espressione che quasi chiunque avrebbe interpretato come una smorfia, Sakura si rilassò e rimase a guardarlo con gratitudine e di sottecchi per l’ultimo tragitto prima di casa. 

Il trillo del campanello la fece sussultare: era sempre troppo persa fra i suoi pensieri, suo padre glielo aveva ripetuto un miliardo di volte quando era ragazzina. Purtroppo Hinata non era mai riuscita a cambiare quella sua inclinazione a pensare tanto, così tanto da dimenticare il presente e risultare distratta o poco pronta all’azione. In realtà la profonda insicurezza che si trascinava dietro come la catena di un condannato, la portava a riflettere fin troppo o a perdersi nei pochi dolci ricordi che aveva della sua infanzia per non morire dell’oggi. 
Appoggiò velocemente il cucchiaio di legno sul marmo del cucinino incastrato fra il minuscolo soggiorno semibuio e il bagno e si spostò di pochi metri per aprire la porta all’unica persona che le avrebbe mai fatto visita oltre alla sorella minore Hanabi: Naruto. 
Appena la catenella fu sganciata, il ragazzo le piombò praticamente addosso in un abbraccio. Rimasero immobili per qualche istante e lei si godette quelle braccia forti che le cingevano il busto sottile e la testa, molto simile ad un grumo dorato, appoggiata alla propria piccola spalla.
-N-Naruto-kun-balbettò per la sorpresa mentre un fuoco interno ed immaginario le colorava la pelle del viso come una lampadina colora d’arancione un foglio illuminato da dietro.
Lui le si allontanò e esibì i denti bianchi e leggermente appuntiti, schiacciando le cicatrici orizzontali sulle guance. Poi le prese le mani e la guidò fino al tavolo della cucina, chiudendo col piede la porta dietro di sé.
Dal modo in cui le stringeva le dita Hinata comprese che le doveva darle notizie. Ogni volta che doveva dirle qualcosa di importante le faceva quel gesto di tenerla per mano e guardarla dritto negli occhi in modo da farle percepire la propria sincerità ma anche la sua vicinanza. Naruto aveva quel qualcosa di speciale per cui chiunque, e questo era ciò che aveva amato sin da subito di lui, anche una timida come lei, riusciva a fidarsi. L’impulsività che esplodeva come un vulcano unita alla grande forza d’animo che traeva dalle poche persone che lo avevano amato durante la breve vita solitaria, gli conferivano un’aria spavalda quanto buona. La gentilezza che nascondeva nei piccoli gesti, così diversa dalla pomposità e all’apparenza in cui era cresciuta Hinata, l’avevano colpita oltremodo, facendole conoscere, durante le ore rubate verso sera agli occhi severi di Hiashi, un mondo fatto di contenuto. 
-Hinata-chan… il lavoro da Ikaru non è molto stabile in questo periodo. Ha detto che non può pagarmi un altro mese…
Una forte inquietudine le catturò il battito cardiaco, facendolo aumentare mentre le gambe si fecero molli e poco buone a sostenere il suo peso. 
-Q-quindi- lo sguardo corse istintivamente sulle pareti verdognole e quasi nude del salottino, sulla luce fioca che arriva dal piano cottura per poi saettare verso la tavola poveramente apparecchiata su cui erano appoggiate anche diverse bollette scartate con cura, come se chi le avesse aperte avesse avuto una tremenda paura di leggere l’importo da pagare.
Non riuscì a parlare e tornò a fissarlo sgomenta. Avrebbe voluto solo che le dicesse che si sarebbe sistemato tutto, che sarebbero riusciti sostenere l’affitto e le altre spese ma purtroppo Naruto non fu in grado di fare altro che abbassare le palpebre verso le loro mani unite. 
Hinata cercò di ingoiare il nodo che le si era formato in gola.
-V-va bene Naruto… troveremo un altro modo… l’agenzia delle pulizie mi ha assicurato che sto svolgendo un ottimo lavoro… n-non devi preoccuparti, farò delle ore in più e ce la faremo.


Naruto si sentì quasi morire, il fiato arrivava a stento ai suoi polmoni mentre una catena gli stinse lo stomaco fino a fargli venire il vomito. I sensi di colpa sembravano divorarlo dall’interno e il pensiero che la sua piccola, adorata ragazza avrebbe dovuto lavorare più di quanto già facesse, lo fece tremare.
Da quando erano fuggiti da una realtà che non avrebbero potuto vivere separati, si erano trovati in un'altra ben peggiore che adesso stavano cercando di affrontare insieme con sorrisi, parole di speranza sussurrate di notte prima di addormentarsi vicini sul letto troppo molle, regalini da poco e silenzi malinconici che tentavano di ignorare sperando che passassero da soli come un’influenza sparisce da sé quando incontra un organismo forte. Eppure a nessuno dei due sfuggivano i sacrifici reciproci. Il biondo sorrideva commosso in silenzio quando lei, dopo una giornata di duro lavoro a casa della signora da cui puliva, lo guardava con occhi insonnoliti mentre erano stesi sul letto a chiaccherare della giornata trascorsa, ridendo di qualche sciocchezza commessa al negozio di ramen di Ikaru da parte dei due poveri, distratti apprendisti presenti oltre lui e si sentiva malissimo se, tornando a casa dal lavoro, la salutava e poi la vedeva andare a sedersi alla finestra della sala e guardare il cielo stellato, sospirando, ed ancora, adorava e si doleva nel notare come si prendesse cura di lui, preparando tutto a puntino ogni sera quasi come se sul tavolo arrivasse cibo da ristorante e non roba da discount. Se le mani di Hinata gli accarezzavano le guance marcate dalle cicatrici, percepiva ancora la ruvidezza e un vago odore di detersivo che, per quando familiare gli fosse diventato da quando lei aveva ottenuto il posto fisso in agenzia, ancora lo disturbava sapere che fosse una delle testimonianze più acute di quanto faticasse a svolgere un mestiere a lei sconosciuto fino a pochi anni prima. Quando l’aveva conosciuta e durante gli anni che avevano trascorso insieme, di nascosto dalle rigide pretese paterne di lei e dal coprifuoco dell’istituto di lui, lontani anni luce dal giudizio della gente dei loro rispettivi quartieri, durante i crepuscoli estivi e le mattine gelide d’inverno, la Hyuga aveva le mani ancora lisce e soffici di una ragazza di buona famiglia, i capelli mai raccolti in una coda alta per farla essere più comoda in qualsivoglia lavoro manuale e gli occhi turbati solo dall’ira della sua famiglia e dalla propria insicurezza.
A guardarla ora, la piccola fragile, timida Hinata era parecchio cambiata e i suoi gesti erano divenuti più veloci, più simili a quelli di una ragazzina innamorata che di colpo, per la propria felicità e per quella del ragazzo che amava, si era dovuta trasformare in donna, subendo l’allontanamento da casa da parte di un padre rigido e troppo attaccato all’onore e alla visione adulta più che alla felicità di quella figlia la quale, a suo dire, era riuscita a provocare in lui, col proprio carattere troppo gentile, mite e taciturno, una sorta di imbarazzo e dispiacere per quei livelli che forse, non sarebbe mai stata in grado di raggiungere nonostante si trattasse di una futura direttrice d’azienda.
-Un giorno tutto questo finirà, troverò un bell’impiego e ti farò vivere come una regina, come meriti..-le disse in un impeto di commozione per il sorriso dolce che gli rivolgeva-ti restituirò tutto quello che hai perso a causa mia.
La sentì irrigidirsi fra le sue braccia e allontanarsi a malincuore da lui, come una fanciulla che si sente tradita.
-Andiamo, N-naruto.. la cena dovrebbe essere pronta.
-Hinata ma…-provò a fermarla ma lei trattenne la mano che stava per circondarle il polso, facendolo arrossire.
-N-Naruto-kun, io non… non ho perso niente-balbettò-se siamo qui è perché… perché l’ho voluto anche io…
Naruto sbarrò gli occhi: era forse la terza volta che Hinata lo rincuorava su quell’argomento poiché in genere la difficoltà dell’affrontare il discorso, seppur causa principale della loro situazione, impediva un po’ ad entrambi di aprirsi realmente e la tensione si perdeva nei loro gesti teneri e ricchi di amorevolezza.
-Non devi sentirti responsabile, Naruto-kun- aggiunse esibendo un sorrisino mesto ma sincero.
Lui si alzò e la raggiunse, cingendole la vita.
-D’accordo-respirò-però non fallirò nella promessa che ti ho fatto quella sera di due anni fa.
Hinata lasciò che lui si sedesse nuovamente sul divano con lei a cavalcioni sulle cosce e che appoggiasse il capo sopra il seno prosperoso sotto la canottiera bianca.
-N-non stai fallendo.
Le parole di Hinata gli fecero alzare il capo per baciarla delicatamente prima sul collo e poi sempre più su verso la bocca mentre lei, paonazza e un po’ tremante, gli sollevava la maglietta ancora odorosa delle spezie del ramen caldo e lasciava che le mani grandi, dalle vene in rilievo del ragazzo, iniziassero ad ispezionare quel corpo formoso che ormai conoscevano alla perfezione ma di cui non erano mai sazie, così come le sue orecchie non lo erano mai della vocina minuta di lei, il suo naso del profumo semplice di sapone che emanava ad ogni movimento ed i suoi occhi degli sguardi profondi e ricchi di frasi mute che si scambiavano.
  
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