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Autore: Adeia Di Elferas    05/01/2016    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ Un velo impalpabile di neve copriva i tetti di Firenze, in quella mattina di gennaio.
 Lorenzo Medici stava sbrigando la corrispondenza nel suo studiolo, senza entusiasmo. Era infreddolito e avrebbe preferito passare quelle ore in modo più piacevole. Per esempio, il suo amico  Angelo Poliziano stava lavorando in quei giorni a un componimento che chiamava 'Ambra'. Ecco, andare da lui a sentire come suonavano quei primi versi gli sarebbe piaciuto molto di più, che non dover leggere lamentele, conti e sedicenti consigli di ossequiosi collaboratori.
 Dopo aver accantonato l'ennesima inutile lettera in cui gli si chiedeva l'ennesimo impossibile favore, Lorenzo prese tra le mani una missiva che pareva diversa da tutte le altre.
 Non appena l'aprì, riconobbe la grafia che aveva scritto rapida sulla carta ruvida.
 Si sistemò sulla sedia, il fiato sospeso. Era da almeno due mesi che non riceveva notizie... Come mai il suo uomo si era deciso a scrivergli? Forse che il momento era arrivato?
 Deglutendo e spostandosi i capelli dalla fronte, prese a leggere, i muscoli contratti e gli occhi attenti.
 'Mio signore, prima d'ogni cosa vi auguro un felice anno e mi permetto di farvi gli auguri per le feste appena trascorse.'
 Ludovico maledisse quell'uomo per la sua cerimoniosità. Aveva sprecato quasi due righe per nulla. Riprese a leggere.
 'Sono riuscito a fare quello che mi avete consigliato e ora mi sento sempre più vicino ai nostri scopi, tuttavia devo far presente un problema. I trucchi nei conti non sono bastevoli, per il momento, chè basterebbe troppo poco per risanarli. Devo alterarli ulteriormente, ma non posso farlo in fretta. Quella donna ci rovinerà, se mi sta ancora con il fiato sul collo. Lui non sospetta nulla, anzi, possiamo fargli fare quello che vogliamo. Informo quindi che i tempi non sono maturi, ma che sono ottimista. Sempre vostro fedelissimo amico, M.M.”
 Lorenzo chiuse il biglietto, tenendolo tra indice e medio, e si mise a guardare lontano, oltre il vetro opaco della finestra.
 'Quella donna' aveva scritto il suo uomo. Non era difficile sapere a chi si riferiva.
 Con un gesto veloce, ma pensieroso, Lorenzo strappò il messaggio in molti pezzetti e poi, uno per uno, li buttò nel fuoco del camino.
 Mentre vedeva le lingue di fuoco lambire le parole vergate dal suo 'fedelissimo amico', si chiese quanto ancora avrebbe dovuto attendere, per sentirsi in pace.

 “Non essere sciocco!” esclamò Caterina Sforza, appena Girolamo ebbe finito di parlare: “Non ne capisci niente, come sempre! Sei sempre stato un tale ignorante...! Già non hai voluto presenziare alla messa di Natale, né a quella di Santo Stefano... Se continuerai a nasconderti, penseranno che non esisti.”
 Girolamo guardava nervosamente in direzione dei presenti, in particolare di alcuni membri del Consiglio degli Anziani e di Ludovico Orsi, Matteo Menghi e Vincenzo Codronchi.
 Ormai era chiaro a tutti che dopo i fatti di Roma, da quando il Conte Riario aveva lasciato sola Caterina a Castel Sant'Angelo, rifiutandosi di portare indietro l'esercito e prendersi una facile vittoria, la donna non aveva più alcuna intenzione di badare alle apparenze. Ormai la giovane rendeva ben evidente a tutti la sua ostilità nei confronti del marito, dileggiandolo e rimproverandolo finanche davanti ai loro ospiti, senza che lui facesse nulla per difendersi o per rimetterla al suo posto.
 Anche se sapeva che prima o poi il conto per quell'insolenza sarebbe arrivato e che sarebbe stato molto caro, Caterina aveva deciso di proseguire per la sua strada, senza temere le conseguenze.
 Girolamo le aveva fatto perdere una guerra. Lei gli avrebbe fatto perdere almeno la faccia.
 “Io invece trovo che vostro marito abbia fatto bene a non partecipare a queste manifestazioni. Sappiamo tutti quanto sia pericoloso, per un signore illustre, mostrarsi in pubblico di questi tempi.” fece notare con un sorriso affettato Vincenzo Codronchi.
 “Sappiamo anche quanto però il popolo apprezzi la presenza del suo signore.” ribatté Caterina.
 “Almeno fino a che non lo fa a pezzi in mezzo alla folla.” commentò a mezza bocca Ludovico Orsi, ammiccando ai suoi vicini.
 “Non spetterebbe a me ricordarlo, forse, ma proprio vostro padre venne ucciso davanti a una chiesa, il giorno di Santo Stefano, se non erro.” disse mellifluo Matteo Menghi, guardando Caterina con occhi penetranti.
 Quell'uomo le dava sui nervi come pochi. Era infido e pareva avere sempre un secondo fine noto solo a lui. Caterina non aveva condiviso la decisione di Girolamo, ovvero mettere quasi tutti gli affari della città nelle mani di quel'individuo.
 “No, infatti, non spetta a voi.” fece Caterina, senza scomporsi, vanificando il tentativo di Matteo Menghi, che, era evidente, avrebbe voluto farla arrabbiare di fronte a tutti.
 La conversazione andò avanti a lungo, mentre Girolamo, seduto sul suo scranno, ascoltava ogni rimostranza e ogni controbattuta con un certo distacco, come se quelle persone non stessero, alla fine, litigando per lui.
 Non gli sfuggivano i commenti pungenti che Caterina faceva, parlando di lui, ma non gli importavano più. Si sentiva un fallito.
 Aveva pensato, nella sua prima giovinezza, quando ancora si sentiva lusingato e attratto dallo sfarzo di Roma e delle corti italiane, che un giorno sarebbe stato il padrone indiscusso di almeno mezza penisola. E invece ora, stanco e ammorbato da quel poco di mondo che aveva assaggiato, si trovava impossibilitato, perfino, a conquistare Faenza, piccola striscia di terra tra Imola e Forlì.
 Cos'era successo, nel corso della sua vita, cos'era andato storto? Qual era stato il punto di non ritorno, l'evento catastrofico che l'aveva condotto fino a quel punto?
 Come poteva uscire da quella trappola infernale?
 Mentre ancora i suoi occhi appesantiti vagavano da un viso all'altro, un'idea improvvisa lo colse. Era così semplice, a ben pensarci... Solo che lui da solo non ci sarebbe mai riuscito, purtroppo si conosceva bene...
 Lo sguardo gli cadde su Caterina, che in quel mentre aveva le gote arrossate e stava agitando in aria una mano, propugnando chissà quale teoria, quale strategia d'azione...
 Sì, lei lo avrebbe di certo aiutato nel suo intento.

 “Non abbiamo praticamente più vestiti invernali – stava dicendo Caterina, rabbrividendo, mentre la serva l'aiutava a togliersi la tunica – e perchè? Perchè quell'imbecille di mio marito li aveva fatti portare tutti a Roma, sbagliando come sempre...”
 La serva annuì, ormai ben abituata alle rimostranze di Caterina.
 Forlì quella sera era stretta nella morsa del gelo. Le finestre erano appannate, per via del timido calore che arrivava dai camini e le vedette che dovevano controllare le porte della città di sicuro stavano invidiando quelli che potevano starsene nel tepore di casa.
 I figli di Caterina, soprattutto Livio, erano stati coperti per bene e messi a dormire da almeno un paio d'ore. Quell'inverno per loro era particolarmente difficile. Ottaviano, e anche Cesare seppur in misura minore, avevano accusato la lontananza da Roma, città che li aveva fatti sentire a casa. Forlì era più piccola, infinitamente più piccola, e loro vivevano più isolati.
 Caterina aveva cercato di portarli con sé al mercato o in giro per le strade del paese, ma questa sua iniziativa aveva fatto uscire di testa di Girolamo, che aveva strepitato e strillato fino a che, tanto per non sentirlo più, Caterina aveva desistito, rimandando la visita della città alla prossima primavera.
 Quando Caterina era ancora per metà svestita, qualcuno bussò alla porta.
 “Sono io.” disse quasi immediatamente la voce di Girolamo.
 Caterina non disse nulla e così la serva le chiese: “Devo farlo entrare?”
 Da quando era nato Livio, Girolamo non si era più permesso di entrare nella stanza della moglie. Il fatto che si fosse presentato alla sua porta, doveva significare qualcosa.
 Così Caterina, a malincuore, annuì.
 La serva andò ad aprire e Girolamo le disse di lasciarlo solo con la moglie.
 “Cosa c'è?” chiese Caterina, senza curarsi del fatto che non fosse vestita in modo adeguato.
 Girolamo, che era lì solo ed esclusivamente per un motivo, sentì la lingua seccarsi e la voce morirgli nel petto, mentre i suoi occhi scorrevano il profilo della moglie, illuminato solo dalle fiamme del camino e da quelle di un paio di candele.
 Malgrado avesse avuto quattro figli, Caterina era rimasta sorprendentemente snella, la pelle perfettamente liscia e bianca come il latte, senza segni né smagliature. Le sue forme, con gli anni, si erano ingentilite e la formosità del suo corpo non era più acerba come un tempo.
 Caterina si accorse della luce strana che brillava negli occhi del marito, e, istintivamente, prese la veste che si era appena tolta e se la strinse al petto, come una coperta, per nascondere le proprie forme.
 “Cosa vuoi?” chiese, fredda.
 Girolamo aprì la bocca e solo in quell'istante notò il luccicare infido e promettente del pugnale che la giovane portava infilato nella biancheria.
  L'uomo le si avvicinò in silenzio, la faccia nascosta in parte dai lunghi capelli, i cui ricci erano inanellati con cura, come la moda di Firenza richiedeva. Era sempre stato un tal narcisista...
 Caterina non cercò di fermarlo, convinta che lui stesso si sarebbe arrestato a debita distanza da lei. Invece Girolamo avanzò fino a esserle a meno di un passo.
 Non la guardava, ma la sentiva respirare. Se non fosse stato sicuro che era impossibile, avrebbe giurato che Caterina aveva paura. Non doveva averne, però, perchè non aveva nulla da temere, almeno quella volta.
 Girolamo voleva solo una cosa da sua moglie, quella notte. Perchè solo una cosa gli avrebbe dato, ne era certo. La morte.
 “Che stai facendo?” sbottò Caterina, quando Girolamo le cinse la spalla con una mano. La presa era così forte e decisa, anche se quella mano tremava, che Caterina lasciò cadere la veste con cui si stava coprendo.
 “Lasciami immediatamente!” ordinò Caterina, ma Girolamo non le obbedì, anzi, le prese anche l'altra spalla, costringendola a guardarlo in viso.
 Caterina non lo riconosceva più. Quello era peggio di un demonio, peggio di uno spettro... Se un'anima avesse potuto tornare dall'inferno, di certo avrebbe avuto quell'aspetto.
 Girolamo tentò di avvicinarla ancor di più a sé e provò a baciarla, ma non vi riuscì, perchè Caterina si scostò all'ultimo momento. Lei cercava di liberarsi e lui la teneva con ancor più forza. Era la forza della disperazione e della perdizione.
 Lottarono senza posa per qualche minuto, fino a che, per una serie di casi, Caterina riuscì a divincolarsi e rifugiarsi in un angolo della stanza. Erano divisi dal letto.
 Girolamo saltò sul materasso, colmando in un istante la distanza e le mise una mano attorno al collo, premendola contro la parete.
 Finalmente un guizzo metallico gli fece capire che il momento era arrivato.
 Girolamo sentì il freddo bacio del pugnale appoggiarsi quasi con delicatezza sul suo collo.
 “Ammazzami.” fece Girolamo, in un soffio, dimenticando per la prima volta il 'voi' nel parlare alla moglie: “Mi fai solo un piacere. Ti prego, ammazzami.”
 Caterina fissò le pupille dilatate del marito e rispose: “Io non voglio farti nessun favore.” La voce le usciva in un sibilo, visto che Girolamo non accennava a mollare la presa sul suo collo: “Mi spiace, ma non sarò io a ucciderti.” continuò Caterina, sempre in un bisbiglio soffocato, mentre le cominciavano a lacrimare gli occhi: “Finalmente ho capito che per te è una tortura peggiore restare in vita e misurarti con la tua pochezza, piuttosto che morire...”
 Girolamo digrignava i denti, incredulo di quelle parole. Gli stava davvero negando quel favore? Ma se da quando si erano incontrati la prima volta, lei non aveva fatto altro che desiderarlo morto...!
 Quasi a rispondere a quei pensieri, Caterina lasciò cadere il coltello in terra.
 La giovane sentiva la testa leggera, probabilmente la mano di Girolamo le stava stringendo il collo da troppo tempo. Ancora pochi secondi e sarebbe stato lui a uccidere lei e non il contrario. 
 Girolamo se ne accorse appena in tempo. Lasciò la presa appena prima che Caterina perdesse i sensi.
 Furioso per non essere riuscito nel suo intento, la strattonò con forza e la gettò sul letto. Se non era riuscito a trovare la morte, quella sera, almeno avrebbe ottenuto un'altra cosa.
 Dunque era quella la vendetta di Girolamo, pensava Caterina, mentre quell'uomo che tanto odiava la sopraffaceva e le bloccava i polsi per impedirle di opporre altre resistenze.
 Per quanto avrebbe ancora dovuto soffrire per causa sua, tuttavia, Caterina non si pentiva di non averlo ucciso. Uccidere suo marito non sarebbe stata un'altra delle colpe che si sarebbe addossata solo per far un piacere a quell'uomo ignobile.
 Chiuse gli occhi, cercando di non pensare a quello che stava accadendo, al fiato caldo di Girolamo che le alitava sul collo, ancora dolente, al peso del suo corpo e alla forza inaspettata delle sue mani che la immobilizzavano.
 Si sforzò di pregare, come si era sforzata di fare anni addietro, in una situazione simile, ma anche questa volta non trovò conforto nella preghiera. Provò solo una piccola consolazione nel ripensare a una frase dell'Antico Testamento: 'Chi si vendicherà avrà la vendetta del Signore ed egli terrà sempre presenti i suoi peccati'...

   
 
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