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Autore: steffirah    05/01/2016    2 recensioni
Dal momento in cui ho visto
l'uomo che mi è più caro mentre riposavo,
ho cominciato a credere a quelle cose
che gli uomini chiamano “sogni”
Una giovane fanciulla, disperata, sola, colpevole. In una notte di luna piena le appare in sogno un nobile affascinante. I loro incontri si faranno sempre più intimi e segreti, ma riusciranno mai ad incontrarsi?
Genere: Poesia, Storico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki | Coppie: Hinata/Naruto
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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CAPITOLO 16
 

L'acqua della sorgente era calda, piacevole. Il vapore si alzava, avvolgendo il mio viso, benedicendolo mentre già gongolavo nella mia stessa beatitudine. Provocata dall'incontro con quella fanciulla. Letteralmente, la dama dei miei sogni. L'avevo tratta in salvo. L'avevo stretta tra le mie braccia. Avevo quasi saggiato il suo odore. La sua pelle...
Mi inebriai del dolce ricordo del suo corpo, crogiolando piacevolmente in quel pensiero. Ma anche se la mia mente viaggiava lontano, i miei sensi erano all'erta, erano attenti, consapevoli che lei fosse tanto vicina. Finalmente...
«E così, l'avete trovata.» Sasuke interruppe bruscamente i miei pensieri, tirandomi una gomitata.
Lo sbirciai con la coda dell'occhio.
«Io ne ero sicuro. Ho sempre avuto fiducia in lei.»
«Almeno non abbiamo dovuto spingerci molto lontano. Mi sento risollevato.» Un sospiro da parte di Shikamaru.
«Sarebbe stata una seccatura, eh?», lo prese in giro Sai, beffeggiandolo.
«Già.»
«Non la trovate perfetta?», mi intromisi, riportando l'attenzione su di lei. «Non è bellissima? Non è candida come un fiore?», chiesi sognante, rivedendola volteggiare elegantemente tra i caldi fumi acquei.
«Spero per voi che non sia evanescente quanto un fiore.»
Rivolsi un'occhiataccia a Sasuke.
«Come una perla?», mi corressi.
«Di certo è rara da trovare, proprio per questo dovreste stare attento che nessuno ve la porti via.»
«Sai, non provarci neppure o ti farò assaporare la mia spada.»
Lui mi rispose con un sorriso e Shikamaru pose fine al confronto: «Naruto-dono, i gusti sono gusti. Credo nessuno di noi sia interessato a quella fanciulla.»
«Quella fanciulla?! Il suo nome è Hinata e dovreste essere ciechi per non provare nulla, neppure guardandola o sentendola. Ciechi, sordi, insensibili.», borbottai tra me.
«Che rottura.»
«Confermo.»
«Approvo.»
Irritato, sbottai: «E per curiosità, c'è qualche donna che ha catturato il vostro interesse?»
Tutti e tre sviarono la domanda, spostando lo sguardo altrove.
«Comincia a fare caldo.»
«Già, noi usciamo ad asciugarci.»
«Vi aspettiamo a cena.»
«Aaah? Ma quindi è un “sì”?», chiesi incredulo, alzandomi a mia volta, ma loro avevano già abbandonato la vasca ed erano rientrati. Mormorando tra me li seguii, cercando di capire da quanto tempo fossero attratti da una donna. Che mi ero perso?
Nella stanza degli ospiti trovai degli abiti di ricambio, ben piegati in un angolo. La vecchia padrona di casa pensava proprio a tutto. Dovevo ricordarmi di ringraziarla per l'accoglienza, nonostante non ci conoscesse. Oh, anche per l'avermi elogiato con sì belle parole! Jiraiya-ojichan sarebbe stato molto fiero di me!
Mi rivestii in fretta e nel corridoio trovai i miei uomini, impegnati in profonde conversazioni con le signorine al seguito di Hinata-sama. In effetti, più che delle servitrici m'erano parse fanciulle d'alto lignaggio. Forse erano sue dame di compagnia.
Mi accomodai accanto a Sasuke e pochi istanti dopo venimmo raggiunti da una divinità. Procedeva con passi leggeri, il candido volto nascosto dietro un ventaglio dorato, gli occhi profondi, iride attraenti, lo sguardo attento, sensuale, d'un'aquila. Tenni gli occhi fissi su di lei, per tutto il tempo. Volevo conoscere ogni suo gesto, ogni suo pensiero, ogni suo respiro, ogni suo battito di ciglia.
Poi, quando ci fu portato il cibo, abbassò lo schermo, mostrandomi la sua pura bellezza. Le labbra imbronciate, rosse, un bocciolo di rosa, i suoi sottili occhi, le sue vaghe sopracciglia, il suo piccolo naso, le sue guance rotonde come una mela, la sua pelle incipriata dalla neve... Capii. In quell'istante compresi perché mi attraeva tanto. Non si era sconvolta quando m'ero spogliato per salvarla. Non aveva riso di me. Non mi aveva rifiutato, cacciato, mandato via. Non m'aveva nascosto la sua gratitudine. Non era finta, sottomessa, remissiva. Ma, cosa che al momento mi sembrava più incredibile di tutte: anche lei era differente dalla massa;  i suoi denti rilucevano d'un bianco naturale che s'addiceva perfettamente alla sua chiara carnagione. Al diavolo le dame che si tingevano i denti di nero, Hinata-sama era molto più attraente di voi! Lei non aveva bisogno di trucchi, inganni. Lei era genuina. Lei era onesta. Lei era sincera. E questo me la faceva amare sempre di più.
Dopo che si fu presentata e la dama coi capelli rosa – la stessa che poche ore prima aveva quasi cercato di uccidermi – ebbe spiegato brevemente le condizioni di vita nel suo casato mi intristii. Non m'ero mai considerato la persona più sfortunata o sola al mondo, ma sapere che Hinata-sama aveva vissuto una situazione simile alla mia... Mi rendeva laconico. L'amore che traspariva dai suoi occhi quando si parlava di sua madre... Era qualcosa che non avevo mai provato. E mai avrei avuto modo di provare. Non sapevo cosa fosse l'amore materno. Non potevo capire cosa fosse l'amore di un figlio. Ma potevo quanto meno immaginare cosa si provasse a veder morire una persona cara davanti ai propri occhi. Una persona che ci ha cresciuti, che ci ha allevati come fossimo figli suoi... Vedere la sua vita spezzarsi, lentamente allontanarsi, disperdersi tra le nubi e involarsi con esse tra i monti... A me era successo, con Jiraiya-jichan.
Senza rendermene conto qualche lacrima si impigliò tra le mie ciglia e mi affrettai ad asciugarla, con le maniche del vestito. La resi consapevole che condividevo la sua sofferenza, quando successivamente l'anziana signora mi chiese di me. Risposi evitando di entrare nei dettagli, anche se non ero mai stato molto abile nell'arte della dialettica. Più che cortigiano sembravo essere nato guerriero. Perdonami zio, so che dalla terra delle montagne e dei mari mi starai guardando. Purtroppo non diventerò mai abile quanto te.
Quando poi la padrona di casa mi chiese di mio zio – lasciando perdere fortunatamente il pellegrinaggio – non fui molto sorpreso nello scoprire che lo conosceva. Chissà perché, ma me lo aspettavo da un uomo simile. Sorprendentemente si incuriosì anche riguardo la mia età, e le risposi prontamente, un po' confuso, finché la dama violenta non attirò la mia attenzione, rivelando che Hinata-sama era una danzatrice. Stupefatto da una simile rivelazione la guardai, pieno di aspettative. Ero certo che non mi avrebbe deluso.
Parve un po' insicura, ma dopo poco si arrese alle nostre volontà e si posizionò al centro della sala. Le sue dame, attorno a lei, formarono una mezzaluna, con degli strumenti a corda che s'erano fatte consegnare dalle servitrici di quella casa. La dama dai lunghi capelli color canarino strimpellò la prima nota e le altre due intonarono il primo verso di quella che si rivelò essere una ninna nanna straziante. Lacerante.
Hinata mosse i primi passi e divenne unica protagonista, narratrice della sua stessa storia.
Un ventaglio che diveniva sole, luna, neve...
Vesti che si muovevano insieme ad alberi, vento, secche foglie...
Una battaglia interiore, contro la morte, in lotta per la vita...
Così ebbe inizio la magia, con la quale la sua voce mi portò nel passato.
Mi mostrò la sua storia, la sua morte, la perdita e la sofferenza.
Il ventaglio vibrava, creava semicerchi attorno al suo viso perso, lontano, totalmente immerso nella sua sofferenza... Eppure era estremamente affascinante.
Ogni movimento, ogni espressione, ogni spostamento d'aria, ogni sillaba pronunciata dalle sue piccole labbra disegnavano l'ambiente. Era come se fossimo usciti all'esterno, come se non ci trovassimo più in quella stanza riscaldata dalle carbonelle.
Improvvisamente era inverno, un gelido inverno, il freddo mi ghiacciava le ossa, i miei occhi fissi su di lei, entrando nella sua storia, inerme, senza potervi prendere parte, come uno spettatore, frustrato dalla mia stessa impotenza.
Come potevo salvarla dagli scheletri degli alberi, dal gelo, dalle mani della morte...?
Le sue dita mostravano illusioni, magie, i suoi palmi pura poesia. Così come la sua voce, il suo canto avvolto in lacrime di sangue, tutto di lei mi faceva pensare che gli esseri soprannaturali potessero realmente mostrarsi. Era come posseduta, come se in lei fosse entrata la divinità più bella, più leggiadra, più elegante, ma anche più triste di queste terre.
Troppo presto ebbe fine, troppo presto tornò in sé, troppo presto il suo canto si spense e il suo corpo morì, cullato dolcemente dal freddo respiro del vento.
Sentivo gli applausi, ma non riuscivo a fare altrettanto. Non ero in grado di muovere neppure un muscolo. M'aveva stregato, totalmente. Ero completamente, indissolubilmente perduto in lei.
Incantevole? Non era sufficiente a spiegare ciò che ella evocava in me.
«Intensa.»
Era travolgente: una valanga di sensazioni, un maremoto di emozioni, un uragano di sentimenti, un terremoto di pensieri. Era l'assoluto, l'infinito, scomposto e ricomposto. Era la guida, il tramite, verso altri mondi. Era un essere celeste incarnatosi in una splendida creatura, la migliore che io avessi mai incontrato... Nonché l'unica che mi abbia mai fatto sentire tanto sciocco. Impaurito. Debole. Sconfitto. Innamorato.
Purtroppo dopo poco ci abbandonò. Era stanca, non la biasimavo. Erano successe tantissime cose, quel giorno. Un unico giorno... poteva bastare a modificare radicalmente la mia vita, quasi facendola ripartire dal principio?
Mi alzai, augurando a mia volta la buonanotte a tutti e, circospetto, la seguii. Eccola lì, fuori il corridoio, lo sguardo rivolto alla luna. Quella stessa luna che aveva illuminato le nostre effimere notti. Ora giaceva, lassù, nella pienezza del buio, consacrandoci a una nuova esperienza. Ad un nuovo inizio. E se volevo che accadesse, avrei dovuto seguire le regole. Avrei dovuto corteggiarla come si doveva. Avrei dovuto attrarla, utilizzando tutte le armi a mia disposizione. Eppure, non ci riuscivo. Così, mi limitai a parlarle.
Conversare con lei era un piacere unico, perché mai m'ero sentito tanto ascoltato o preso in considerazione da qualcuno. Lei mi sentiva davvero. Lei comprendeva. Lei si apriva con me. Lei mi stava inconsciamente detergendo dalle mie sofferenze, come un acquazzone ripuliva il mondo dalla polvere e la cenere. Lei condivideva la mia sofferenza. Lei mi fronteggiava. Lei era forte, era umile. Lei mi contraddiceva. Lei mi sopraffaceva. Lei mi confondeva. Lei mi rasserenava. Riuscì a farmi sorridere. Così glielo dissi. Cercai di farle capire quanto la ammirassi, quanto la amassi, senza eccedere, senza esagerare, senza correre troppo e arrischiarmi a rovinare tutto. Non volevo spaventarla.
Ciononostante il ventaglio le cadde di mano, toccando il pavimento con un tonfo sordo; anche stavolta, puro silenzio. Nemmeno una parola uscì dalle sue labbra pure e immacolate.
Mi scusai per la scortesia che le stavo arrecando, intrattenendola a sì tarda notte, quando lei aveva affermato di essere stanchissima.
La guardai. In quel preciso istante il tempo si fermò. Non più una folata di vento, non più un fruscio delle foglie degli alberi, non più un uccello in volo. Il mondo scomparve, la notte si dissolse. C'era soltanto Hinata. Hinata, che mi guardava con i suoi occhioni sorpresi, ora che era esposta. Hinata, che aspettava qualcosa, ma la sua anima tremava. Le sue guance rosee, le sue labbra dischiuse, la sua candida pelle... Inconsciamente feci un passo verso di lei. Le mie dita tremanti non indugiarono oltre, tastando la morbidezza del suo viso. Il suo sguardo perso nel mio. Lei, che si abbandonava tra le mie mani. Lei, che si affidava alle mie cure. Le mie labbra fremettero, calde come quei carboni ardenti, richiedendo un contatto... Ma lei non m'aveva risposto. E io non volevo pressarla, tantomeno imporle i miei sentimenti. Così, mi limitai a posarle sulla sua fronte.
Tuttavia, spiazzandomi, anche lei mi sfiorò. Fu inevitabile che mi tirassi indietro, se non volevo compiere qualche gesto sconsiderato.
Mi scusai, recuperai per lei il ventaglio e glielo porsi; si coprì il viso e fece per andarsene, augurandomi la buonanotte. Un dolce augurio, dedicato soltanto a me.
Non mi frenai dal trattenerla, prendendole una mano. Era così piccola e fresca, fragile e delicata, liscia e tremante nella mia stretta. Mi avvicinai al calore del suo corpo, volendolo sentire più vicino. Desiderando di poterlo imprimere nelle mie vesti, sulla mia pelle, insieme al suo fragrante profumo di monti lontani e valli incantate. Le spostai una ciocca di capelli dall'orecchio, sussurrandole la mia risposta.
Chiedendomi da quando fossi diventato tanto audace mi allontanai, tornando nella mia provvisoria stanza.
Mi spogliai lentamente, prendendomi tutto il tempo a mia disposizione. Mi stesi sul futon, coprendomi con i miei stessi vestiti, seppure non avessi freddo; tutt’altro, c’era un piacevole tepore e non capivo se provenisse dalla camera oppure fossi io ad emanarlo.
Trovai parecchia difficoltà ad addormentarmi, lei ruotava attorno ai miei pensieri; era al centro della mia mente e s’ingigantiva sempre di più, finché non prese la mia mano e mi condusse lontano, in un passato ormai obliato.
Era un mattino d’autunno, dovevo avere sì e no sei anni. Giocavo con spensieratezza insieme ad altri bambini, fingendo di essere soldati in battaglia. Ognuno di noi doveva mirare ad un bersaglio – ossia, il centro della corteccia di un albero, contrassegnato da un cerchio –, il quale rappresentava il nostro nemico. Dopo numerosi tentativi finalmente riuscii a centrarlo. Preso dalla foga del momento abbandonai tutto a terra, correndo da mio zio. Non mi sorprese trovarlo insieme ad una donna, anche se mi sembrava strano fosse accompagnata da una bambina. Incrociai lo sguardo di quest’ultima, grandi occhi color glicine, straripanti altruismo e serenità, lunghi capelli che riflettevano le profondità della notte, legati con dei nastrini purpurei, un sorriso timido mentre si nascondeva dietro le grandi vesti dell’altra donna.
La guardai per un attimo inebetito. Era così diversa da me, così nobile e aristocratica. Sembrava appartenere a tutt’altra classe sociale. Ciò che più mi sconvolgeva era la sua calma, il suo placido e timido sguardo, la sua quiete, il suo comportamento tranquillo e pacato.
Aggiornai mio zio, rivelandogli che ero riuscito a colpire il bersaglio, ma lui mi redarguì per il mio comportamento sconsiderato. Che rabbia mi faceva, talvolta era come se le donne fossero più importanti di me. Sapevo quanto mi volesse bene, mi considerava alla pari di un figlio, ma all’epoca ero soltanto un bambino, pertanto me ne andai stizzito, tornando a giocare, abbandonando quella splendida creatura, raccattandola nel dimenticatoio.
Che ingrato. Come potevo aver permesso che accadesse? Come avevo potuto obliterare quella fanciulla?
Aprii gli occhi, asciugandomi in fretta le lacrime. Mi alzai, rivestendomi, e uscii in corridoio, cercando una boccata d’aria fresca. Mi appoggiai alla parete, respirando a fondo. L’avevo già conosciuta. C’eravamo già incontrati, in un passato remoto. Quindi non era stata frutto della mia fantasia.
Ero certo che si trattasse di un ricordo rimosso dalla mia memoria, e la conferma di ciò mi venne data da Hinata-sama.
Eccola lì, accanto alla staccionata in legno, fissava malinconicamente il cortile. Il vento scivolava tra i suoi lunghi capelli, circondandola di neve e d’una lieve aurea mattutina. Stringeva un pezzo di carta al petto, come se fosse il suo tesoro più prezioso. Che fosse la lettera che le avevo scritto quella notte?
Ah, no… Non dovevo essere sciocco. Non dovevo illudermi inutilmente.
La vidi sorridere tra sé, illuminando così tutto il suo viso, mentre si abbassava per indossare i sandali e traversava di corsa il giardino, fermandosi dinanzi ad un albero di pruno. Si allungò sulle punte, prendendo un ramo fiorito e spezzandolo in un gesto secco e al contempo delicato, per poi legarvi intorno il foglietto. Le sue spalle furono scosse da un brivido e mi feci avanti, certo che avesse freddo. Le posai il mio hou attorno alla schiena, proteggendola contro il gelo. Ella mi guardò e, senza neppure rivolgermi una parola, mi porse il rametto.
Lo presi, confuso dal suo comportamento, e sciolsi il leggero nodo, scoprendo una poesia.
 
 
Il ponte dei sogni s’è infranto
bruciando le acque del fiume:
la primavera ha soffiato sul ghiaccio
che ricopriva i giovani germogli,
involandolo ora nella volta celeste
 
 
La guardai, cercando di capacitarmi che fosse tutto vero. Che fosse reale. Che, come pensavo, come avevo sempre sperato, ella ricambiasse i miei sentimenti. Che le porte si fossero spalancate in quel vicolo cieco in cui ero rimasto intrappolato, aprendomi il cammino verso il paradiso. Che finalmente potessi essere felice, insieme a lei. Che finalmente potessi riempire la mia vita d’una pienezza inestimabile.
 
 
Che potessi ricominciare una nuova vita, insieme a Hyuuga Hinata.




Angolo autrice: 
Eccoci alla fine. Sono felice, ma al contempo così triste ç.ç Quanto meno, è una happy ending awww <3 a voi immaginare il continuo ^//^ 
Non sarò molto chiacchierona, tranquilli. Voglio soltanto ringraziarvi per essere giunti fin qui, e aver apprezzato questa storiella. Grazie davvero. *piange commossa*
Con infinita riconoscenza,
la vostra Steffirah 
  
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