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Autore: _Wonderwall_    05/01/2016    1 recensioni
Già la vita da teenagers è incasinata, quando si è maghi poi diventa tutto un po' più difficile. Immaginate relazioni nascoste, aggiungete il Torneo Tremaghi, mischiate con un po' di sana paura e condite con un pizzico di mistero, magari accompagnato da qualche omicidio. Un mix niente male, non vi pare?
***
Ora non c'è spazio per le incertezze, non c'è spazio per essere semplicemente dei ragazzi, non c'è spazio per le stupide, piccole preoccupazioni della vita normale.
Ma ci si può davvero impedire di essere noi stessi? La paura può davvero portarci a mettere da parte qualunque cosa? A Shailene piace pensare di no, che non è così.
Mentre tutto sembra crollare, essere ragazzini con il complesso degli eroi diventa più difficile del normale. Perché un conto è essere ingrado di essere davvero degli eroi, tutt'altra cosa è improvvisarsi paladini della giustizia.
***
(Secondo capitolo della saga Heroes. Non può essere letto separatamente)
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Alice, Paciock, Alice, Paciock, Jr, Famiglia, Potter, Famiglia, Weasley, James, Sirius, Potter, Lysander, Scamandro
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Capitolo 1
 
 
 
Un rintocco.
Due rintocchi.
Tre rintocchi.
Quattro. Cinque. Sei.
Shailene contava i secondi che passavano.
Sette. Otto. Nove.
Non si muoveva, restava immobile aspettando un qualunque cambiamento.
Dieci. Undici. Dodici.
I secondi sembravano infiniti. Cinque minuti. Solo cinque minuti.
Tredici. Quattordici. Quindici.
Era ancora bagnata. Era ancora sporca.
Sedici. Diciassette. Diciotto.
Sentì il respiro mancarle e avvertì un’altra crisi di panico.
Diciannove. Venti. Ventuno.
Non riusciva a toccarsi. Non riusciva a guardarsi. Chiuse gli occhi.
Ventidue. Ventitré. Ventiquattro.
Morse il labbro inferiore e si pentì subito dopo, avvertendo il sapore del sangue nella bocca. Strizzò gli occhi, non voleva piangere.
Venticinque. Ventisei. Ventisette.
Perché Madama Chips non tornava?
Ventotto. Ventinove. Trenta.
Il cuore accelerò la sua corsa.
Trentuno. Trentadue. Trentatré.
Sentì il vestito ancora appiccicoso attaccarsi alla pelle come una trappola, come una gabbia che la imprigionò senza darle via di fuga.
Trentaquattro. Trentacinque. Trentasei.
Si concentrò sull’altro respiro nella stanza.
Trentasette. Trentotto. Trentanove.
Un rumore di porte.
Quaranta. Quarantuno. Quarantadue.
Shailene contò ad alta voce.
Quarantatré. Quarantaquattro. Quarantacinque.
Due mani le afferrarono le braccia e la scossero, cercando di attirare l’attenzione.
Quarantasei. Quarantasette. Quarantotto.
Shailene non voleva nessuno.
Quarantanove. Cinquanta. Cinquantuno.
Voleva stare sola.
Cinquantadue. Cinquantatré. Cinquantaquattro.
Un urlo che Shailene nemmeno sentì.
Cinquantacinque. Cinquantasei. Cinquantasette.
Uno schiaffo la colpì in viso.
Cinquantotto. Cinquantanove. Sessanta.
Finalmente solo quattro minuti.
Solo quattro minuti e sarebbe finito tutto. Madama Chips sarebbe tornata e l’avrebbe aiutata. Ed avrebbe aiutato Axel.
Altre mani l’afferrarono per le spalle e la scossero più forte, cercando di svegliarla. Cercando di attirare la sua attenzione.
<< Shailene, rispondimi >>
Urla. Shailene sapeva di conoscere quella voce, ma non sapeva a chi apparteneva. Non era quella dell’infermiera e tanto le bastava. Non voleva svegliarsi, non voleva. Aveva paura di quello che avrebbe potuto trovare.
<< Shai, ti prego >>
Un’altra voce, questa volta femminile.
<< Devi ripulirti >>
Lei ignorò tutte quelle voci, rilegandole in un angolo lontano del suo cervello. Non voleva più sentirle.
Tre minuti e mezzo.
Qualcuno le alzò il viso e cercò di fissarla negli occhi, trovandoli vuoti. I capelli ancora sporchi di sangue erano attaccati al viso, anch’esso rosso cremisi.
Tre minuti.
Shailene avvertì d’un tratto la sensazione del sangue su tutto il corpo, il sangue che la ricopriva, il sangue che si stringeva sulla sua pelle.
Due minuti e mezzo.
Un odore di morte insopportabile le colpì il naso e si accorse che stava per svegliarsi. Riconobbe la lucidità che si faceva spazio nella sua mente.
Due minuti.
Sentì il sapore del sangue.
Un minuto e mezzo.
Il cuore aumentò il ritmo del suo battito.
Un minuto.
Il respiro accelerò.
Trenta secondi.
Shailene era lucida.
Zero.
Urlò.
 
 
 
Sentì le mani di Lily percorrerle i capelli, massaggiando la testa con lo shampoo. Avvertì la pesantezza delle mani di Alice rompere il vestito bianco e spogliarla, facendola sedere nella vasca. Shailene chiuse gli occhi e lasciò che il sapone le scorresse sul viso, sul collo, sulle spalle, il petto, la pancia, le gambe, i piedi.
Lasciò che le due ragazze lavassero via il sangue, facendola sentire di nuovo libera. Libera di respirare.
Sentì il getto d’acqua calda sulla testa e le dita di Lily che le accarezzavano i capelli corti, risciacquandoli.
Sentì le mani di Alice che le massaggiavano le spalle tese.
Portò le ginocchia al petto e poggiò la fronte su di quelle, prendendo un respiro profondo.
Quell’odore era sparito. Quel sapore era sparito. Finalmente.
Shailene si lasciò andare in un sospirò di gratitudine e sollievo e buttò la testa indietro, facilitando il lavoro di Lily.
<< Lene >> sussurrò Alice, impaurita di rompere il silenzio.
La ragazza mantenne gli occhi chiusi ma mosse la testa per farla parlare ancora. Sentiva di nuovo il respiro regolare e il cuore battere ad un ritmo normale. Sentiva di nuovo i capelli leggeri e sapeva di essere libera dalla trappola del vestito.
<< Come stai? >> continuò la Serpeverde, mantenendo il tono di voce basso per non alterare di troppo il silenzio.
Shailene si era finalmente lasciata trasportare nel suo bagno e aveva permesso alle due di lavare via il sangue. Aveva lasciato che l’infermiera si avvicinasse e aveva guardato le ragazze negli occhi, chiedendo di Axel. Aveva parlato. E non aveva più urlato.
Sembrava essersi ripresa e ne Alice ne Lily volevano che ritornasse nell’oscurità. In quello stato catatonico in cui era stata i minuti precedenti.
Minuti troppo lunghi per essere composti davvero da soli sessanta secondi. Minuti interminabili. Minuti orribili.
<< Mi sento… >> Shailene si bloccò per qualche secondo prima di tornare a parlare << …strana >> concluse poi, arricciando il naso.
Quella non era la parola adatta, ma era l’unica che la sua mente era riuscita a trovare. L’unica che riusciva a descrivere il modo in cui si sentiva.
Vuota e piena di emozioni. Impaurita e sollevata. Preoccupata e rilassata. Piena di contrari. Non riusciva a capire se stesse bene.
<< Stanca >> sussurrò poi << Mi sento stanca >>
Chiuse di nuovo gli occhi e tornò con il viso sulle ginocchia.
Lily chiuse il getto d’acqua e le accarezzò dolcemente i capelli.
<< Vieni >>
Le allungò una mano e Shailene l’afferrò, alzandosi in piedi. Tremava, aveva freddo. Faceva freddo.
Alice le coprì le spalle con un asciugamano e lei lo strinse a sé, cercando di scaldarsi. Lily le infilò la biancheria e Alice l’aiutò a mettere il pigiama dopo di ché la infilarono sotto le coperte. Shailene finalmente si rilassò e lasciò andare la testa sul cuscino, chiudendo gli occhi.
Si addormentò.
 
 
 
 
Lysander Scamander in otto anni passati ad Hogwarts non era mai stato in infermeria nemmeno per sbaglio. Era riuscito ad evitare quel posto che odiava con tutto se stesso, aveva una paura matta degli intrugli che Madama Chips preparava per curare i suoi pazienti.
Quelle poche volte che aveva preso l’influenza si era chiuso a doppia mandata nel suo dormitorio e aveva impedito a tutti di portarlo lì. Gli ospedali l’avevano sempre reso ansioso.
Eppure adesso era lì, seduto su una sedia, le gambe abbandonate al suolo, le spalle curve e la testa poggiata su un pugno, aspettando.
Aspettando che arrivasse Lorcan.
Aspettando che Axel aprisse gli occhi.
Aspettando che Axel gli parlasse.
Aspettando che sua zia Laura sapesse ciò che era successo.
Aspettando notizie di Shailene.
Aspettando, semplicemente aspettando.
Alzò il viso con un sospiro e lanciò uno sguardo al cugino che era disteso sul lettino, profondamente addormentato. O perlomeno era ciò che Lysander continuava a ripetersi.
Axel dormiva.
Axel dormiva.
Axel dormiva.
Ma Axel non dormiva. Axel era in coma.
Era arrivato in infermeria quasi completamente dissanguato e Madama Chips aveva definito miracolo il fatto che fosse riuscita a salvargli la vita. O almeno a non farlo morire subito. Axel non si era svegliato, erano sette ore che era steso nella stessa posizione, nello stesso letto. Senza muovere nemmeno un muscolo. Senza un respiro più veloce di un altro. Senza sussurrare qualcosa, qualunque cosa.
E non sapevano se si sarebbe mai svegliato.
Lysander sospirò ancora e si passò le mani sul viso stanco e provato. Era pallido e delle forti occhiaie si vedevano sotto gli occhi, era stato nell’infermeria tutta la notte senza nemmeno chiudere occhio. Aveva fissato suo cugino cercando di cogliere un qualsiasi movimento.
La porta si aprì, ma Lysander non avvertì i passi avvicinarsi e sussultò quando qualcuno poggiò una mano delicatamente sulla spalla. Si girò di scatto, rilassandosi quando incontro lo sguardo chiaro e dispiaciuto di Alice.
<< Ciao >> salutò semplicemente, tornando a guardare Axel.
Alice sospirò e si sedette accanto a lui, trascinando una sedia. Era a piedi nudi ed indossava ancora il vestito della sera precedente. Era pallida e Lysander immaginò che non avesse dormito neanche lei.
<< Vai a dormire. Ho incontrato Lorcan mentre venivo qui, starà lui con Axel >> disse a bassa voce.
Sembrava spaventata di parlare con un tono normale, come se potesse succedere qualcos’altro se avesse alzato la voce. Come se chiunque avesse fatto questo ad Axel e Shailene potesse sentirla e tornare a finire il suo lavoro. Non che ci fosse molto da finire.
Lysander scosse la testa.
<< Aspetto che arrivi zia Laura >> rispose.
Alice aprì la bocca per rispondere, ma poi si accorse di non poter fare niente e la richiuse, portando le gambe al petto.
Osservò il viso di Axel e sentì una morsa stringerle il petto e impedirle quasi di respirare. Perché Axel? Perché lui? Alice non riusciva a capacitarsene.
Perché una delle poche persone a cui teneva?
Probabilmente era egoista e cattiva, lo sapeva e non le importava, ma avrebbe dato tutto ciò che aveva per far sì che Axel scambiasse il posto con qualcun altro. Qualcuno di cui non le importava.
<< Come sta Shailene? >> chiese Lysander.
Alice lo guardò. Indossava ancora lo smoking, lo stesso smoking in cui aveva pensato fosse davvero affascinante. Adesso voleva solo non aver mai indossato quel vestito, non aver mai accettato l’invito di Lysander, voleva solo che quel ballo non fosse mai esistito.
<< Dorme. Continua a ripetere il nome di Axel nel sonno. Non voleva andare via di qui >>
Il ragazzo scosse la testa e tornò silenzioso.
<< Come stai? >> chiese Alice dopo qualche secondo.
Lui rimase in silenzio per un po’, poi si tirò su e poggiò la schiena alla sedia, lasciandosi andare con tutto il peso.
Non gli andava di scherzare, non gli andava di ridere, non gli andava di fare battute maliziose, non voleva essere più la persona che tutti conoscevano. Non si sentiva più come lui. E non riusciva a capire come qualcosa che non fosse successo a lui direttamente potesse inferire così tanto con la sua vita.
Come potesse farlo sentire così male.
<< Vorrei stare al suo posto >> disse ciò che sentiva.
Non gli andava di mentire e dire che stava bene, che sapeva che Axel si sarebbe svegliato, non aveva senso. Tutto ciò che voleva era poter invertire la situazione, fare svegliare suo cugino, anche se avesse dovuto prendere il suo posto.
Alice lo colpì con forza sul braccio, facendolo girare verso di lei.
<< Ahi >> si lamentò << E questo per cos’era? >> chiese, aggrottando le sopracciglia.
La Serpeverde lo guardò arrabbiata e gli tirò un altro pugno, facendolo gemere di nuovo. Preparò un terzo pugno, pronta a sfogare tutta la rabbia e la preoccupazione su braccio del Grifondoro che, con i riflessi da cercatore, la bloccò.
Lei lo colpì con l’altra mano, prima che Lysander bloccasse anche quella.
<< Che diamine ti prende? >>
<< Che diamine mi prende? >> chiese retorica alzando la voce di un paio d’ottave << Che diamine prende a te? Che significa che vorresti stare al suo posto? >>
<< È mio cugino, non vorrei vederlo steso su un cazzo di lettino >> si arrabbiò anche lui, alzando la voce.
<< Cosa credi, che se ti vedesse steso su quel lettino starebbe meglio? Vuoi solo liberarti del dolore che senti, il tuo sarebbe un gesto egoista >> urlò lei, cercando di liberare le mani dalla sua presa.
Non sapeva da dove veniva tutta quella rabbia nei confronti di Lysander. Non sapeva perché era esplosa adesso per qualcosa che nemmeno la riguardava. Non sapeva perché non riusciva a smettere di urlare. Non sapeva perché tutto ciò di cui aveva voglia era picchiarlo. Picchiare qualcuno.
<< Egoista? Io sarei quello egoista? Qui l’unica egoista sei tu >> urlò di rimando, stringendo ancora di più le sue mani.
Lysander non sapeva perché stesse reagendo così. Non sapeva perché non cercava semplicemente di tranquillizzare Alice, decisamente scossa da ciò che era successo. Anche lui era scosso, devastato.
<< Lasciami >> ordinò lei, smettendo di muoversi.
Smettendo di urlare. Guardò Lysander negli occhi e aggrottò le sopracciglia quando lui trattenne le sue mani nelle proprie.
Il Grifondoro sospirò e lasciò andare la presa, portandosi le mani tra i capelli.
Alice si alzò e uscì dall’infermeria.
 
 
 
 
 
Laura Lovegood era una di quelle persone con il sonno molto pesante. Il sonno tipico di chi è senza molte preoccupazioni, quello tipico di chi riesce a farsi trasportare nel mondo dei sogni.
Aveva un rituale. Ogni sera preparava una tazza di thè, intrecciava i lunghi capelli biondi in una treccia che arrivava fino a metà schiena, prendeva uno dei romanzi babbani amati tanto da sua sorella Danielle e poi leggeva fino a quando non si addormentava con il libro sul petto e gli occhiali ancora inforcati sul viso.
Quella per lei era una sera come tutte le altre. Preparò il suo thè, pettinò i capelli appena lavati e li costrinse in una comoda treccia, afferrò Orgoglio e Pregiudizio, si sedette sul letto e inforcò gli occhiali, ricominciando a leggere da dove aveva lasciato.
Poi il thè era finito e il libro adesso giaceva sullo stomaco, gli occhiali erano scesi fino alla punta del nasino alla francese e i capelli erano ormai scomposti.
Ma quella non era destinata ad essere una notte come le altre nella quale Laura avrebbe fatto uno dei suoi sogni strani e poi si sarebbe svegliata e scritto una lettere ad Axel e Shailene, no, quella notte sarebbe stata la peggiore della sua vita.
Sarebbe stata la peggiore della sua vita perché alle sei sarebbe stata svegliata da un gufo di Hogwarts. Si sarebbe vestita velocemente e materializzata fuori dai confini della scuola per poi correre in infermeria.
Ed in questo momento Laura stava correndo, correndo come non aveva mai fatto. Continuava a correre perché, nonostante non le avessero detto ciò che era successo, sapeva, sentiva, che qualcosa di orribile si era riversato su Hogwarts.
E corse, corse fino ad arrivare alla porta dell’infermeria. Aprì la porta e si fermò. Non riuscì ad avanzare di un altro passo, non riuscì più nemmeno a respirare.
Axel era sdraiato su un lettino.
Suo figlio era sdraiato su un lettino.
Non esiste dolore più grande di vedere colui che amiamo di più in una situazione di pericolo. Non esiste dolore più grande di quello di una madre che prega in un Dio in cui non crede per salvare il proprio bambino.
I genitori non dovrebbero vedere i propri figli strappati dalla vita, non dovrebbero vivere così tanto. I genitori dovrebbero avere il diritto di andarsene prima, di non soffrire così tanto.
<< Zia >>
Sentì la mano di Lysander posarsi sul suo braccio e Lorcan avvicinarsi a loro. Prese un respiro profondo e osservò gli occhi del nipote, trovandoci un dolore simile al suo. Simile al vuoto che provava dentro, ma, allo stesso tempo, diverso. Osservò Lorcan e trovò lo stesso dolore.
Soffrivano. Tutti.
<< Laura >> una voce femminile la chiamò e subito la donna la riconobbe.
Luna Lovegood si avvicinò a lei e la circondò con le braccia. Laura si lasciò abbracciare e la strinse a sé, cercando di riempire il vuoto che aveva dentro di sé. La strinse chiudendo gli occhi, lasciandosi andare tra le braccia della sorella, cercando di dimenticare per un solo minuto.
Non pianse perché le lacrime non erano abbastanza per esprimere il suo dolore.
 
 
 


Eccomi qui, dopo tanto tanto tanto tempo.
Mi dispiace, so di aver detto che sarei stata veloce a pubblicare il seguito e non o sono stata, chiedo venia, ma era finita l’ispirazione. Ma adesso è tornata (spero non siano le ultime parole famose)!
Comunque due parole sul capitolo e la seconda parte in generale: ovviamente, come avrete capito, è un po’ più dark della prima e c’è, oltre le storie dei personaggi, anche un ‘mistero’. Spero di essere in gradi di svilupparle tutte, le storie, ma ovviamente qualcuno avrà più attenzione di altri. chiedo anche a voi, quali storie vorreste conoscere più a fondo?
Non mi dilungo troppo sulle note di questo primo capitolo, non credo ci sia molto da dire!
Spero che vi piaccia e mi facciate sapere la vostra opinione nelle recensioni :)
  
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