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Autore: Sommersadaoceani    06/01/2016    1 recensioni
Io e Calum eravamo solo amici, spinti dalla voglia irrefrenabile di salvarci a vicenda. Salvare lui dal baratro e salvare me dal fuoco con cui potevo scottarmi.
Io e lui, nessun altro contava quando eravamo insieme. Avvicinandoci ci rovinammo entrambi, accecati dalla voglia di riemergere e conquistare il mondo con le nostre armi migliori.
Ma a cosa serve combattere da sola quando tutto rema contro di te?
sommersadaoceani-2015
copia vietata.
Pubblicata anche su wattpad.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Calum Hood
Note: OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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ecos de amor- Jesse y Joy

«Stai dormendo? Hai delle occhiaie odiose, Skylynn» mi rimproverò Taylor, portando in soggiorno due tazze di tisana fumante.

«Non molto, appena mi addormento o mi fermo a pensare mi ritorna sempre un suo ricordo... Io non ce la faccio più» dissi tristemente, avvolgendo le mani intorno alla tazza calda. Ma il freddo che avevo dentro nessuno poteva riscaldarlo. Scossi le spalle, facendo cadere i capelli sulla mia schiena.

«Penso che sia stata stupida l'idea di andare a vivere da Joy» sentenziò la mia migliore amica.

«Credo che mi faccia bene» abbassai lo sguardo, giocherellando con le mie unghia ormai troppo lunghe. «Mi sento più vicina a lui, non voglio dimenticare ciò che abbiamo passato. Non sono pronta a dirgli addio.»

«Ti apri troppo poco con me, lo sai? Dovresti dire tutto quello che pensi. Ti aiuterà.» mise la sua mano sulla mia, incoraggiandomi con quel suo bellissimo sorriso e i suoi occhi vispi, incessantemente preoccupati per me.

«Tay, cosa vuoi che ti dica?» domandai frustrata, sbuffando. Presi la tisana e feci scendere quel liquido bollente giù per la mia gola velocemente, come se questo potesse alleviare l'ansia perenne che avevo addosso.

«Come ti senti. Voglio che tu mi dica sul serio come ti senti.» proferì. «Ho sentito troppi "sto bene" da parte tua e neanche uno era vero»

«Hai ragione» incominciai a dire. «Non sto bene, mi sento persa. Lo vedo dovunque, il mio corpo sente la sua mancanza. È come svegliarmi al buio ogni mattino e la luce che entra è quella del suo viso illuminato dal mio ricordo. Cerco la sua ombra o almeno la forma della sua testa sul cuscino, ma lo vedo completamente vuoto. La stanza urla ricordi.» ridacchiai con le lacrime agli occhi «Non so come sia possibile, ti giuro. Ma ogni volta mi guardo allo specchio e vedo la sua immagine che mi abbraccia da dietro, come faceva un tempo. Oppure lo vedo rannicchiato come un bambino sulla parte sinistra del letto che mi chiede di abbracciarlo perché si sente incredibilmente vuoto. Sento la sua voce in ogni canzone, come se mi parlasse. E sono tutte canzoni tristi, nessuna dice di andare avanti. Ed è perché io non posso andare avanti. Non ho speranza per farlo. Nel mio petto sento il cuore piano piano morire, sento come ogni pezzo cade e non mi abituo al fatto che lui non ci sia per rimetterlo in sesto. Sono sola. Senza lui. Era tutto e ancora lo è. Ma non mi è vicino e non so con che forza devo andare avanti con questo bambino. È una cosa che si fa in due. Uno è venuto a mancare, come si può tirare avanti?» finì con le palpebre chiuse, mentre con la manica della mia felpa asciugavo quelle gocce che ormai avevano fatto la forma per quante volte le avevo versate.

«Eri la ragazza più speranzosa che io avessi mai conosciuto»

«Tutti mi dite la stessa cosa. Ma io non mi sono mai vista così. Mai. Mi spezzavo a qualsiasi cosa, era lui che me la faceva ritrovare. Adesso lui mi ha spezzata e con sé si è portato tutto quello che ero. La speranza è qualcosa che non ritroverò più. Ormai è difficile ottenerla e per quanto ci provi sento che è scappata via nel momento in cui mi hanno telefonata per dirmi che lui...» scoppiai in lacrime, singhiozzando, perché quel dolore che passava per tutto il mio corpo era impossibile da controllare e voleva essere scaricato. «Sai cosa è la cosa più difficile?» le chiesi, guardandomi i piedi.

«Cosa, Sky?» si avvicinò più a me.

«Che in quella casa sento gli echi che il nostro amore ha lasciato.» spiegai. «Tutti i ti amo sussurrati, o quelle canzoni che mi cantava prima di andare a dormire tramite cellulare. Quella camera parla di lui, è come se io stessi invadendo il suo posto e mi sento completamente estranea ad esso anche se lo conosco da tantissimo tempo»

«Da quanto non esci? Dico, prima di adesso» chiese Taylor, facendo scivolare un braccio fra le mie spalle, stringendomi a sé.

«Quasi un mese» sentenziai. «Sono stata tutto il tempo con Joy. Non sono stata per niente bene. Ho avuto nausee mattutine veramente micidiali» raccontai, scuotendo la testa. «E ho trovato a volte qualche macchia di sangue, ma non penso sia grave.»

«Lo potrebbe essere!» esclamò. «Dobbiamo andare dal tuo ginecologo» si alzò in piedi, prendendo la borsa dal divano e il cappotto dalla sedia dietro di noi. «Come si chiama?» chiese, ma dinanzi al mio silenzio si fermò, guardandomi attentamente. «Non hai mai visto il tuo bambino?»

«Non ho avuto tempo» sospirai amareggiata, bevendo la tisana ormai troppo fredda.

«Allora andiamo in ospedale, dicono che sia veramente brava. Vedrai il tuo bambino per la prima volta, sei pronta?» la guardai di sottecchi, scuotendo la testa, ma lei solamente mi trascinò fuori sino alla sua macchina blu che le avevamo regalato al compleanno.

Arrivammo poco dopo in quell'ospedale dove la puzza di alcool e disinfettante si faceva strada ad ogni corridoio che sorpassavamo. La dottoressa Morris era libera in quel momento, come se fosse un segno del destino.
Mi fece stendere sul lettino e mi mise quel gel che tanto odiavo sul mio ventre, mentre armeggiava con lo scanner. Io rimasi lì, senza alzare la testa, come se quello non mi appartenesse.

«Puoi sentire il suo battito, a quanto pare ha due mesi e mezzo di vita» dichiarò la Morrison con un sorriso.
Quando il suo cuore palpitò per la prima volta sentì un'altra eco d'amore, lasciata da qualcuno frutto del nostro legame così intenso con l'altro. E sorrisi dopo tanto tempo, alzandomi sui gomiti e scrutando quella figura così minuscola che mi avrebbe accompagnata per il resto della mia vita, prendendo il posto di quel dolore incombente che Calum aveva lasciato in me.





 
 
  
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