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Autore: Alida Dreamer    07/01/2016    0 recensioni
Perché noi donne siamo così, ci riempiamo la testa di parole inutili come “nonostante tutto”, “per sempre”, “anche se”.
Che poi “nonostante tutto” e “anche se” un’emerita cippa.
Il fatto è che dal Paleolitico ci ripropongono la storia del sesso debole.
E noi neghiamo ovviamente – la chiave della vita è negare, anche davanti all'evidenza- ma non riusciamo mai a farlo bene. Mai. Perché? Perché ci sarà sempre una sola piccolissima ma importantissima parte del nostro cervello che continuerà in maniera del tutto- o quasi- indipendente dal nostro volere a macinare le parole di qualcuno che in noi il segno l’ha lasciato.
E in me l’aveva lasciato di brutto, marchiato a fuoco. E come in ogni cliché che si rispetti, ci ero rimasta con la pelle e con il cuore, secca, arida come una pianta in mezzo al deserto.
Gli avevo regalato l’anima. E mi era stata tornata indietro, tutta stropicciata, puzzolente di naftalina, pronta per prendere fuoco.
Sì, faceva male. Scommetto più di quanto ne facesse a lui.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico, Universitario
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III

 
 
Ho come l’impressione che il mio cervello stia dando forfé.
Mai sottovalutare i postumi di una serata. Una domenica da coma passata a ripetere nomi su nomi di pedagogisti con i loro curricola maledetti. I miei neuroni, da stamani, non mi aiutano. Ho provato di tutto, dalla caffeina a litri al rimedio più semplice, sbattere più volte la testa sul mio tavolo di granito.
Nada. Mai più un Long Island, mi ha bruciato i trasmettitori sinaptici.
Anche perché, vorrei dire, quattro ore di sonno non sono il massimo. Soprattutto se hai dormito- per così dire- con un occhio aperto ed uno chiuso, ripensando come una demente ad uno che non rivedrò mai più. Cioè, in realtà non l’ho pensato. Ho solo diversamente riflettuto sulla serata, tutto qua.
E adesso, dopo una giornata di studio coercitivo, mi sento il cervello di un criceto in prognosi riservata.
Odio essere una studentessa impanicata in questo momento, odio dover affrontare tutto questo per quattro miseri esami che, a detta degli altri, saranno solo l’inizio di una vita in salita. Eccheppalle. Io adesso vorrei soltanto poltrire sul divano della cucina, cercando di smaltire il rincoglionimento post-discoteca.
Che poi, ne vogliamo parlare? Passi tutta la vita ad aspettare i diciotto e quando arrivano non hai il tempo di goderteli che già sono passati. La patente, la maturità, i test d’ingresso alla facoltà, la laurea, il lavoro, una casa un gatto e tre cani. E ti ritrovi zitella, a quarant’anni suonati, mentre passi il sabato sera affogando il mal di vivere nel limoncello di tua madre. Vista sotto questa prospettiva, forse le serate come ieri sarebbero da raddoppiare.
 
Guardo nauseata questo tomo gigante: pensare ed educare. Ma una cippa. Vaffanculo Bruner, Piaget e le loro centocinquantasettemila tecniche di apprendimento.
Mi alzo, esasperata, e disattivo dal cellulare la modalità aereo.
Quando lo faccio capisco davvero di essere malata. Cioè, io, per studiare, devo mettere il mio cellulare nelle condizioni di non ricevere alcuna notifica Whatsapp/Facebook/Instagram. Mi distraggo in una maniera impressionante.
Non posso stare due minuti col cellulare aperto senza che i minuti si trasformino in ore e le ore si accumulino in giornate passate a non fare una beata mazza.
Sono in astinenza di social e controllo l’ultimo accesso di Carola che, stranamente, compare online. Credo che, alla fine, l’incursione di Matteo and friends, ieri notte, non le sia totalmente dispiaciuta. Anche se, a detta di lei, rimane pur sempre un “pallone gonfiato che si crede Dio”, penso ancora che questi due mi riserveranno sorprese. O magari no, io di certo non lo so. Io non sono certa nemmeno di cosa mangerò tra quattro secondi e mezzo.
Premo velocemente sulla tastiera per iniziare la conversazione.
 
21:40 Aurora : Sei viva?
21:41 Caro: Per poco ancora L Ho finito da poco di studiare, domani ci disintegrano!
21:41 Aurora: Ti sto chiamando, rispondi.
 
Afferro il cordless e compongo il suo numero, attendo che mi risponda.
Se penso a tutti i tabulati telefonici degli ultimi undici anni – da quando più o meno abbiamo capito come far funzionare il telefono pigiando i tasti- e alle ore su ore di cicere ininterrotte, mi vengono in mente due cose: mia mamma che strilla e la bolletta del telefono. Ovviamente una di esse è conseguenza dell’altra.
-Ohi!
La sento, come dire… Allegra. Ecco, la parola giusta è allegra.
Il che è matematicamente impossibile la sera prima di una strage scolastica, per due come noi. Carola non me la racconta giusta ed io non sono stupida.
-Hai sentito Matteo? - La risposta è qui, ne sono sicura. Non riesco ancora a capacitarmi di come sia possibile, stento ancora a crederci ma, sebbene lei si ostini a negarlo io so bene che Matteo non le è indifferente. Ma proprio per nulla.
E lo percepisco nel modo in cui mi risponde.
-Ah? Sì, no… cioè, mi ha mandato un sms quando siamo tornate a casa. Cioè, non so dirti se mi ha fatto piacere o no. In realtà, quelli dell’oratorio non lo digeriscono molto e beh, l’hai visto anche tu. È spavaldo e secondo me si comporta così con tutte…
Non so, in questo momento, se sparare a zero più su quelli dell’oratorio o su Matteo.
Cerco di frenare la lingua biforcuta che in questo momento mi porterebbe ovviamente a darle ragione. Perché sì, sono una femminista convinta e sì, i ragazzi sono tutti uguali. E quelli che si discostano dal genere sono fidanzati.
Perché, care donne, non esistono uomini sensibili, perspicaci, romantici, attenti, comprensivi. Disilludetevi. Tutto ciò che un uomo dice, fa o pensa è finalizzato a qualcosa. E non pensiate che il fine siate voi. Il fine è la compensazione breve ed illusoria di un piacere che ricomparirà quando si accorgeranno di un’altra che sorriderà alla loro soglia. Parola di una che una volta sì e l’altra pure perde tempo con tipi stupidi, incapaci ed immaturi. E stupidi. L’ho già detto? Vabbè stupidi elevato al quadrato.
-Penso tu faccia bene a non fidarti, stai in guardia – mi sforzo a dirlo, ma sebbene lui non gliene abbia dato ancora un valido motivo, quel motivo prima o poi arriverà- ma poi ieri che avete fatto?-
In effetti vorrei continuare la frase con un “quando mi hai lasciata sola con quel deficiente al fianco” tanto che se ci penso mi ritorna l’istinto omicida.
-Mi ha trascinato per mezzo locale mentre puntavo i piedi a terra e gli strillavo in faccia. Ci ha messo dieci minuti buoni a trovare il fotografo in quel casino, cioè mi tirava dietro come un sacco! Penso di essere uscita anche di merda in quella foto, appena ce l’ha scattata mi sono divincolata per tornare indietro con lui alle calcagna! Isa mi ha anche vista mentre cercavo di scollarmelo…
-Però ti compiace questa situazione Paolini! - ghigno alla cornetta.
-No no no! Cioè forse un po’, è una situazione così strana… È che quando mi si incolla e fa battute ridicole, ho come l’impressione che lo faccia apposta! Ha un modo di fare che non mi lascia indifferente ecco, tutto qua. Mi ha scritto anche oggi pomeriggio e stiamo continuando a parlare…
-Tutto qua?!- scoppio a ridere- Devi ammettere che ti piace! Non mollerò fino a quando non lo farai!
Ci messaggia anche. Le mie supposizioni stanno prendendo vita. Sono sicura che presto Carola partirà come un treno. Ebbene sì, arriva per tutti il momento in cui per forza di cose dobbiamo perdere tempo appresso a qualcuno. E per quelli che hanno sempre aggirato questa grande verità, arriva anche prima.
Sbuffa, credo realmente avvilita – Quindi hai conosciuto i suoi amici? Nelle foto su facebook è sempre con loro… Ma poi, non mi hai detto se avete parlato di qualcosa!-
Classico. Cambia argomento. E ovviamente lo fa deviandolo inconsapevolmente verso le mie di sensazioni. Labbra carnose, capelli indomabili, atteggiamento presupponente e provocatorio. No, io non sono una che si fa incantare da queste cose. Ma magari se mi ripeto sta roba come una mantra, forse mi convinco pure.
Ripenso a quello strano frangente di tempo in cui due pozze scure mi hanno inchiodato con lo sguardo. È stato strano, perché non era un modo per corteggiarmi… se avesse voluto provarci suppongo avrebbe reagito in modo diverso. Uno che la prima volta che ti si para davanti ti dice che gli stai sui coglioni beh, si è già sparato sette cartucce a salve.
Quindi no, non credo ci siano state allusioni dietro le sue parole, né ironia.
Non so nemmeno che idea dovrei avere o dovrei farmi di lui e non so nemmeno perché la mia mente malata ora stia pensando queste cose senza senso. Sono nata difettosa, sicuramente. D’altronde, sono o non sono Aurora Benedetti?
-A dire il vero ho parlato solo con uno di loro, non mi ricordo neanche il nome – (bugiarda)- niente di che, sei arrivata subito alla fine.-
Non so neanche io perché gli stia mentendo. In fin dei conti a parte il nome, che ritengo difficile dimenticare per un qualche insano motivo – vedi cose senza senso- che ancora non mi è chiaro, oltre alle nostre esplicite dichiarazioni di antipatia, non c’è stato nulla.
La cosa che più mi stupisce è la dichiarazione indiretta di sfida nei miei riguardi, immotivata, illogica e stupida. Come lui.
Ma tanto chi lo rivede più.
 
 
 
Manca solo un’ora alla fine della lezione e non vedo l’ora di buttarmi sul divano e morire lì sei o sette ore e dimenticarmi i nomi di tutti quei paragrafi…
La De Santi ha fortuitamente fatto a meno di chiamarmi e credo di aver pregato e ringraziato in aramaico perfino Isaia e Buddha.
Arrivare indenni a fine lezione ultimamente sembra un miracolo.
La Negroni arriva fastidiosamente puntuale come al solito, è lei la nostra coordinatrice quest’anno. Dall’alto del suo metro e una chewingum ci intima di sederci, aprendo il registro. Non si è dimenticata delle interrogazioni. Lo carezza con le mani amabilmente, e non posso fare a meno di notare quanto sia inquietante la scena. Storce il naso, si drizza gli occhiali sul naso e, senza mai seguire una logica ponderata, chiama. Magari nella sua mente gioca ai logaritmi con le iniziali dei cognomi.
-Palladini, Riggio, Cinti e Benedetti.
Te pareva. Sarebbe stato troppo bello non essere interrogata oggi, soprattutto in pedagogia. Chiudo il libro e mi faccio mentalmente il segno della croce. Tutti quei curricola viaggiano a lunghezze d’onda diverse dal mio cervello.
Le interrogazioni della Negroni, da tre anni a questa parte – per l’appunto i tre anni con cui ci ha deliziato della propria presenza- sono vere e proprie simulazioni di esami universitari. È praticamente fissata con l’apprendimento mnemonico ed enciclopedico, è una tortura studiare materie come questa.
Chiuso il libro mi sposto al primo banco, per un testa a testa con la Negroni.
Quasi mi dispiace per la Palladini. Ovviamente scherzo, magari è la volta buona che gli va male. Sbatte agitata le ciglia a tronchetto della fortuna, mentre cinguetta qualcosa a Riggio. Mi chiedo come faccia, ogni santa mattina, a truccarsi di tutto punto e a sembrare sempre una femme fatale appena uscita da un settimanale di vip. Io in confronto sembro una scimmia da savana e sicuramente non esagero.
La Negroni comincia a sparare titoli di paragrafi ad muzzum, interrompendoci quando il discorso sembra prendere una forma, per poi tartassarci di altre domande.
Spara argomenti a raffica alternandosi tra noi tre non facendoci mai finire un discorso  e nonostante la pedagogia faccia una fatica assurda ad entrarmi in testa, le mie tesi sono ben articolate anche lì dove, per forza di cosa, devo giocare un tantino di fantasia. Se le cazzate che sparo sono dette bene e circoscritte ad un contesto che le giustifichi, la Negroni nemmeno se ne accorge. L’importante è mantenere il tono impostato e non lasciarsi andare agli intercalari, tutto il resto è noia.
La Palladini è incerta, quasi si culla sulle sue stesse parole, sembra vaneggi… La sua voce è insopportabile.Venti minuti dopo, anche Riggio è viva e l’interrogazione si è finalmente conclusa. La Negroni è apatica quando trascrive i voti, non fa una piega. È la faccia della stoicità. Strega.
 
-Benedetti, nove. Riggio sei e mezzo, Palladini otto più.
Rivolgo una smorfia a Palladini ma, tutto sommato, piuttosto soddisfatta torno al mio posto.
-Oggi l’ho scampata, ma alla prossima aspetterà il mio cadavere dall’altra parte del fiume. È sicuro…-
Su Carola e il suo rapporto con le materie della Negroni – o specificatamente sul rapporto tra lei e la Negroni- potrei scrivere un libro che manco Il Codice Da Vinci è più avvincente. Credo col tempo si sia ostinata a dimostrare con tutte le sue forze di essere una ceppa nelle sue discipline, che per un liceo come il nostro sono materie d’indirizzo. In realtà la situazione non è stata del tutto creata e giustificata da Carola, anche la prof ci ha messo del suo. E dopo anni di perenni cinque e mezzo la mia migliore amica si è praticamente convinta di non piacerle, di non starle a genio o, come ci è solito dire, di starle immensamente sulle balle.
Credo la Negroni sia una di quelle docenti dure a cambiare idea sulla gente, magari si pone in maniera del tutto pregiudiziale e completamente sconveniente nei confronti di alcuni alunni. Ma credo anche che le si possa far cambiare idea.
E di questo cerco di convincere Carola, che ha sviluppato una sorta di somatizzazione da stress pre e post Negroni fatta di attacchi più che frequenti di colite, o come si suol dire cacarella.
-Lo sai come funziona per la Palladini, c’è l’otto politico. La prossima volta chiama, meglio non farti cogliere impreparata, devi spaccare! Ti aiuto io e studiamo da me!
Mi guarda con un sorriso nord-sud-ovest-est e capisco perché le voglio così bene.
Forse, insieme, perfino la maturità sarà uno spasso.
 
 
 
Stasera sono stanca, distrutta, devastata.
C’è un modo alternativo per definire le persone pigre, che non si smuovono dal divano se non per andare verso il frigo? Bene, io sono l’essere umano per eccellenza che incarna la concezione di pigrizia.
Vani e superflui sono stati i tentativi, da parte di mia madre, di farmi muovere crescendo. E come biasimarla, se ora ci ha rinunciato?
Ha provato con i tutù e i body rossi della scuola di danza artistica, poi mi ha lanciato, a tredici anni nel colorato mondo dei balli sociali, poi ancora ci ha provato con la pallavolo. Niente, lo sport non faceva e non fa per me. Io e la coordinazione motoria non ci siamo conosciute e non credo faremo mai conoscenza, come d’altronde con qualunque tipo di ballo/sport/disciplina aerobica presente sulla terra.
Sono praticamente l’anti-sport. E, considerati i traumi che quelle maledittissime insegnanti di ballo mi hanno provocato, ho deciso a quattordici anni che avrei fatto la palla a vita piuttosto che muovermi.
Belle quelle promesse che ti fai a te stessa quando ancora il metabolismo ti permette di magnare ogni qualsivoglia roba piena di conservanti e porcherie varie, senza mettere su un etto.  Belle, bellissime.
Peccato che col tempo, sono giunta a patti con me stessa. Per stare bene evitando di diventare davvero un arancino, almeno due volte a settimana vado a correre nel parco accanto casa mia, pieno di popò di cane e bambini iperagitati dai sei in giù.
E, sebbene questa pratica si sia davvero rivelata utile al fine di mantenere sotto controllo lo stress pre- maturità, ci sono certe sere – come questa – in cui strafaccio e sono tutta un dolore. Dai capelli alle punte dei piedi.
Mi rotolo sul divano e accendo la tv. Schifezza, schifezza, schifezza. La richiudo. Noiosissime programmazioni tv. Quando ho voglia di vedere un film decente, trasmettono solo roba come quelli che il calcio e orripilanti robe trash a cui, in questo momento, preferirei le interessantissime telenovele argentine di mia nonna Lina.
 Mi alzo- e impreco mentalmente per i crampi ai polpacci- prendendo il portatile.
 
Apro il pc e, impostando la pagina Facebook come principale, smanetto tra un sito di shopping online e la mia cartella di musica.
Briga: Campione di sogni. Play.
Imposto la ricerca e i filtri adatti su zalando: voglio un paio di scarpe rosse.
Che poi è risaputo che per noi donne le scarpe non siano mai abbastanza. Alte con il tacco, basse, da passeggio, da serata, borchiate, nere, da ginnastica, pitonate…
Una dipendenza malata, come quella per i vestiti, le borse e gli accessori che non bastano mai.
Sono un’esteta, mi piacciono le cose belle e, sebbene a scuola vada sciatta come una mazza da lavare – di quelle usate- ho una malsana fissazione per tutto ciò che fa moda. D’altronde, a giorno d’oggi è inutile riempirci di cazzate come l’abito non fa il monaco. L’abito fa il monaco, eccome se lo fa!
È inutile prendersi in giro, a primo impatto è proprio quello che ci condiziona: l’apparenza. Non siamo tutti che dei caproni ipercondizionati da spot e immagini che circolano sulla rete, osserviamo e accettiamo i trend senza riserve, a volte consapevoli, altre volte un po’ meno. Vorrei poter differire dalla massa sopracitata, ma ahimé sono vittima anch’io dell’universo due punto zero e di tutte le stronzate che si porta dietro. Come direbbe Svevo, è meno malato chi conosce la propria malattia.
Un suono mi distoglie dai miei pensieri. Passo in rassegna le finestre aperte sulla home e apro facebook. Una richiesta di amicizia. Faccio per cliccare sull’icona che segna la notifica in rosso e il server arranca. Maledettissimo. Farei volare adsl e simili fuori dalla finestra alle volte. La pagina si apre e figura in caratteri piccoli un nome : Lorenzo Cappiani. Il tipo dell’altra sera. Scontatissimo.
Curiosa, vado sul suo profilo e comincio a sfogliare le sue foto. Non rende sicuramente come dal vivo, sarà per lo sguardo o per l’intensità dei suoi occhi. Mi soffermo su una foto dove compare anche Matteo. Sorridono felici addossati l’uno all’altro sulla neve. Compaiono foto di serate con amici e ragazze quasi sempre diverse.
Non c’è che dire, è bello. Ma pur sempre scontatissimo.
Sono quasi sicura abbia scambiato la mia arroganza per presunto interesse, altrimenti la richiesta di amicizia non si spiega. Anzi, sono quasi sicura che ora metterà qualche like tattico. Insomma, è tipico. Eppure mi compiace, sono così prevedibili i maschi.
Mi divincolo dal plaid alla ricerca del cellulare e chiamo Carola. Non fa nemmeno in tempo a rispondere che l’assalgo: -Non sai chi mi ha mandato la richiesta in questo preciso istante!”
-Sicuro Edo.. Dai si vede che gli piaci!È che è timido e magari lo intimorisci- sghignazza. Ma dai, se io piaccio a Edoardo della quarta BP, Rocky stanotte diventa fuxia. Ma da dove le escono?
-No Watson, che dici! Il compare della tua fiamma...
-Massi o Valerio?
-No, Lorenzo. Quello alto, bruno… Insomma, quello che non mi stava granché simpatico…
- Ma scusami, tu non eri quella che non si ricordava neanche il nome? – sogghigna… La stronza si ricorda la qualunque.
-Sì beh, me lo sono ricordato ora che mi ha aggiunto… Figurati, è tipico. Ora pensa di provarci magari, quindi sicuramente mi scriverà, che idiota!
E ci credo quando lo dico. Sono tutti degli insopportabili idioti. Non cambiano nemmeno metodo, rimane sempre quello. Immutabile. Per alcuni basta respirino, altri sono giusto un po’ più esigenti e vogliono quel pizzico di carattere che non in tutti i casi è sinonimo di intelligenza. Agli esemplari del genere maschile basta un contatto facebook e giusto qualche messaggio su Whatsapp. Dopo? Il vuoto. O si annoiano loro o ti annoi prima tu.
 -Non devi essere così categorica sempre… Alla fine mai dire mai e sempre, e lo sai. Guarda che non sono tutti come tuo padre, né come quelli che hai già conosciuto. L’eccezione esiste Aurora, è solo che devi saperla riconoscere.
Vorrei poterle dire che si sbaglia, perché sono sicura si sbagli, ma evito una discussione inutile perché so già che questa richiesta di amicizia finirà accantonata a quella degli altri cretini che credono di poterci giocare facile. Illusi.
- Non è questo il caso e comunque vedrai, domani ti dirò “ te l’avevo detto”.
E ne sono sicura. Glielo griderò questo maledettissimo TE L’AVEVO DETTO.
 
 
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Sono stati i venti giorni più lunghi della storia, ma sono quasi arrivata illesa alle vacanze pasquali. Le ultime simulazioni di esame sono andate bene, ormai manca davvero poco alla fine. Il diploma. E sti grancazzi, anche dirlo a voce alta fa stranissimo.
Quindi è vero? È così che si diventa grandi? Maturi? Noiosamente vecchi?
Paradossalmente responsabili. Quando hai dieci anni è questa più o meno l’impressione… Ti diranno: -Dopo gli esami di maturità cambia tutto, vedrai?
Ma davvero, per quelli che questi maledettissimi esami li hanno già  superati, passati e strapassati, cosa cambia?
Per me, assolutissimamente niente. Questo perché, a casa mia, già da un pezzo si parla di laurea e non più di diploma.
Sicuramente mentirei se dicessi che il pensiero di condensare tutto il mio percorso scolastico non mi spaventa, sono dell’idea che le paranoie e le crisi esistenziali rientrino nella norma. Il fatto è che tre mesi fa sembrava più vicino e, ora, il tempo stringe e il mio cervello è sempre più anni luce dall’idea di dover portare quel foglio a casa. Che cazzata gli esami di maturità, io li odio. Odio tutta questa dannatissima burocrazia che non serve ad un’emerita cippa di niente.
Mi guardo allo specchio e oggi sono una scimmia allo stato avanzato.
Le occhiaie inguardabili e i capelli da pazza sono sintomo di un imminente crollo nervoso. Ma si era capito anche prima?
 Mancano solo tre giorni alla pausa scolastica, ponte annesso, e mamma ne ha approfittato per una toccata al sud, dai suoi. Ebbene sì, nonostante io sia stata partorita sotto lo squallido grigiore lombardo, mamma è una terrona doc.
È originaria della Calabria, del profondo sud calabro. Una cittadella che di nome fa Reggio, situata dall’altra parte dello stretto. I miei nonni e mia zia, gli unici parenti che ci siano rimasti vivono lì.  E nonostante tutti i pregiudizi, le idee stereotipate che la gente ignorante tenda ad affibbiare ai meridionali, la verità è che su una cosa hanno ragione: il popolo del sud è estremamente caloroso. Io amo passare le feste giù in Calabria, perché amo l’affetto e il calore confusionario che riversano su di noi e che, spesso, in questa caotica quotidianità a me e alla mamma manca.
E mi serve proprio un po’ di aria buona, magari posso anche tornare umana visto l’aspetto animalesco di stamani.
Carola ha una faccia che è tutto meno che euforica stamani. A occhio e croce fa concorrenza alla mia. Non si direbbe che siamo migliori amiche, vero?
Sembra uscita da una seduta di tredici ore continue con la bambina di the ring e credo che la nottata l’abbia passata insonne. L’autobus fa un’altra fermata, e noi finiamo incollate a causa di un altro carico di passeggeri che sale su questa che sembra essere l’unica linea utile alle sette e mezzo del mattino.
Ne approfitto e le do uno scossone – Ma insomma, si può sapere che hai?!
Esce dal coma autoindottosi e mi guarda come se fossi d’un altro pianeta.
-Allora?!
-Insomma, oggi la prima la salto. Mi manca solo il voto di storia con la De Santi e tutta la notte non è bastata per terminare i tredici capitoli di storia arretrati. Se entro è finita, mi purga.
Ora capisco.
Ed ebbene sì. È questa la triste e sconsolata verità di una secchiona in erba a un passo dall’esame di maturità. La De Santi sa apprezzare i sacrifici e la volontà di chiunque, ma non esiterebbe a spiaccicare un tre irrecuperabile nemmeno a sua figlia. Povera piccola Carola…Non posso vederla così.
-Beh, io ho finito con le interrogazioni… Salti tu, salto io!
Una speranza illumina il suo sguardo- Davvero?! Ma davvero?
-Anzi ti dirò di più, c’è Mandalari in via del corso che sforna cornetti dalle cinque di stamattina, posso sentire l’odore da qui- no, qui c’è puzza di cipolla- ok, no, sto dicendo una cazzata. Io direi che stamattina una colazione premio la meritiamo!
-Batti cinque sorella! Ti adoro!
Scommetto sia rinsavita all’idea dei cornetti e, ora che ci penso, so già che farò il bis.
 Scendiamo quattro fermate più avanti, e procediamo verso i cancelli del paradiso: Mandalari. Il re dei cornetti.
Dire che sono golosa, a questo punto, sarebbe un grosso grasso eufemismo. E il grasso, lo so, non stona per niente insieme al profumo di burro, nutella, brioches appena sfornate, marmellate di ogni genere…
Sto attenta a non sbavare peggio dei cani di Pavlov quando varco la soglia del mio bar prediletto, e mi precipito di corsa – mi sto per spaccare l’osso del collo- al piano di sopra, per occupare il tavolino con i sedili in pelle. L’ho già detto che in questo posto mi sento a casa?
Carola mi segue e in dieci minuti finiamo con l’ordinare croissants muniti di bis e succhi all’ananas. La ragazzetta che lavora qui è cordiale, talmente cordiale che mi chiedo come faccia alle otto del mattino a essere viva, pimpante, ma soprattutto felice.
Misteri della vita che non mi è dato sapere.
-E Matteo?
Non l’avessi mai detto, eccolo lì… Il nervosismo che mi sembrava di intravedere anche stamattina sul bus. Si sta torturando le unghie.
-Matteo cosa?
Furba, ma non abbastanza.
-Dico, vi state sentendo?
Andare sempre dritti al dunque, sempre.
Si leva il giubbotto, forse per non guardarmi negli occhi.
-Beh la verita? Non si fa sentire da una settimana circa, è uno stupido, arrogante, dispettoso, narcisist-
-Quindi avete litigato?
Lo so, la laurea la dovrei prendere in psicologia.
-Sì, cioè no, vabbè alla fine non mi importa-
Il discorso viene interrotto dal cameriere che ci porta tutta la roba che abbiamo ordinato – talmente tanta da far ingozzare il manicolo di un esercito- ma sono troppo presa dal mio dannatissimo cellulare per guardarlo in viso.
Grande errore Aurora.
-E questo super cornetto panna e nutella per miss maleducata- non faccio in tempo a voltarmi che già riconosco la voce.
-Non ci credo, tu sei-
-Lorenzo, e tu sei la maleducata della luna?
Le braccia mi stanno cadendo a terra e stanno prendendo vita, le vedo prendermi a schiaffi. E quindi questo sfrontato, stupido cafone lavora qui?!?

   
 
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