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Autore: _armida    07/01/2016    2 recensioni
Piccola raccolta di storie collegata a 'L'Altra Gemella'
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Girolamo Riario, Giuliano Medici, Leonardo da Vinci, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Elettra'
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Nda
Innanzitutto, prima di lasciarvi leggere in pace questa storia (lo so che siete curiosi, ahahah), volevo farvi delle piccole avvertenze: questa storia è stata scritta a quattro mani da me (e fin qui...) e da  Shaon Nimphadora.
Piccolo incontro tra il mondo del suo personaggio e quello della nostra folle Elettra.
Vi presento a tutti Costanza (che prova senza successo a convincere Elettra sulle qualità dei corsetti ahahah)
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Artista (a cui faremo presto una statua): Shaon Nimphadora


Vecchie conoscenze, nuovi amori

Fuggire. 
Fuggire lontano. Lontano dalla Francia, con la sua rigida etichetta e tutto quel finto buonismo. Lontano da quell'alta società frivola e buona solo a parlare.
Lontano da quel padre troppo severo e impettito che, ostentando una perfezione per altro mai posseduta veramente, aveva distrutto con le sue stesse mani un'intera famiglia. 
Fuggire lontano. Ed essere finalmente libera.
E in quale città ci si poteva considerare veramente liberi? Firenze, ovviamente. Ed era proprio lì, che ora si trovava.
Camminava per le strade sterrate della città e, sarà stata forse per l'ora tarda, o per la pioggia battente, eppure esse erano completamente deserte.
Strinse forte le briglie del proprio cavallo, Spettro, e, in risposta a quel movimento, l'imponente stallone da guerra agitò la testa nitrendo. Osservandolo, sulle labbra della ragazza comparve un malinconico sorriso: esso era un dono d'addio da parte dell'uomo che aveva aperto la sua gabbia.
L'ennesima folata di vento gelido, la fece riscuotere dai propri pensieri: non si ricordava che in inverno facesse così freddo, a Firenze; proveniva dal nord della Francia, dove il clima era decisamente più rigido, ma nelle sue vene scorreva sangue siciliano.
Lanciò un'occhiata alla sua sinistra dove, un grande mastino, l'affiancava vigile e silenzioso, incurante della pioggia e delle temperature. Sorrise, al pensiero che il suo fidato compagno non soffrisse il freddo.
Con la mano libera, estrasse dalla tasca un foglio stropicciato e leggermente umido sugli angoli. Osservò il disegno a matita su esso rappresentato: si trattava di una casa, piccola, rispetto ai suoi standard, con un piccolo giardinetto recintato sul davanti e una pianta di rose selvatiche che si arrampicava sulla facciata. Piccola ma accogliente.
L'abitazione apparteneva all'unica persona con cui aveva mantenuto i contatti, quando suo padre l'aveva costretta a lasciare quella città di libertini ed eretici. Già da bambina, si poteva notare la sua grande predilezione della sua amica per l'arte e, a giudicare da quello schizzo, che le aveva spedito insieme ad una lunga lettera alcuni mesi prima, non aveva fatto altro che migliorare.
Svoltò in un'altra via e, dopo alcuni minuti, giunse alla sua meta. Si avvicinò al cancello e si stupì, del fatto che non fosse chiuso a chiave ma solo accostato. La ghiaia sotto ai suoi piedi scricchiolò, mentre percorreva il piccolo vialetto.
Seguì il sentiero che girava intorno alla casa, trovando, nel giardino sul retro, una piccola stalla; il cavallo della sua amica nitrì rumorosamente, quando lei entrò con Spettro.
Ripercorse la strada alla rovescia, arrivando di nuovo davanti alla porta d'ingresso. Cominciò a bussare, prima piano e poi sempre più forte: la persona che andava cercando aveva sempre avuto il sonno pesante.
All'ultimo piano si accese una pallida luce violetta, segno che qualcuno aveva udito i suoi pugni alla porta.
"Chi c'è?", chiese dopo alcuni minuti una voce femminile, dall'altra parte. Doveva essersi appena svegliata, visto che appariva ancora impastata dal sonno.
"Elettra, sei tu?". Ci mancava solo che avesse sbagliato casa. 
Sentì la ragazza inserire la chiave nella toppa e, dopo alcuni scatti, la porta si aprì.
Elettra mise timidamente il naso oltre la soglia, osservandola pensierosa: la persona che aveva davanti era un po' più bassa di lei e decisamente più paffuta -non che ci volesse molto, per essere un po' più in carne di Elettra, visto che era praticamente pelle e ossa-. Portava un pesante mantello nero sulle spalle che grondava acqua ovunque, così come i capelli, di un castano molto scuro. Probabilmente, da asciutti, essi rimanevano leggermente ondulati. I suoi occhi, anch'essi castani, si guardavano in giro, pieni di curiosità. Indossava un abito lungo, con la gonna completamente incrostata di fango. 
Ad Elettra appariva famigliare. 
Il suo volto si illuminò, quando capì chi aveva davanti. 
"Costanza!", disse, abbracciandola forte.
Costanza rispose se possibile con decisamente più foga dell'amica: non si vedevano da ben nove anni!
Arrossì, notando il particolare abbigliamento dell'amica: indossava solo una sottile camicia di lino nera e si vedeva lontano un miglio che non era decisamente sua; si sentiva parecchio in imbarazzo -e curiosa-, pensando che probabilmente non era a casa sola, quella notte, e che avesse interrotto qualcosa. "Non disturbo vero?", chiese, quasi balbettando.
"Certo che no". Sul viso di Elettra si formò un largo sorriso rassicuratore. "Ma cosa ci fai in giro per Firenze?"
Un'altra gelida folata di vento arrivò alle loro spalle, investendo entrambe le ragazze. Costanza rabbrividì, stringendosi ancora di più nel proprio mantello.
"Sarà meglio entrare", disse Elettra scostandosi dalla porta e permettendo così all'amica di oltrepassare la soglia. Ma il primo a mettere piede in casa, fu il suo cane.
La bionda non lo aveva notato prima. "Ma che carino che sei", commentò facendo un ampio sorriso. Era di grossa taglia, con il pelo marrone scuro e aveva l'orecchio e l'occhio destro, danneggiati. In realtà non era molto bello, esteticamente: era un gigantesco cane vissuto, che le ricordava vagamente i randagi che vagavano nella campagna appena fuori le mura cittadine. Avvicinò la mano al suo muso per accarezzarlo ma, prima di riuscire anche solo a sfiorarlo, l'animale si mise a ringhiare e lei fece appena in tempo a ritirare la mano; un istante più tardi, le possenti mascelle del mastino si chiusero con uno schiocco.
"Limier, buono!", lo rimproverò Costanza.
Elettra lo osservò, per nulla turbata da quello che era appena successo anzi, appariva fin divertita. "Limier, credo che io e te andremo proprio d'accordo"
L'altra ragazza scosse la testa. "Non sei cambiata affatto, noto. Riesci ancora a cacciarti nei guai?"
La bionda rise: se avesse potuto raccontarle tutti i guai in cui si era cacciata, in quell'ultimo periodo, tra i Figli di Mitra e Girolamo, avrebbe fatto l'alba, senza neanche concludere tutto il resoconto. Stava per dire qualcosa, quando vide Limier annusare l'aria e correre a tutta  velocità verso la cucina. 
"Sei sola in casa?", chiese Costanza, cercando di capire lo strano comportamento del suo amico animale.
Elettra arrossì, pensando all'integerrimo Conte di Imola e Forlì, al nemico numero uno della sua preziosa Firenze, che dormiva placidamente nel suo letto, due piani sopra alla loro testa. Fece cenno di no. 
Quasi a farlo apposta, il cane, dall'altra stanza, si mise ad abbaiare e ringhiare. "Girolamo!", disse ad alta voce, sovrappensiero.
"Chi?", chiese l'amica, confusa.
"Ehm... il gatto!", ribattè, correndo in cucina. "Resta pure lì. Non preoccuparti, risolvo tutto io"

La scena che le si presentò davanti agli occhi, una volta in cucina, Elettra non se la sarebbe dimenticata per tutta la vita. Avrebbe preso in giro Girolamo per anni, per quello che aveva visto.
Lo spietato Conte Riario in piedi, su di un tavolo, con la spada puntata verso Limier, che gli abbaiava e ringhiava, sotto di lui.
"Paura di un cane?", gli chiese, nascondendo le proprie risa con una mano sulla bocca.
L'occhiata che Girolamo le lanciò, fu di puro odio. "Si può sapere, di grazia, da dove viene questo cane?". Non aveva alcuna intenzione di scendere da lì, finchè quella bestiaccia non fosse stata lontana.
"E' il cucciolo di Costanza", rispose lei, calcando la parola 'cucciolo', con il chiaro intendo di deriderlo.
"E chi sarebbe questa Costanza?"
"Una mia amica di infanzia, è arrivata adesso e penso che resterà qui per un po'"
Girolamo borbottò qualcosa di incomprensibile, mentre Elettra cercava qualcosa da dare a Limier, per allontanarlo. Gli lanciò un pezzo di pane nel corridoio, ma il cane non si mosse. Allora optò per un pezzo di carne cruda e subito l'attenzione del mastino venne catturata dall'odore del sangue; la ragazza lo lanciò fuori, chiudendo velocemente la porta alle sue spalle.
Il Conte scese da sopra il tavole e lei ebbe quasi l'impressione che avesse tirato un sospiro di sollievo. 
"Ecco dov'era finita la mia camicia", commentò contrariato dal vederla indosso a lei.
"La mia me l'hai letteralmente strappata di dosso e non so dove sia finita. E poi ero troppo di fretta, per mettermi a cercarla", ribattè lei, con tono innocente.
Girolamo le si avvicinò, sfoderando uno dei suoi soliti sorrisi affilati. "Rivorrei la mia camicia"
Dei passi, sempre più vicini, riportarono Elettra alla realtà. "Domani", disse velocemente, mentre lo strattonava verso la porta. "Ci vediamo domani mattina a palazzo". Gli diede un veloce bacio sulla bocca.
Prima che si rendesse conto di quello che era appena successo, Girolamo sentì la porta chiudersi proprio davanti al suo naso e si ritrovò sotto un'acquazzone invernale.

"Un gatto", commentò sarcastica Costanza, entrando in cucina. 
Elettra aveva fatto appena in tempo a chiudere la porta, quando l'amica fece irruzione nella cucina. "Si...", disse mentre le guance le diventavano rosse, "L'ho appena buttavo fuori"
Tra le due scese un imbarazzante silenzio, rotto solo dallo scrosciare della pioggia, all'esterno.
"Perchè non andiamo di là, così mi racconti cosa ti porta qui a Firenze", propose Elettra.
 
***

"E così sei fuggita", commentò Elettra, prendendo un sorso di vino, dalla bottiglia che aveva in mano. Da brava ed educata donna di corte, stava bevendo del vino a canna. Si strinse ancora di più le ginocchia al petto, mentre sistemava meglio la pesante coperta di lana sulla poltrona.
Non potè fare a meno di notare come la mano di Costanza si stringesse nervosamente intorno al proprio bicchiere d'acqua. Già, Elettra aveva scoperto con un certo orrore che l'amica era praticamente astemia, eccezion fatta per quelle rare occasioni in cui si concedeva un po' di idromele o sidro.
Aveva acceso il camino, procurato a Costanza dei vestiti asciutti e non incrostati di fango e polvere, le aveva prestato alcune coperte per scaldarsi e poi si era seduta di fronte a lei, sulla sua poltrona preferita.
Osservò Limier, sdraiato davanti al camino. Visto il colore della sua pelliccia, all'apparenza le era sembrato in condizioni migliori della padrona ma, vedendo le sue impronte infangate sul candido marmo dell'entrata, aveva dovuto ricredersi. Chissà come sarebbe stata felice Maria, il giorno seguente, di dover pulire tutto.
La sua ospite sospirò. "Mio padre voleva farmi sposare un impettito aristocratico francese! Con i capelli unti, il nasone e i denti gialli!"
"Ma tuo padre è impazzito completamente!", commentò Elettra, strabuzzando gli occhi. No, davvero, non poteva crederci.
"Era un cugino del re di Francia", disse amaramente. "A mio padre importa solo la scalata sociale, non di certo a chi andrebbe in sposa sua figlia"
Per un attimo la bionda pensò che mai per nessuna ragione al mondo Gentile Becchi l'avrebbe mai costretta a fare qualcosa contro la sua volontà. Specialmente se si fosse trattato di un matrimonio. Scosse la testa, cercando di non pensare a quello che l'amica aveva passato. In un moto di tenerezza, si alzò dalla propria seduta, spostandosi vicino a Costanza e abbracciandola forte.
"Mi ha rinchiusa in quella stupida scuola di comportamento, per costringermi ad accettare. Se non fosse stato per...", la sua voce si incrinò leggermente, "Saron... la guardia a cui mio padre aveva ordinato di proteggermi... se non fosse stato per lui, ora non sarei qui. Mi ha liberata, protetta ed accompagnata fino a Firenze e poi ha proseguito il suo viaggio ma..."
"E' un soldato, vedrai che se la saprà cavare", la confortò Elettra. 
"Cosa ne dici se ora andiamo tutti a dormire?", le disse gentilmente, quando fu certa che l'amica si fosse calmata.
Costanza annuì, infilandosi sotto alle coperte.
Elettra soffiò sopra alla candela, spegnendola, e si diresse nella propria stanza.
 
***
 
La mattina dopo...

"Non mi ricordavo che il mercato fiorentino fosse così..."
"Caotico?", le suggerì Elettra.
Costanza scosse la testa. "No, c'è molto di più. Non è solo caotico, è anche disordinato, chiassoso e...", si bloccò, osservando confusa un uomo mezzo nudo che si fustigava, passando tra la folla che non sembrava neanche notarlo.
La bionda rise, osservando il comportamento dell'amica. "Si vede che è un po', che sei via da Firenze"
Osservò in giro, tra la marea di gente che a quell'ora affollava Ponte Vecchio, notando una persona, in piedi su una cassa di legno, intenda a urlare le proprie offerte.
"Da questa parte", disse Elettra prendendo per mano l'amica, "Voglio farti conoscere una persona"

"Madonne e Messeri udite", disse Zoroastro, alzando in aria un osso. "Ho qui l'osso frantumato della caviglia di Sant'Albino: anche solo un piccolo frammento garantisce totale protezione contro pirati e furfanti". Si mise a frugare in una borsa, alle sue spalle, estraendone altre. "E, per qualche soldo in più, le ossa dello stimato martire San Besso"
I più gli passavano davanti, scuotendo la testa. Altri, per lo più turisti e ingenui, gli si avvicinarono, comprando qualcosa.
La recita del moro era ormai da tempo collaudata ed avveniva sempre in quello stesso posto, alla stessa ora, puntuale come un orologio svizzero vi erano poi alcuni spettacoli extra, soprattutto prima di esecuzioni pubbliche e durante qualche particolare festa.
Elettra, rimasta in disparte per tutto il tempo, gli si avvicinò, trattenendo a stento le risate. "San Besso?", gli chiese ironica.
Zoroastro alzò le spalle, fingendo di non sapere nulla. "Ogni tanto bisogna variare un po' i nomi"
La ragazza rise. "Certo che ne hai di fantasia"
"Si fa quello che si può, per sopravvivere", ribattè il moro, ironico.
Costanza, rimasta indietro insieme a Limier, osservava i due con un sopracciglio alzato, più sorpresa che allibita: come poteva, Elettra, conoscere un simile individuo?
"Non vi sentite in colpa, a fregare così la povera gente?", disse avvicinandosi.
Zoroastro la osservò, leggermente confuso. "E questo fiore di innocenza chi è?", chiese sarcastico alla bionda, ma osservando Costanza.
"Costance Flauberts", rispose la diretta interessata, alzando il mento e reggendo il suo sguardo con sicurezza, seppur restando sulla difensiva.
"Costanza Casoli", ribattè distratta Elettra, mentre frugava nel borsone di Zo, "Dice così solo perchè ha vissuto un po' in Francia"
"E' un vero piacere fare la vostra conoscenza, mademoiselle Costance", disse Zoroastro, sfoderando uno dei suoi sguardi più innocenti. Le si avvicinò, facendole un lento baciamano. 
'C'erano senz'altro state donne che erano cascate ai suoi piedi per molto meno', si ritrovò a pensare, Costanza. Tuttavia, il suo sguardo si illuminò di una leggera sorpresa, al gesto dell'uomo, che, a prima vista, sembrava tutto fuorchè elegante.
I due si fissarono negli occhi per alcuni istanti ma furono interrotti da Limier, che si era messo a ringhiare contro Zoroastro, quasi pronto a mordere, e da Elettra che, immersa in una delle sue solite brillanti idee, rovesciò l'intero contenuto del borsone a terra.
Zo si mise a debita distanza da quell'enorme cane e si girò verso l'amica, mordendosi la lingua per evitare di imprecare davanti a Costanza, intenta ad accarezzare la testa del proprio cane per rabbonirlo. 
"Elettra, si può sapere cosa stai facendo?"
Lei era troppo intenta a frugare tra le ossa, per ascoltarlo.
Il moro sbuffò, tornando a guardare la ragazza da poco conosciuta, che osservava curiosa e contrariata la bionda. "Non farci caso, fa sempre così"
"Zo, ti ricordi che mi devi venti fiorini?", chiese Elettra, cercando qualcosa tra quel mucchio di ossa.
Zoroastro fece una strana faccia, fingendo di non ricordarsi.
"Non importa", ribattè, "Prendo un osso e siamo pari"
"Cosa devi farci con un oss...", il moro si bloccò, intento a pensare. "No, anzi, non voglio sapere cosa ci farai". Quando si parlava di lei o di Leonardo, era saggia cosa non fare domande.
Elettra rimise tutto nel borsone, eccezion fatta per quello che aveva tutta l'aria di essere un omero. Sorrise, soddisfatta di sè stessa.
"Limier, guarda un po' cosa ho qui", disse, fischiando ed agitando l'osso per aria. 
Il cane la guardò con sufficienza, ma allo stesso tempo con interesse annusando l'aria.
"Guarda che non riuscirai a comprare così il mio cane", ribattè Costanza.
"Tu dici?", chiese sarcastica Elettra. Lanciò l'osso, che Limier guardò con vivo interesse. Ma fu solo quando Costanza fece un gesto con la mano, che il mastico corse a prendere l'osso.
La francese lo osservò, mentre con felice voracità mordeva il nuovo giocattolo. "E' un osso finto, vero?"
Sia Zoroastro che Elettra scoppiarono a ridere. "Preso dal cimitero dei poveri giusto la notte scorsa", ribattè il moro divertito.
Costanza lo osservò, allibita e disgustata allo stesso tempo. "Siete proprio senza rispetto!"
"Tanto ai morti non servono più, o no?", commentò la bionda.
"Anche tu?!...Anche tu lo aiuti?"
"Certo", disse lei sorridendo, "Se non ho nient'altro da fare, do una mano anche io"
Li guardò entrambi e poi portò gli occhi al cielo, sospirando. "Siete degli eretici..."
"Eretici liberi pensatori per l'esattezza", la corresse Elettra, divertita. Il suo sguardo, però, si fece quasi immediatamente serio, mentre scrutava l'amica. "Aspetta...", disse tornando nuovamente a ridere, "Non vorrai dirmi che tu credi davvero in..."
"Non è che non ci credo, il punto è che bisogna portare rispetto per i morti!", fu la risposta immediata dell'amica.
"Ti facevo meno ingenua". Elettra le si avvicinò, dandole un'amichevole pacca sulla spalla, "Ma stando a Firenze vedrai che cambierai idea". Le fece l'occhiolino.
Costanza alzò gli occhi al cielo, rendendosi conto che era inutile darle corda: tanto avrebbero comunque discusso, finchè Elettra non avrebbe voluto aver ragione a tutti i costi, esattamente come quando erano bambine.
Dopo alcuni istanti di silenzio, Elettra decise di parlare nuovamente: "Adesso andiamo a palazzo, che siamo già in notevole ritardo", si voltò verso Zoroastro, "Vuoi venire anche tu? Ci saranno anche Leo e Nico"
Il moro le sorrise. "E perdermi tu che posi per Leonardo? Neanche morto"
 
***

"Sei in ritardo", disse Leonardo, quando Elettra, seguita da Zoroastro, Costanza e Limier entrò nel proprio studio, a Palazzo della Signoria. "Su, forza! Spogliati che ho un dipinto da finire". Il geniale artista era talmente concentrato a mettere fretta alla bionda, che non si accorse neanche della novità. 
"Perchè indossi ancora un paio di pantaloni?", le chiese.
"Oggi Clarice e Lorenzo non sono a palazzo, quindi nessuno commenterà il fatto che indosso dei pantaloni e non una gonna e un corsetto"
"La mia domanda non era quella, era un 'perchè non hai ancora tolto i pantaloni?'"
Elettra sbuffò, mentre si spogliava.
Nel frattempo Zo si mise a tossicchiare, nel tentativo di far notare a Leonardo i nuovi arrivati.
"Amico mio, dovresti andare a farti visitare da un cerusico", fece notare l'artista, intento a sistemare i propri strumenti su di un basso tavolino.
Nico scosse la testa, mentre rivolgeva un timido saluto con la mano a Costanza e uno sguardo di timore alla figura del cane, che si annusava intorno sospettoso.
Zoroastro le fece l'occhiolino, continuando sulla sua strada. "Leonardo, non noti niente di strano in questa stanza?"
Leonardo alzò finalmente la testa, visualizzando prima il grosso cane, poi incrociando lo sguardo con quello di Costanza, ancora parecchio contrariata dalla totale mancanza di pudore dell'amica che, in quel momento, li osservava con un sorriso tra le labbra e con in mano un sottile lenzuolo che la copriva a malapena.
"E voi, madonna, sareste...?", Da Vinci era una persona socievole, ma gli dava parecchio fastidio avere un pubblico che lo osservava mentre dipingeva.
Elettra si avvicinò al gruppo. "Lei è Costanza, una mia cara amica d'infanzia e questo è Limier, il suo cane da guardia. Mentre loro, amica mia, sono Leonardo Da Vinci e Niccolò Machiavelli".
Prima di poter aggiungere altro, l'attenzione di tutti si rivolse al grosso mastino che aveva cominciato a girare per tutto lo studio, annusando e ringhiando piano. Con un leggero richiamo, Costanza lo fece tornare accanto a loro.

Una volta terminate le presentazioni, Leonardo si mise all'opera, ritraendo Elettra nelle 'vesti' (si fa per dire) della Venere Pudica.
"Posso sapere perchè devo farti io da modella e non Vanessa?", la bionda non aveva molta pazienza, quando si parlava di restare immobili per ore. E ne era passata appena una.
"Perchè Vanessa non mi deve un favore, al contrario di te", le fece notare Leonardo.
Elettra sbuffò, facendo ridere Costanza che, dopo lo shock iniziale, cominciava ad abituarsi a quella banda di folli.
"Riario è già arrivato?", chiese la bionda, cambiando drasticamente discorso.
"Confido che sarà da noi al più presto", rispose Leo, trattenendo a stento le risate. Insieme con Elettra non perdeva mai l'occasione per lanciargli frecciatine.
Ironia della sorte, si sentirono dei passi nel corridoio.
"Parli del diavolo e... Prego Conte, entrate pure", disse Elettra, con un fare che a Costanza sembrò troppo da civetta.
Riario non aveva fatto neanche in tempo a bussare ma, in fondo, sapeva che lei lo stava aspettando. Osservò contrariato la scenetta che gli si parò davanti, con Elettra ricoperta a malapena da un sottile panneggio, intenta a farsi ritrarre dall'artista. 
D'altro canto, sia lei che Da Vinci lo guardarono con un largo sorriso innocente, per nulla intimoriti dalla figura minacciosa del Conte. Non si poteva dire lo stesso di Nico, la cui agitazione era palpabile.
Riario estrasse da sotto la giacca una busta: l'invito per il ballo in maschera che si sarebbe tenuto di lì a qualche giorno.
Elettra e Leonardo si guardarono, sempre più divertiti.
"Posso sapere, di grazia, perchè sul mio invito al ballo è scritto che, per essere ammesso alla festa, dovrei indossare, citando queste esatte parole, 'un costume che non sia da beccamorto, come vostra abitudine'?"
I due amici si guardarono, scoppiando a ridere.
Il Conte, esasperato dal loro comportamento infantile, alzò gli occhi al cielo. Prese un profondo sospiro, convincendosi di essere superiore a quegli scherzi infantili. "Elettra, posso parlare con voi in privato?"
"Un attimo", rispose lei, porgendo il panneggio a Leonardo e correndo all'armadio, cercando la propria camicia. Fece l'occhiolino all'artista, mentre usciva dallo studio insieme a Riario.
Costanza osservò molto attentamente il Conte: non le era di certo passato inosservato l'impercettibile innervosirsi di Girolamo, alla vista e all'abbaiare minaccioso di Limier; credeva di sapere il perchè, ma comunque avrebbe chiesto conferma ad Elettra che, volente o nolente -più nolente che volente, in realtà-, le avrebbe dovuto dire assolutamente la verità.
Appena la porta si chiuse alle spalle dei due, vide Leonardo e Nico correre alla porta, per origliare il loro discorso.
"Siete finita in una gabbia di matti, mademoiselle", disse Zoroastro, piombandole improvvisamente alle spalle.
Costanza sussultò. "Ho notato", commentò, cercando di rimanere distaccata. Quell'uomo non era decisamente un buon soggetto.
"E così voi venite dalla Francia". Mentre lo diceva, Zo si sedette sulla scrivania di Elettra. 
"Già". La ragazza si era imposta di rispondergli a monosillabi. Magari si sarebbe scocciato e l'avrebbe lasciata in pace.
"Mi dispiace molto, ma purtroppo non ho aneddoti divertenti sulla vostra terra d'origine, da raccontarvi". Il moro sembrava sinceramente dispiaciuto, di questo. "Quali altri luoghi avete avuto l'onore di visitare?", le chiese. "Chissà, magari con il prossimo sarò più fortunato"
Forse sarà stato il suo sorriso adulatorio, o la sua caparbietà, o il semplice fatto che non avesse niente di meglio da fare, in quel momento, ma Costanza decise finalmente di abbandonare la posizione sulla difensiva che aveva assunto fin dal primo istante, al mercato, e di dargli un po' corda. "Prima di trasferirmi in Francia ho vissuto anche qualche anno a Pisa"
"Pisa", commentò il moro, "Che bella città". Ci pensò un po' sù, mentre il suo sorriso si illuminava. "Su Pisa ho proprio un divertente aneddoto da raccontarvi"
"Prego, parlate pure"
"Elettra vi ha raccontato di aver alloggiato una notte nelle  lussuose prigioni pisane?"
"Oh cielo, cosa potrà mai aver combinato?"
"Per una volta, posso rassicurarvi che si stava comportando da adulta. Peccato che la milizia cittadina l'abbia confusa con una ricercata"
Costanza guardò Zoroastro negli occhi ed entrambi scoppiarono a ridere.
"Ha passato l'intera notte in una stretta cella insieme ad un gruppo di loquaci prostitute e il giorno dopo è dovuto arrivare Gentile Becchi, per chiarire il malinteso e liberarla"
La ragazza aveva le lacrime agli occhi dal ridere. "Certo che voi sapete proprio come far ridere una donna", commentò, quando si fu ripresa da quell'improvviso attacco di spensieratezza. Erano anni che non si sentiva più così...libera e leggera, senza costrizioni; ora riusciva davvero a capire come mai Elettra fosse così affezionata a quelle persone.
"Non fatevi nessun problema a darmi de tu", disse Zo.
Costanza inizialmente parve imbarazzata. "Anche voi... volevo dire, anche tu, dammi pure del tu". Per qualche strano motivo, le sue guance si colorarono di un rosso acceso.
Anche Zoroastro, voltò per un attimo il volto, imbarazzato da, non sapeva neanche lui, cosa.
"Zoroastro, cosa stanno facendo quei due, alla porta?", chiese Costanza, dopo alcuni secondi di silenzio. Non riuscendo a guardare Zo negli occhi, si era lasciata distrarre dallo strano comportamento di Nico e Leo.
"Questa è una delle poche volte in cui posso risponderti con certezza: stanno tenendo il tempo"
"Tenendo il tempo?", chiese lei, confusa e curiosa. 
Zo ridacchiò sotto ai baffi. "Controllano quanto tempo Elettra impiegherà per far scappare Riario a gambe levate. Credo che ci sia una specie di record, da battere. Ma osservando Leonardo, deduco che non ce l'abbia fatta"
Costanza stava per dire qualcosa, quando sentì la voce del Conte, dall'altra parte della porta, alzarsi.
"Voi e l'artista siete proprio infantili e petulanti!"
Subito dopo si udirono dei pesanti passi allontanarsi sempre di più.
Alcuni secondi più tardi, Elettra rientrò. Chiuse la porta alle proprie spalle e scoppiò a ridere, lasciandosi scivolare sul pavimento, con la schiena appoggiata al muro.
Leonardo le fu subito accanto. "Non hai battuto il tuo record, però è stato davvero esilarante", disse tra una risata e l'altra.
"Quindi stasera tutti al Cane Abbaiante a festeggiare", propose la ragazza.

Quando tutto si fu calmato, Elettra e Leonardo tornarono a fare quello che stavano facendo prima dell'interruzione di Riario.
Durante una pausa, Costanza le si avvicinò, per farle quell'attesissima domanda, sfruttando un momento di momentanea distrazione degli altri tre.
"Quell'uomo aveva lo stesso tono di voce del gatto di ieri sera", commentò, fingendosi vaga,  ma con un tono che faceva intendere molte cose.
Non le servì una risposta a voce, per confermare le sue ipotesi, le bastò osservare il diffuso rossore che aveva fatto la sua comparsa sul volto solitamente pallido dell'amica.
 
***
 
Quella sera...

Il Cane Abbaiante aveva già una pessima fama quando Costanza era bambina ma, a vederlo in quel momento, l'unica cosa che le riuscì di pensare era che fosse decisamente peggiore di quanto avesse mai immaginato. Ma stranamente lo trovò nostalgicamente bello.
Però si sentiva a disagio. E questo non era solo dovuto al non indossare un corsetto, come era sua abitudine fare, sopra ai pantaloni, ma una semplice giacca, o di aver lasciato Limier a casa di Elettra...forse era proprio quell'ambiente a non convincerla troppo. Che gli sfarzi dell'alta società francese l'avessero fatta diventare troppo simile a quelle dame impettite che vedeva ai balli? Se fosse stato davvero così, pensò con una smorfia, allora avrebbe dovuto cercare di purificarsi al più presto.
Elettra, in arrivo con un pesante vassoio tra le mani, l'allontanò dai propri pensieri.
"Ecco qui il tuo sidro", disse all'amica, porgendole un grosso boccale.
Costanza la guardò con gli occhi sgranati: le aveva detto si e no mezzo bicchiere, non una botte intera. Ci teneva troppo alla propria salute, per rovinarsi il fegato ad alcol ma, ripensandoci, aveva avuto giò qualche esperienza con l'alcol e, come diceva Elettra, per una nuova vita, bisogna crearsi nuove abitudini, no?
Elettra passò una brocca d'acqua -che in realtà non si trattava per niente d'acqua- a Nico e poi diede diede due calici a Zo e Leo, tenendo il terzo per sè. Tra le mani aveva una strana bottiglia.
"Ehm... da dove arrivano questi?", chiese Zoroastro, indicandole i tre calici.
"Sinceramente, neanche io pensavo che al Cane Abbaiante avessero dei calici ma mi è bastato frugare un po' nel ripostiglio, pre trovarli"
"E a cosa dobbiamo l'onore?"
"Non possiamo di certo bere dello champagne nei boccali da birra!", fu la pronta risposta della bionda.
Dopo aver stappato la bottiglia -facendo finire il tappo nel boccale di birra di un tizio che si trovava qualche tavolo più in là- la ragazza alzò in alto il proprio calice, seguita a ruota da tutti gli altri. "A Costanza e alla Francia, patria da cui tutti scappano a gambe levate"
I bicchieri tintinnarono tra loro. 
Nico avvicinò il proprio bicchiere alle labbra, non notando la faccia divertita di Elettra che lo osservava attentamente. Appena ebbe bevuto il primo sorso, si accorse che quella non era acqua; istintivamente sputò tutto per terra. "Ma che...?"
Scoppiarono tutti a ridere.
"Elettra, si può sapere che cosa mi hai messo nel bicchiere?"
La ragazza gli diede una pacca sulla spalla. "E' solo un po' di vodka. In Russia mi hanno raccontato che la bevono al posto dell'acqua. Volevo vedere se era possibile farlo anche qui...", rispose con un tono di voce il più innocente possibile.
"Ma è alcolica!", protestò Nico.
"Sarà appena sopra i 40°", tentò di giustificarsi lei; come se quel tasso alcolico fosse basso...
Zoroastro e Leonardo avevano le lacrime agli occhi dal ridere e anche Costanza, con sorpresa di tutti, si lasciò andare ad una risata di puro divertimento.

Parlarono ancora un po' del più e del meno e Leonardo, Zoroastro ed Elettra raccontarono a Costanza di qualcuna delle loro ultime avventure, facendola ridere di gusto.
Ad un certo punto Leonardo si alzò dal tavolo, in cerca di qualche nuovo guaio in cui andare a cacciarsi; Nico lo seguì prontamente, per controllarle che non si cacciasse Veramente il qualche guaio.
Elettra osservò Giuliano e Vanessa, seduti al bancone, che si scambiavano qualche tenera parola. "Vado a fare il terzo incomodo", disse alzandosi anche lei.
Zoroastro e Costanza restarono soli.
"Pensi ancora che io sia un pessimo soggetto?", le chiese, divertito.
La ragazza arrossì, chiedendosi come avesse fatto a notarlo, quella mattina. "Sto cambiando idea"
Il moro le sorrise, soddisfatto di sè stesso.
"Almeno ho potuto vedere che con le persone a cui tieni davvero ti comporti bene". Pensò ad Elettra e al fatto di quanto fosse fortunata, ad avere degli amici che avrebbero fatto qualsiasi cosa per lei. L'amica si era trovata una nuova famiglia.
Famiglia.
Lei non ne aveva più una, da molto tempo. Si sentì improvvisamente sola.
"Che ti succede?", le chiese dolcemente Zoroastro, notando i suoi occhi, che stavano divenendo lucidi.
"Siete talmente uniti, voi quattro, da sembrare come una famiglia", disse lei, malinconica.
Zo le sorrise, pensando che lei aveva pienamente ragione. 
Improvvisamente, gli venne il dubbio che lei, una famiglia, non ce l'avesse. Elettra gli aveva detto che l'amica era fuggita dalla Francia, ma non gli aveva spiegato il motivo. "E la tua, di famiglia, dove si trova?"
Costanza lo guardò, indecisa se parlare o ignorarlo. Una parte di lei però sentiva di potersi confidare con lui. "Mia madre è morta quando avevo otto anni, mio fratello e mia sorella se ne sono andati alcuni anni fa e mio padre... beh, non so se potrei definirlo esattamente tale". Una lacrima solitaria le solcò una guancia. 
Zoroastro le si avvicinò, prendendo una sua mano tra le sue. "Allora non sei poi così diversa da noi: veniamo tutti da famiglia disastrate. Guarda me: sono il figlio bastardo di un nobile di cui mia madre non ricorda neanche il nome, o forse non la sa neanche lei", disse amaramente. "Suo marito mi picchiava e quindi, appena ho potuto me ne sono andata e sono cresciuto per la strada". Era pochissime le persone a cui aveva parlato direttamente del proprio passato. Le indicò Leonardo e Nico, intenti a giocare a dadi con dei soggetti dalla faccia tutt'altro che raccomandabile, qualche tavolo più in là. "Leonardo è il figlio bastardo del notaio dei Medici: non lo ha mai degnato di uno sguardo e sua madre l'ha abbandonato a sei mesi. Nico invece ha lasciato la sua famiglia quando sul padre ha provato ad obbligarlo a diventare notaio".
Cercò con lo sguardo Elettra, intenta a ridere di gusto insieme a Giuliano e Vanessa. "Ed Elettra...immagino che lo sappia anche tu: ha visto sua sorella e sua madre essere aggredite da una banda di briganti, suo padre è in mare e non ha nessuna intenzione di accettare quello che è successo eppure...guardala in questo momento". Zoroastro guardò Costanza negli occhi. "Certe ferite non se ne vanno mai, sono sempre lì in agguato, ma si sopravvive e si va avanti; se pensi di essere l'unica al mondo a sentirsi sola, ti sbagli di grosso: noi ci facciamo forza a vicenda compensando il nostro vuoto con l'amicizia. Dovresti provare anche tu, potresti scoprire che non siamo così male come pensi"
La vide sorridere teneramente e quel gesto così spontaneo gli fece molto piacere. Avvicinò il proprio viso al suo. "Folli sì, questo te lo concedo, ma di ottima compagnia: con noi non potrai mai dire che ti annoi"
Stava per avvicinarsi ancora di più, quando Elettra arrivò.
Costanza, con le guance in fiamme, si allontanò velocemente da Zo.
La bionda guardò il moro con uno sguardo per niente contento. "Devo andare a palazzo... a prendere una cosa"
'Come no', pensò Costanza. Prima di quel giorno, non avrebbe mai immaginato che l'amica avesse mai avuto un amante; aveva pensato che, almeno da quel lato, avrebbe aspettato il matrimonio. Si sforzò di immaginare Elettra e la parola 'matrimonio', insieme. Scosse la testa: in effetti era molto più sensato l'amante, che non il matrimonio, visto il suo carattere da libertina. Distrattamente, si chiese come sarebbe potuta essere lei, se fosse restata a Firenze, e la risposta le arrivò da sola: se non fosse stata educata ad essere una lady con la forza, probabilmente sarebbe stata...diversa, forse simile ad Elettra.
"Certo", le disse prontamente Zo. "Se vuoi posso accompagnare io Costanza a casa, più tardi"
"Grazie, era proprio quello che volevo chiederti". Elettra guardò il moro negli occhi con un'espressione troppo seria, per lei. "Per favore, fallo prima del coprifuoco: non mi va di dovervi venire a recuperare entrambi al Bargello. E...", schioccò le dita, per attirare nuovamente l'attenzione di Zoroastro, che si era messo a ridacchiare, "Zo, ricordati: guardare ma non toccare"
Il moro le sorrise. "Osi dubitare del mio onore?"
Elettra lo osservò e annuì. "Le conseguenze potrebbero essere spiacevoli", gli disse in tono intimidatorio, ma velato di ironia.
"Tu passi troppo tempo con Riario!", commentò Zoroastro divertito.
"Può darsi", ribattè lei con aria vaga. Gli voltò le spalle, per non permettergli di vedere l'anomalo colore che avevano assunto le sue guance. "Buonanotte", li salutò entrambi, dirigendosi alla porta.
Costanza guardò Zo, un po' confusa: non era riuscita a comprendere pienamente il discorso tra lui ed Elettra. 
Il moro si limitò a farle spallucce.
 
***
 
Alcune ore più tardi...

La campana del coprifuoco avrebbe suonato a momenti e, per una volta, Zoroastro aveva deciso di ascoltare il consiglio di Elettra: insieme a Costanza, si trovavano proprio davanti a casa dell'amica.
La ragazza aveva un sorriso imbarazzato, che celava con fatica la radiosità, mentre osservava la propria mano, intrecciata a quella di Zo. 
Erano usciti quasi subito, dall'osteria e il moro l'aveva portata a fare un giro lungo le rive  dell'Arno. Avevano riso e scherzato e, per Costanza, era stato come se fosse tornata bambina quando, mano per la mano con sua madre e i suoi fratelli, passeggiava per quelle stesse vie.
Quando una folata di vento gelido li colpì in pieno, Costanza si strinse istintivamente contro il braccio di Zo, quasi a voler cercare il suo calore. Allora lui, dopo essersi liberato delicatamente dalla sua presa, le aveva avvolto il proprio braccio intorno alle spalle tirandola ancora di più a sè.
Ora si trovavano là, entrambi, a guardare il cancello della casa di Elettra, pensierosi.
"Sarà meglio che io rientri", disse timidamente Costanza, indecisa sul da farsi. Si staccò da lui e, per niente convinta, poggiò timidamente una mano sul freddo ferro del cancello.
"Si...", mormorò Zo, "Nessuno vorrebbe far arrabbiare Elettra, non è un bello spettacolo, vederla perdere le staffe". C'era anche molta ironia, nelle sue parole.
La ragazza distese le labbra in un sorriso divertito. "Allora...buonanotte", allungò una mano, "E' stato un piacere conoscerti, Zo"
"Anche per me", disse lui, stringendogliela in un gesto che gli appariva così ufficiale e che gli sembrava stonare, con l'intimità che si era creata tra loro.
Osservò le loro mani, rendendosi conto che non era assolutamente così, che intendeva salutarla. "Elettra, per una volta vai a quel paese anche tu", borbottò tra sè e sè.
Prima che Costanza gli potesse chiedere di cosa stava parlando, la tirò verso di sè e la baciò


Nda
Si, sono ancora qui.
Qui di seguito c'è una piccola parte di storia che sarebbe dovuta essere la parte d'apertura ma poi ho avuto un'idea che mi sembrava un po' più misteriosa e l'ho accantonata. Ma era davvero un peccato cancellarla...quindi, buona lettura ;)


Parte alternativa

Un colpo alla porta ruppe il pesante silenzio della notte, portando Elettra ad uscire dal proprio mondo dei sogni. Aprì pigramente un occhio, chiedendosi se era stato un rumore reale o se era solo la sua immaginazione.
Optò per la seconda ipotesi.
Si strinse ancora di più nel pesante piumone, cercando inconsciamente il calore prodotto dal corpo di Girolamo, abbracciato al suo. 
Un secondo colpo.
Questa volta Elettra lo sentì distintamente.  Fece per muoversi, ma il braccio che Girolamo le teneva intorno alla vita, si strinse ancora di più. "Ignorali, prima o poi se ne andranno", le sussurrò ad orecchio, con la voce ancora impastata dal sonno. Se Girolamo Riario si trovava ancora avvolto nelle coperte e non davanti alla porta d'entrata con lo stiletto fra le dita, allora non era nessuno con cattive intenzioni.
Un terzo colpo, molto più forte. Se chiunque ci fosse stato dall'altra parte della porta avesse continuato, l'avrebbe di certo abbattuta.
Elettra doveva sbrigarsi ad alzarsi: la sua porta in legno di rovere, non avrebbe resistito ad un altro colpo. Lentamente, sgusciò via dallo stretto abbraccio di Girolamo che, nel dormiveglia, borbottò qualcosa di incomprensibile, prima di rimettersi comodo tra le coperte. 
Elettra rabbrividì, quando sentì il freddo sulla pelle: il camino si era spento già da un po' e fuori diluviava. Cercò a tentoni la propria camicia, o qualsiasi altro indumento indossasse prima che Girolamo facesse irruzione a casa sua, a sorpresa. Si ricordò che probabilmente l'aveva persa sulle scale, tra il piano terra e il primo piano. 
Notò che però la camicia di Girolamo si trovava sul pavimento, appallottolata. La raccolse e la indossò: era decisamente troppo grande per lei, ma per le emergenze poteva anche andare.
Scese velocemente le scale. Chiunque ci fosse, fuori dalla soglia di casa propria, stava prendendo la porta a pugni.
"Chi c'è?", chiese, stringendosi ancora di più nella sottile camicia di lino di Girolamo. Al pian terreno, faceva ancora più freddo che in camera sua.
"Elettra, sei tu?". Era una voce femminile. Alla ragazza parve famigliare, ma non riusciva a collegarla ad una faccia e a un nome.
Pensando al freddo che doveva fare, fuori e all'acqua che scrosciava senza interruzioni o accenni a diminuire, prese le chiavi e le inserì nella serratura.



   
 
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