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Autore: Adeia Di Elferas    08/01/2016    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ Caterina Sforza stava rileggendo alcune risposte appena ricevute. Aveva cominciato a intrattenere sempre più strette corrispondenze con alcuni alchimisti e alcuni scienziati di una certa fama e ogni volta che riceveva qualche lettera scritta di loro pugno, non riusciva a resistere: si chiudeva nella sua camera e vagliava attentamente ogni singola parola.
 Quel giorno, mentre fuori dal palazzo la primavera faticava a farsi strada tra le rigide temperature invernali, la giovane desiderava più di ogni altra cosa poter occupare la mente con quelle frasi grondanti di passione scientifica e di dubbi metafisici.
 Dopo essersi appuntata alcuni quesiti posti da uno degli alchimisti che le aveva scritto, Caterina lasciò i fogli sulla piccola scrivania e fece un respiro molto profondo. Era inutile. Per quanto cercasse di impegnarsi la mente, non riusciva a rimuginare sulle solite tre o quattro cose.
 In primis, ancora non riusciva a perdonare Girolamo per la magra figura che avevano fatto alla messa di Pasqua. Vestiti poco e male, senza gioielli, attorniati da consiglieri i cui soli calzari costavano più che tutti i loro abiti messi insieme. E poi – e per quello doveva incolpare anche se stessa – avevano dato un pessimo spettacolo. Non avevano sorriso nemmeno una volta, quasi fossero a un funerale. Non si erano mai parlati, né si erano sforzati troppo per essere affabili coi cittadini che avevano voluto incontrarli dopo la funzione.
 Se non voleva facilitare un'insurrezione popolare, Caterina avrebbe dovuto sforzarsi di apparire più in sintonia con il marito, almeno davanti ai forlivesi.
 In secundis, e la cosa era ben collegata alla prima, suo zio Ludovico le aveva scritto personalmente per invogliarla a 'tornare in armonia con vostro marito, ritrovando l'amore che vi legava all'inizio in un matrimonio lieto e felice'. Mai furono scelte parole meno appropriate per descrivere il matrimonio di Caterina.
 Oltre a questo andavano ad aggiungersi le notizie che le erano giunte da Roma. A quel che si sapeva, Paolo Orsini e Virginio Orsini, convinti che il papa fosse gravemente ammalato, gli si erano rivoltati contro poco dopo essersi messi al suo servizio. Avevano cercato di prendere Porta del Popolo, ma avevano finito per doversi accontentare di Ponte Mollo, Salario e Nomentano. Alla fine si erano ritirati in fretta e furia, appena avevano scoperto che Innocenzo VIII si era ripreso alla perfezione.
 Caterina non aveva creduto possibile che quei due uomini, che tanto aveva stimato, avessero osato inchinarsi davanti al Santo Padre, per poi tradirlo così in fretta e in modo così avventato.
 Ma in fondo, non avevano forse abbandonato anche lei, a Castel Sant'Angelo, dopo averle giurato fedeltà?
 A chiudere questa orribile serie di pensieri, c'era quello che più le pesava, quello più opprimente di tutti.
 Forse era presto per esserne certa, ma in quel finire d'aprile, Caterina era pressoché sicura di aspettare di nuovo un figlio.

 “A settembre, il dieci, per essere precisi, allora.” disse Lorenzo Medici, sorridendo a Jacopo Salviati: “Mia figlia sarà sicuramente felice di sapere che abbiamo trovato una data per il matrimonio.”
 Il ventiquatrenne che gli stava davanti appariva fuori di sé dalla gioia. Lorenzo, che di anni ne aveva già trentasei, lo squadrava con soddisfazione.
 Un genero come lui era tutto quello che poteva desiderare. Era molto ricco, di famiglia rispettabile e rispettata, di aspetto gradevole e apparentemente animato non solo da sete di potere.
 Sua figlia Lucrezia non gli aveva mai detto apertamente cosa ne pensasse dell'uomo che era stato scelto per diventare suo marito, ma Lorenzo era ottimista. Il modo in cui si guardavano, di tanto in tanto, quando per caso si incrociavano, il tono di voce impacciato con cui si scambiavano i saluti di rito nelle occasioni ufficiali... Sì, c'erano tutti gli ingredienti per un matrimonio riuscito.
 Jacopo Salviati, dopo alcune brevi frasi, si congedò, per andare a informare la famiglia del fatto che i dettagli erano stati confermati una volta di più.
 Lorenzo lo salutò con calore, ma appena fu di nuovo solo, un'ombra gli oscurò il volto. Se una figlia, la sua primogenita, aveva di fronte la prospettiva un matrimonio dalle buone aspettative, un'altra, Maddalena, pareva non poter avere un simile destino.
 Il figlio del papa, a quello che spie riferivano, amava la vita dissoluta ed era un violento. Per giorni Lorenzo si era rotto la testa a furia di pensare a un'alternativa altrettanto valida, ma alla fine si era convinto che non ce n'erano e si era rassegnato all'inevitabile. La ragione di Stato sapeva essere più spietata del più crudele dei sicari.
 Con un sospiro pensò alla sua povera figlia e si chiese quante altre giovani ogni giorno nel mondo dovevano subire simili ingiustizie.

 “Ti ricordo – disse Caterina, riappoggiando il calice al tavolo – che il dodici giugno si festeggia il Corpus Domini. Voglio sperare che almeno questa volta ci andremo abbigliati in modo consono.”
 Quel giorno Caterina aveva insistito per partecipare alla riunione con il Consiglio degli Anziani e coi consiglieri di Girolamo.
 Si era arrivati alla necessità di chiamare tutti quanti a causa dei tremendi buchi in bilancio che si erano venuti a creare.
 Girolamo, ben lungi dal voler allontanare la moglie dagli affari di Stato, anzi, sperando che finalmente lei riprendesse in mano le redini di ogni cosa, l'aveva scortata personalmente nella sala prima che arrivassero gli altri.
 Erano ancora soli, quando Caterina aveva mosso quell'implicita accusa.
 Girolamo si innervosì immediatamente, cominciando a stringere i pugni sul tavolo e digrignare i denti: “Fatti prestare i vestiti da qualcuna delle tue amiche. Se scrivi a qualche città che non ci odia, ti presteranno quello che ti serve.”
 “Di riscattare i gioielli nemmeno l'idea, immagino.” disse Caterina, gelida.
 Girolamo accennò una risata secca: “Pensi ancora ai gioielli? Ma ti rendi conto che se non troviamo una soluzione i gioielli ci serviranno solo per portarceli nella tomba?”
 Caterina guardò di traverso quell'uomo che tanto era terrorizzato dal pensiero della morte: “Tu vedi di rendere sfarzosa la festa del Corpus Domini, se non vuoi che tutt'Italia ci rida dietro. Se per farlo dovrai chiedere indietro i soldi che hai prestato agli Orsi, meglio ancora.”
 “Non essere ridicola – fece Girolamo, asciugandosi gli angoli della bocca col dorso della mano – al massimo metterò delle nuove glabelle, come suggerisce Menghi.”
 Caterina sbuffò: “Certo, così la rivolta scoppierà davvero e dovremo ritirarci a Imola.”
 Girolamo sogghignò: “Lo dici come se l'idea ti dispiacesse.”
 Caterina non ebbe il tempo di ribattere, perchè proprio in quell'istante erano entrati i primi membri del Consiglio degli Anziani, Nicolò Pansecco e Andrea da Chilino.

 Chiara Sforza sorrideva affabile a Pietro Dal Verme, che negli ultimi giorni aveva smesso di guardarla come fosse stata un'orribile punizione e non una bellissima giovane.
 Stavano cenando nella sala dei banchetti, assieme ad alcuni ospiti di basso rango che però a Pietro stavano molto simpatici, tanto da far sì che a loro andassero le stanze migliori del castello.
 L'inizio stentato della primavera, in forte ritardo rispetto alle aspettative, aveva portato un certo entusiasmo tra i cacciatori e Pietro Dal Verme ne aveva subito approfittato per chiamare a sé alcuni conoscenti e amici.
 Chiara faceva del suo meglio per mostrarsi felice e lieta per tutto quel trambusto e in effetti in parte era davvero sollevata da quella piccola folla.
 Non le piacevano i modi rozzi di alcuni di loro e certi indossavano abiti vetusti e incrostati dagli anni, ma almeno erano un diversivo.
 Aveva sentito dire che sua sorella Caterina, a Forlì, amava mescolarsi con la gente del posto, aggirarsi per la città, fino nei quartieri più poveri, e pure che non aveva alcuna paura nemmeno di fronte ai criminali più noti.
 Ricordava poco i momenti passati assieme quando erano bambine. Se Caterina era nel cortile d'addestramento coi loro fratelli, Chiara era con una delle sue madri, a leggere o, più spesso, a ricamare.
 Non aveva mai condiviso appieno lo stile di vita spericolato di sua sorella, però per lei aveva sempre nutrito un profondo affetto. L'aveva anche ammirata, quando aveva sentito delle sue gesta a Roma, per quanto l'avesse ritenuta sventata come da bambina.
 Pietro stava ridendo con forza a una battuta di un convitato e Chiara si accodò alla risata, senza nemmeno chiedersi il perchè.
 Le piaceva come la guardavano gli ospiti. C'era nei loro occhi un misto di invidia e benevolenza. La invidiavano perchè aveva sposato Dal Verme, ma l'apprezzavano per la sua bellezza, di cui doveva ringraziare solo sua madre Lucrezia.
 Mentre ancora rideva, fino a farsi venire le lacrime agli occhi, come suo marito, Chiara prese il braccio di Pietro e lui non si allontanò, come avrebbe fatto solo qualche mese prima.
 Chissà, forse, con molta pazienza, sarebbe riuscita a trovare con lui un punto di contatto, o forse lui avrebbe sempre pensato solo alla sua prima moglie, al suo grande amore, alla donna che lo aveva segnato per sempre. E la cosa più assurda era che quel fantasma, Cecilia Del Maino, era una sua parente, alla lunga. Anche la madre di Bianca Maria Visconti, sua nonna, era una Del Maino. Si chiamava Agnese Del Maino, nota come l'amante del Duca Filippo Maria Visconti...
 Mentre ancora stringeva il braccio del marito, Chiara cominciò a pregare in silenzio sua nonna Bianca Maria, se era davvero lì in spirito per ascoltare le sue accorate orazioni.
 Le chiese di darle la forza di compiere il suo dovere. Le chiese di renderla, almeno per una volta, coraggiosa com'era sempre stata lei. 

   
 
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