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Autore: Adeia Di Elferas    09/01/2016    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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 I fedeli e i curiosi stavano arrivando a frotte, non solo dai paesi vicini, ma da tutto il contado.
 In Forlì non si era mai vista tanta gente tutta assieme. Un mirabolante caleidoscopio di colori e odori riempiva le strade della città e sotto il sole caldo di quel dodici giugno tutti quanti desideravano solo fare festa e godersi lo spettacolo.
 Si era parlato molto, nelle settimane precedenti, di quell'evento. Si favoleggiava sulla grandiosa rappresentazione voluta dai Conti Riario e molti erano curiosi di vederli seduti sui loro scranni, soprattutto per indagare un succoso pettegolezzo.
 Da qualche giorno, infatti, si era sparsa la notizia che la Contessa aspettava il quinto figlio. Parecchi curiosi volevano accertare di persona quel fatto, sperando di scorgere già una certa prominenza nel suo ventre.
 Le donne di Forlì, che la conoscevano meglio, potevano ben dire che per il momento era impossibile capire con uno sguardo che la Contessa era in stato interessante, eppure anche loro, chissà perchè, fingevano di vedere chissà quali segni e si erano già impegnate parecchio nell'indovinare il genere del nascituro.
 Prima di lasciare il palazzo per raggiungere il fulcro della festa, Caterina e Girolamo avevano avuto una furente discussione proprio in merito alla gravidanza.
 La conferma ufficiale dello stato della Contessa era arrivato relativamente da poco e da più di un medico e quindi Girolamo si era subito infervorato, come ogni volta, pregandola di fare attenzione, di stare attenta, di riguardarsi. E come ogni volta Caterina non aveva sopportato le apparenti attenzioni del marito.
 Già non riusciva ad accettare il fatto di aspettare un altro figlio da lui e si malediceva per la sua fertilità, doverlo sentire anche sciorinare le sue frasi fatte da padre apprensivo rendeva il tutto davvero troppo pesante.
 Il litigio, poi, si era consumato non solo davanti agli occhi dei figli, che li avevano fissati attoniti e spaventati dai toni aspri con cui i due si erano insultati a vicenda, ma anche in presenza di Francesco Oliva, il micranioso ambasciatore di Milano, che passava le sue giornate a vergare resoconti dettagliati e inclementi per Ludovico Sforza.
 Tuttavia, conscia dell'importanza di quella giornata e della somma spesa dalla città per riuscire ad avere una festa del genere, non appena aveva varcato la soglia del palazzo, aveva assunto un'espressione raggiante e aveva addirittura concesso al marito di prenderla sottobraccio dinnanzi alla folla festante che aspettava solo loro.
 Il popolo ancora non sapeva quanto quella festa avrebbe pesato sulle loro tasche. Per quanto avesse cercato di convincere suo marito e i suoi consiglieri a non mettere nuove tasse né nuove glabelle, ma a ridurre gli sprechi e i costi inutili, era sicura che avrebbero fatto di testa loro, come sempre.
 I Conti si presentarono ai loro sudditi vestiti in modo dimesso, con abiti già indossati altre volte in occasioni ufficiali, ma quello che saltò agli occhi dei più, fu la quasi totale assenza di gioielli addosso alla Contessa. Qualcuno lo interpretò come segno di filiale rispetto nei confronti del Signore, altri cominciarono a farsi qualche domanda sulla solidità dei Riario.
 La Confraternita religiosa dei Battuti Neri aveva preparato ben diciannove edifici allegorici. Raffiguravano varie scene, tra cui i Trionfi. Per rendere la cosa ancora più grandiosa, i Battuti Neri avevano anche ingaggiato centinaia di figuranti e comparse, che riuscirono a fare un lavoro eccellente.
 Quella confraternita teneva particolarmente alla festa del Corpus Domini, tanto da averne nello stendardo il simbolo. Era stato facile pensare a loro, per l'organizzazione di una celebrazione così bella e grandiosa.
 Mentre le urla del popolo incitavano gli attori e inneggiavano alternativamente alla città, alla Madonna e di nuovo alla città, Caterina si trovò a fare uno strano pensiero.
 Quella confraternita veniva anche chiamata 'Della Morte', non perchè portasse abiti neri, ma perchè si occupava della sepoltura di stranieri, sconosciuti, criminali condannati a morte, insomma, di tutti quelli che non avevano nessuno.
 Fu un lampo, un pensiero involontario, o forse una specie di visione. Nella mente di Caterina si era fatta strada un'immagine che era allo stesso tempo inquietante e assurda. Vedeva quegli stessi uomini di nero vestiti, che ora le scorrevano davanti agli occhi, trasportare in giro per la città il corpo esanime di Girolamo, mentre una lunga stria di sangue imbrattava la terra battuta...
 “Caterina!” cominciò a gridare improvvisamente la folla, distogliendo la Contessa Riario dai suoi pensieri: “Caterina!”
 Volevano un segno della sua benevolenza e lei non si fece pregare. Mentre al suo fianco Girolamo se ne stava seduto, con un mezzo sorriso in bocca, ma gli occhi spaventati e attenti, come se temesse di venire attaccato da un momento all'altro, Caterina si alzò in piedi e, seguendo un'improvvisa ispirazione, si mescolò tra la folla, andando a festeggiare assieme al popolo di Forlì.
 
 “Sei ancora ubriaco!” rise Codronchi, dando una pacca sulla spalla di Melchiorre Zaccheo.
 Zaccheo scosse il capo, altrettanto divertito: “Assolutamente no!”
 Andrea Bernardi stava rasando il primo cliente della giornata ed era abbastanza infastidito dal vociare dei due che aspettavano.
 Anche se per lui era una bella pubblicità, avere nella sua bottega due pezzi grossi, non poteva reprimere l'antipatia spiccata che nutriva nei loro confronti.
 “Dai, hai bevuto per tutta la notte! Non sei messo meglio di quelli che stanno in strada a vomitare...” disse Codronchi, ghignando.
 Zaccheo, suo amico da oltre dieci anni, allargò le braccia e ammise: “E va bene, ho esagerato un po', come tutti del resto!”
 “Riario non ha quasi toccato vino!” lo contraddisse Codronchi.
 Il Novacula ascoltava con attenzione, fingendo di essere assorto nel suo lavoro. Voleva notizie fresche dal palazzo dei signori, voleva sapere ogni cosa...
 “Sì, ma solo perchè aveva paura che fosse avvelenato!” fece Zaccheo, cominciando a ridere in modo sguaiato e incontenibile.
 “Una volta o l'altra quella cagna glielo mette davvero, il veleno nel vino, parola mia!” ribattè Codronchi, echeggiando la risata dell'amico.
 Andrea Bernardi, che stimava la Contessa come nessun altro, dovette trattenersi dall'intromettersi nel discorso. Sapeva che parlavano di lei, ma se fosse intervenuto, avrebbe perso non solo due clienti, ma anche due ignari informatori.
 “Comunque dobbiamo farli allontanare, per un po'.” disse serio Codronchi, asciugandosi furtivamente una lacrima uscita per le troppe risate: “O non riusciremo mai a combinare nulla.”
 “Beh, prima o poi gli verrà voglia di tornare a visitare Imola, no?” fece Zaccheo, con un'alzata di spalle: “Basterà invogliare Riario a partire con un po' anticipo.”
 “Per quello che spetta a noi, basterebbe che a quel diavolo di donna prendesse un accidente...!” esclamò a voce bassa Codronchi, con il rancore di essere stato cacciato da Castel Sant'Angelo ancora vivo tra le sue parole.
 “Prego, lor signori, chi c'era per primo?” chiese Andrea Bernardi, ripulendo il rasoio nel grembiule, mentre il primo cliente usciva, massaggiandosi il volto con soddisfazione.

 'Alla festa del Corpus Domini i Conti indossavano abiti mesti e privi di ogni preziosismo. La Contessa non ha voluto chiedere, come a volte ha provato a fare, in prestito degli abiti dalla corte di Ferrare e come risultato ha dovuto indossare un abito decoroso, ma troppo modesto. Tuttavia l'aspetto estetico è il problema minore. Per quanto i Conti si siano mostrati lieti e armoniosi dinnanzi al popolo della città di Forlì – aveva scritto Francesco Oliva – posso per certo dirvi che i loro rapporti sono tutt'latro che distesi. Non fanno altro che azzuffarsi, ogni volta, immancabilmente. Da quando, poi, vostra nipote ha appreso di essere nuovamente in stato interessante, non perde occasione di aggredire il Conte Riario, senza motivo e senza logica. Non cerca di nascondere la sua ostilità nemmeno di fronte a eventuali ospiti e comincia a trattare anche me (e non solo, mio signore!) con sufficienza e arroganza. Se il comportamento di vostra nipote è da spiegarsi ancora coi fatti di Roma, bene, allora posso pure affermare che si tratta solo di una donna sciocca e ostinata, che non comprende la lungimiranza del Conte suo marito, che preferì salvarle la vita, sacrificando i propri beni!'
 Ludovico appoggiò un momento il foglio sul lenzuolo. Si stropicciò gli occhi, stanchi e assetati di luce. Quella maledetta candela stava per esaurirsi...
 Oliva dimostrava fin troppa benevolenza nei confronti di Riario. In fondo ora contava meno di un soldo bucato. Il suo unico pregio era stato essere il nipote del papa. Ora, a meno che suo cugino Giuliano Della Rovere non si dimostrasse in grado di prendere il posto del defunto zio, non meritava nemmeno l'aria che respirava.
 Certo che era strano che Caterina fosse di nuovo incinta. A sentire Oliva quei due erano peggio di cane e gatto, quindi era sorprendente che...
 Ludovico si accigliò, ripensando al temperamento di sua nipote. Non era una donna capace di fare fuoco e fiamme in litigi con un uomo e poi accettarlo come nulla fosse nelle proprie stanze. Ora che ci ragionava meglio, poteva ben immaginare in che modo fosse arrivata alla quinta gravidanza e per un momento provò una profonda pena per lei e per la sua infelicità.
 Al suo fianco Cecilia Gallerani sospirò nel sonno, si mosse un poco, ma non si svegliò.
 Ludovico si assicurò che stesse ancora dormendo, poi riaguzzò la vista e, avvicinando il più possibile la lettera alla candela tornò a leggere.
 'I Conti – proseguiva la lettera – non riescono più a nascondere i problemi finanziari che li affliggono. Da tempo ormai il Conte Riario ha dovuto rinunciare alla propria scorta personale, dovendosi accontentare delle guardie ordinarie. Ha dovuto anche congedare il maestro di corte, accettando di far ricoprire quel ruolo a un rozzo che fino a ieri faceva l'artigiano e perfino i pedagoghi dei poveri bambini dei Conte altro non sono che personaggi insulsi e sconosciuti, ben lontani dai precettori alla moda che questi piccoli meriterebbero. Tacciamo delle donne di cui si circonda la Contessa! Dame di compagnia prese a caso per le strade di Forlì, di estrazione sociale bassissima, a volte perfino donne strappate al malaffare!'
 Ludovico rise alle parole scandalizzate scritte da Oliva. Parlava come un chierichetto scandalizzato, senza capire che proprio quella mossa era un esempio di come Caterina riuscisse a mantenere il favore popolare che invece continuava a scivolare dalle dita di suo marito!
 'Chiudo questa mia con una richiesta diretta di vostra nipote. Ella sa bene che io sono in continuo contatto con voi quindi ha provato a convincermi a intercedere per lei. Per quanto tra noi non scorra buon sangue, ho deciso comunque di riferirvi la sua richiesta. Ella vi domanda il permesso di poter visitare la corte di Milano al più presto. I rigori della vita qui a Forlì, privata degli agi a cui era abituata, la stanno stremando. In più, la festa del Corpus Domini, a suo dire, l'ha fortemente provata e non vede miglior cura se non la corte che l'accolse da bambina. Inoltre, per convincervi al meglio, vuole informarvi che i malori da lei accusati durante la sua quarta gravidanza, secondo i medici, sono da imputare alla malaria, che lei prese in forma lieve, ma che comunque la provarono molto. È sua opinione che l'aria salubre di Milano la rinfrancherebbe. Vista l'esile scusa, non riesco a non pensare che voglia invece raggiungere la vostra corte solo per suoi maneggi segreti, probabilmente collegati al mondo dell'alchimia.'
 Oliva chiudeva la lettera coi suoi più sentiti saluti.
 Ludovico ripiegò il messaggio e lo poggiò accanto alla candela, che spense con un uno sbuffo.
 Cecilia si svegliò, a quel cambio improvviso di luce, e gli chiese, cominciando a carezzargli la schiena, la voce impastata dal sonno: “Tutto a posto?”
 Ludovico sospirò, lasciando che la donna prendesse a baciargli prima la spalla e poi il collo: “Sì, tutto a posto.”

   
 
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