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Autore: Thiliol    10/01/2016    1 recensioni
Galmoth non ha più nulla, nè onore, nè titolo, nè ricchezze, nulla se non la sua piccola nave da contrabbandiere e Laer, la figlia del suo migliore amico morto anni prima. Laer è giovane e ha la testardaggine di una ragazzina, ma non ha mai smesso di sognare i sogni di quando era bambina.
E poi c'è Silevril, il figlio di un amore morboso che vorrebbe solo andare per mare e che invece sconvolgerà le vite di entrambi.
Galmoth osservò con sguardo inquisitore l'elfo che gli stava di fronte:era nato e cresciuto a Dol Amroth e lì non era raro imbattersi nei Priminati e conoscerne anche qualcuno, ma quel Silevril aveva qualcosa di diverso, come un fuoco latente in lui. Non era come i Silvani che sempre più spesso salpavano da lì, diretti alle loro terre al di là del mare, riusciva a percepirlo chiaramente: riconosceva un elfo di alto lignaggio, quando lo vedeva.
< Dici che vuoi metterti al mio servizio? >
< Desidero solo il mare e la compagnia degli uomini, inoltre, la tua nave è meravigliosa. >
Galmoth rise, strofinandosi il mento sporco di barba non rasata.
< Sei un elfo ben strano, Silevril. >
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Finrod Felagund, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Narn o Alatariel ar Aeglos'
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You see I'm falling in the vast abyss


 

I capelli di Rùth sfiorarono il viso in una carezza sensuale, mentre si muoveva su di lui. Le sue mani gli accarezzavano il petto, lo graffiavano, e lei era così bella da togliere il fiato. Silevril ansimò e un grido roco gli uscì dalla gola senza che riuscisse a fermarlo, ma Ruth gli mise una mano sulla bocca per zittirlo.

Gli sembrava che il suo intero essere si riversasse in lei, non esisteva altro che quella donna e il desiderio che provava alla sua vista, al suo pensiero. Credeva di impazzire e poi tornava indietro, aggrappandosi tenacemente a un barlume di razionalità, all'immagine di ciò che aveva amato nella sua vita, al ricordo del corpo minuto di Laer contro il suo.

Come aveva potuto desiderare Laer? Eppure sapeva che, nel profondo, desiderava ancora la ragazzina dal viso pieno di lentiggini e non la donna dalla bellezza gelida che era su di lui.

Lo sapeva, ma non riusciva ad afferrare quel pensiero in mezzo al tumulto dei suoi desideri.

Rùth si tese e gridò, accasciandosi poi su di lui. Gli diede un veloce bacio sulle labbra e si alzò, lasciandolo solo sul letto. Si sentiva infreddolito e vulnerabile, avrebbe voluto che tornasse, avrebbe voluto trattenerla e ricominciare tutto daccapo, ma non osava.

La donna ancheggiò verso la finestra che si apriva su un cortile interno e aprì i vetri, facendo entrare  il gatto bianco che subito le saltò in grembo.

Lo baciò sul muso morbido e quello iniziò a fare le fusa rumorosamente, fissando Silevril con occhi azzurri e brillanti.

Rùth ridacchiò, come se il gatto le avesse appena detto qualcosa di divertente.

< Avremo presto visite, mio amato Silevril, > disse, lasciando andare il gatto e coprendosi con una vestaglia di seta nera.

< Il tuo amico Galmoth ha chiesto aiuto nientemeno che a Finrod Felagund in persona. Stanno venendo qui. >

Al nome di Finrod qualcosa sembrò stringerglisi intorno alla gola. Non aveva mai provato nulla di simile a ciò che il Noldo aveva provocato in lui, un misto di senso di colpa e fascinazione. Voleva fare colpo su di lui, voleva che quell'essere così antico e potente lo ammirasse. La consapevolezza che lo aveva visto nascere lo rendevano quasi timido.

Per un momento ci fu solo Finrod nella sua mente e si sentì pienamente se stesso, ma svanì preso. Rùth gli si era avvicinata e gli aveva scostato i capelli dalla fronte, immergendo le sue dita sottili e pallide come se volesse strapparglieli.

Rabbrividì a quel contatto.

< Non riusciranno a separarci, amore mio, > le disse.

< No, > rispose lei, < mai. >

Accarezzò la gemma a forza di goccia intorno al collo di Silevril e lui avvertì distintamente il suo potere tremare a quel tocco. Gli parve di vedere una donna che piangeva, con i lunghi capelli corvini sparsi intorno a lei.

Chiuse gli occhi e un dolore accecante lo fece piegare in due, mentre la donna continuava a piangere e i suoi capelli lo avvolgevano, soffocandolo.

Gridò il suo nome.



Il dolore era accecante e Alatariel si accasciò, aggrappandosi ad Aeglos al suo fianco.

Uinen piangeva e i suoi capelli l'avvolgevano come i tentacoli di un mostro marino.

Silevril!

Aprì gli occhi sul porto di Dol Amroth colmo di gente, nessuno che aveva fatto caso ai due stranieri incappucciati inginocchiati sul selciato, uno di fronte all'altro.

< Cos'è successo? > Aeglos la guardava preoccupato da sotto il cappuccio.

Lei gli restituì lo sguardo, confusa. Non aveva idea di cosa fosse accaduto, né del motivo, ma ne era rimasta atterrita e sconvolta. Tremava visibilmente mentre si stringeva a suo marito. L’antica bruciatura alla mano pulsava.

< Non lo so... io... credo di aver visto Uinen... >

Si scrollò di dosso la sensazione di sogno che l'aveva assalita.

< Non guardarmi così > disse stizzita, alzandosi, < non so cosa vuol dire. >

< Hai sentito Silevril. >

Non era una domanda, ma un'affermazione, e questo la fece infuriare. Voleva crederci così disperatamente che non riusciva a essere sicura di nulla. Cosa ne sapeva Aeglos? Lui non era legato allo spirito di suo figlio, non riusciva a capire quale vuoto si fosse spalancato dentro di lei da quando quel legame si era rotto. Si diceva sicuro che non fosse morto e lei voleva crederci, ci sperava con tutta se stessa, ma quel vuoto rimaneva, spaventoso e implacabile.

Aveva sentito la presenza di Silevril, aveva visto Uinen abbracciarlo e piangere, ma era durato talmente poco che non poteva essere certa non si fosse trattato solo della sua disperazione.

< Ho sentito... > si interruppe. < Andiamo, manca ancora una nave. >

Gli allungò una mano, invitandolo a prenderla nella sua.

Aeglos non si mosse e sembrò scrutarla torvo per un secondo, poi infine sospirò.

< Vedremo, > disse solo, prendendola per mano.



Aprì gli occhi e Rùth lo stava fissando.

< Cos'hai visto? > chiese perentoria.

< Ho visto Uinen > rispose, fuggendo il suo sguardo.

Sì, aveva visto la Signora del Mare, ma non solo. Aveva sentito la sua presenza tangibile come se fosse in quella stessa stanza, reale e sicura. Qualcosa dentro di lui però gli impediva di dire a Rùth che aveva sentito sua madre come se lei fosse stata lì, più potente di quanto il loro legame non fosse mai stato prima.

< Il tesoro di Ulmo ha reagito al tuo tocco e ne è rifuggito, > aggiunse infine, tornando a posare gli occhi su di lei. < Non poi toccare la Gemma e non puoi usare i suoi poteri, ma non ne capisco il motivo. >

< Non devi preoccuparti di questo. > Rùth sorrise dolcemente, quasi innocentemente. < Non tutti possiedono il potere necessario a controllare le acque, ed è per questo che ti ho scelto. >

Lo attirò a sé e lo baciò. La sua lingua era calda e avvolgente e Silevril se ne sentiva inebriato. Desiderava di più, desiderava poterla avere subito, possederla totalmente, o sarebbe impazzito.

Le aprì la vestaglia e la strinse, facendola sdraiare sulla schiena e attirandola sotto di sé. La sentì ridere di lui e quella risata lo infiammò, facendogli perdere la capacità di pensare razionalmente.

Non c'era più né FinrodUinen nei suoi pensieri. Alatariel sembrava solo il ricordo perduto della sua infanzia, qualcosa di evanescente che sapeva di lunghe attese e di infelicità.

Contava solo Rùth ormai.

 

Dalla lunga pipa uscivano piccoli rivoli di fumo che si perdevano nell’aria umida. Forlond prese una boccata profonda, trattenendola nei polmoni per qualche secondo, godendosi quel sapore leggermente aspro che solo la miglior Foglia dei Mezzuomini sapeva regalare.

Espirò lentamente e il suo campo visivo fu invaso dal fumo che aveva soffiato dalla sua stessa bocca, profumato e fragrante.

“Guai” pensò tra sé, aggrottando le sopracciglia.

Le due figure incappucciate erano abbastanza vicine alla Stella, eppure non riusciva a sentire una parola di ciò che si dicevano, bisbigliando tra loro, le teste che quasi si toccavano.

Avrebbe voluto vedere i loro volti, ma era impossibile, stretti com’erano in quegli ampi mantelli grigi che li coprivano completamente, dalla testa ai piedi. Spuntavano solo le punte di morbidi stivali di pelle oltre l’orlo.

Gli stranieri erano alti uguali, entrambi più alti sia di lui che di Conn, che pure aveva la stazza possente dei Rohirrim. Si erano avicinati di soppiatto, tanto che Forlond non li aveva visti finché non se li era ritrovati di fronte, a pochi passi da dove la cima teneva saldamente ormeggiata la Stella alla banchina.

Anche il ragazzino si era accorto di loro e li scrutava di soppiatto oltre i suo grosso libro. Aveva quasi una mezza idea di mandarci lui a parlare con loro, almeno si sarebbe finalmente reso utile, ma la sua coscienza si svegliava sempre nei momenti meno opportuni.

Prese un’altra boccata di fumo, ma si accorse con disappunto di aver consumato l’intera pipa. Basta, non li sopportava più.

< Avete intenzione di rimanere lì impalati tutto il giorno o mi dite che accidenti volete? > ringhiò brusco.

I due si guardarono brevemente, poi quello a sinistra fece un passo avanti e si abbassò il cappuccio. Una folta chioma, bionda e scompigliata, sembrò brillare come una fiamma viva sotto i raggi luminosi del sole, lasciando però intravedere due eleganti orecchie a punta.

Forlond sbuffò. Elfi… lui odiava gli elfi!

Aveva l’aspetto di un ragazzo e il naso e gli zigomi screpolati dalla salsedine, tipici dei marinai. Almeno era un marinaio e non qualche principe caduto di città sconosciute! Con i marinai, quantomeno, Forlond ci sapeva parlare.

< Il mio nome è Aeglos, > disse l’elfo, con voce limpida, < ammiravo la vostra nave. >

< L’avete ammirata abbastanza, potete andarvene. >

< Mi chiedevo, > continuò con noncuranza, quasi sorridendo, < se qualche altro elfo abbia ammirato la vostra nave come sto facendo io. >

< Un sacco di gente ammira la mia nave, non posso stare a guardare a tutti le orecchie! >

Forlond prese altro tabacco dalla tasca e lo mise nella pipa, pigiandolo per bene. Dall’altra tasca sfilò un fiammifero e accese, tirando una lunga e profonda boccata di soddisfazione.

L’altra figura incappucciata sbuffò sonoramente e si fece avanti, scoprendo a sua volta il capo.

Disse qualcosa nella sua lingua e il suo compagno si girò a guardarla, rispondendole nello stesso idioma.

Forlond tentò di inspirare altro fumo, ma si rese conto di avere la gola chiusa e la bocca secca. Quella donna, quell’elfo femmina, era senza dubbio l’essere più meraviglioso su cui avesse mai posato lo sguardo: aveva lunghi capelli nerissimi, legati sulla nuca con un laccio, tirati affinché il lungo collo sinuoso e le orecchie rimanessero scoperti; aveva la pelle bianca e gli occhi chiari, anche se da quella distanza non avrebbe saputo dirne il colore reale, ma erano straordinariamente belli e freddi e quella donna sembrava scolpita nel marmo.

Immaginò di prenderla tra le braccia, immaginò di baciare le sue labbra e di vederla sciogliersi contro di lui. Immaginò che fosse sua, mentre un desiderio bruciante lo investiva, gli toglieva improvvisamente la capacità di pensare.

Non riusciva a concentrarsi su quanto lei gli stava dicendo, in tono brusco.

< Cosa? >

< Stupido mortale! > disse la donna, accompagnando le sue parole con un gesto di stizza.

Il suo compagno sembrava abituato a quegli scatti d’ira e con un unico fluido gesto le prese la mano.

< Stiamo cercando nostro figlio, > disse l’elfo, < anche lui avrebbe trovato questa nave meravigliosa e potrebbe avervi chiesto un passaggio. Ha i capelli neri, gli occhi del colore del mare e si chiama Silevril. >

Forlond non lo ascoltava. E così quella bellezza fulgida era la moglie del marinaio… che spreco! La delusione per le sue fantasie così repentinamente spente gli faceva venire voglia di mandarli via in malo modo, ma quello stupido ragazzino si intromise.

< Silevril, certo che lo conosciamo! >

La donna si voltò di scatto, dedicando tutta la sua attenzione a Barry, puntando i suoi begli occhi sul ragazzo, come se volesse leggergli dentro.

< Lo conoscete? Quando lo avete visto l’ultima volta? > chiese e a Forlond sembrò di sentire una punta di emozione nella sua voce.

< Quattro giorni fa, mia signora. Lo abbiamo lasciato assieme al Capitano a Minas Tirith, avevano delle faccende da sbrigare e Silevril voleva visitare la città. >

Beregond posò il suo libro e si sporse leggermente verso i due.

< Voi siete sua madre, vero? Parlava moltissimo di voi, sapete, diceva sempre che siete stata una madre strana. > Si interruppe e arrossì. < Non voglio insinuare niente, signora, è quello che dice Silevril e anche lui è parecchio strano, un elfo diverso da quelli delle storie e delle leggende. Laer pensava fosse insopportabile. >

< Laer? >

< Sì, signora, è il nostro primo ufficiale… o almeno, lo era prima che lei e il Capitano litigassero. >

< Fai silenzio! > lo apostrofò Forlond, ponendo fine al discorso.

L’elfo guardava ansiosamente sua moglie, cogliendo chissà quale pensiero o emozione in lei. Da parte sua, Forlond non riusciva a decifrare nulla di lei e questo lo rendeva nervoso ancora più di quanto già non facesse la sua bellezza.

< Dovete portarci a Minas Tirith > disse infine l’elfo.

< Perché dovrei? >

< Perché questa nave non è vostra > rispose con un vago sorriso, < e perché il vostro capitano vi sta aspettando credendo che voi siate altrove. >

Forlond non disse nulla, guardando i due stranieri, marito e moglie, con sguardo torvo. Aveva l’impressione che lui ti leggesse dentro come un libro aperto, che dietro lo sguardo limpido e il sorriso vagamente derisorio si nascondesse una mente acuta e pericolosa. Non si fidava di lui e ne aveva paura.

D’altro canto la sola vista di lei gli faceva andare più stretti i calzoni e risultava davvero difficile disobbedire agli istinti più impellenti del suo corpo.

< Vi costerà molto, > li avvisò.

< Pagheremo quanto ci richiederai. >

< Domani dobbiamo essere a Minas Tirith, mortale. >

La donna salì agilmente sulla Stella mentre parlava e gli passò accanto. Il mantello sfiorò le sue spalle, lasciando dietro di sé un vago profumo sensuale. Suo marito ridacchiò, accorgendosi delle occhiate che le aveva lanciato.

Balzò a bordo anche lui e gli si fermò di fronte.

< Non ti conviene pensarci, credimi, lo dico per te. Sono Aeglos, comunque, e mia moglie è Alatariel. >

La sua minaccia aleggiò ancora nell’aria mentre l’elfo andava a presentarsi a Barry e a Conn, che nel frattempo era salito sul ponte e chiedeva se qualcuno volesse mangiare qualcosa prima di partire.

 

 

 

 

Questo capitolo ha rischiato di non venir mai pubblicato, ma sono riuscita a recuperarlo dall’aere, ho fatto aggiustare il pc e sono persino riuscita a trovarci un titolo. Cose che solo un paio di settimane fa pensavo impossibili. Solo grazie a puro culo potete godere della scena lime con protagonista Silevril e dei bollenti spiriti di Forlond. Io, da parte mia, ho imparato la lezione e da oggi in poi salverò sempre le bozze suine drive.

Buona lettura, lunga vita e prosperità.

Thiliol

 

 

*Il titolo è un verso di “Forsaken” dei Korn.

   
 
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