You see I'm
falling in the vast abyss
I
capelli di Rùth sfiorarono il viso in una carezza
sensuale, mentre si muoveva su di lui. Le sue mani gli accarezzavano il petto,
lo graffiavano, e lei era così bella da togliere il fiato. Silevril
ansimò e un grido roco gli uscì dalla gola senza che riuscisse a fermarlo, ma
Ruth gli mise una mano sulla bocca per zittirlo.
Gli
sembrava che il suo intero essere si riversasse in lei, non esisteva altro che
quella donna e il desiderio che provava alla sua vista, al suo pensiero.
Credeva di impazzire e poi tornava indietro, aggrappandosi tenacemente a un
barlume di razionalità, all'immagine di ciò che aveva amato nella sua vita, al
ricordo del corpo minuto di Laer contro il suo.
Come
aveva potuto desiderare Laer? Eppure sapeva che, nel
profondo, desiderava ancora la ragazzina dal viso pieno di lentiggini e non la
donna dalla bellezza gelida che era su di lui.
Lo
sapeva, ma non riusciva ad afferrare quel pensiero in mezzo al tumulto dei suoi
desideri.
Rùth si tese e gridò, accasciandosi poi su di
lui. Gli diede un veloce bacio sulle labbra e si alzò, lasciandolo solo sul
letto. Si sentiva infreddolito e vulnerabile, avrebbe voluto che tornasse,
avrebbe voluto trattenerla e ricominciare tutto daccapo, ma non osava.
La
donna ancheggiò verso la finestra che si apriva su un cortile interno e aprì i
vetri, facendo entrare il gatto bianco che subito le saltò in grembo.
Lo
baciò sul muso morbido e quello iniziò a fare le fusa rumorosamente, fissando Silevril con occhi azzurri e brillanti.
Rùth ridacchiò, come se il gatto le avesse
appena detto qualcosa di divertente.
<
Avremo presto visite, mio amato Silevril, > disse,
lasciando andare il gatto e coprendosi con una vestaglia di seta nera.
<
Il tuo amico Galmoth ha chiesto aiuto nientemeno che
a Finrod Felagund in
persona. Stanno venendo qui. >
Al
nome di Finrod qualcosa sembrò stringerglisi
intorno alla gola. Non aveva mai provato nulla di simile a ciò che il Noldo aveva provocato in lui, un misto di senso di colpa e
fascinazione. Voleva fare colpo su di lui, voleva che quell'essere così antico
e potente lo ammirasse. La consapevolezza che lo aveva visto nascere lo
rendevano quasi timido.
Per
un momento ci fu solo Finrod nella sua mente e si
sentì pienamente se stesso, ma svanì preso. Rùth gli
si era avvicinata e gli aveva scostato i capelli dalla fronte, immergendo le
sue dita sottili e pallide come se volesse strapparglieli.
Rabbrividì
a quel contatto.
<
Non riusciranno a separarci, amore mio, > le disse.
<
No, > rispose lei, < mai. >
Accarezzò
la gemma a forza di goccia intorno al collo di Silevril
e lui avvertì distintamente il suo potere tremare a quel tocco. Gli parve di
vedere una donna che piangeva, con i lunghi capelli corvini sparsi intorno a
lei.
Chiuse
gli occhi e un dolore accecante lo fece piegare in due, mentre la donna
continuava a piangere e i suoi capelli lo avvolgevano, soffocandolo.
Gridò
il suo nome.
Il
dolore era accecante e Alatariel si accasciò,
aggrappandosi ad Aeglos al suo fianco.
Uinen piangeva e i suoi capelli l'avvolgevano
come i tentacoli di un mostro marino.
Silevril!
Aprì
gli occhi sul porto di Dol Amroth
colmo di gente, nessuno che aveva fatto caso ai due stranieri incappucciati
inginocchiati sul selciato, uno di fronte all'altro.
<
Cos'è successo? > Aeglos la guardava preoccupato
da sotto il cappuccio.
Lei
gli restituì lo sguardo, confusa. Non aveva idea di cosa fosse accaduto, né del
motivo, ma ne era rimasta atterrita e sconvolta. Tremava visibilmente mentre si
stringeva a suo marito. L’antica bruciatura alla mano pulsava.
<
Non lo so... io... credo di aver visto Uinen... >
Si
scrollò di dosso la sensazione di sogno che l'aveva assalita.
<
Non guardarmi così > disse stizzita, alzandosi, < non so cosa vuol dire.
>
<
Hai sentito Silevril. >
Non
era una domanda, ma un'affermazione, e questo la fece infuriare. Voleva
crederci così disperatamente che non riusciva a essere sicura di nulla. Cosa ne
sapeva Aeglos? Lui non era legato allo spirito di suo
figlio, non riusciva a capire quale vuoto si fosse spalancato dentro di lei da
quando quel legame si era rotto. Si diceva sicuro che non fosse morto e lei
voleva crederci, ci sperava con tutta se stessa, ma quel vuoto rimaneva,
spaventoso e implacabile.
Aveva
sentito la presenza di Silevril, aveva visto Uinen abbracciarlo e piangere, ma era durato talmente poco
che non poteva essere certa non si fosse trattato solo della sua disperazione.
<
Ho sentito... > si interruppe. < Andiamo, manca ancora una nave. >
Gli
allungò una mano, invitandolo a prenderla nella sua.
Aeglos non si mosse e sembrò scrutarla torvo per
un secondo, poi infine sospirò.
<
Vedremo, > disse solo, prendendola per mano.
Aprì
gli occhi e Rùth lo stava fissando.
<
Cos'hai visto? > chiese perentoria.
<
Ho visto Uinen > rispose, fuggendo il suo sguardo.
Sì,
aveva visto la Signora del Mare, ma non solo. Aveva sentito la sua presenza
tangibile come se fosse in quella stessa stanza, reale e sicura. Qualcosa
dentro di lui però gli impediva di dire a Rùth che
aveva sentito sua madre come se lei fosse stata lì, più potente di quanto il
loro legame non fosse mai stato prima.
<
Il tesoro di Ulmo ha reagito al tuo tocco e ne è
rifuggito, > aggiunse infine, tornando a posare gli occhi su di lei. <
Non poi toccare la Gemma e non puoi usare i suoi poteri, ma non ne capisco il
motivo. >
<
Non devi preoccuparti di questo. > Rùth sorrise
dolcemente, quasi innocentemente. < Non tutti possiedono il potere
necessario a controllare le acque, ed è per questo che ti ho scelto. >
Lo
attirò a sé e lo baciò. La sua lingua era calda e avvolgente e Silevril se ne sentiva inebriato. Desiderava di più,
desiderava poterla avere subito, possederla totalmente, o sarebbe impazzito.
Le
aprì la vestaglia e la strinse, facendola sdraiare sulla schiena e attirandola
sotto di sé. La sentì ridere di lui e quella risata lo infiammò, facendogli
perdere la capacità di pensare razionalmente.
Non
c'era più né Finrod né Uinen
nei suoi pensieri. Alatariel sembrava solo il ricordo
perduto della sua infanzia, qualcosa di evanescente che sapeva di lunghe attese
e di infelicità.
Contava
solo Rùth ormai.
Dalla lunga pipa uscivano piccoli rivoli di fumo che si
perdevano nell’aria umida. Forlond prese una boccata
profonda, trattenendola nei polmoni per qualche secondo, godendosi quel sapore
leggermente aspro che solo la miglior Foglia dei Mezzuomini
sapeva regalare.
Espirò lentamente
e il suo campo visivo fu invaso dal fumo che aveva soffiato dalla sua stessa
bocca, profumato e fragrante.
“Guai” pensò
tra sé, aggrottando le sopracciglia.
Le due
figure incappucciate erano abbastanza vicine alla Stella, eppure non riusciva a sentire una parola di ciò che si
dicevano, bisbigliando tra loro, le teste che quasi si toccavano.
Avrebbe
voluto vedere i loro volti, ma era impossibile, stretti com’erano in quegli
ampi mantelli grigi che li coprivano completamente, dalla testa ai piedi.
Spuntavano solo le punte di morbidi stivali di pelle oltre l’orlo.
Gli
stranieri erano alti uguali, entrambi più alti sia di lui che di Conn, che pure aveva la stazza possente dei Rohirrim. Si erano avicinati di
soppiatto, tanto che Forlond non li aveva visti
finché non se li era ritrovati di fronte, a pochi passi da dove la cima teneva
saldamente ormeggiata la Stella alla banchina.
Anche il
ragazzino si era accorto di loro e li scrutava di soppiatto oltre i suo grosso
libro. Aveva quasi una mezza idea di mandarci lui a parlare con loro, almeno si
sarebbe finalmente reso utile, ma la sua coscienza si svegliava sempre nei
momenti meno opportuni.
Prese
un’altra boccata di fumo, ma si accorse con disappunto di aver consumato
l’intera pipa. Basta, non li sopportava più.
< Avete
intenzione di rimanere lì impalati tutto il giorno o mi dite che accidenti
volete? > ringhiò brusco.
I due si
guardarono brevemente, poi quello a sinistra fece un passo avanti e si abbassò
il cappuccio. Una folta chioma, bionda e scompigliata, sembrò brillare come una
fiamma viva sotto i raggi luminosi del sole, lasciando però intravedere due
eleganti orecchie a punta.
Forlond
sbuffò. Elfi… lui odiava gli elfi!
Aveva
l’aspetto di un ragazzo e il naso e gli zigomi screpolati dalla salsedine,
tipici dei marinai. Almeno era un marinaio e non qualche principe caduto di
città sconosciute! Con i marinai, quantomeno, Forlond
ci sapeva parlare.
< Il mio
nome è Aeglos, > disse l’elfo, con voce limpida,
< ammiravo la vostra nave. >
< L’avete
ammirata abbastanza, potete andarvene. >
< Mi
chiedevo, > continuò con noncuranza, quasi sorridendo, < se qualche altro
elfo abbia ammirato la vostra nave come sto facendo io. >
< Un
sacco di gente ammira la mia nave, non posso stare a guardare a tutti le
orecchie! >
Forlond
prese altro tabacco dalla tasca e lo mise nella pipa, pigiandolo per bene.
Dall’altra tasca sfilò un fiammifero e accese, tirando una lunga e profonda
boccata di soddisfazione.
L’altra
figura incappucciata sbuffò sonoramente e si fece avanti, scoprendo a sua volta
il capo.
Disse
qualcosa nella sua lingua e il suo compagno si girò a guardarla, rispondendole
nello stesso idioma.
Forlond
tentò di inspirare altro fumo, ma si rese conto di avere la gola chiusa e la
bocca secca. Quella donna, quell’elfo femmina, era senza dubbio l’essere più
meraviglioso su cui avesse mai posato lo sguardo: aveva lunghi capelli
nerissimi, legati sulla nuca con un laccio, tirati affinché il lungo collo
sinuoso e le orecchie rimanessero scoperti; aveva la pelle bianca e gli occhi
chiari, anche se da quella distanza non avrebbe saputo dirne il colore reale,
ma erano straordinariamente belli e freddi e quella donna sembrava scolpita nel
marmo.
Immaginò di
prenderla tra le braccia, immaginò di baciare le sue labbra e di vederla
sciogliersi contro di lui. Immaginò che fosse sua, mentre un desiderio
bruciante lo investiva, gli toglieva improvvisamente la capacità di pensare.
Non riusciva
a concentrarsi su quanto lei gli stava dicendo, in tono brusco.
< Cosa?
>
< Stupido
mortale! > disse la donna, accompagnando le sue parole con un gesto di
stizza.
Il suo
compagno sembrava abituato a quegli scatti d’ira e con un unico fluido gesto le
prese la mano.
< Stiamo
cercando nostro figlio, > disse l’elfo, < anche lui avrebbe trovato
questa nave meravigliosa e potrebbe avervi chiesto un passaggio. Ha i capelli
neri, gli occhi del colore del mare e si chiama Silevril.
>
Forlond non
lo ascoltava. E così quella bellezza fulgida era la moglie del marinaio… che spreco! La delusione per le sue fantasie così
repentinamente spente gli faceva venire voglia di mandarli via in malo modo, ma
quello stupido ragazzino si intromise.
< Silevril, certo che lo conosciamo! >
La donna si
voltò di scatto, dedicando tutta la sua attenzione a Barry, puntando i suoi
begli occhi sul ragazzo, come se volesse leggergli dentro.
< Lo
conoscete? Quando lo avete visto l’ultima volta? > chiese e a Forlond sembrò di sentire una punta di emozione nella sua
voce.
< Quattro
giorni fa, mia signora. Lo abbiamo lasciato assieme al Capitano a Minas Tirith, avevano delle
faccende da sbrigare e Silevril voleva visitare la
città. >
Beregond
posò il suo libro e si sporse leggermente verso i due.
< Voi
siete sua madre, vero? Parlava moltissimo di voi, sapete, diceva sempre che
siete stata una madre strana. > Si interruppe e arrossì. < Non voglio
insinuare niente, signora, è quello che dice Silevril
e anche lui è parecchio strano, un elfo diverso da quelli delle storie e delle
leggende. Laer pensava fosse insopportabile. >
< Laer? >
< Sì,
signora, è il nostro primo ufficiale… o almeno, lo
era prima che lei e il Capitano litigassero. >
< Fai
silenzio! > lo apostrofò Forlond, ponendo fine al
discorso.
L’elfo
guardava ansiosamente sua moglie, cogliendo chissà quale pensiero o emozione in
lei. Da parte sua, Forlond non riusciva a decifrare
nulla di lei e questo lo rendeva nervoso ancora più di quanto già non facesse
la sua bellezza.
< Dovete
portarci a Minas Tirith
> disse infine l’elfo.
< Perché
dovrei? >
< Perché
questa nave non è vostra > rispose con un vago sorriso, < e perché il
vostro capitano vi sta aspettando credendo che voi siate altrove. >
Forlond non
disse nulla, guardando i due stranieri, marito e moglie, con sguardo torvo.
Aveva l’impressione che lui ti leggesse dentro come un libro aperto, che dietro
lo sguardo limpido e il sorriso vagamente derisorio si nascondesse una mente
acuta e pericolosa. Non si fidava di lui e ne aveva paura.
D’altro canto
la sola vista di lei gli faceva andare più stretti i calzoni e risultava
davvero difficile disobbedire agli istinti più impellenti del suo corpo.
< Vi
costerà molto, > li avvisò.
<
Pagheremo quanto ci richiederai. >
< Domani
dobbiamo essere a Minas Tirith,
mortale. >
La donna
salì agilmente sulla Stella mentre
parlava e gli passò accanto. Il mantello sfiorò le sue spalle, lasciando dietro
di sé un vago profumo sensuale. Suo marito ridacchiò, accorgendosi delle
occhiate che le aveva lanciato.
Balzò a bordo
anche lui e gli si fermò di fronte.
< Non ti
conviene pensarci, credimi, lo dico per te. Sono Aeglos,
comunque, e mia moglie è Alatariel. >
La sua
minaccia aleggiò ancora nell’aria mentre l’elfo andava a presentarsi a Barry e
a Conn, che nel frattempo era salito sul ponte e
chiedeva se qualcuno volesse mangiare qualcosa prima di partire.
Questo capitolo ha rischiato di non
venir mai pubblicato, ma sono riuscita a recuperarlo dall’aere,
ho fatto aggiustare il pc e sono persino riuscita a
trovarci un titolo. Cose che solo un paio di settimane fa pensavo impossibili.
Solo grazie a puro culo potete godere della scena lime con protagonista Silevril e dei bollenti spiriti di Forlond.
Io, da parte mia, ho imparato la lezione e da oggi in poi salverò sempre le
bozze suine drive.
Buona lettura, lunga vita e
prosperità.
Thiliol
*Il titolo è un verso di “Forsaken” dei Korn.