Credits: i personaggi appartengono a Hajime Isayama, mentre la fanfiction appartiene a shotgunsinlace. Mia è solo la traduzione :3
Levi frenò fino a fermare l'auto poco prima di imboccare la via che l'avrebbe portato a casa, incerto nel dover guidare tra gli alberi che sembravano nascondere tutto ciò che si nascondeva dentro la foresta. La luce mattutina aveva scacciato l'usuale oscurità, ma quello non faceva molto per fargli passare un disagio sconosciuto.
Un disagio che sembrava volergli dire che
qualcosa di brutto sarebbe successo, prima o poi.
Un disagio
che non aveva mai avvertito quando era stato derubato per la prima
volta, con risultato di farlo finire in ospedale. Neppure quando suo
padre era morto in un incidente stradale. Non aveva avvertito nessun
peso sulle spalle, nessun senso di preoccupazione, quando aveva
guidato diretto al suo appartamento, canticchiando una canzone pop
che girava alla radio, solo per trovare Eren sanguinante a terra.
Ora, invece, Levi era fin troppo cosciente del modo in cui le sue
dita fremevano sul volante. Poteva fingere che fosse ancora colpa
dell'incubo.
Sei un idiota, si disse fra sé e sé,
perché era un adulto. Gli incubi non avrebbero dovuto più
scombussolarlo a quel modo.
Alla fine allontanò il piede dal
freno e prese a percorrere la via.
Quasi sussultò nel vedere
qualcuno sulla radura di casa sua, ma presto la sorpresa lasciò
posto ad un broncio.
Eren era fuori e camminava avanti e
indietro lungo la lunghezza della casa. Si stava strofinando le mani fra loro
come se potesse sentire freddo.
Parcheggiando al solito posto,
Levi spense l'auto e notò che il fantasma non gli stava prestando
attenzione. Stava parlando a sé stesso, agitato, continuando a
camminare. C'era qualcosa che non andava, evidentemente, ed era certo
che il ragazzo non gli avrebbe detto nulla.
Uscì dall'auto e
fu solo quando sbatté la portiera che Eren sobbalzò, voltandosi
verso di lui a bocca aperta.
Gli mancavano delle bende e ora
gli si potevano vedere le orecchie, tra i folti capelli bruni.
Oltre
a notare quello, Levi decise di non prestargli ulteriori attenzioni e
andò ad aprire il bagagliaio, dove c'era il suo fucile protetto
dalla sua valigetta apposita.
"Sei tornato." Gli
disse Eren. Gli si avvicinò come se fosse un animale ferito alla
ricerca di protezione. Lo fece innervosire.
"Vivo qui,"
Con la valigetta in una mano, chiuse il bagagliaio con l'altra.
"Almeno fino a quando Erwin non mi trova un'altra
sistemazione."
Il fantasma sussultò nel sentire il suo
tono di voce. "Non c'eri quando sono
tornato."
"Quindi?"
"Erano le tre
di mattina, Levi. Cos'è successo? Perché te ne sei andato?"
C'era del panico nella sua voce. "E' stato a causa mia?"
Levi
corrugò le sopracciglia. "Non c'eri, quando mi sono
svegliato."
"Quindi? Ti sei svegliato senza di me
per due anni," Gli rispose, la sua precedente ansia ora mutata
in rabbia. "Se devi andartene via a quel modo ogni volta che non
ci sono io, allora-"
"Ti avevo detto di sparire, ma
mi hai rotto le palle per rimanere." Sbottò l'uomo. La rabbia
che stava provando non era strana, ma la sua incapacità di intrattenerla invece sì.
"Quindi dopo quella scenata devi esserci sempre, cazzo."
Il
ragazzo strinse le mani a pugno e, non per la prima volta, Levi sperava
di vedere la rabbia nei suoi occhi. Voleva vedere il fuoco
bruciare violento nei suoi occhi turchesi.
L'uomo sentì la propria paura mutare in rabbia, causata sia dal precedente abbandono che da un'oscurità
senza forma.
"Non me ne sono andato per mia scelta."
Gli rispose Eren, seguendolo.
"E' la seconda volta che
usi questa scusa."
Il fantasma sussultò come se fosse
stato colpito fisicamente e Levi non si fermò ad assistere alla sua
reazione, al contrario entrò in casa e sbatté la porta dietro di
sé.
Appoggiò la valigetta sul tavolo, prima di mettere
dell'acqua a bollire.
Non avrebbe dovuto dirlo.
L'uomo
era conscio di aver detto un miliardo di cose per la quale avrebbe
dovuto venire preso a pugni, ma questa volta si era superato.
Accusare Eren per la sua stessa morte era decisamente di cattivo
gusto e, più ci pensava, più si sentiva un pezzo di merda.
Le
sue mani tornarono ad apparirgli sporche di sangue, ma non le guardò quando le
portò sopra le piastre a induzione. Il calore si stava espandendo
su di esse, scaldandogli le dita.
La porta d'entrata si
aprì di colpo e sbatté e Levi riuscì a vedere un'ombra salire le
scale. Per la prima volta Eren gli sembrò più un'entità, piuttosto
che il ragazzo che era sempre stato, e questo gli fece rizzare i
capelli sulla nuca.
"Merda." Mormorò,
allontanandosi dalle piastre.
Nulla di tutto questo era colpa
di Eren. Tutto quello che aveva fatto da quando era tornato era cercare di compiacerlo,
tenerlo al sicuro e prendersi cura di lui all'occorrenza. Tutto
quello che Eren gli aveva offerto era il conforto e, l'unica volta
che non c'era stato, lui non aveva fatto altro che ringhiargli contro come
se fosse stato un cane che gli aveva disobbedito.
Non c'era
una cosa che poteva andare peggio in quel momento e non poteva
rischiare di perdere l'ultima cosa che gli era rimasta. Questa
finzione di normalità, per quanto fosse impossibile e sbagliata, era
l'unica cosa che lo teneva sano abbastanza da farlo alzare la
mattina.
Con un sospiro rassegnato aprì il freezer alla
ricerca del gelato alla vaniglia come offerta di pace e, quando ne
tirò fuori la scatola, la porta d'entrata si aprì.
Voltò la
testa, aspettandosi fosse stato il vento, ma invece si ritrovò
davanti ad un Eren avvilito.
Il freddo gli gelò la pelle e
ciò non aveva nulla a che fare col fatto di trovarsi vicino al
freezer aperto.
Eren percorse la distanza e si sedette su uno
sgabello. Alzò lo sguardo sul suo, schiudendo la bocca pronto a
parlare, prima di bloccarsi. "Cosa c'è?"
Levi
rimase immobile, certo che se avesse guardato verso le scale avrebbe
visto qualcosa guardarlo di rimando. Alla fine si obbligò a
guardare, ma trovò soltanto vuoto e buio. C'erano delle ombre solo
perché la luce mattutina non era ancora abbastanza forte da
illuminare la casa.
Si concentrò, cercando di captare
qualsiasi rumore, ma l'unica cosa che sentì fu il bollire
dell'acqua.
"C'è qualcosa lì." Disse con
convinzione. Il suo istinto gli diceva di prendere un coltello, ma
non poteva pugnalare qualcosa che non poteva vedere e tanto meno
toccare.
Eren inclinò la testa di lato. "Un
animale?"
Levi scosse la testa. "Qualcosa come
te."
No, non come Eren. Questo era qualcosa di diverso.
La paura che sentiva era diversa.
"Non è..." Il
fantasma non concluse la frase e si voltò a guardare fuori dalla
finestra. "Sono stato qui tutto il tempo e non ho ancora
incontrato nulla."
Levi continuò a fissare il bollitore,
quando spense le piastre. Eren stava mentendo. Riconosceva il tremare
della sua voce, il modo in cui si leccò le labbra e evitò di
rivolgergli uno sguardo. O mentiva o era nervoso.
Inconsciamente
l'uomo portò le mani al suo collo.
"Qualcosa ha cercato
di strangolarmi, l'altra notte."
Eren aprì la bocca, ma
rimase in silenzio per qualche momento. "E' stato...?"
Portò una mano sulla bocca e il mugolio che gli sfuggì fece
stringere il cuore a Levi. "Oh mio Dio."
La paura
che fosse stato Eren a fargli quello lo invase per un momento, ma
sparì quando vide il ragazzo chiudersi in sé stesso, guardandosi
attorno come una preda in trappola. Era spaventato da morire e la
vista fece provare a Levi una rabbia che neanche pensava di poter
provare.
Eren stava ancora cercando di parlare, ma era troppo
angosciato per trovare parole.
"Sto bene," Gli disse
l'uomo, cercando di calmarlo. "Pensavo avesse preso anche te."
Ed eccolo, il vero terrore che lo aveva assalito l'intera settimana
passata. Ciò che aveva mantenuto Erwin e Mike all'erta, attenti ad
ogni sua più piccola mossa.
Ci fu un altro cambiamento nel
comportamento del fantasma, ma questo fu più dolore che rabbia. Levi
lo aveva lasciato indietro.
Ora, però, non era il momento di
sentirsi in colpa. "Eren, ho bisogno che tu sia onesto."
"Non
sto mentendo," Rispose, indignato. "Anche adesso non sento
nulla oltre a te."
"La donna alla farmacia mi aveva
detto che la casa era infestata," Gli disse, senza tuttavia
spostare la sua attenzione dalle scale che portavano al piano
superiore. "L'aveva chiamata la 'Casa degli Echi'."
Sentì
il fantasma sussultare e muoversi sullo sgabello. Lo faceva strano
sentire Eren respirare dopo settimane che non lo aveva fatto. "Non
le hai chiesto perché?"
"Non le ho credevo."
Levi
poté sentire l'occhiata che gli rivolse Eren. "Pensi ancora che
io sia una specie di allucinazione causata dalla tua
coscienza?"
"Ora non è il momento."
"Col
cazzo che non lo è." Disse il fantasma, alzandosi dallo
sgabello con uno sbuffo.
"Cosa stai facendo?"
"Andando
a controllare che non ci siano mostri negli armadi." Gli
rispose.
L'uomo rimase basito dal comportamento del ragazzo,
non abituato a quella sorta di ostilità. "Una volta che abbiamo
controllato, possiamo parlare di questo." Gli disse, spostandosi
da dov'era.
Eren non gli rispose, ma scrollò le
spalle per fargli capire di averlo sentito.
Senza sprecare
tempo e senza fare alcun tentativo di muoversi silenziosamente, Eren
salì le scale con Levi dietro di lui. Non per sua scelta, perché
l'uomo avrebbe preferito stare davanti in caso fosse successo
qualcosa. Non era certo di poter proteggere qualcuno che già era
morto, ma non avrebbe voluto rischiare di scoprirlo.
Il piano
superiore era intoccato. Non c'era una singola porta chiusa e nulla
era rotto. Tutto era così come Levi aveva lasciato cinque giorni
prima.
Ma c'era un singolo particolare che li rese incapaci di
procedere.
Il corridoio che collegava la camera da letto di
Levi, il bagno, la stanza per gli ospiti e l'ufficio dove lavorava da
casa si estendeva più di quel che avrebbe dovuto. Se fosse stato
reale sarebbe dovuto protrudere dalla parte posteriore della casa, se
visto da fuori. Non c'erano finestre o porte o luci. Era buio e senza
fine e non sarebbe dovuto essere così.
Le dita tremanti di
Eren si strinsero alla manica della felpa di Levi e, se si fossero
trovati in un'altra situazione, quest'ultimo si sarebbe sentito
divertito nel pensare ad un fantasma spaventato. In quel momento,
invece, faticava a ragionare.
"Dobbiamo uscire da questa
casa," Gli disse Eren urgentemente. "Questa cosa non mi
piace."
"Non sei tu a fare questo."
"Ti
ho già detto di no!" La sua non fu una reazione rabbiosa. Si
stava facendo prendere dal panico. "Levi, per favore, andiamo
via. Non voglio più restare qui."
Una vita difficile e
una madre anche peggiore gli avevano insegnato di non avventurarsi in
strade che sarebbero potute essere pericolose, se non aveva bisogno
di ciò che c'era alla loro fine. Sapeva fin troppo bene di dover
evitare le cose che non lo riguardavano, ma l'anomalia era presente
nel suo territorio. Li stava spaventando, gli faceva male quasi
fisicamente ed era solo questione di tempo, prima che provasse a far
del male ad Eren.
"Cosa pensi che sia?" Solo perché
Levi sapeva quelle cose non significava che aveva mai ascoltato le parole
di sua madre. Le sue cicatrici lo attestavano.
"Non mi
interessa. Andiamo via."
Levi mosse un passo in avanti,
poi un altro e un altro ancora, fino a ritrovarsi davanti al
corridoio. Eren stava cercando disperatamente di
allontanarlo.
"Aspettami fuori." Gli disse.
"E
se ti succede qualcosa?"
"Chiama Erwin."
"E
cosa gli dico?! 'Hey, sono io, Eren. Sì, proprio quello morto. Ti
sto chiamando per farti sapere che Levi è entrato in un'altra
dimensione e ho bisogno che lo tiri fuori'?"
L'uomo voltò
la testa e notò Eren quasi in cima alle scale, pronto a scappare.
"Che ti creda o no, arriverà più veloce che può."
"Non
farlo, per favore."
Levi lo ignorò.
Tirò fuori
il suo cellulare dalla tasca posteriore dei Jeans e cercò
l'applicazione della torcia. La luce era luminosa abbastanza da
illuminare qualche metro di fronte a lui, ma oltre a quello c'era
ancora buio.
Corrugò le sopracciglia,
perché magari tutto quello era un sogno, ma non ricordava il
momento in cui aveva deciso di
andare a dormire. La sequenza di eventi gli era chiara, fin
dall'allontanarsi dall'appartamento di Erwin, le due ore di macchina,
la piccola pausa prima di inoltrarsi nella via. La discussione con
Eren,
l'ombra, il rumore, il bollitore - tutto: tutto era chiaro e
tangibile.
Oltrepassare l'invisibile linea sul pavimento non
lo polverizzò come si era aspettato. Nulla si mosse. Nulla
accadde.
In breve, lo spazio era solo un corridoio.
L'uomo
prese a percorrerlo, inizialmente con timore, poi con più confidenza
quando nulla sembrò volerlo mangiare. Camminò e camminò, ma non
c'era fine. Nulla cambiava ed era sempre circondato dal solito muro
beige.
Continuò ad avanzare.
Non si stancò e i suoi
piedi non gli fecero male, nonostante gli sembrava di aver camminato
per ore. Ad un certo punto si chiese se sarebbe stato più facile
tornare indietro, ma c'era solo buio anche da quella parte.
L'uomo
continuò a camminare fino a quando il suo cellulare si scaricò e lo
lasciò in mezzo all'oscurità, ma non provò paura. Senza alcun
dubbio non c'era nulla, lì. L'unica cosa che lo preoccupava era che
probabilmente non c'era modo di uscirne. Continuò a camminare.
Non
sentiva nulla, oltre ai suoi passi e il suo respiro affannoso. Gli
venne fame e sete, ma poco: non era nulla di preoccupante. Divenne
stanco e assonnato, ma non gli importava non poter dormire. Era come
se tutto il tempo si fosse condensato in quel singolo corridoio senza
fine.
I suoi pensieri accompagnavano i suoi passi,
riportandogli memorie che una volta erano state troppo dolorose da
ricordare.
In una scatola sotto il suo letto c'era un album
che Eren aveva fatto per il loro primo anniversario. Al suo interno
c'erano foto di tutto, dai membri delle loro famiglie agli amici, a
immagini casuali di auto e gatti. C'era una pagina dedicata ai post
it e ogni singolo pezzettino di carta conteneva un desiderio, un
pensiero, un poema o una parola a caso.
Mikasa aveva scritto
loro una ricetta e Armin una poesia. Petra aveva disegnato una casa,
Hanji aveva scritto un breve testo sul come il cosmo si era creato,
Auruo aveva scritto una frase, Gunther il suo numero di telefono ed
Erd gli aveva dato una sua foto. Carla e Grisha avevano dato loro una
foto di famiglia che rappresentava il Natale dove Eren aveva avuto
l'apparecchio, la madre di Levi aveva dato loro un nastro azzurro a
strisce verdi.
Nell'ultima pagina, Erwin aveva disegnato un
grande cuore ed era stato chiamato romanticone a causa di ciò. Levi
ed Eren avevano scritto le loro iniziali dentro di esso.
Levi
non smise di camminare, perché lì non c'era fine. Nuovamente si
ritrovò a cercare la via di casa. Non casa nel senso
strutturale, ma quel posto dove avrebbe potuto conservare gli impulsi
peggiori del suo cuore, dove avrebbe potuto sotterrarli al di sotto
delle fondamenta e dimenticarli. Voleva trovare un posto dove non
avrebbe più sentito il sangue macchiargli le mani o il gelo che
sembrava volergli gelare le ossa fino a spaccargliele.
Libertà.
Quello che voleva Levi era libertà.
Non riuscì ad evitare un
sussulto, quando sbatté contro un muro. Nell'oscurità non riuscì a
vedere nulla, così poggiò le mani su di esso. Bussò contro di esso
con le nocche scoprendo che era vuoto e la cosa lo invitò a cercare
con più fervore. Doveva esserci un modo per uscire, perché non
sarebbe riuscito a tornare da dove veniva. Le sue gambe non sarebbero
riuscite a compiere l'intero viaggio di ritorno.
Le sue dita cercarono
ogni piccola fessura su cui si sarebbe potuto aggrappare, ma non
trovò nulla. Il materiale del muro in sé non era familiare, non
diverso dai mattoni ma più liscio e caldo. Respirava come se fosse
vivo e la cosa lo disturbò, ma non smise di cercare.
Non
c'era nessuno spiffero o un minimo di luce, ma non si arrese. Si
premette contro di esso, lo prese a spallate, urlò rabbioso quando
non accennò a cedere.
"Tutti voi animali reagite nella
stessa barbarica maniera." Disse una voce ed ogni parola fu
come uno schiaffo gelido contro le guance. Era senza fine e vuota e
Levi si ritrovò a premersi nuovamente contro il muro, disperato nel
tentativo di allontanarsi.
"No, no, animaletto: calmati
un minuto. Non ti mangeremo ancora."
Levi si irrigidì,
ma non per suo volere. Poteva sentire il battito del suo cuore nelle
orecchie.
La voce non veniva dall'oscurità, perché la voce
era oscurità. La presenza dietro la voce non era qualcosa di
tangibile o visibile. L'entità dietro quella voce era l'orribile
aspettativa di guardare nel buio e vedere qualcosa dentro di essa, un
paio di occhi, oppure sentire una mano gelida sfiorarti la nuca
quando si sa che non ci dovrebbe essere nessuno. Era il tremare di un
letto quando ci si sveglia da un sogno che non si ricorda più o il
muovere un arto nel mezzo del sonno.
L'entità non era fisica:
era tutto quello che ogni persona pensava come uno scherzo della
mente. Ma era vera.
"Oh," Gli disse. "Capiamo.
Non c'è molto da fare qui, sembra."
L'uomo non respirò.
Non riusciva.
Quasi urlò - ma il suo fu un urlo silenzioso -
quando qualcosa si scontrò contro di lui, senza però toccarlo
realmente. Lo imprigionò contro il muro con la sua presenza
gelida.
Quando qualcosa lo toccò lo sentì caldo, peloso e
umido. Quella cosa sbuffò e immediatamente la mente di Levi gli
riportò l'immagine del cervo nero.
A pochi centimetri dal suo
viso, due spiragli di luce sembrarono prendere vita - occhi - ma non
poté distinguere il loro colore. Non avevano colore.
"Puzzi
di immondizia," Gli disse e un muso gli sporcò la faccia di
liquido appiccicoso. "Cattivo sangue e ossa bruciate.
Buono."
La cosa si allontanò e finalmente l'uomo riprese
controllo del suo corpo, solo per cadere all'indietro contro il
tettuccio della sua auto.
Sbatté le ciglia e si ritrovò a
guardare la Luna nascosta dietro grosse nuvole grigie che
promettevano neve. Scosso e disorientato, gli ci volle qualche
secondo per capire perché la sua pelle sembrava star bruciando: era
fuori, presumibilmente nel mezzo della notte, con addosso solo un
paio di jeans e una felpa leggera.
Levi inspirò di colpo,
sentendo l'aria fredda graffiargli la gola, prima di esalare e
rilasciare la tensione. Stava tremando, ma quella era l'unica cosa
non causata dal freddo.
La radura era desolata, a parte la sua
auto e un pickup che non riconobbe subito.
Le luci della casa erano tutte accese e c'era movimento al suo interno.
Si disse
che doveva muoversi, ma i suoi muscoli sembravano non volergli
rispondere. Aveva bisogno di allontanarsi dall'oppressivo silenzio
della foresta, ma non aveva l'energia anche solo per un battito di
ciglia. Solo la sua pelle non la smetteva di tremare, dandogli la
sensazione di nausea e disagio.
Immondizia.
Una
doccia avrebbe fatto miracoli. Aveva bisogno di strofinare i residui
di oscurità che ancora gli strisciavano sul corpo in una carezza
crudele. Liberarsi dell'odore era la sua priorità. Successivamente
doveva lavarsi il sangue dalle mani.
"Levi!" Quella
singola parola fu così feroce che quasi scappò lontano dall'auto e
dal suono, ma il viso che accompagnò il suo nome lo calmò quasi
istantaneamente.
Al diavolo la vergogna, l'uomo non combatté
il bruciore dei suoi occhi quando vide Erwin sull'uscio di
casa.
"Dove cazzo sei stato?" Le parole erano rigide
e tese, assassine quasi, ma Levi non ne aveva paura. Anzi le
assaporò, così come la violenza in loro, la promessa di sicurezza.
Magari era capace di proteggere Eren, ma chi oltre ad Erwin sarebbe
riuscito a proteggere lui? "Ero ormai pronto a chiamare la
polizia." Gli disse, afferrandogli un polso per tirarlo giù dal
tettuccio dell'auto.
Le ginocchia di Levi tremarono.
I
suoi piedi erano bagnati dentro le scarpe e il suo intero corpo era
dolorante. Non sarebbe riuscito a muoversi anche se lo avesse
voluto.
Erwin mormorò qualche parolaccia e lo prese in
braccio con poca fatica, tenendolo contro di lui per condividere il
suo calore corporeo. Non parlò quando entrò in casa e chiuse la
porta dietro di loro.
Levi non voleva stare lì. Avrebbe
preferito la foresta, piuttosto che passare un altro istante in
quella maledetta casa. Quella cosa respirava lì dentro, una creatura
malvagia e dormiente, pronta a nutrirsi. Dovevano uscire tutti e tre
da là.
Quando venne appoggiato gentilmente sul divano, l'uomo
vide Eren in un angolo del salotto. Vederlo gli fece tirare un
sospiro di sollievo, anche se rischiava ancora l'isteria. Doveva aver
chiamato Erwin e lentamente iniziò a ricordare tutto il resto. Non
che ci fosse molto da ricordare.
"Per quanto-?"
"Taci."
Sbottò Erwin e Levi obbedì. Ultimamente l'unica cosa che era
riuscito a fare era far arrabbiare Erwin, un record anche per
lui.
Coi capelli biondi arruffati e gli occhi azzurri fin
troppo sbarrati, Erwin si passò una mano sul viso nel tentativo di
calmarsi. Sotto la luce del salotto appariva anche più pallido del
normale.
Erwin gli volse le spalle e rimase immobile per un
momento, inspirando lentamente e a fondo. "Non me ne vado finché
non mi dici che cazzo sta succedendo," Con le mani sui fianchi,
scosse la testa. "Sei ore, Levi. Sono sei ore che sei
sparito."
Chiudendo gli occhi, l'interpellato li riaprì
un secondo dopo. Il terrore lo aveva reso troppo spaventato per tenere gli
occhi chiusi. Con la testa che pulsava di dolore, fissò Erwin ad occhi
socchiusi. "Perché sei qui?" Raspò. Le sue erano parole
tremanti, ma almeno riuscì a pronunciarle abbastanza bene da farsi
capire dall'uomo.
Erwin non gli rispose immediatamente, così
come non si voltò. Si sedette sul divano, attendo a non schiacciarlo. "Hai bisogno dell'ospedale?" Gli chiese, col suo
solito atteggiamento calmo e pacato, ma Levi poteva ancora vedere
traccie di tensione sulla sua schiena. "Ti sei fatto
male?"
Respirare normalmente gli era difficile, ma ce la
fece. Fissando il soffitto, contrasse le dita. La situazione in cui
si ritrovava era irreale.
Prima le priorità. "Ho bisogno
di un bel bagno. Più caldo è, meglio è."
L'acqua
calda riuscì a svegliarlo dal suo torpore, ustionandogli la pelle.
Erwin sapeva sempre di cosa aveva bisogno e non esitava mai a dargli
ciò senza lamentarsi.
Levi si lasciò scivolare sott'acqua
fino ad avere solo metà viso fuori di essa.
Dietro di Erwin,
Eren sedeva sulla tazza del water con i gomiti appoggiati sulle
ginocchia. "Gli ho mandato un messaggio," Disse. "Mi
sono fatto prendere dal panico e gli ho mandato un messaggio."
Scrollò la testa, prima di prendersela tra le mani. "Penso di
aver peggiorato tutto."
"Non dire così," Lo
ammonì l'uomo. "Non è colpa tua."
S'irrigidì,
quando ricordò che Erwin era nella stessa stanza e che ovviamente
non poteva vedere o sentire Eren. Sbuffò, portandosi le gambe al
petto, stringendosele addosso con le braccia.
"Quando ne
avrai voglia," Gli disse Erwin, prendendo una saponetta e
lasciandola scivolare in acqua. "Puoi iniziare a dirmi cosa c'è
che non va."
"Non c'è nulla che non vada."
"Mi
hai messaggiato da un numero sconosciuto e poi mi hai fatto aspettare
per sei ore."
"Sono andato a farmi una passeggiata e
ho perso conto del tempo."
"Ovviamente. E' anche per
quello che sei collassato contro la tua auto abbastanza violentemente
da farti sentire da dentro casa," Le parole dell'uomo erano
tinte di rabbia. "Ed è per quello che avevi quei segni sul
collo."
Levi si concentrò nel cercare di scaldarsi le
dita dei piedi, godendosi l'acqua calda scorrere tra di esse. Erwin
copriva la porta, dandogli l'illusione di trovarsi in un posto sicuro
dove nulla avrebbe potuto attaccarlo. Era divertente come la sua
stessa madre non fosse mai riuscita a dargli una sensazione del
genere.
Rilassando il suo corpo, Levi mantenne le gambe contro
il petto e incrociò le braccia sopra di esse. "Eren è seduto
dietro di te."
Non c'era davvero utilità nel
mentire.
Eren alzò la testa di scatto, schiudendo le labbra
in un'espressione sorpresa.
Erwin non reagì, continuando a
fissare Levi. Non c'era nulla nei suoi occhi o nel suo viso: solo lo
sguardo corrucciato di prima.
Levi spostò le braccia e le
posò sul bordo della vasca, sfiorando con le dita la superficie
dell'acqua.
"E' stato lui a fare tutto questo?"
Eren
si voltò di scatto verso Erwin, serrando le labbra in un espressione
rabbiosa. "Sei un bastardo anche solo per suggerire una cosa del
genere," Disse, incurvando le spalle. "Stronzo."
"C'è
qualcos'altro." Rispose Levi.
"Sembra
preoccupante."
"Decisamente."
Il suono
di una porta sbattuta catturò l'attenzione di Erwin, mentre Levi
continuò a fissare l'acqua. La tensione tornò a stringerlo nelle sue
spire, così come il bisogno di correre fino a farsi cedere le
gambe.
"Eren?" Domandò Erwin, esitante, ma non
stava chiamando il ragazzo, stava chiedendo a Levi se era stato lui.
Eren
però era ancora al suo posto, con lo sguardo fisso sulla porta
aperta. Non poteva vedere il suo viso, ma la sua postura urlava
terrore.
"E' ancora sulla tazza del cesso."
Erwin
puntò lo sguardo sul water. In quel momento la vista dei due intenti
ad osservarsi gli fu stravolgente, specialmente sapendo che Erwin non
poteva vedere il fantasma. Il fatto l'uomo gli stesse dando corda
lo fece sentire stranito.
"Ciao." Disse il più
alto e, anche se Levi non poteva vederlo, sapeva che lo stupido stava
sorridendo.
Eren spostò lo sguardo dall'uomo per portarlo su
Levi. "E' serio?"
L'interpellato rise. "Non
puoi credermi." Disse ad Erwin, passandosi una mano umida sul
viso.
"Non sono uno psicologo," Gli rispose,
voltandosi per guardarlo. "Ma so che sei sempre stato molto
scettico. Quindi o hai sbattuto la testa veramente forte, oppure c'è
sul serio qualcuno, lì."
"E cosa credi che sia, fra
le due opzioni?"
"Entrambe." Giusto. "Da
quand'è che tutto questo sta andando avanti?"
"Da
quando mi sono trasferito. Si è fatto vivo poco dopo che ve ne siete
andati." L'acqua stava iniziando a raffreddarsi. "Abbiamo
parlato, ero certo di essere impazzito definitivamente, sono scappato
e sono venuto a rifugiarmi da te e Mike."
"Quindi ti
sei fatto vivo alla mia porta a quell'orario a causa di ciò."
"Per
lo più."
Erwin si voltò nuovamente verso Eren, che ora
aveva un'espressione dubbiosa sul volto. "E' un bravo
fantasma?"
"Uno stronzetto."
"Sembra essere
proprio lui." Disse Erwin e, se non fosse stato per le bende che
gli coprivano gli occhi, Levi era pronto a scommettere che gli occhi
del giovane si sarebbero ridotti a due fessure.
"Il
marito dell'anno." Disse Eren, drizzando la schiena. "Sembra
prendere tutto questo decisamente bene." Si grattò il mento e
realizzò che non gli era cresciuto neanche un accenno di barba nelle
ultime due settimane. "Chiedigli a cosa sta pensando."
"Dimmi
cosa stai pensando." Ripeté Levi, chiudendo gli occhi e
appoggiando la testa contro il bordo della vasca. Perlomeno poteva
essere certo che Erwin non lo avrebbe lasciato annegare, se si fosse
addormentato.
"Potremmo metterci in contatto con una
chiesa." Il suo tono di voce era così serio che Levi quasi
rise.
"Prima dovremmo confessarci," Ribatté
sarcasticamente. "Se te la senti di dire al prete dove hai messo
il tuo cazzo durante la tua vita, problemi tuoi. Di certo non dirò a nessuno tutto
quello che ho fatto io."
Cattivo sangue, lo prese
in giro la voce.
Urlare 'oh mio Dio' mentre o Erwin
o Eren si
scopavano il suo culo era stata la sua massima religiosità. Non
era
mai andato in chiesa da piccolo, anche se sua madre aveva sempre
portato un rosario al collo. Non era un credente: non credeva neanche
alla fortuna, figurarsi se pensava ad affidarsi ad un essere che
sedeva sulle nuvole e uccideva la gente che succhiava cazzi.
Al
contrario, Erwin ed Eren avevano due idee completamenti differenti
dalle sue. Mentre Eren non era esattamente un uomo di chiesa, era
sempre presente alla messa di Pasqua. O, lo faceva, quando era vivo.
I suoi genitori glielo avevano inculcato fin da piccolo. Erwin invece
non aveva le idee molto chiare, ma Levi sospettava che c'era della
fede in lui.
"O," Continuò Erwin, ignorando
bellamente Levi, perché entrambi sapevano che non funzionava così.
"Possiamo andare da un dottore."
La seconda opzione,
la più logica, era quella che lo allettava maggiormente. Levi di
certo non era eccitato di scoprire se era pazzo o meno, però quello
perlomeno sarebbe stato un problema che avrebbe avuto una soluzione
logica.
"Sarebbe uno spreco di soldi." Sbuffò
Eren.
"Ne ha abbastanza da potercisi pulire il culo."
Disse Levi ed Erwin sorrise, anche se non aveva sentito la prima
frase. Conosceva Eren abbastanza bene da poter immaginare cos'aveva
detto.
"La scelta è tua." Gli disse, passandogli
una mano tra i capelli per allontanarglieli dagli occhi.
Levi
continuò a tenere lo sguardo su Eren, che stava giocherellando con
le sue dita.
"Quando sei pronto, ovviamente."
Continuò Erwin.
"Prima è, meglio è," Disse
amaramente il fantasma. "Sarebbe inutile affezionarsi
nuovamente." Era una semplice osservazione, quella, eppure
svegliò in Levi un senso di assoluta tristezza.
L'uomo
allontanò lo sguardo da entrambi i presenti, puntando gli occhi
contro il soffitto. "E' tutto così incasinato." Non era
esattamente certo a cosa si riferissero quelle parole, ma suppose
fossero rivolte alla situazione in generale. Tutto quello era
innaturale.
"Magari, in questo modo, puoi dare a tutto
questo una fine." Gli disse Erwin, alzandosi in piedi.
Tutti
dicevano così. Lo dicevano come se Levi non avesse sofferto
abbastanza per la morte di suo marito. Invece sì, nella solitudine
della sua camera da letto, lontano da occhi indiscreti. Il dolore al
petto lo aveva fatto stare così male da farlo urlare fino a farsi
andar via la voce, incapace di trattenere le lacrime. Aveva pianto
come un bambino fino a quando aveva ritrovato un equilibrio ed era
riuscito a mettersi nuovamente in piedi. Aveva sofferto fino a
ritrovarsi uno spazio vuoto dentro al petto.
"Vado a
prenderti dei vestiti," Continuò Erwin, fermandosi sulla porta
del bagno. "Noi tre potremmo dormire tutti assieme nel
salotto."
Il suo tono paterno fece venire voglia a Levi
di alzarsi e annegarlo nella vasca da bagno.
"Ancora non
capisco cosa tu ci veda in lui." Grugnì Eren, lanciando
occhiatacce nella direzione di Erwin.
"Ci vedo quello che
ci vedevi anche tu, moccioso."
Con le guance rosee, Eren
sbuffò. "Vabbeh."
Levi sospirò divertito.
Nonostante tutto quello che Eren aveva fatto nella sua vita passata
era ancora capace di arrossire come un timido verginello. Era una vista
preziosa, la sua.
Tuttavia i suoi commenti non erano dati
dalla gelosia. Erano causati da risentimento, perché Erwin voleva
liberarsi di lui. Non che Eren non lo capisse, perché nonostante
fosse spesso pronto a saltare a conclusioni affrettate e a fare il
viziato, era un ragazzo intelligente. Come al solito i due erano
concentrati sulla soluzione migliore per Levi. La loro devozione non
smetteva mai di sorprenderlo.
"Levi?"
Non era
né un urlo né un sussurro, eppure nelle parole di Erwin c'era una
certa preoccupazione.
Nel tempo che gli ci volle per mettersi
in piedi, Eren era già corso fuori dalla stanza.
Afferrò un
asciugamano, ma nella fretta non ne fece uso, quasi scivolando sulle
piastrelle che presto diventarono legno. Il suo cuore era pronto ad
esplodergli in petto, anche se riuscì a vedere Erwin poco distante da lui.
Le
spalle larghe dell'uomo gli bloccavano quasi la vista, ma gli ci volle
tutta la sua forza di volontà per non correre nella direzione
opposta. Il corridoio era innocuo come lo era stato anche quando
aveva deciso di metterci piede prima, però questa volta aveva una
fine visibile.
Eren si mise in mezzo ai due, assicurandosi che
Levi non potesse avvicinarsi ulteriormente.
"Che
cosa...?" Si fermò, prima di fare un esitante passo in avanti.
Levi non lo fermò. "Com'è... Possibile?"
"La casa è
più grande di quello che sembra dall'esterno." Disse infine Levi,
assicurandosi l'asciugamano ai fianchi.
"Sarà meglio che
tutto questo non sia colpa degli alieni." Grugnì Eren e, se la
situazione fosse stata diversa, Levi avrebbe riso alla citazione.
Ora, invece, non c'era nulla di divertente circa la loro
situazione.
Erwin si voltò verso Levi, poi nuovamente verso
il corridoio in un modo quasi comico. Fece un passo indietro e si
leccò le labbra, cercando e fallendo di ricomporsi. Dopo aver
inspirato profondamente annuì, raddrizzando la schiena e schiarendosi la
gola.
"Va bene," Disse. "Eren, hai la mia
completa attenzione."