Galahad lasciò
l’edificio in cui aveva incontrato Yahuda e sua
madre. Alla fine non aveva domandato conferma di ciò che gli aveva raccontato Estor, ossia che l’uomo fosse il padre di Elaine, ma in
fondo sentiva che non gli importava più saperlo o forse aveva timore a
chiedere. Non capiva bene perché, ma l’iniziale sensazione di stupore ed
entusiasmo era stata un poco offuscata da una sorta di fastidio, benché non gli
fosse chiaro il motivo.
Tornò
nell’edificio dove era rimasta Melissa e la trovò assorta in meditazione, per
cui decise di non disturbarla; si sedette a terra, con la schiena appoggiata al
muro, e rifletté su quanto aveva appena scoperto. Non passò molto e la giovane
si scosse dal proprio esercizio, vedendo l’amico si avvicinò a lui e gli chiese
come fosse andato l’incontro con il signore del maniero.
Galahad aveva uno
sguardo mesto e rispose: “Bene, direi. Ho scoperto che era questa la meta del
mio viaggio.”
“Non
sembri soddisfatto.”
“Non
so, c’è qualcosa che non mi convince, ma non capisco cosa sia, pazienza.”
“Forse
avevi diverse aspettative e aver trovato la realtà diversa ti ha un poco
deluso?”
“Potrebbe
essere.”
“Ti
andrebbe di parlarne?”
“Sì,
ma non so se posso. Gli altri cavalieri fanno gran mistero di tutto questo …
D’altra parte, però, nessuno mi ha detto di tacere su quanto mi è stato detto e
di tenere il segreto … quindi, teoricamente, non dovrei contravvenire alcuna
regola, se ti raccontassi, giusto?”
“Questi
sono i rari casi in cui approvo il sofismo. Dimmi
pure.”
“Ho
parlato col misterioso signore che è all’origine della fondazione della Tavola
Rotonda e mi ha ammesso tra i suoi cavalieri. Sostiene di avere cinquecento
anni, circa, e di combattere il male, raccogliendo oggetti che sarebbe
imprudente lasciare alla portata di chiunque e fronteggiando le manifestazioni
malvagie o pericolose della magia e del soprannaturale. Raccoglie anche molti
scritti antichi …”
“La
Biblioteca!” esclamò Melissa, interrompendolo.
“Come?
La conosci? Non era iper segreta?”
“Sì,
ma la nominata una volta Merlino, per poi subito dire che non avrebbe dovuto
parlarne. Secondo me è stato uno di quei casi in cui uno vuole far sapere
qualcosa, ma ufficialmente non potrebbe. Se davvero non avesse voluto ch’io me
ne ricordassi, Merlino avrebbe senza dubbio manomesso la mia memoria, se non
l’ha fatto vuol dire che in realtà voleva ch’io sapessi qualcosa.”
“Strano.
Teoricamente Pelleas e Merlino sono alleati, anche se
effettivamente è un po’ strano: Pelleas sembra molto
diffidente nei confronti della magia ed ha sempre parlato sottolineando come
vedesse soprattutto la pericolosità della magia, anziché i suoi benefici. Per
meglio dire, ha sempre ritenuto l’umanità troppo meschina e d’animo basso per
poter utilizzare la magia saggiamente, oppure che troppo facilmente si lasci
corrompere dal potere magico. Inoltre, anche circa le creature sovrannaturali è
sempre stato piuttosto ambiguo: ne parla come se li frequentasse abitualmente
ma, allo stesso tempo, non si fida mai.”
“Sembra
che tu conosca piuttosto bene quest’uomo, per avergli parlato sì e no una
mezzora.”
“In
realtà l’ho conosciuto anche in passato e abbiamo avuto lunghe conversazioni,
ma all’epoca non sapevo chi fosse. Merlino cosa ti ha detto esattamente?”
“Non
molto, visto che ha subito affermato che non avrei dovuto saperlo. Comunque ne
ha parlato come un’opera buona negli intenti, ma con qualche pregiudizio e
preconcetto da cui si lascia troppo condizionare. Merlino spera di poterli
aiutare a vedere le cose in maniera un poco diversa.”
“Ecco
che cosa non mi convince. Mi hanno dato l’impressione di una sorta di chiusura
mentale, un atteggiamento di chi si barrica e annichilisce, anziché di
apertura, ascolto e incontro come invece potrebbe essere, dato il grande sapere
che hanno a disposizione.”
“Non
credi di avere affrettato un po’ troppo il giudizio?”
“Forse,
ma il fatto che si avvalgono dell’aiuto dei cavalieri della Tavola Rotonda, ma
solo ad alcuni di loro hanno rivelato come stiano effettivamente le cose e
abbiano loro permesso di entrare là dentro ... mah, non mi piace.”
“Quindi,
che cosa vorresti fare?”
“Semplicemente
capire. Anche se adesso non credo di condividere pienamente il loro
atteggiamento, penso che comunque stiano facendo qualcosa di buono e quindi
voglio aiutarli. Vedrò in futuro se le cose cambieranno e come.” rimasero in
silenzio un poco, poi lui aggiunse: “Mi ha infastidito che ti abbiano esclusa
in maniera così … così … poco educata.”
“Se
sono così riservati come hai detto, non c’è da stupirsene.”
“Un
briciolo di tatto avrebbero potuto usarlo.”
“E
come?”
“Non
lo so. È da un anno che io e te viaggiamo assieme e, se Pelleas
ha osservato me, avrà sicuramente visto anche te. Le qualità non ti mancano!
Poi col fatto che sei figlia comunque di Galvano, che è nella Tavola Rotonda, e
discepola di Merlino, secondo me le credenziali per entrare là dentro le
avevi.”
“Suvvia,
vuoi veramente offenderti al posto mio?” chiese Melissa, ridendo.
Galahad fu contagiato
dalla risata e si rilassò. Parlarono ancora un poco e poi si addormentarono.
Il
mattino seguente, dopo una rapida colazione, andarono nella stalla per sellare
i cavalli e ripartire. Mentre erano intenti in questi preparativi, Elaine li
raggiunse, portando con sé uno scudo e una spada e li porse al figlio.
Galahad guardò prima lo
scudo: era bianco, segnato con una croce rossa; osservandolo bene, esclamò: “Ma
questo è sangue fresco, non pittura!”
“Sì.”
confermò la madre “È sangue di Pelleas, di quello che
sgorga dalla sua ferita insanabile. Ti proteggerà e ti aiuterà in vari modi.”
Il
giovane legò lo scudo al cavallo, poi prese la spada e l’esaminò: “Sembra
piuttosto antica e orientale, per la fattura, tuttavia non sembra consumata dal
tempo e dall’usura.”
“È
la spada di re Salomone” spiegò Elaine “Non so che virtù abbia, ma sono certa
ti servirà bene.”
“Io
con la spada di re Salomone? Non so se ne sono degno.”
“Tu,
come tuo padre, discendi da re David, dunque questa spada ti appartiene come
eredità dei tuoi antenati. Pelleas avrebbe voluto
consegnarti queste armi ieri sera, ma sei andato via di fretta e non ce n’è
stato modo.”
Il
giovane ringraziò, piuttosto sorpreso, ma felice. Abbracciò la madre per
prendere congedo da lei che gli sussurrò un’ultima cosa all’orecchio: “C’è una
missione che solo tu puoi compiere, al momento. Solo un uomo puro può portarla
a termine e tu, attualmente, lo sei. La tua purezza e verginità, però, possono
essere corrotte e potresti perderle, dunque sta ben attento a mantenerti puro e
a impedire a qualsiasi cosa o persona di corromperti.”
In
tutto ciò, Elaine non aveva affatto considerato la presenza di Melissa nella
stalla; uscendo le passò accanto e si soffermò qualche istante a scrutarla in
maniera ambigua, poi uscì.
I
due giovani finirono i preparativi, montarono a cavallo e lasciarono il
castello. Dopo qualche metro, Glahad si volse
indietro per guardare un’ultima volta quel luogo misterioso, ma dietro di sé
non c’era che bosco e da nessuna parte vi era traccia del castello.
Avendo il giovane raggiunto lo scopo del
proprio viaggio ed essendo ormai passato l’anno che Melissa doveva trascorrere
facendo esperienza del mondo, i due si trovarono d’accordo sull’idea di tornare
a Camelot.
Il viaggio di ritorno fu costellato da
qualche altra avventura, ma nulla che potesse turbare o inquietare i due
giovani, ormai avvezzi ai pericoli di quelle terre.
Giunsero a Camelot
appena in tempo per prendere parte ai festeggiamenti di Natale e Capodanno.
Sia Lancillotto che Galvano furono
felici del ritorno dei loro figli, benché si stupirono di vederli arrivare
assieme, poiché non avevano avuto notizia che i due avessero viaggiato in compagnia.
Artù fu molto contento di rivedere il
giovane amico, dopo così lungo tempo, e
lo esortò a sedersi accanto a lui e a raccontargli di tutto ciò in cui si era
imbattuto da quando aveva lasciato la corte, in particolare interessandosi a se
avesse trovato Pelleas alla fine. Fu molto contento
di sapere che il ragazzo fosse stato ammesso alla Tavola Rotonda: era certo che
si sarebbe meritato tale onore.
Trascorsero le giornate di festa con
gran gioia di tutti quanti. Giunto il primo gennaio, come da tradizione, venne
aperta la stanza della Tavola Rotonda attorno alla quale il Re e i suoi
cavalieri migliori si sarebbero riuniti per un pranzo che avrebbe rinsaldato la
loro alleanza e i loro propositi; quell’anno sarebbe stata anche l’occasione
per accogliere il nuovo compagno.
Galahad si ricordò quel
che Pelleas gli aveva detto, dunque rimase in piedi
finché tutti gli altri non ebbero preso posto, poi si sedette nell’unico posto
libero: quello alla destra del Re.
“NO!” gridò Lancillotto, vedendo il
figlio far ciò.
“Fermo!” esclamò Artù, spaventato.
Tutti i cavalieri fecero eco a quelle
intimazioni, ma ormai era tardi: Galahad si era
seduto.
Qualche istante di terrore generale:
tutti gli occhi erano puntati sul giovane. Non accadeva nulla. I cavalieri
mutarono la paura in sorpresa e si guardarono tra di loro perplessi. Dicevano:
“Com’è possibile?”
“Non lo so!”
“Non è morto?”
“Nessuna voragine questa volta?”
“Sarebbe lui il predestinato?”
“Dal momento che non è morto …”
Il giovane ancora faticava a capire che
cosa turbasse tutti quanti.
Merlino, che era presente, in piedi e in
disparte, avanzò e disse: “Galahad, ti sei appena
seduto sul Seggio Periglioso.”
Il giovane si ricordò improvvisamente di
quella leggenda.
Il mago continuò: “Tale posto è
riservato al cavaliere perfetto, puro e incorruttibile, l’unico degno di
trovare il Santo Graal. Chiunque osasse sedersi in quello scranno senza esserne
degno, era destinato a morire all’istante. Tu ti sei seduto e ancora vivi,
questo significa che tu troverai la sacra coppa di Cristo e con essa la Lancia
di Longino.”
Re e cavalieri cominciarono ad
applaudire e a congratularsi con lui, a rivolgergli segni di stima e omaggio.
Galahad era piuttosto
stordito da tutto ciò e quasi non si accorgeva di quel che gli accadeva
attorno, poiché era assorto nei propri pensieri: lui il cavaliere perfetto?
Incorruttibile? Puro? Sua madre gli aveva detto qualcosa del genere, ma credeva
fosse dovuto al fatto che le madri idealizzano sempre i figli. Anche Pelleas gli aveva parlato della ricerca del cavaliere
perfetto a cui affidare la missione del Graal e quella di ritrovare la Lancia
che lo avrebbe curato; non aveva però sospettato si stesse riferendo a lui? Pelleas lo sapeva? Lo sperava? Per questo lo aveva
osservato, per assicurarsi che fosse davvero adatto a tutto ciò? E anche
Merlino lo sapeva, visto che lo aveva seguito nell’infanzia?
Un dubbio gli attraversò la mente: se
Elaine era davvero figlia di Pelleas o, per lo meno,
fosse una sua stretta collaboratrice da tempo, era possibile che non trovando
un cavaliere perfetto avessero cercato di ‘crearne’ uno, facendo nascere un
bambino e crescerlo in modo tale che diventasse il cavaliere di cui avevano
bisogno?
Quel pensiero lo impressionava, era sia
orribile che sublime: da una parte si sentiva strumentalizzato, ma dall’altra
era grato che tutta quella gente si fosse impegnata per renderlo la persona
migliore che potesse esistere.
Presto scacciò la parte negativa del
pensiero e accolse solamente quella gradevole che gli trasmetteva anche un gran
senso di responsabilità e del dovere: ora più che mai sentiva la necessità di
servire il paese e di dare sempre il massimo per non deludere mai.
Artù invitò Galahad
a non ripartire subito per la nuova avventura, ma di aspettare il ritorno del
caldo e dunque di rimanere a Camelot con gli altri
cavalieri per qualche mese. Il giovane accettò, a patto che non si raccontasse
in giro che si era seduto sul Seggio Periglioso.
Trascorse così l’inverno e giunse la
primavera e con essa la Pasqua. Camelot era di nuovo
in festa e Galahad aveva intenzione di ripartire dopo
la conclusione di quelle cerimonie.
Una grave notizia, tuttavia, sconvolse
quelle gaie feste, la corte e il popolo intero: un cavaliere gigante aveva
rapito Ginevra e le sue dame, mentre erano in un giardino, fuori dalle mura,
per raccogliere fiori con cui intrecciare ghirlande da dare in premio alla
giostra che si sarebbe tenuta il giorno seguente.
Dei contadini avevano assistito da
lontano al rapimento ed erano corsi in città a dare notizia. Subito il re e i
cavalieri si erano armati ed erano partiti all’inseguimento del gigante, ma
ormai era già lontano e le tracce del suo passaggio si profilavano lungo l’orizzonte
distante, distante.
Sconfortati, ma decisi a salvare la
Regina le altre donne, i cavalieri stavano pensando di organizzare una
spedizione in piena regola: prima sarebbero andati dei perlustratori per
trovare la casa del gigante e poi sarebbero andati assieme a reclamare coi
mezzi necessari.
Prima di tornare in città, però, incrociarono
un nano vestito da giullare che rideva di loro e li ingiuriava. Molti cavalieri,
offesi, lo avrebbero attaccato, se non fossero stati trattenuti da Artù che
domandò: “Chi sei tu che osi insultare gli uomini più valorosi di Logres?”
“Ahahaha, il
paese è in pessime mani, allora. Siete voi, vero, i cavalieri che si sono
lasciati rapire la regina sotto il naso? Come potete difendere il paese, se non
siete neppure capaci di proteggere chi lo governa? I buffoni siete voi, non io!
Con quelle spade fareste meglio ad arare i campi e dovreste attaccare i vostri
cavalli ai carretti. Cavalieri della Tavola Rotonda, vi fate chiamare, no?
Tavola Rotonda delle osterie, è questo che intendete! Le uniche cose che siete
in grado di assaltare sono gli arrosti.”
“Smettila o pagherai a caro prezzo la
tua insolenza.” lo ammonì Lancillotto.
Galvano gli intimò: “Se avete delle
informazioni sul rapimento, parlate!”
Il nano continuò, irriverente: “Ah, sono
queste le buone maniere i cui vi fate vanto? Allora la vostra magnanimità è
solo millantata. Vi dirò: il gigante che ha rapito Ginevra è Carados e sta portando le prigioniere alla Torre Dolorosa
dal Burgravio Mardoc.”
“Chi?!” domandarono alcuni cavalieri.
Galahad, che nel corso
dei suoi studi aveva avuto modo di sentirlo nominare, spiegò: “Mardoc è un necromante molto
potente, non si conosce esattamente cosa sia in grado da fare, ma si è certi
che non vi è alcuno che conosca meglio di lui la morte e il suo dominio.”
“E perché ha fatto rapire Ginevra?”
domandò Lancillotto.
Il nano rispose: “Mardoc
ha tanto sentito parlare di Re Artù e dei suoi cavalieri e ha voluto sfidarlo. Lui
non può lasciare la Torre Dolorosa e quindi ha ordinato a Cardoc
di portare là la Regina, certo che Artù sarebbe andato a combatterlo. Andate pure,
sire, raccogliete i vostri uomini e seguite la strada spianata. Affrontate il vostro
nemico, se ne avete il coraggio.”
Artù e, raccolte delle provviste, accompagnato
da una ventina di cavalieri, partì alla volta della Torre Dolorosa. Vi giunsero
dopo un mese di galoppo e fecero un piccolo accampamento. Presto affrontarono l’esercito
di Mardoc; i comandanti erano due giganti, Cardoc e Burmalt, mentre i
soldati avevano molto poco di umano: in parte erano ombre ad alta densità, che
però potevano diventare più leggere e mutevoli e se con una delle loro mani
toccavano un cavaliere, quello rimaneva paralizzato dal terrore, in preda ad
allucinazioni, oppure era investito da un tremendo freddo che gli congelava
dalle punta delle dita pian, piano fino al cuore. Un’altra parte dei soldati
apparivano invece come umani immortali o, per essere più precisi, come morti
che combattevano, ignorando le ferite e, quando perdevano un arto,
semplicemente se lo riattaccavano.
Artù e i suoi impararono presto che
anche di notte non potevano restare tranquilli: infatti, le prime mattine
trovarono alcuni di loro in preda al delirio, oppure privati di ogni goccia di
sangue o, peggio ancora, vivi ma incapaci di svegliarsi, come se fossero stati
prosciugati delle loro energie e forze. La sera successiva potenziarono i turni
di guardia e scoprirono che spettri e vampiri uscivano dalla Torre Dolorosa e
cercavano di intrufolarsi nel loro accampamento.
Ben presto ad Artù fu chiaro che l’assedio
non sarebbe stato né breve né semplice. Decise di chiamare rinforzi e ordinò
che anche Merlino lo raggiungesse, mentre rimandò a Camelot
Mordred, affidandogli il compito di governare in sua
vece.
Il mago conosceva bene la potenza del necromante, dunque aveva portato con sé alcuni dei propri
allievi, tra cui anche Melissa, affinché lo aiutassero a svolgere i
numerosissimi compiti: sanare i feriti e le vittime degli spettri e delle
ombre, rendere ammazzabili i soldati nemici, difendere l’accampamento con
barriere magiche, impedire che le provviste finissero e altro ancora.
L’assedio durò oltre cinque anni e la
situazione pareva essere sempre di stallo: nessun esercito riusciva a prevalere
sull’altro. L’unica cosa che pareva evidente agli assalitori era che i veri
ostacoli erano i due giganti, ma ancora non erano riusciti ad ucciderli: solo
Excalibur pareva riuscire a ferirli, ma tuttavia essi guarivano
rapidissimamente.
Una sera di settembre, Galahad per cena si unì al falò attorno al quale erano
riuniti Re Artù e gli altri cavalieri della Tavola Rotonda. Si accostò a
Galvano e gli chiese: “Sai per caso dov’è tua figlia Melissa? Sono diversi
giorni che non la vedo.”
“Non saprei, anch’io è da un po’ che non
la incrocio, ma va beh, l’accampamento è grande quanto una piccola città,
ormai, quindi è anche normale non vedersi sempre.”
“Di solito, però, ogni giorno viene ad
assicurarsi della nostra salute. Non sei preoccupato?”
“Merlino l’avrà mandata a cercare
qualche erba, è già capitato.”
“Sì, ma le altre volte ci ha avvisato
della sua assenza.”
“Vero, vero … ma non credi che Merlino
ci avrebbe avvisato, se le fosse accaduto qualcosa?”
“Sì, in effetti è plausibile … però, non
capisco …”
“Perché ti preoccupi così tanto per mia
figlia?” Galvano lo aveva domandato quasi ridendo, con un pizzico di malizia.
“Beh, siamo buoni amici, penso sia
naturale preoccuparsi, soprattutto dal momento che ci troviamo in guerra.”
“Sei sicuro di non averla fatta
arrabbiare in un qualche modo e quindi ha deciso di non farsi vedere per un po’?
Le donne reagiscono in maniera strana.”
“Sono certo di non averla offesa. Inoltre,
se fosse arrabbiata con me, perché eviterebbe anche te?”
“Ovvio: per non correre il rischio di
incontrarti.”
“Bah! Penso che andrò da Merlino a
chiedere informazioni.”
“Vengo con te ragazzo.”
I due cavalieri lasciarono il falò e
andarono nella zona dell’accampamento dove risiedevano il Mago e i suoi collaboratori.
Entrarono nella tenda di Merlino e lo trovarono intento a pronunciare un
incantesimo protettivo, per cui attesero sulla soglia che egli avesse finito e
dicesse loro di accomodarsi. Sedutisi su di un mucchio di pellicce, poi, gli
domandarono dove fosse Melissa e come mai non l’avessero vista nell’ultima
settimana.
Il Mago sospirò e rispose: “Ho sperato
tanto che lei tornasse, prima che voi veniste ad interrogarmi.”
“Dov’è andata? Perché non ci ha detto
nulla?” domandò, rapido, Galahad.
“Calma, adesso vi dirò tutto. Da un po’
di tempo io e Melissa stiamo cercando di escogitare la maniera per vincere
questa guerra. Ci siamo resi conto che voi cavalieri avete ragione nel dire che
Cardoc e Burmalt sono i due
ostacoli maggiori: Mardoc li ha trasformati in una
sorta di talismani viventi, ha rinchiuso dentro di loro il proprio potere e per
questo li protegge più di ogni altra cosa. Se si riuscisse ad ucciderli, Mardoc sarebbe finito.”
“Che assurdità!” esclamò Galvano “Perché
confinare il proprio potere dentro ad altri esseri? È più rischioso!”
“Sì, ma il potere di cui Mardoc è impossesso è troppo vasto per essere gestito tutto
in una volta e ospitato nel suo solo corpo.”
“Ah, ecco perché neppure tu sei riuscito
a sconfiggerlo, ma solo a contrastarlo, non che non te ne siamo grati. Comunque,
dov’è mia figlia?”
“Abbiamo scoperto che vi è solamente una
spada che può uccidere quei due giganti.”
“E non è Excalibur, suppongo.”
“No. È Claìomh
Solais.”
“La spada di luce?!” esclamò Galahad, sbigottito.
Sentendo la traduzione, anche Galvano
capì e chiese conferma: “Quella di Nuada Mano d’Argento?”
“Esattamente.” annuì Merlino “Melissa ha
voluto recarsi dai Tuatha De Danann
per ottenere tale spada, almeno in prestito.”
“È uno dei loro quattro tesori: non la
cederanno mai!” fece notare Galahad, alquanto
alterato.
“Pelleas ci ha
chiesto più volte di recuperarli, ma abbiamo rinunciato, dopo la morte del
terzo cavaliere.” aggiunse Galvano, cupamente.
Galahad guardò
severamente il Mago e gli chiese: “Perché hai permesso che andasse via sola?”
“Ha insistito e alla fine ho voluto
darle fiducia.”
“Perché non ci ha detto nulla? Perché
non ha voluto farsi accompagnare?”
“Ha intenzione di dare la spada a te,
Galvano, dunque voleva farti una sorpresa. Non ha voluto coinvolgere te, Galahad, per paura di offenderti, nel chiederti aiuto in un’impresa
che sarebbe servita per dare onore ad un altro.”
“Che scrupolo inutile!” inveì il giovane,
poi domandò con apprensione: “Da quanto tempo è via, esattamente? È normale che
ancora non sia di ritorno?”
“È partita da una settimana e,
considerando le distanze e la difficoltà della missione, direi che per altri
quattro o cinque giorni non c’è da preoccuparsi, se ancora non torna.”
“Eppure non sono tranquillo.” dichiarò Galahad, scuotendo il capo “Preferisco andarla a cercare
subito e, magari, scoprire che è stato inutile, piuttosto che lasciarla giorni
in più nelle mani di chissà chi. I Tuatha De Danann sono piuttosto civili, ma sono anche implacabili
verso chi si mostra loro nemico. Galvano, per favore, aiutami ad ottenere da
Artù il permesso di andare a cercare Melissa: voglio partire entro un’ora.”
“Amico mio, ti ringrazio per l’impegno e
la buona volontà che dimostri nel voler
salvare mia figlia, ma aspetta almeno domattina per metterti in viaggio. Non è
saggio uscire dall’accampamento di notte, ricordi?”
“Il mio scudo mi proteggerà da qualsiasi
attacco.”
Era vero: il sangue di Pelleas sullo scudo proteggeva chi lo indossasse da gran
parte degli attacchi sovrannaturali.
I due cavalieri tornarono presso il loro
Re, riferirono ciò che Merlino aveva loro raccontato e Galahad
manifestò la propria volontà di partire. Artù gli accordò il permesso: in fondo
era negli interessi di tutti recuperare quella spada e al più presto. Il giovane
raccolse il minimo indispensabile tra equipaggiamento e provviste, sellò Brannon e partì.
Aveva messo poco più di un chilometro di
distanza fra sé e l’accampamento, quando si innalzò all’improvviso un banco di
nebbia piuttosto fitta. Il giovane non riusciva a vedere a più di un paio di
metri davanti a sé, quindi smontò da cavallo e, tenendolo per le redini, lo
precedette per assicurarsi che il sentiero fosse sicuro e che non vi fossero
ostacoli improvvisi.
L’aria attorno iniziò a farsi sempre più
gelida, la nebbia si condensava in brina che rimaneva sospesa in aria, mentre
il terreno sotto i suoi piedi ghiacciava, diventando scivoloso.
Galahad comprese che
tutto ciò era opera degli spiriti evocati da Mardoc,
dunque non vi era altra soluzione che fermarsi ed affrontarli. In che modo,
però? Non poteva certo trafiggerli con la spada.
In passato, quando si era ritrovato di
fronte a creature di quel genere, il giovane aveva sempre avuto al proprio
fianco Melissa con qualche soluzione magica; in quel momento, però, poteva fare
affidamento solo su di sé. Decise di rimanere in attesa per scoprire di quali
entità si trattasse.
Cercò di prendere il proprio scudo, per
proteggersi da influssi magici, si voltò verso il proprio cavallo e non lo
trovò: Brannon era sparito!
Si guardò nella mano in cui era convinto
di tenere le redini e si accorse di non stringere nulla.
Fiocchi di neve iniziarono a
volteggiare, il loro turbinio era ordinato e pareva seguire un ritmo preciso. Sentì,
poi, una melodia suonata da bicchieri di cristallo o tintinnata dai metalli più
leggeri e puri. D’improvviso l’inquietudine di Galahad
stava scivolando via e una sensazione di serenità lo pervadeva lentamente.
I fitti fiocchi di neve si raggrupparono
in cinque cumoli differenti che assunsero una forma umana e, quando furono
completi, furono attraversati da un fremito e la neve cadde a terra, lasciando
posto a cinque giovani donne: pelle candida, liscia e luminosa, biondi capelli
lisci e sottili lunghi tutta la schiena, occhi di cristallo, i loro corpi erano
esili e flessuosi, quasi non avessero ossa, ma estremamente ben proporzionati
tanto che si potevano notare la vita sottile e i fianchi morbidi, nonostante l’abito
di pelliccia che indossavano.
Cominciarono a danzare in cerchio
attorno al cavaliere, ridevano armoniosamente, mentre i lunghi capelli
volteggiavano nell’aria. Di tanto in tanto si avvicinavano all’uomo e lo
sfioravano con le dita sottili.
Galahad era come
ipnotizzato dalla loro bellezza e dal loro candore, rimaneva immobile, quasi inconsapevole:
vedeva ciò che accadeva ma non pensava a nulla, non reagiva; più guardava
quella danza, più la sua mente si assopiva.
Le donne si strinsero attorno a lui, lo
accarezzarono sul capo, il viso e l’armatura. I loro tocchi erano come piccole
scosse che provocavano un turbamento, subito acquietato dalla malia dei volti
delle fanciulle e il loro ancheggiare.
Una delle scosse, più forte delle altre,
risvegliò la coscienza di Galahad quel tanto che fu
sufficiente per decidere di chiudere gli occhi e restare in apnea. Senza vedere
e respirare, riuscì finalmente a riflettere: si era imbattuto in spiriti che
tramite suoni, movimenti e impercettibili profumi ipnotici colpivano la mente
degli uomini, inibivano la loro volontà e le loro capacità, rendendoli
impossibilitati a reagire: non paralizzavano il corpo, ma il cervello. Una volta
intrappolata la vittima, ne risucchiavano l’energia vitale, fino a lasciare un
corpo vivo ma vuoto. Il corpo, aggredito, cercava di risvegliare il cervello
con quelle che sembravano scosse, ma raramente la vittima riusciva a ridestarsi
e a reagire: quasi la totalità degli uomini che si imbatteva in quelle
creature, moriva.
Galahad, dunque, non
poteva conoscere alcuna procedura consolidata per sfuggire alle grinfie di
quegli spettri: doveva trovare da solo una soluzione. Dopo un rapido pensare,
afferrò la propria spada, la sguainò e si inflisse un fortissimo fendente all’avambraccio
sinistro, rompendo le protezioni in cuoio. Il dolore lancinante risvegliò totalmente
il cervello assopito. Il giovane riaprì gli occhi e vide che l’ambiente attorno
a lui era tornato alla realtà: niente nebbia o neve e Brannon
era dietro di lui.
Il cavaliere montò in sella e infilò lo
scudo che, oltre a preservarlo da ulteriori illusioni, guarì la sua ferita. Lanciò
il cavallo al galoppo.
Nota dell’Autrice:
Salve a tutti!
^____^
Vi ringrazio
per leggere la mia storia, spero vi piaccia anche se non include i personaggi
centrali della serie. Se continuerete a seguirmi, probabilmente prolungherò la
storia rispetto ai miei piani originari e dedicherò dei capitoli ad un periodo
post seconda stagione.
Per quanto
riguarda l’episodio arturiano di Mardoc, ci tengo a
condividere con voi la fonte che mi ha ispirato che non è delle più famose.
http://www.angolohermes.com/Luoghi/Emilia/Modena/Porta_Artu.html