Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: Dolores Haze    12/01/2016    2 recensioni
“Quello che voglio dire, Sherlock, è questo: ho l’impressione che negli ultimi anni tu abbia trovato qualcosa o qualcuno che sfuggisse davvero, definitivamente e per sempre, a questa terribile legge che regola la tua vita.”
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Il disagio di sentirsi circondato da persone, le quali avevano cominciato da tempo ad affollare l’ingresso della chiesa, accompagnate dallo scalpiccio di passi e dal vociare, rumori che creavano una sorta di condensa, di alone tiepido intorno a Sherlock, il quale attendeva irrigidito e paziente accanto a uno dei due cancelli che cingeva la scalinata, era compensato dalla consapevolezza che nessuno degli individui che attendeva di prendere posto per la celebrazione della mezzanotte avesse la minima idea di chi fosse Sherlock Holmes. Sorrisi, volti arrossati dal freddo. Scricchiolare di scarponcini e stivali contro la neve, una miscellanea di parole in inglese e in italiano, lingua che Sherlock non conosceva, ma della quale riusciva a riconoscere i suoni.

Luci fioche, sguardi fugaci. Cielo d’inchiostro, stelle esili. Sherlock guardò l’orologio una, due, tre volte.

Alla quarta, mentre muoveva appena i piedi nella neve per scaldarsi, intravide una figura fendere la folla di fedeli che si stava via via diradando man mano che tutti si dirigevano verso l’entrata. Pur sentendosi ancora debole e istupidito dalla delusione di non aver incontrato John neanche quella sera, scrutò con attenzione il volto e i capelli della donna che gli si accostò con fare esitante e domandò con un sorriso: “Sherlock Holmes?”

Sherlock annuì. “Laurine Gerthard, suppongo.” Indirizzo email improponibile. Qualcosa che ha a che fare con i gatti, se non ricordo male. Lineamenti europei, ma non inglesi. Capelli tinti, aridi, occhi chiari. Denti regolari, sani. Pelle non troppo fresca, forse a causa dell’abuso che questa donna fa di prodotti cosmetici, come segnalano i residui di trucco sulle palpebre e sugli zigomi. Ha ritenuto opportuno struccarsi prima di incontrare me? Interessante. Incertezza come tratto caratteriale o eccessivo egocentrismo? Tu che ne dici, John? Cappotto e stivali di buona qualità. Guanti morbidi, trama fine, mani piccole e apparentemente ben curate. Per lavoro? Probabile.

“Mi stava aspettando da molto?”, chiese la donna, scrutandolo in volto con sguardo limpido.

“Un tempo sufficiente da indurmi ad andare via. Ciononostante, lei è arrivata prima che potessi mettere in atto i miei propositi.”

La donna si voltò verso l’ingresso della chiesa, osservandolo per qualche istante. “Non va alla funzione di mezzanotte?”, chiese poi con un sorriso cordiale.

“Per l’amor del cielo, certo che no”, fu la risposta secca. “Vuole ora farmi la cortesia di spiegarmi per quale ragione ha inteso convocarmi qui in questo giorno, a quest’ora di notte?”. Mentre lo diceva, Sherlock provò un istintivo moto di gratitudine verso la sconosciuta, a dispetto del tono irritato e dell’occhiata severa che le lanciò. Non credo che avrei resistito un solo secondo in più, in quella maledetta stanza. Laurine lo osservava con gli occhi appena sgranati, un’espressione colpevole a incurvarle gli angoli della bocca.

“Ha ragione, mi scusi”, replicò con voce sottile. Gli occhi le si velarono, mentre proseguiva: “Può immaginare il motivo di questa convocazione, però. Desidero parlare con lei di padre Jonathan.” Le si incrinò appena la voce.

Sherlock la osservò per qualche istante, in silenzio. Poi affermò: “C’è un bar nelle vicinanze. Andiamo lì.”

Il locale in cui presero posto qualche minuto dopo era piccolo e riscaldato, con carta da parati giallo canarino su cui erano raffigurati fiori dai petali purpurei e tavoli in legno, con vezzosi centrini bianchi posati sugli stessi: tutti fattori che lasciavano presagire un certo senso di intimità in coloro che lo frequentavano. A Sherlock, tuttavia, l’illuminazione artificiale instillava una sensazione di umida tristezza, appiccicosa e annichilente. Scacciò quel pensiero e osservò Laurine ordinare un cappuccino.

“Ho un paio di condizioni cui le chiedo caldamente di sottostare”, esordì Sherlock dopo qualche istante di silenzio. Sedeva rigido, le mani affondate nelle tasche del cappotto, le gambe incrociate sotto il tavolo. La donna, perplessa, rispose: “Mi dica.”

“Sia rapida. Focalizzi gli elementi più importanti per l’indagine e me li riferisca senza annoiarmi. La avverto”, proseguì Sherlock, implacabile “mi annoio molto facilmente.”

Laurine annuì, senza sorridere. Si sfilò i guanti e incrociò le dita delle mani sul tavolo, premendo con forza i palmi. “Padre Jonathan era la persona migliore che conoscessi”, bisbigliò con un filo di voce. Sherlock osservò con attenzione la pelle screpolata del dorso delle mani della sua interlocutrice. “Aveva un grande cuore, era umile, gentile.”

Sherlock la interruppe. “Le suggerisco di riservare questo genere di affermazioni per una commemorazione, non per un’indagine. C’è altro?”

Laurine lo osservò, interdetta. “Volevo solo… farle capire che tipo di uomo fosse padre Jonathan. Conduceva una vita molto riservata, ma la sua porta era sempre aperta per chiunque ne avesse avuto bisogno. Era una persona limpida, senza segreti…”

Sherlock roteò gli occhi. “Ci risiamo.”

La donna gli scoccò un’occhiata rabbiosa. “Dovrebbe avere rispetto del dolore altrui, signor Holmes.”

“Il dolore di natura emotiva, appartenendo alla sfera dei sentimenti e delle emozioni umane, non costituisce per me ambito di interesse alcuno.”

“Invece dovrebbe, signor Holmes. Padre Jonathan era il mio padre spirituale e ha significato molto per me. Significa ancora molto…” sussurrò Laurine, estraendo un fazzoletto dalla tasca del cappotto. Nonostante tutto, Sherlock ne trovò il contegno estremamente ammirevole.

“Non c’è bisogno di commemorazioni strappalacrime, se mi ha consultato dovrebbe sapere che posso comprendere in pochissimo tempo ciò che lei intendeva dire.” Laurine lo fissò come se avesse visto un marziano. “Oh, no, non mi guardi così, lo fate sempre tutti. Dunque. Quello che lei vuole portare alla mia attenzione è il fatto che il signor Jonathan fosse una sorta di santo, o di creatura angelica. Una persona pulita, destinata a morire comodamente nel proprio letto dopo una vita tranquilla.” Laurine, nonostante le lacrime agli occhi, annuì con rabbia. “Alla luce di ciò, la sua domanda implicita, Laurine, è davvero interessante: perché proprio lui? Me lo dica lei.”

“Io?”, replicò, spiazzata, la donna. “Perché pensa che io possa saperlo?”

“Lo ha detto lei prima”, le labbra di Sherlock si distesero in un vago sorriso. “Un uomo senza segreti. Per fare questa affermazione doveva conoscerlo davvero bene, eppure…” il suo sguardo incrociò per un attimo quello della sua interlocutrice, soffermandosi per un attimo sulle sue iridi bluastre, guardandola senza in realtà vederla “c’è qualcosa, ci dev’essere qualcosa che lei non si spiega. Dico bene?”

Laurine sembrò illuminarsi in volto, ma subito dopo la sua espressione tornò cupa. “Una donna, signor Holmes.”

Sherlock congiunse la punta delle dita. “Ricorda quello che le ho appena detto?”

Con voce incolore, Laurine replicò: “Rapida, sintetica, essenziale.”

Il consulente investigativo annuì. “La ascolto.”

“A dire la verità non so molto… padre Jonathan non me ne ha mai parlato personalmente. Sono soltanto… voci… sussurri…”, esitò Laurine, torcendo il fazzoletto che aveva tra le mani. “Una donna che lo amava e che giurò di riprenderlo con sé, in un modo o nell’altro…”

Sherlock avvertì il fortissimo impulso di sbuffare rumorosamente, ma riuscì a contenersi. Prima che potesse pronunciare una sola sillaba, Laurine alzò il volto rigato di lacrime verso di lui.

“La trovi, signor Holmes”, boccheggiò, scrutandolo con occhi supplichevoli. Sherlock avvertì una sensazione sgradevole alla bocca dello stomaco. “Io…”

“Ho visto…” lo interruppe Laurine, singhiozzando “io… ho… letto… l’aconito… so cosa fa, come riduce le persone… è atroce… è perverso… e quella villa abbandonata… lei voleva che non fosse mai trovato, capisce? Voleva lasciarlo lì… a marcire…”

Sherlock non riuscì a parlare. Ecco cosa significa, sussurrò Mycroft dalla sua poltrona accanto al caminetto, mescolando lo zucchero nella sua tazza di tè. Accavallò appena le gambe e lo scrutò in volto. Ecco cosa significa perdere qualcuno, fratellino. Sta’ zitto, Mycroft. Il calore dell’ufficio di Mycroft si dissolse, e Sherlock si ritrovò scaraventato con violenza nel bar anonimo del giorno di Natale, mentre Laurine si preparava per fuggire, raccogliendo borsa e guanti con velocità sconnessa, ostacolata dal pianto. Evidentemente non c’era più nulla da dire, ma quel pensiero risultò curiosamente insostenibile a Sherlock, il quale, d’impulso, volle trattenerla: le afferrò il polso piccolo e freddo, meravigliandosene l’istante successivo. Laurine lo scrutò con espressione costernata, ma non tentò di divincolarsi.

“Era…” la voce gli uscì in un soffio. Fece una pausa, poi ritentò. “Era sereno.”

Laurine sembrò comprendere, e nuove lacrime le spuntarono agli angoli degli occhi gonfi. Sembrava avesse esaurito tutto ciò che avrebbe voluto o potuto dire.

“Io ho visto il suo corpo, l’ho esaminato…” proseguì Sherlock, goffamente. “Sembrava dormisse. Come se non avesse sofferto.”

Laurine annuì, piangendo. Sherlock, sconfitto, ritrasse la mano. La donna gli porse la sua, con un bagliore di gratitudine annidato nello sguardo.

“Grazie, signor Holmes.”

Sherlock ricambiò la stretta, volgendo gli occhi verso l’ampia vetrata del locale che dava sulla strada. Doveva essere molto tardi. Iniziava a nevicare. Sorrise con tristezza remota.

“Buon Natale, Laurine.”

 

Rientrò dopo qualche ora. La notte era profonda, scura, sbiancata dalla neve farinosa: entrò nell’appartamento pensando freneticamente, nonostante l’ora tarda, allo scambio avuto con Laurine, rimproverandosi aspramente per l’irrazionalità sgradevolmente emotiva con la quale aveva condotto il colloquio. Che mi sta succedendo? Si chiese. Non ho mai avuto in simpatia le festività, né le donne che piangono. Ciononostante, quanto mi ha suggerito potrebbe essere fondamentale. Avvelenamento, molto poetico, molto femminile. Movente passionale, il cerchio si chiuderebbe. Per ora, in ogni caso, questa donna ha le fattezze di un fantasma, considerando che non ha lasciato tracce di alcun tipo. Dovrò esaminare personalmente tutti gli effetti personali e i documenti di padre Jonathan…

“Signor Holmes?”, la voce, sgradevolmente familiare, alterò per un attimo il delicato equilibrio dei suoi pensieri.

“Cosa?”, sbottò in risposta. Helvia, orrendamente seduta nella poltrona di John, – la poltrona di John! – si alzò con aria colpevole, come se sapesse. Senza la felpa e i jeans strappati, senza trucco e piercing, infagottata in un anonimo pigiama di flanella, sembrava ancora più insignificante della prima volta in cui Sherlock l’aveva vista.

“L’ho aspettata per chiederle scusa”, sussurrò la ragazza, torcendosi le mani. “Per essere piombata in questo modo in casa sua, senza preavviso… Sono a Londra solo da qualche mese e avevo bisogno di un posto dove stare per poter proseguire gli studi… Martha è stata così gentile da offrirmi questa soluzione per qualche mese, prima che io trovi una casa mia…”

Sherlock sollevò una mano per interromperla. “Potremmo andare avanti per tutta la notte in questo modo, ed è l’ultima cosa che desidero al mondo”, disse con voce neutra. “La sua camera da letto è al piano di sopra, come già sa, considerando che durante la mia assenza ha già sistemato le sue cose.” Si voltò per andarsene.

“Mi dispiace, signor Holmes”, rispose Helvia in un bisbiglio triste che per un momento lo raggelò, pur continuando a dirigersi verso la sua stanza. “Mi dispiace per tutto.”

Sherlock non rispose. Continuò a camminare come se nulla fosse e si chiuse la porta alle spalle, chiudendo gli occhi per un secondo. Il telefono, con un suono di cuore spezzato, vibrò appena nella tasca del cappotto. Un messaggio. Di John.  

Sherlock dovette sedersi, il sistema cardiocircolatorio in cortocircuito, le mani sudate, la pelle sbiancata dalla paura, dall’emozione.

Io non ho emozioni, si disse seccamente, prima di ricadere nel deliquio. Il mio cuore, le mie vene. La notte fuori dalla finestra sembrava perfetta per accogliere il suo dolore, la sua disperata speranza, la sua vulnerabile, tenera dolcezza, la stessa che gli si sprigionò nelle viscere come un manto di velluto e seta dopo aver letto il testo del messaggio. Rimase a fissarlo per altro tempo, incalcolabile, già dimentico di qualsiasi cosa – Reichenbach, la rabbia, il matrimonio, la solitudine, il sacerdote, il palazzo mentale invaso d’acqua, dalle fondamenta esili, debole, il pianto di Laurine, il dolore di Laurine, così insopportabilmente rassomigliante al proprio.

Scusa se non sono riuscito a passare.

Ho avuto un po’ di problemi da risolvere.

Spero tu stia bene.

Buon Natale, Sherlock, a presto.

John

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Dolores Haze