Crossover
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Autore: Odinforce    13/01/2016    4 recensioni
In un luogo devastato e dominato dal silenzio, Nul, un essere dagli enormi poteri si diverte a giocare con i mondi esterni per suo diletto. Da mondi lontani sono giunti gli eroi più valorosi, pronti a sfidare le loro nemesi che hanno già sconfitto in passato. I vincitori torneranno al loro mondo, siano i buoni o i malvagi. Saranno disposti ad obbedire alla volontà di Nul?
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 33. Terapia intensiva

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I Valorosi non avevano fatto molta strada dopo il loro buffo incontro al Mooby’s. Avevano superato appena un isolato quando l’attenzione di tutti loro fu attirata da un grande edificio nelle vicinanze: un ospedale, alto quattro piani, intatto e immacolato, a differenza del resto della città che appariva in uno stato pietoso. La struttura fece incuriosire i Valorosi, che si avvicinarono con cautela all’ingresso principale.

« Non percepisco alcuna minaccia » dichiarò Luke, guardandosi intorno. « Apparentemente si direbbe un posto sicuro. »

« Se lo dici tu, mi fido » disse Jake. « Al punto in cui siamo, ci farebbe proprio comodo un rifugio. Un posto del genere andrà benone: se all’interno appare così messo bene, allora potremo rifornirci di provviste e medicine. »

I cinque compagni si trovarono perfettamente d’accordo. Si apprestarono dunque ad entrare nell’edificio, quando qualcosa li allarmò improvvisamente.

Crack!

Dal nulla apparvero due persone, proprio sulla via che separava i Valorosi dall’ospedale. I cinque compagni videro una ragazza dai capelli rossi avvolta in un mantello, armata di spada; stringeva tra le braccia un giovane malconcio e ricoperto di sangue. Come potevano non riconoscerlo?

« Harry! »

Lara si fece avanti per prima, più sconvolta che mai, seguita a ruota dagli altri.

« Fermi dove siete! » esclamò la ragazza con il mantello, puntandogli contro la spada di Grifondoro. I Valorosi obbedirono, ma rimasero in guardia. « Non osate avvicinarvi... il mio amico sta molto male! »

« Quello è nostro amico! » protestò Po. « Tu chi sei? Che cosa gli è accaduto? »

La ragazza non rispose. Era troppo impegnata a reggere Harry con il braccio libero, tremante per l’angoscia; il ragazzo era semisvenuto, e respirava forte per lo sforzo di restare cosciente.

« Un momento » fece, osservando bene il gruppo. « Il gigante azzurro, il demone rosso, il panda, la donna con le tette grosse... voi dovete essere i Valorosi! »

« Risposta esatta » affermò Jake con serietà. « Ora tocca a te... dicci chi sei e cosa è successo al nostro amico, prima che io decida di staccartelo dalle mani. »

« Io sono Rina Inverse, e Harry è anche mio amico! » strillò. « Ora che ci siamo chiariti, aiutatemi, o Harry morirà tra pochissimo! Non capisco, avremmo dovuto raggiungere un ospedale... »

« È proprio alle vostre spalle. »

Rina abbassò la spada e si voltò a guardare l’ingresso. Le porte si aprirono proprio in quel momento, attirando l’attenzione di tutti: due Senzavolto vestiti da infermieri si avvicinavano rapidamente, portando con sé una barella. I Valorosi scattarono subito in guardia, circondando il loro compagno ferito per proteggerlo: dopo aver passato tanti guai, ormai gli veniva spontaneo, perciò non furono in grado di comprendere subito la verità.

« Aspettate » disse Luke, troppi secondi dopo. « Non percepisco ostilità. »

Era vero. I Senzavolto si erano fermati senza attaccare; indicavano Harry e la barella, con il palese intento di caricarlo su di essa... come normali infermieri.

« Lasciamoglielo fare » ordinò il Jedi, riponendo la sua arma. I compagni esitarono, poi si fecero da parte anche loro. Rina fu l’ultima a separarsi da Harry, permettendo così ai Senzavolto di prelevare il ragazzo. Questi tornarono dunque indietro, entrando nell’ospedale; Rina e i Valorosi li seguirono a ruota, pronti a intervenire al minimo pericolo. Si ritrovarono in un’ampia hall piena di gente, ma non si fermarono a guardare nessuno in particolare.

Un nuovo individuo si fece avanti in quel momento, venendo incontro ai due infermieri. I Valorosi lo guardarono: appariva come un uomo di mezz’età, alto e dallo sguardo serio, penetrante; indossava una giacca grigia sopra una camicia azzurra senza cravatta, e camminava appoggiandosi a un bastone. Si avvicinò subito alla barella, senza degnare il gruppo di uno sguardo.

« Cosa abbiamo qui? » borbottò.

I due Senzavolto lo guardarono, senza emettere alcun suono. L’uomo annuì, come se avesse sentito qualcosa, poi fissò lo sguardo sull’agonizzante Harry.

« Puoi sentirmi? Come ti chiami? »

« Ha... Harry » sussurrò il ragazzo.

L’uomo guardò la cicatrice sulla sua fronte, facendo un sorrisetto.

« Harry Potter... ma pensa un po’. »

« Ehi, che sta facendo? » intervenne Po, preoccupato. « Cosa vuole fare al mio amico? »

« Non preoccuparti, sono un medico e sto cercando di salvargli la vita. In sala operatoria, presto! »

I Senzavolto annuirono e affrettarono il passo, spingendo via la barella. Il dottore guardò dunque i Valorosi, trattenendoli sul posto; li fissava con semplice serietà, per nulla interessato allo strano aspetto di quei personaggi che aveva di fronte. Come se per lui non significasse nulla.

« Siete suoi amici? »

« Sì » rispose Jake.

« Va bene, seguitemi. Potrete aspettare fuori dalla porta. »

Il dottore fece loro strada, avanzando con calma lungo il corridoio. Rina e i Valorosi furono costretti a stare al suo passo tutt’altro che rapido, visto che zoppicava; raggiunsero poco dopo il reparto di terapia intensiva, dove Harry era stato ricoverato. Il dottore li fece accomodare in un corridoio nei pressi di una sala, oltre la quale il loro amico era stato appena messo sotto i ferri. Luke, Lara, Po, Hellboy e Rina sedettero sulle sedie, mentre Jake fu costretto – ancora una volta – a sedersi sul pavimento. Il dottore prese posto di fronte a loro, abbandonandosi su una sedia con evidente noncuranza.

Per un po’ regnò il silenzio assoluto, attenuato solo dal ticchettare di un orologio posto sopra la porta. Poi Jake rivolse lo sguardo sulla ragazza dai capelli rossi, e si avvicinò a lei con decisione.

« Ti chiami Rina, giusto? » le chiese.

Rina annuì, l’aria tesa e amareggiata come gli altri.

« Devo sapere cosa è successo. Come hai incontrato Harry e cosa vi è capitato. Ce la fai a raccontare? »

« Certo » rispose Rina. La giovane strega prese fiato e raccontò ogni cosa, a partire dal suo arrivo su Oblivion; la battaglia con il suo gruppo nei pressi dell’Albero del Mondo; l’incontro con Harry e il successivo breve viaggio insieme, fino all’improvviso scontro con il terribile Sauron... un nemico di cui ignorava tutto, persino il nome. Raccontò come Harry fosse rimasto ferito dopo l’esplosione del Dragon Slave, e l’improvvisa comparsa di Nul alla fine di tutto: lui stesso aveva suggerito di raggiungere l’ospedale, cosa che era stata possibile grazie a Harry.

Quando Rina finì il suo racconto, era trascorsa poco più di un’ora. I Valorosi erano rimasti in silenzio ad ascoltare, manifestando una miscela di numerosi stati d’animo; ormai potevano considerarla una di loro, data la sua natura eroica. Anche il dottore di fronte a loro aveva sentito tutto, ma lui era rimasto del tutto indifferente, limitandosi a guardare il soffitto e a giocherellare con il suo bastone. In quel momento stava ingoiando una pillola da una scatola di medicine presa dalla tasca. Lara notò il nome sull’etichetta, ‘Vicodin’, e ne fu allarmata: si trattava di un potente antidolorifico oppiaceo. Fu tentata di dirgli qualcosa, ma esitò. Dopotutto era un dottore, dunque forse sapeva ciò che faceva.

Nel frattempo, le porte della sala operatoria erano rimaste sigillate... segno che l’operazione doveva essere ancora in corso.

« Harry si riprenderà, dottore? » chiese Po, sempre più preoccupato.

L’uomo scrollò le spalle.

« Tutto è possibile, finché le porte non si apriranno » borbottò. « Avete presente la teoria del gatto di Schrödinger? È la stessa cosa: in questo momento abbiamo in quella sala un Harry Potter vivo e un Harry Potter morto... ma quando l’operazione sarà finita, ne vedremo uscire fuori uno solo. »

« Oh? Che cosa significa? »

« Significa che non devi preoccuparti, Po... lascia lavorare i miei colleghi e pensa agli spaghetti, o agli involtini primavera. »

I Valorosi si scambiarono un’occhiata incredula. Di certo quel dottore appariva assai eccentrico. In qualche modo sembrava persino in grado di interagire con i Senzavolto, senza essere aggredito. Ma c’era dell’altro che l’incuriosiva...

« Come fa a conoscere Po? » chiese Lara. « Noi non ci siamo ancora presentati. »

« Neanche io, se è per questo, ma visto che ci tenete... sono il dottor Gregory House, primario del reparto diagnostico di questo ospedale, e sua attuale massima autorità.

« Non vi ho chiesto chi siete perché già vi conosco... di fama, s’intende. Ho riconosciuto Harry Potter... neanche io sono stato immune al fascino delle sue avventure. Poi c’è Luke Skywalker, del quale ho apprezzato la vecchia trilogia come il resto del mondo. Infine, ricordo di aver visto Kung Fu Panda in televisione con il piccolo Jimmy, malato di leucemia. Posso continuare, se volete, ma penso di essermi spiegato. »

I Valorosi rimasero senza parole, e anche Rina. Il dottor House si era spiegato benissimo, confermando inoltre ciò che già sospettavano: anche lui, come Jay e Silent Bob, era consapevole della natura “fittizia” di ognuno di loro... ma anche di fronte a questo dettaglio restava indifferente. Possibile che fosse davvero così distaccato?

Le porte della sala si aprirono in quel momento, interrompendo la conversazione. Ne uscì un gruppo di Senzavolto in camice verde, alcuni macchiati di sangue; quelli dietro spingevano la barella su cui era posto Harry, privo di conoscenza e ricoperto di bende in vari punti. House si avvicinò, parlando con quei Senzavolto: i Valorosi, che nel frattempo si erano alzati dai loro posti, continuavano a non sentire alcun suono, ma il medico discuteva con loro come se nulla fosse.

« Molto bene » dichiarò, mentre i Senzavolto conducevano la barella lungo il corridoio. « Operazione riuscita con successo! Harry Potter se la caverà. »

Po ricadde sulla sedia, sbuffando per il sollievo. Lara e Luke si strinsero a vicenda. Jake ed Hellboy sorrisero, mentre Rina si lasciò sfuggire un piccolo urlo di gioia.

« Meno male! Non avrei potuto sopportare... »

S’interruppe e voltò le spalle a tutti, per non mostrare le lacrime che minacciavano di sgorgare dai suoi occhi.

« Dove lo stanno portando adesso? » domandò Jake.

« In una stanza dove potrà riprendersi con calma » spiegò House. « Ci vorrà un po’ prima che riprenda conoscenza. Nel frattempo potrete farmi compagnia nel mio studio... sono certo che avete ancora parecchie domande da farmi. »

« Be’, in effetti è così. »

Il dottor House fece di nuovo strada ai Valorosi, ma questa volta Rina scelse di non seguirli.

« Io non vengo... preferisco aspettare che Harry si svegli. Ci vediamo dopo. »

E senza aspettare alcun consenso, andò avanti e seguì i Senzavolto che trasportavano Harry, sparendo in lontananza.

Il resto del gruppo seguì House fino al suo ufficio, situato al quarto piano dell’edificio. Strada facendo avevano avvistato altra gente, ma erano tutti Senzavolto, vestiti come medici, infermieri o inservienti vari; in giro non si vedeva alcun paziente, ma solo perché – come spiegato dallo stesso House – restavano tutti nelle loro stanze.

L’ufficio di House era ampio, ben curato e diviso in due sezioni: la prima, più piccola, ospitava la scrivania e la poltrona del medico, dove riceveva i pazienti; la seconda, ben più ampia, assomigliava a una sala riunioni, completa di lungo tavolo, sedie e lavagna. Il pavimento era foderato con una soffice moquette. House fece accomodare i Valorosi nella sala riunioni, l’unica in grado di contenere quella folla tutta insieme; Jake ebbe qualche difficoltà nel passare dalla porta, ma alla fine riuscì ad entrare senza abbattere alcuna parete e prese posto nell’ufficio. Era tutto molto tranquillo.

« Bene, allora » dichiarò House, sedendosi sulla sua poltrona a capo tavola. « Come posso soddisfare la curiosità di voi intrepidi eroi? »

I Valorosi si scambiarono l’ennesima occhiata incerta, prima di lasciare la parola a Jake.

« Lei è l’unico dottore presente in questo ospedale? »

« Se intendi dire l’unico dottore “umano”, la risposta è sì » rispose House. « Gli altri sono tutti Senzavolto, e obbediscono ai miei ordini. »

« Riesce a controllarli? A comunicare con loro? Com’è possibile? »

Il dottore alzò le spalle.

« Mah, non lo so bene neanche io. Potrei dire che ci riesco perché so ascoltarli, e loro ascoltano me... in pratica si tratta di un reciproco rispetto, e mi sta benissimo. Questi Senzavolto sono efficientissimi, e Dio solo sa quanto c’è da fare in un ospedale del genere... soprattutto quando i pazienti ricoverati sono tipi come voi. »

« Noi? » fece Lara. « Che intende dire? »

« Già... non ve ne siete ancora accorti. »

House lanciò un’occhiata fuori dalle grandi finestre, che offrivano una vista panoramica sulla città.

« Vi risparmio una domanda, d’accordo? » riprese. « So perfettamente cosa sta succedendo là fuori: c’è una guerra in corso, organizzata da Nul il signore del male... o qualunque cosa si crede di essere. Da una parte ci sono gli eroi e dall’altra i cattivi, costretti a combattere tra loro fino alla morte. Ognuno di loro viene da un mondo diverso... o forse dovrei dire da un’opera diversa, dato che finora non ho incontrato altro che personaggi dei film e dei fumetti a vagonate. »

« Anche lei ne fa parte, dottore? » domandò Luke.

House sospirò.

« È probabile... ma preferisco non saperlo. Sono l’eroe un film? Di un romanzo? Il tragico protagonista di una serie televisiva? Non m’interessa. La mia vita è già abbastanza complicata così com’è... l’idea che possa essere stata scritta da qualcun altro per appassionare lettori o spettatori sarebbe il colpo di grazia che non aspettavo.

« Ad ogni modo, la situazione è questa. C’è la guerra là fuori. Eroi e cattivi si affrontano. Alcuni vincono, altri muoiono, altri ancora rimangono gravemente feriti. E dove va di solito la gente quando è ferita? »

« Ehm... in ospedale? » suggerì Po.

« Bingo! » esclamò House. « In questo ospedale, per la precisione. Qui c’è tutto il necessario per rimettere in sesto chiunque, dopotutto: medicine, apparecchiature, provviste... e il sottoscritto, sempre pronto a salvare la vita di chi oltrepassa la soglia del suo regno. »

I Valorosi tacquero un’altra volta. House era stato molto chiaro, nonostante il modo di fare tutt’altro che professionale: non sembrava affatto l’illustre medico che diceva di essere, ma gli erano grati comunque. Dopotutto aveva appena salvato la vita a Harry.

« Immagino che vogliate dare un’occhiata voi stessi » disse House in quel momento, alzandosi dal suo posto. « Venite, vi mostro gli altri reparti. »

Il gruppo obbedì, e ancora una volta seguì il dottore attraverso l’ospedale. Scesero di un piano e raggiunsero un corridoio, una comune area riservata ai pazienti ricoverati. Il soffitto non era abbastanza alto per Jake, il quale fu costretto a chinarsi un po’ per passare. Mentre percorrevano il corridoio, i Valorosi videro coi loro occhi ciò di cui parlava House: il reparto era colmo di svariati personaggi, in condizioni più o meno gravi. Uomini, donne, ragazzini e altre creature stavano nelle loro stanze o si muovevano per il corridoio; erano silenziosi, e quasi tutti avevano l’aria triste o sconvolta. I Valorosi potevano solo immaginare cosa avessero passato tutti loro.

« Salve, dottore » disse un ometto baffuto vestito di verde, dotato di collare ortopedico.

« Salve, Luigi » rispose House in tono piatto. « Come va oggi? »

« Meglio, grazie. Mi chiedevo se aveste notizie di mio fratello. »

« No, mi dispiace. Non si è ancora fatto vivo da queste parti. »

Luigi si allontanò, sconsolato. House gli lanciò un’ultima occhiata prima di scuotere la testa seccato.

« Va avanti così da quando è arrivato, cioè da una settimana » spiegò ai Valorosi, continuando a camminare. « Continua a chiedere di suo fratello Mario... non vuole rassegnarsi al fatto che è sicuramente morto là fuori. Se continua così, mi toccherà farlo trasferire nel reparto psichiatrico. »

Proseguirono ancora, incrociando un altro paziente intento a guardare fuori dalla finestra con aria assente: un essere simile a una tartaruga antropomorfa che indossava una maschera rossa. Po lo urtò per sbaglio, attirando la sua attenzione.

« Scusa, amico... tutto bene? »

« No » rispose l’uomo-tartaruga. « A meno che tu non abbia un po’ di pizza. »

House richiamò l’attenzione di Po, allontanandolo da lui.

« Ignoralo » gli disse. « Ha la testa a posto, è solo parecchio scorbutico. »

Il gruppo fu raggiunto subito dopo da un infermiere Senzavolto, che mostrò ad House una cartella clinica. Lui la prese e la esaminò.

« Bene, la principessa Xena sta migliorando » dichiarò, allargando la bocca appena di un millimetro. « Sospendete pure i farmaci, ormai il più è fatto. »

Il Senzavolto annuì, e tornò al suo compito.

Il corridoio terminò poco più avanti. I Valorosi apparvero, se possibile, ancora più turbati del solito.

« Che ne sarà di loro? » domandò Hellboy, indicando il reparto che si erano appena lasciati alle spalle. « Tutti quegli eroi... cosa faranno, non appena si saranno ripresi? »

« Cerco di non pensarci » rispose House. « Per come la vedo io, ci sono due opzioni: restare qui, o tornare là fuori a combattere. Alcuni hanno scelto di restare, qui c’è spazio a volontà per ospitarli; altri sono andati via... e non sono più tornati. Ma quello che vi ho appena mostrato, signori, è solo la punta dell’iceberg. Qui è dove ricoveriamo i pazienti che hanno riportato danni lievi e possono rimettersi perfettamente... ma ci sono danni che non possiamo riparare. »

Il dottore condusse il gruppo al piano inferiore. Percorsero alcuni corridoi fino a raggiungere un’area etichettata da un cartello con su scritto “Reparto Psichiatrico”. Oltre le porte a vetro c’era un altro corridoio, simile a quello percorso al piano superiore ma deserto; in giro non si vedeva nessuno.

« Qui teniamo i pazienti affetti da traumi psichici » spiegò House, avvicinandosi alla prima porta. « Fisicamente stanno bene, ma di fatto hanno perso la zucca. Le battaglie che hanno affrontato li hanno sconvolti profondamente, a un livello che persino io fatico a immaginare. »

« Vaffanculo, brutto figlio di puttana!!! »

L’urlo proveniva dalla cella accanto, sigillata da una porta come tutte le altre. Hellboy diede un’occhiata dalla finestrella: al suo interno c’era un uomo dall’aspetto molto trascurato, da criminale incallito. Mostrava numerose cicatrici e ferite sul corpo accompagnate da altrettanti tatuaggi. Il più evidente era situato all'altezza del collo, una serie di linee tratteggiate con sotto la scritta ''CUT HERE'', ossia "tagliare qui".

Il demone lesse il nome sulla porta: “Trevor Philips”. Non aveva idea di chi fosse, ma non ci teneva nemmeno a scoprirlo.

Proseguendo, i Valorosi sentirono altre voci provenire dalle celle, e di tanto in tanto cedevano alla curiosità per scoprire chi ci fosse dall’altra parte. Sbirciarono da una porta e videro una ragazza dai lunghi capelli rossi, priva di un occhio e vestita con un pigiama. Il suo nome, secondo l’etichetta sulla porta, era Asuka Soryu: appariva tranquilla ed era intenta a pettinare una bambola, sussurrandole con dolcezza.

« ...a quel punto l’Angelo è emerso dal mare e gli ho infilato il coltello nella pancia, squartandolo a metà da parte a parte. Le navi lo hanno silurato per bene subito dopo, ma ormai era fatta: lo avevo ucciso. Sono stata io ad uccidere l’Angelo. Visto, mamma? Sono stata brava... la migliore. Nessuno è più bravo di me a pilotare gli Evangelion... io sono la migliore. Te l’ho promesso, mamma... sono la migliore di tutti. »

Poco più avanti, in un’altra cella con su scritto “Locke”, un uomo robusto e senza capelli scriveva numeri sul muro con una penna, ripetendoli in continuazione.

« Quattro... otto... quindici... sedici... ventitré... quarantadue. Premere il pulsante. Quattro... otto... quindici... »

La cella successiva ospitava un altro uomo, capelli neri e sguardo profondo; stava a torso nudo e si allenava nella boxe, ma nel frattempo parlava da solo.

« Prendi nota, mio caro Watson. Non va registrato a livello emotivo. Primo, distrarre il bersaglio. Poi bloccare gancio alla cieca. Opporre un diretto alla guancia sinistra. Scombussolare. Inebetito sferrerà una sveglia micidiale. Sfoderare blocco di gomito e botta al corpo. Bloccare sinistro bestiale. Indebolire mascella. Ora, frattura. Rompere costole incrinate. Traumatizzare plesso solare... »

House lo guardò, pensieroso.

« Sherlock Holmes... non avrei mai immaginato di vederlo di persona » commentò ad alta voce. « Un vero peccato doversi trovare dall’altra parte di una cella imbottita per ammirare un tipo del genere. »

Una serie di lamenti attirò l’attenzione di tutti, e proseguirono. Trovarono la fonte in una cella più avanti, priva di etichetta con il nome: al suo interno c’era una ragazza rannicchiata in un angolo; aveva una pelle molto chiara, capelli di un biondo argentato e occhi viola colmi di enorme disperazione.

« Quando il sole sorgerà ad ovest... e calerà ad est tu tornerai da me... mio sole e mie stelle. Quando il fuoco e il ghiaccio si scontreranno... il mondo finirà. Il trono... il trono sarà mio! I draghi... dove sono? Dove sono i miei draghi? Dove sono i miei draghi?? »

Po si tappò le orecchie, tanto era sconvolto. Aveva visto abbastanza e tornò indietro, seguito dai suoi compagni con un tacito assenso.

« Caffè? » propose House, e in parecchi si trovarono d’accordo. Il dottore li guidò quindi fino al distributore più vicino, invitandoli a servirsi.

Nessuno dei presenti aveva voglia di parlare, era evidente. La visita di quel reparto li aveva scossi, dal primo all’ultimo. Finora, da quando avevano messo piede su Oblivion, non gli era mai capitato di incontrare personaggi ridotti in simili condizioni, a parte Dylan Dog; speravano che lui fosse solo un caso isolato... ma evidentemente si sbagliavano. La morte non era la sorte peggiore che potesse capitare su Oblivion, bensì la follia: uscire talmente sconfitti da una battaglia a tal punto da perdere se stessi. Ora, dopo aver osservato da vicino così tante vittime, sopravvissute solo nel corpo, ne avevano la conferma definitiva.

« So a cosa state pensando » intervenne House dopo un po’, sorseggiando il suo caffè. « La pietà nei vostri occhi è più che evidente. Io faccio del mio meglio per aiutare questa gente, ma ho anch’io i miei limiti. Ci sono mali che non si possono curare... a tal punto che ti viene quasi da pensare che la morte sarebbe preferibile. Non è il mio caso, naturalmente... io cerco di assicurare la sopravvivenza finché posso. »

« Lei da quanto tempo è qui, dottore? » domandò Lara.

« Non ne ho idea... ho perso la cognizione del tempo dopo un paio di mesi. Di una cosa sono sicuro, però: sono stato tra i primi a finire in questo mondo. Non ho mai incontrato Nul, né ho ricevuto sfide di alcun genere come nel caso vostro o di tutti i vostri predecessori. Tuttavia non ho mai avuto dubbi sul mio scopo in questo mondo, poiché sono stato portato qui insieme all’intero ospedale. Era necessario un minimo di assistenza medica fin dai primi conflitti, e non ho potuto tirarmi indietro. »

« Ed è sempre rimasto qui? » chiese Jake. « Non sente la mancanza del suo mondo? Non ha mai tentato di tornare indietro? »

House vuotò il suo bicchiere prima di rispondere, appoggiando entrambe le mani sul bastone. Il suo sguardo profondo era in quel momento carico d’ironia.

« Mah... a volte mi ritrovo a pensare a ciò che ho perduto. La mia chitarra, il mio pianoforte, la mia palla rossa, gli spettacoli di Monster Truck... cose a cui ero particolarmente affezionato, nonostante tutto. Non mi dispiacerebbe tornare indietro, ma non vedo come sia possibile. Il mio mondo è sparito, Nul me lo ha portato via e io non sono certo in grado di affrontarlo come fate voi. La probabilità che io possa ucciderlo a bastonate è pari a quella di ricoverare un paziente affetto da lupus. »

« Cosa? »

« Lascia perdere. »

« Vuole dire che non c’è nessuno da cui vorrebbe tornare? » intervenne Po. « Famiglia? Amici? Una... compagna? »

« Mi credono morto » rispose House, alzando le spalle, « e vi assicuro che va bene così. Stanno tutti meglio senza di me. »

« Già, si vede da come tratti i pazienti, doc » borbottò Hellboy.

« Prima regola del manuale del bravo dottore: mai affezionarsi ai pazienti. »

« Battuta vecchissima. “Prima regola del manuale di Vattelapesca”... ma per favore! È evidente, doc, da come tratti le persone... ormai è chiaro che non stai simpatico a nessuno. È per questo che preferisci restare qui in eterno. Da dove vieni tu non c’è nessuno che sarebbe felice di rivederti... ho indovinato? »

House si rivolse a Hellboy. La sua espressione non mutò di una virgola, ma era evidente che le parole del demone lo avessero colpito. Guardò gli altri Valorosi uno dopo l’altro: Jake, Po, Lara e Luke, quasi impazienti di osservare la sua reazione imminente.

« Voi eroi siete tutti uguali » sospirò seccato. « Volete assolutamente sapere tutto di tutti. Se non arrivate alla verità indiscussa, alla storia dettagliata di qualsiasi interlocutore non siete contenti! Che volete che vi dica? Volete sapere quando mi è caduto il primo dentino? Il giorno in cui ho perso la verginità? O volete sapere cosa mi è successo alla gamba? No, voi volete sapere che tipo sono, per riuscire a convincermi a fare la cosa giusta. Ecco che tipo sono... uno stronzo: un vecchio, scorbutico misantropo tossicomane che non piace a nessuno, che tuttavia rende un gran servizio all’umanità perché salva la vita alle persone come pochi altri. Sono un santo nei panni di un bastardo storpio! Non è abbastanza? Io sto già facendo la cosa giusta... resto al mio posto e continuo a fare il mio lavoro; salvo la vita a voi eroi... finché mi è possibile. »

Tacque, e nel frattempo tirava fuori dalla tasca la scatola del Vicodin. Quindi voltò le spalle a tutti, dirigendosi verso l’ascensore.

« Ehi, dove sta andando? » chiese Jake.

« Ho altro da fare » rispose House. « Sono di turno in ambulatorio... e siccome detesto questa parte del lavoro e l’ambulatorio è comunque deserto, approfitterò di questo frangente per rintanarmi da qualche parte. Voi potete fare quello che vi pare: restare in ospedale o rimettervi in marcia... a voi la scelta. Buona giornata. »

Arrivò di fronte all’ascensore e spinse il pulsante. La scatola del Vicodin era aperta, pronto a mandare giù un’altra dose di quel farmaco...

« Aspetti. »

House si voltò. Luke lo aveva raggiunto, fissandolo con aria comprensiva.

« Lei è ciò che ha deciso di essere » dichiarò il Jedi. « Un uomo sofferente che aiuta il prossimo. Io posso capirlo, e anche i miei compagni. Forse la sua vita è stata davvero scritta da qualche volontà superiore, come quella di noialtri... ma in questo mondo non è tenuto a proseguire sulla stessa strada per l’eternità. Non posso cancellare tutto il dolore che la opprime, dottore... ma posso almeno fare qualcosa per la sua gamba. »

Si chinò, posando la mano sulla gamba zoppicante di House. Nessuno dei presenti poteva sentire ciò che stava succedendo, tranne lo stesso dottore: il dolore, quello che era costretto a sopprimere da anni con dosi sempre più massicce di Vicodin, era sparito. Il potere della Forza lo aveva guarito. House restò al suo posto, impietrito per lo stupore: una mano era serrata sul bastone... l’altra, invece, lasciava cadere a terra le pillole.

Durò per una manciata di secondi, poi riprese la solita espressione.

« Ehm... grazie » disse il dottore, prima di sparire dentro l’ascensore. Luke gli sorrise per tutto il tempo, poi si riunì al gruppo.

Per il momento, i Valorosi non avevano più nulla da fare. Dovevano aspettare il risveglio e la completa guarigione di Harry prima di rimettersi in marcia... ma non potevano ignorare tutto ciò che avevano visto nell’ultima ora. Tutti quegli eroi feriti o impazziti, una nuova, terribile prova della crudeltà di Nul e del suo mondo caotico. Non erano più tanto sicuri di ciò che stavano facendo, ora che sapevano con chiarezza cosa potesse ancora capitare. Là fuori c’era una guerra molto più grande di quanto immaginassero.

Ma non potevano arrendersi, non ancora. Le loro promesse di tornare a casa non erano ancora divenute vane. 

   
 
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