Credits: i personaggi appartengono a Hajime Isayama, mentre la fanfiction appartiene a Zhedang. Mia è solo la traduzione :3
Il Levi-non-Levi lo esaminò sospettosamente. Eren invece si limitò a gustarsi la sua visione. Sembrava più giovane e non così esausto, anche se comunque appariva assonnato. I suoi occhi erano più grandi e il suo viso meno spigoloso. Probabilmente andava alle superiori. Il suo zaino era pieno abbastanza da contenere svariati libri di testo e qualcosa in più. Chissà cosa poteva esserci nella borsa della palestra. Nonostante fosse maggio, aveva addosso una giacca troppo grande per lui e, dove mostrava il collo, Eren notò due macchie dalla forma della punta delle dita, appena visibile sulla sua pelle. Il suo stomaco di strinse, nel pensare che se avesse esaminato l'area abbastanza da vicino, probabilmente avrebbe trovato altri lividi che avrebbero costituito una mano.
Qualcuno aveva tentato di strangolarlo.
Con la furia appena mantenuta dentro di lui, Eren fu attento a
mantenere un'espressione neutrale.
Dopo un lungo periodo di
osservazione, Levi-non-Levi scrollò le spalle e disse, "Va bene."
Le gambe di Eren quasi cedettero di sollievo. Si sedette al tavolo
prima di cadere sul serio.
"Quindi, chi cazzo sei?"
Levi-non-Levi gli chiese, prendendo in mano un menù plastificato. La
domanda lo fece sussultare e sbatté le ciglia, prima di ricordare
dove, che giorno e chi era.
"Özgür Gözübüyük,"
Gli disse prestando attenzione a dire il nome giusto, perché Eren Jaeger era sulla punta della
lingua. L'adolescente (non Levi, si ricordò) lo fissò senza proferire parola, una reazione
a cui era abituato. La gente che lo sentiva parlare, prima di
conoscere il suo nome, pensavano fosse strano. La gente che conosceva
il suo nome prima di sentirlo parlare rimaneva scioccata, perché
parlava un inglese perfetto. "E' turco," Gli spiegò. "Il
nome è l'unica cosa che ho avuto da mio padre, prima che scappasse.
Mia mamma ha deciso di lasciarmelo, per via dell'eredità o qualcosa
del genere." Stava farneticando. Si obbligò a smetterla.
Inghiottì. Inspirò a fondo. "Tutti mi chiamano Oscar."
Il
loro cameriere arrivò con l'ordine di Oscar e quest'ultimo prese in
mano il menù. Quando il cameriere se ne andò, lo aprì riluttante.
Oscar aveva almeno una dozzina di domande che gli sarebbe
piaciuto fare - il primo posto lo prendeva sicuramente il chi
cazzo ti ha fatto del male? - ma le ingoiò. Non voleva
spaventarlo e farlo scappare. Ok. Avrebbe potuto farcela a
trattenersi. Aveva imparato a farlo negli anni passati, grazie anche
alle ramanzine di sua madre sul come non porsi da persona pericolosa:
mantieni le mani sempre visibili, sii gentile, sii cordiale, nessun
movimento improvviso, non discutere, chiedi il permesso prima di
fare qualsiasi cosa. Solitamente si comportava a quel modo solo con i
poliziotti o i proprietari dei negozi, ma gli sembrava appropriato
comportarsi a quel modo anche nella situazione in cui si trovava
ora.
"Cosa mi diresti, se ordinassi tre cose differenti?"
Gli chiese il ragazzo, scrutando ancora il menù. "Ho tanta
fame."
Oscar fece finta di essere particolarmente
interessato a guardare le immagini rappresentanti diversi tipi di
piatti. "Pagherei, perché avevo detto che l'avrei fatto.
Oltretutto non puoi di certo mandarmi in bancarotta ad un Denny's.
Sarei anche stupito se riuscissi a finire tutto senza
vomitare."
L'altro sbuffò una risata, come aveva fatto di rado il Capitano Levi tanti anni prima. Il
turco si obbligò a tenere gli occhi fissi sul menù e a non fissarlo
ad occhi sbarrati.
Infine il cameriere tornò. Il ragazzo più
grande non aveva ancora letto mezza parola menù. "Io prendo...
Uh... L'omelette vegetariana." Ordinò. Denny's le aveva,
giusto? "Con tutto. E..."
"Una bistecca e delle
uova," Disse Levi. "Strapazzate. Voglio anche delle
patatine fritte, non le crocchette. Oh, e la bistecca fammela al
sangue."
"E quello per lui." Concluse
Oscar.
Il cameriere scrisse gli ordini e se ne andò, non
senza rivolgere ad Oscar un'occhiata stranita. Per qualche ragione,
anche il compagno di tavolo lo stava fissando. Però non era
l'occhiata sospettosa di prima. Qualcosa di più vicino alla
curiosità. "Cosa c'è?" Chiese.
"Nulla."
Non
riusciva più a sedere in silenzio. Il suo nome, quella era una cosa
perfettamente normale e non inquietante da chiedere, giusto? Gli
aveva dato il suo, d'altra parte. Mise a posto il menù a posto e,
quanto più casualmente riuscì, gli chiese: "Quindi, qual è il
tuo nome? Sono pronto a scommettere che non è Özgür."
Lo
studente portò entrambe le mani sulla sua tazza da tè, ma non
bevve. "Levi."
Il suo cuore si fermò, prima di
riprendere a battere troppo rapidamente. Impossibile. Doveva aver
capito male, perché davvero, quante possibilità c'erano che fosse
quello il suo nome? "Levi?" Ripeté, senza riuscire a non
apparire incredulo. Magari ricordava ma non lo aveva riconosciuto?
Però Alexis lo aveva riconosciuto e questo Levi era troppo giovane
per ricordare qualcosa.
"Sì," Sbottò il giovane.
"Cos'è, non ho la faccia da Levi?"
Sbatté le
ciglia, chiedendogli cosa lo avesse turbato a quel modo, prima di
decidere che probabilmente era dovuto al fatto che avesse dubitato di
quel nome a causa della sua etnia. Sembrava provenire dal sud
America, ma non ne era certo. "No. Levi è un nome perfetto per
un ragazzo come te." Quello sembrò placare il ragazzo: le sue
spalle si rilassarono dalla loro posizione sulla difensiva.
Incoraggiato, Oscar continuò. "Scusami. Dovrei ben sapere di
non assumere certe cose. Ho passato una brutta giornata."
Levi
lo guardò con un sopracciglio alzato. "Effettivamente hai un
aspetto di merda."
"Pure tu." Rispose Oscar,
indicando con un gesto della testa il collo dell'altro.
La mano del giovane andò
automaticamente a sfiorare i lividi che gli segnavano la gola e lo
fulminò con lo sguardo. "Non sono affari tuoi." Gli disse,
alzando il colletto della giacca per nascondere i segni.
"Va
bene." Rispose semplicemente il turco, anche se nella sua testa
l'eco di Eren era in completo disaccordo con lui - non andava bene
per niente. Eren voleva trovare chi gli aveva fatto quello e
spaccargli la faccia. Indubbiamente Levi si era arrangiato da solo,
ma faceva parte della sua squadra, aveva salvato la vita ad
Eren una dozzina di volte, quindi nessuno aveva il permesso di fargli
del male e non venire punito. Specialmente non a questo Levi più
giovane. Per calmare l'ombra di un ringhiante Eren nell'oscurità
della sua mente, decise di chiedere: "Quindi, cosa ci fai al
Denny's alle due di mattina?"
Il viso del giovane divenne
di pietra. "Sto aspettando che qualcuno venga a
prendermi."
"Ah, sì?" Anche in questa vita,
Levi era un pessimo bugiardo. Poteva dirlo anche solo dal suo tono di
voce rigido. Non stava aspettando nessuno.
"Sì. E tu
cosa ci fai qui?"
Non poteva esattamente rispondergli
'sono un malato di mente e a volte fatico a prendermi cura di me
stesso'. Beh, avrebbe potuto, ma sapeva mentire decisamente
meglio di Levi. Quindi gli raccontò di essersi preso un giorno
libero da lavoro per farsi una maratona di Gossip Girl su Netflix e
farsi prendere così tanto da dimenticarsi di mangiare. Tecnicamente
era vero. In parte, almeno.
In qualche modo la sua spiegazione
divenne un lungo monologo su Chuck Bass che durò fino a ben dopo che
il loro cameriere fosse tornato con i loro ordini. Levi ascoltò tutto con
le sopracciglia alzate, forse perché divertito o forse perché
confuso, mentre tagliava la sua bistecca.
"Perché guardi
Gossip Girl?" Gli chiese, quando finalmente Oscar si calmò.
Il
ragazzo scrollò le spalle. "Quando vivevo con mia madre, spesso
lo guardavamo assieme. Mi sono fatto prendere." Inoltre era un
programma sicuro da guardare. Nessuno moriva di morti atroci su
Gossip Girl. Ormai, se voleva evitare flashback non voluti, non
poteva più guardare film horror e una buona parte di film
d'azione.
Il suo lungo monologo su Gossip Girl aveva avuto
l'effetto di far rilassare Levi. Continuarono a parlare di serie
televisive mentre mangiarono, anche se era ancora Oscar a portare
avanti la discussione, in quanto il compagno di tavolino sembrava non
guardare molta TV e aveva la stessa reticenza al parlare del
Capitano. Presto i loro piatti furono vuoti e i loro stomaci
pieni, quindi Oscar non aveva più scuse per rimanere lì. Tuttavia
non voleva lasciare Levi solo, non ora che lo aveva appena ritrovato
e non quando sembrava ritrovarsi in qualche sorta di casino. Sia lui
che il fantasma di Eren non erano mai andati tanto d'accordo. Levi
aveva bisogno di aiuto.
"Si è fatto molto tardi. O
presto, per essere precisi." Iniziò. Levi emise un mugugno di assenso,
occupato a finire il suo tè. "Mi chiedo dove sia la persona che
dovrebbe venire a prenderti."
L'interpellato s'irrigidì,
poi scrollò le spalle.
Oscar smise di fare giri di parole.
"Vuoi che ti accompagni da qualche parte? A casa di un amico, di
un parente..."
L'adolescente s'irrigidì nuovamente,
riducendo gli occhi a due fessure come se potesse in qualche modo
capire se Oscar stesse pianificando di farlo a pezzi e buttarlo in un
canaletto in mezzo alla campagna o meno, solo guardandolo. Il suo
intero corpo faceva capire che era opposto anche solo all'idea,
eppure non fu una negazione quella che mormorò. Al contrario, appoggiò
la tazza di tè senza allontanare mai gli occhi da quelli di
Oscar.
"Al St. Clare." Mormorò.
"La
chiesa?" Gli chiese Oscar. Non aveva vissuto a lungo nella
città, quindi magari sarebbe potuto essere un rifugio o anche un
ospedale.
"La scuola."
"... Vuoi che ti
lasci a scuola così puoi... Aspetta, ma quanto manca all'inizio
delle lezioni? Ti rendi conto che sono appena le quattro,
giusto?"
Levi scrollò nuovamente le spalle, tornando ad
avere l'espressione esausta di quando Oscar lo aveva trovato prima.
Non confermò o negò ciò che gli era appena stato detto. Oscar
si ritrovò a chiedersi se tutto questo - il suo trovarsi così tardi
al Denny's e poi andare a scuola - fosse una semplice fuga temporanea
data da una brutta situazione o se fosse veramente scappato di casa e non
sapeva cos'altro fare. Pensò ai lividi che aveva sulla gola e sperò
con tutto il suo essere che il ragazzo non avesse intenzione di
tornare da chi gli aveva fatto quello. Il Capitano era sempre
stato più bravo a prendere decisioni sul momento, piuttosto che
pianificare un piano precedentemente, così Oscar poteva solo
immaginare un Levi adolescente scappare senza avere alcuna idea di
dove cercare rifugio.
Cercò di pensare come porre la
successiva domanda, ma alla fine si arrese. D'altra parte non c'era
modo di dirlo in qualche altra maniera. "E se ti portassi io
questa mattina? Cioè, la vera mattina. Il mio divano è abbastanza
comodo."
Quasi sperò che il giovane gli rispondesse di
no, perché andare a dormire a casa di uno sconosciuto era, in
generale, una pessima decisione. E per un momento Levi sembrò pronto
a rifiutare - chiuse le mani a pugno, il suo corpo pronto a
scattare.
Poi, però, annuì lentamente.
#
"Vivi
da solo?"
Fu la prima cosa che Levi disse, da quando avevano lasciato il Denny's.
"Sì." Gli rispose,
sistemando le proprie scarpe sul mobiletto apposito, facendo lo
stesso con quelle del ragazzo.
Levi poggiò le sue due borse
sul divano e camminò per il soggiorno, senza toccare nulla e
mantenendo contatto visivo con Oscar. "E' davvero
pulito."
Oscar era sempre stato ordinato, anche troppo
secondo i suoi vecchi coinquilini. Da quando poteva ricordare, aveva
sempre mantenuto la sua camera in ordine e aveva l'abitudine di
sistemare tutti i casini - grandi o piccoli - che incontrava per
casa, senza preoccuparsi di chi fosse stato. Non lo faceva perché
voleva, ma perché non era mai riuscito scrollarsi di dosso il
presentimento che qualcuno sarebbe rimasto scocciato nel trovare
disordine o sporcizia. Chi, non lo sapeva. Sua madre era sempre stata
assente, suo padre era ancor più negligente. Però, mentre guardava
Levi passare un dito sul tavolino da caffè, si rese immediatamente
conto di chi gli aveva instillato quel bisogno di pulire che aveva
sempre sentito. Ad Eren, per dirla tutta. Realizzare quella cosa gli
fece mancare per un attimo il respiro e si ritrovò a soffocare una
risata quasi disperata, perché evidentemente Eren aveva preso così
a cuore tutto ciò che il suo Capitano gli aveva insegnato che
quelle abitudini gli erano rimaste anche dopo la morte. "Sono
stato addestrato bene." Disse, riuscendo a rispondere senza far
notare la sua reazione.
Levi lo guardò dall'altro al basso.
"Hai fatto il militare?"
"Circa."
Concordò. Per qualche ragione, la situazione quasi lo divertì e,
per nascondere un sorriso, si passò una mano sul volto. Era esausto.
Non aveva dormito bene, la notte precedente, e ora erano le quattro
passate e Levi, il Capitano Levi, era nel suo soggiorno.
Esausto, fisicamente e psicologicamente.
Invitare Levi a casa
sua probabilmente non era stata una grande decisione. Questa era casa
sua, di Oscar, e ne aveva memorizzato ogni centimetro in modo da
poter riprendersi meglio prima e dopo i flashback. Aggiungere Levi al
tutto sembrava quasi voler causare un disastro. Quanto della sua vita
avrebbe dato ad Eren, che si muoveva nell'oscurità della sua mente,
a causa di questa sua scelta?
Però non riusciva a
pentirsene.
Tuttavia sapeva che sarebbe dovuto andare a letto e
riposare, prima che qualsiasi cosa accadesse. Aprì l'armadio dove
teneva coperte in più e ne portò qualcuna fino al divano. "Il
bagno è lì," Gli disse, puntandolo con una mano. "Penso
di avere uno spazzolino da denti nuovo nei cassetti, se ne hai
bisogno. Puoi usare tutto quello che ho senza alcun problema,"
Esitò, poi continuò. "Ora vado a dormire, a meno che tu non
abbia bisogno di qualcosa?
Levi scosse la testa. Si prese una
coperta e la spiegò. Oscar lo guardò per un momento, prima di
dirigersi al bagno. Si lavò i denti e inghiottì le sue pillole,
ascoltando i rumori che provenivano dall'altra parte della
porta.
Levi. Nel suo appartamento. E lo avrebbe portato a
scuola, l'indomani mattina. Gli sembrava irreale.
Quando uscì
dal bagno, il ragazzo era seduto sul divano-ora-letto ad aspettare il
suo turno al bagno. Oscar gli chiese nuovamente se aveva bisogno di
qualcosa, prima di augurargli la buona notte e andarsene nella sua
camera da letto. Quando chiuse gli occhi non si chiese se avrebbe
sognato, quella notte, ma si chiese se i suoi sogni sarebbero stati
ricordi nuovi o vecchi.
#
Il mattino seguente, Oscar
lasciò un biglietto sul tavolo prima di uscire per la sua corsa
mattutina. La tentazione di spezzare la sua routine era forte, ma
sapeva che più tardi se ne sarebbe pentito. Se voleva tenere Levi a
casa, doveva mantenersi la sua identità da Özgür Gözübüyük più
stretta possibile a sé. Quindi scrisse velocemente un messaggio sul perché
non era a casa e quando sarebbe tornato, prima di uscire.
L'aria
era piena di umidità, nonostante l'orario, e presto Oscar si
ritrovò a sudare. Si concentrò sul caldo umido, il rumore
delle sue suole
contro l'asfalto, il rombo delle auto che passavano, lasciando i suoi
sensi dargli l'inconfutabile prova di quale mondo e quale vita stava
vivendo. Sapeva di aver sognato, la notte precedente, ma le immagini
erano offuscate, indistinguibili nel buio della sua mente. Correre lo
fece sentire un poco meglio, come se stesse mettendo una distanza
fisica fra lui
ed Eren.
Quando tornò all'appartamento, Levi era
sveglio e stava cucinando delle uova. "Ne vuoi una?"
Nonostante
si fosse preparato mentalmente, vacillò ugualmente nel vedere il
giovane nella sua cucina. Levi. Nella sua cucina. "C-certo."
Una goccia di sudore rotolò pericolosamente vicino ad un occhio,
quindi si passò una mano sul viso. "Vado a fare la doccia."
Disse, prima di sparire nuovamente.
Quando si fu lavato e
vestito, due uova all'occhio di bue si stavano raffreddando sul suo
piatto. Levi mangiò le sue uova accompagnandole con una salsa che
doveva aver trovato nel frigorifero di Oscar, anche se il modo in cui
masticava e ingoiava mostravano il suo pentimento sulla scelta.
"Ho
cercato la tua scuola," Disse Oscar, infilzando uno dei tuorli,
guardandolo colare. "E penso di sapere dove si trova, ma
probabilmente dovrai darmi delle indicazioni."
Levi
grugnì un assenso. "Quando partiamo?"
Oscar guardò
l'orologio della cucina, calcolando il tempo in più che ci avrebbe
messo per arrivare a lavoro. "Dieci minuti?"
Erano
fuori dalla porta dopo cinque minuti. Levi sedeva rigidamente sul
sedile, con lo zaino sulle gambe e la borsa da ginnastica vicino ai
piedi. Oscar solitamente non ascoltava la radio - preferiva il
silenzio per concentrarsi meglio, dato che a volte aveva ancora dei
problemi a farlo -, ma la presenza del giovane di fianco a lui
rendeva il silenzio assordante, quindi l'accese. Nessuno dei due
parlò, oltre alle occasionali indicazioni sul dove girare o che via
prendere.
Levi lo fermò ad un isolato di distanza dalla
scuola, spiegandogli che se non lo avesse fatto si sarebbe ritrovato intrappolato
dalle altre auto. Anche degli altri studenti avevano avuto la stessa idea
ed Oscar guardò fuori dal finestrino, osservando i ragazzi passare
vestiti con camicie bianche, pantaloni neri e gonne a quadri. "Avrai
problemi ad andare a scuola senza uniforme?"
Levi lo
guardò stranito, poi indicò la borsa da ginnastica. "Ce l'ho.
Ho educazione fisica alle prime ore, mi cambio sempre dopo."
"Va
bene." Prima che Oscar potesse chiedersi perché non avrebbe
dovuto farlo, afferrò uno scontrino del benzinaio e ci scrisse il
suo numero di telefono, prima di premerlo nella mano del ragazzo. "Se
hai bisogno di qualcosa - sono serio, davvero - chiamami,
ok?"
Voleva - o meglio, Eren voleva -, dire
qualcos'altro, ma lui e Levi erano poco più che conoscenti in quel
mondo. Anche se avesse parlato col suo Capitano dubitava
avrebbe detto molto altro. Erano una squadra: non c'era
bisogno di rassicurazioni verbali sull'aiutarsi a vicenda.
Levi
fissò lo scontrino e poi alzò lo sguardo verso Oscar, prima di
annuire e piegare concisamente il pezzo di carta a metà. Lo mise
nella tasca anteriore dello zaino. Con un'ultima occhiata diffidente
verso Oscar, aprì la portiera e scese sul marciapiede. L'uomo lo
guardò con un nodo alla gola, chiedendosi se sarebbe stata l'ultima
volta che lo avrebbe rivisto. Prima che Levi chiudesse la porta, si
abbassò per infilare la testa dentro l'auto.
"Posso...
Potrebbe andare bene... Tu non..." Si fermò, serrando le dita della destra
sulla spallina dello zaino. "Posso stare da te, solo per altri
due giorni? Giusto il tempo per trovarmi una sistemazione."
"Puoi
stare da me quanto vuoi" Quasi gli scappò, ma Oscar si
fermò poco prima di pronunciare quelle parole. C'era sicuramente un
modo migliore per dire quello senza sembrare fin troppo gentile (e un filino
inquietante). Quindi si decise per una frase un po' più
neutrale. "A che ora hai bisogno che venga a
prenderti?
#
Nella sua pausa pranzo mandò ad Alexis
due messaggi. Il primo diceva Ho trovato Levi. Non ricorda niente,
ovviamente, ma starà nel mio appartamento per ora. Mina non
aveva mai incontrato il Capitano Levi, ma aveva riconosciuto
il nome quando le aveva parlato di lui precedentemente. Poi, con
esitazione, le chiese Pensi che sia saggio?
Il suo
telefono vibrò poco dopo con le risposte. Cosa??? E'
incredibile!!! e, dopo un attimo, Ti ha creato
'problemi'?
Nulla, per ora. Però tutto mi sembra decisamente
irreale.
Non è sorprendente, come cosa. Il cambiamento
potrebbe essere un attimo difficile da gestire, quindi stai attento.
Più tardi riesci a chiamarmi, per parlare meglio?
Oscar
le rispose con un Sì, prima di mettere via il cellulare per
mangiare, ma scoprì di non avere appetito. Non era l'avere i
flashback che lo preoccupava. Era il perdersi nello spettro di Eren
Jaeger.
#
Un paio di giorni divennero svariati.
Giovedì, venerdì e sabato passarono senza grandi problemi, anche se
vedere Levi sedere sul suo tavolo della cucina per fare i compiti era
in sé qualcosa di straordinario. Il ragazzo non gli aveva mai
parlato molto di sé stesso e Oscar si rifiutava di chiedergli
qualcosa, ma era riuscito comunque ad apprendere piccole informazioni
su questo Levi, per compararle al Levi delle memorie di Eren. Aveva
quasi finito il secondo anno di superiori e dalle vacanze estive lo
separavano solo un compito di matematica e una presentazione orale in
Francese. Odiava il sapore del caffè, ma gli piaceva l'odore. Era
molto ordinato, ma Oscar non sapeva se fosse così generalmente o
semplicemente perché era suo ospite. Guardava costantemente i suoi
movimenti con occhi taglienti. In breve questo Levi era una persona
diversa, ma alle volte era così simile all'altro Levi che gli faceva
male.
Probabilmente l'informazione più sorprendente l'apprese
domenica mattina. Uscì per la sua solita corsa mattutina, solo per
tornare indietro quando notò il cielo ingrigirsi. Probabilmente
avrebbe semplicemente piovuto, ma non aveva controllato il meteo e
non voleva rischiare di trovarsi fuori sotto una pioggia tuonante. I
fulmini non gli provocavano sempre i flashback, ma se succedeva il
suo familiare e memorizzato appartamento era il posto più
sicuro dove poteva trovarsi.
Iniziò a pioggerellare giusto un
attimo prima che prendesse le scale per il suo appartamento, così si
fermò sul tappeto d'entrata, si tolse le scarpe umide e le sistemò
sul porta scarpe prima di muoversi dall'entrata. Non sapeva se Levi
stesse ancora dormendo o meno - solitamente era sveglio quando
tornava dalla sua corsa, ma era uscito al massimo per venti minuti -
quindi entrò silenziosamente in soggiorno.
Levi era seduto
sul divano, la testa piegava in avanti come se stesse guardando
qualcosa sulle sue gambe. Oscar quasi lo salutò, ma notò un rosario
tra le sue mani e lo sentì mormorare in spagnolo, quindi decise di
evitare. Poteva dire che, dalle spalle tese del ragazzo, Levi fosse a
conoscenza della sua presenza, ma decise comunque di dirigersi
silenziosamente verso la cucina per non interromperlo
ulteriormente.
Si versò un bicchiere d'acqua e lo sorseggiò
avidamente, chiedendosi perché quella scena lo avesse sorpreso così
tanto. Il Capitano era stato un uomo dalla grande fede, anche
se non era mai stato religioso. L'unica religione a quei tempi era
quella delle Mura e non aveva mai creduto nell'eterna protezione e
divina grazia di esse. Al contrario, il Capitano Levi metteva
tutta la sua fede nelle sue decisioni e abilità e nei piani del
Comandante Smith. E-
Una scena che aveva ricordato
qualche anno fa gli tornò gentilmente alla memoria.
L'aria
è calda e fastidiosa sul tetto dove si trova, col Sole che sprigiona
i suoi raggi prepotenti su di lui, ma Eren si limita a premersi i
palmi contro gli occhi e si pulisce le lacrime sui pantaloni. Sente
qualcuno avvicinarsi dietro di lui e sta per ringhiare a Mikasa che
scenderà quando è pronto, dannazione, quando la persona gli dice:
"Non metterti ancora le mani negli occhi, è
disgustoso."
Abbassa le mani - non si era neanche accorto di aversele portate nuovamente sul viso - e guarda verso il
Capitano Levi. "Penso che un'infezione agli
occhi sia la minore delle mie preoccupazioni, a questo punto."
Gli risponde.
Il Capitano Levi grugnisce
un assenso e si siede di fianco a lui, con la gamba sana piegata
sotto il suo corpo e quella malandata che pende oltre il bordo del
tetto. Offre ad Eren un fazzoletto dalla sua tasca e il ragazzo lo
accetta, nonostante le sue parole.
"Non sto piangendo
perché-" Eren però si ferma, perché non ha bisogno di
giustificarsi col Capitano. "Finirò il mio
compito," Gli dice. "Davvero, andrò avanti fino alla fine. Finirò tutto
questo."
Sa di apparire patetico, con gli occhi rossi e
il moccio al naso, ma la risposta del Capitano
non lascia spazio ad alcun dubbio. "Lo so."
E
aveva messo la sua fede in Eren Jaeger.
Quello era un altro
modo in cui questo Levi e l'altro erano diversi, anche se a pensarci
meglio non era così grande, la differenza. Nonostante tutto il
cinismo e la diffidenza di cui era capace il Capitano, non
poteva pensare a qualcun altro che avesse dentro di sé così tanta fede.
Magari, se ci fossero state religioni diverse, sarebbe stato
religioso. Invece al tempo aveva dovuto limitarsi a semplici esseri
umani.
Oscar aveva finito il suo secondo bicchiere d'acqua e
stava sciacquando una mela, quando Levi apparve nella cucina col
rosario in mano. Era stato chiaramente un momento privato, ma gli
sembrava strano far finta di non aver visto niente, così gli chiese:
"Sei cattolico?"
"Vado ad una scuola
cattolica."
"Sì, ma non devi essere cattolico per
andarci."
Levi alzò un sopracciglio, come se Oscar fosse
particolarmente stupido. "Sono messicano."
"Mi
stai incoraggiando a stereotiparti?" Gli sorrise, prima di
mordere la mela. Mentalmente mise al sicuro la nuova informazione.
Messicano. Il suo originale latino americano non era stato così
sbagliato. Sembrava fluente in spagnolo, da quel poco che aveva
sentito, ma il suo inglese era privo di accenti, quindi concluse che
o era nato negli Stati Uniti o ci si era trasferito quando era molto
piccolo. La voglia di chiedergli altro era forte, ma resistette. Levi
non aveva ancora detto nulla sull'argomento, quindi doveva essere
off-limits. "Vuoi fare colazione?"
#
L'anno
scolastico finì. Levi rimase. Chloe e sua madre presero parte al
ristrettissimo gruppo di persone che sapevano di Levi, anche se
ricevettero una spiegazione differente da quella che aveva dato ad
Alexis. A Chloe disse semplicemente che c'era qualcuno che sarebbe
stato da lui per un po'. A sua madre aveva detto che si era trovato
un coinquilino, cosa che le fece un piacere immenso, dato che si
preoccupava costantemente di saperlo da solo. Voleva sapere tutto su
Levi, quindi condivise quello che poteva, stando attendo a non
parlare del fatto che suddetto coinquilino andasse alle superiori e
che, probabilmente, era scappato di casa.
Con l'andare del
tempo la versione del coinquilino divenne realtà.
"Ho
trovato un lavoro." Annunciò Levi.
Oscar era nel bel
mezzo della sua routine del prepararsi prima di andare al lavoro, ma si gelò.
"Sì? Sei fortunato, non ci sono molti posti che cercano
dipendenti di questi tempi."
"Il fratello del mio
coach ha un ristorante: ha messo una buona parola per me."
Oscar
realizzò che era ancora piegato e finì di mettersi le scarpe. "Il
tuo coach?"
"Facevo orienteering e il velocista a scuola,"
Il ragazzo si corrucciò. "Nessuno scherzo sui messicani e lo
scappare. Giuro, se devo sentire ancora qualche battuta di
merda--"
"Non mi è neanche passato per la testa."
Lo rassicurò. Dato che Levi sembrava più chiacchierone del solito
si azzardò a fare un'altra domanda. "Hai fatto
gare?"
Tipicamente, quando faceva delle domande, Oscar
riceveva un'espressione infastidita. Ma, quella mattina, il ragazzo
sembrava abbastanza distratto da qualcosa. "Per lo più i cento
metri e il salto agli ostacoli."
"Hm." Avrebbe
voluto chiedergli qualcosa di più, ma decise per il contrario.
"Quindi ti sei trovato un lavoro. Sei stato bravo."
"E'
solo part time, per ora, ma probabilmente presto riuscirò a prendere
più ore. Oltretutto è abbastanza vicino." Levi incrociò le
braccia sul petto e se le strofinò con le mani, come se avesse
freddo. Impossibile. Era giugno, il giovane aveva addosso una felpa
e il condizionatore dell'appartamento non funzionava così
bene. Oscar realizzò, un po' in ritardo, che Levi era nervoso -
un'emozione che non era abituato a vedere su di lui. "Quindi mi
stavo chiedendo se potessi rimanere qui. Permanentemente. Pagherò
metà affitto."
Lo spettro di Eren soffrì all'idea di
prendere i soldi di Levi - il Capitano Levi non gli doveva
niente, era Eren a dovergli pagare innumerevoli debiti - ma Oscar
sapeva che sia quel Levi che questo avevano bisogno della loro
indipendenza. "Non posso chiederti metà dell'affitto, quando
non hai neanche un vero letto su cui dormire. Un quarto."
Levi
serrò le labbra. "Metà."
"Un quarto- Ah,
dannazione," Mormorò, alla vista dell'orologio. "Devo
andare via. Possiamo discuterne più tardi."
Gli ci volle
un po', entrambi cercarono di fare il più testardo dell'altro, ma
alla fine si decisero per un quaranta percento. Oscar pensò che
doveva contarla come vittoria - questo Levi sapeva essere più
testardo del Capitano.
#
L'estate proseguì
lentamente. Senza neanche parlarne si trovarono la loro routine -
lavoro, pulizie di casa, spesa, cucinare, guardare film disney o
telefilm la notte tarda. La vecchia routine di Oscar cadde a pezzi,
lentamente rimpiazzata con quella nuova, ma non era così male. Non
si era reso conto quanto gli era mancato vivere con qualcuno.
Se
qualche familiare di Levi aveva cercato di contattarlo, lui non lo
sapeva. Nessuno aveva chiamato, nessuno aveva mandato un sms. Al
contrario, il servizio telefonico del giovane si era improvvisamente
interrotto, quindi Oscar lo portò a comprarsi uno di quei telefoni
che richiedevano il pagamento solo quando usati. Dall'esterno Levi non
sembrava agitato, quindi Oscar non disse nulla. Ma al pensiero dei
lividi sul collo del giovane, ormai guariti tempo fa, la rabbia
bruciava silenziosamente nel suo petto.
Levi, dopo aver
apparentemente deciso che Oscar non stava giocando a qualcosa che
avrebbe giunto la sua fine con la sua morte e il suo corpo freddo in
fondo ad un fiume, iniziò a mostrare una certa curiosità in lui,
nonostante continuasse a seguire qualsiasi suo movimento. Iniziò con
un casuale "Dove lavori?" e continuò con decisione. Oscar
era più che felice di soddisfare la curiosità del giovane - non
solo gli dava la possibilità di fargli alcune domande, ma gli
sembrava di formare una specie di relazione con lui, a quel modo,
qualcosa di più permanente che usare il divano di uno sconosciuto e
ancor più profondo di essere semplicemente coinquilini.
"Tua
mamma è molto bella." Commentò un giorno il ragazzo. Oscar
alzò lo sguardo dal suo portatile e notò Levi esaminare una delle
sue vecchie foto di famiglia, l'unica in cui erano in quattro e non
in due.
"Sì," Concordò. "Anche se adesso ha i
capelli completamente grigi. A causa mia, probabilmente."
"Non
le somigli molto."
Era vero. Gli unici geni che aveva preso da
lei erano la pelle scura e la fossetta sul mento. "Lei dice che
assomiglio molto a mio padre."
"Non è lui, vero?"
Gli chiese Levi, puntando la foto. "Avevi detto che tuo padre era turco."
Sapere che il ragazzo ricordava quel
dettaglio che gli aveva detto settimane prima lo compiacque
immensamente, anche se fu attento a non mostrare nulla. "Già.
Quello è Dan. Il mio patrigno."
"Sorella acquisita?"
Tirò ad indovinare Levi, portando l'indice contro la quarta persona
nella foto.
"Lisa. Sorella da parte di madre." Lo
corresse. Poi, dato che aveva imparato che era sempre meglio
liberarsi in fretta della seconda parte del discorso, disse: "E' morta
quando aveva sei anni. Cancro. Mia mamma e Dan si sono lasciati poco
dopo." Suppose che era stato troppo doloroso per loro stare
assieme, sopportare il costante ricordo di cos'avevano avuto e perso.
Ma quando era stato più piccolo, non era riuscito ad evitare di
provare risentimento verso Dan, per aver lasciato sua madre quando
era così addolorata. Oscar aveva avuto quattordici anni al tempo ed
era completamente impreparato alla depressione di sua madre, ma aveva
fatto il possibile per evitare che annegasse nella sua
miseria.
Solitamente la gente esprimeva condoglianze o
mormorava vaghe frasi comprensive dopo aver sentito di Lisa, ma Levi
si limitò a studiare il ritratto in silenzio.
"Hai
fratelli?" Oscar aveva evitato di chiedere qualsiasi cosa sulla
famiglia del ragazzo, ma aveva aperto la discussione da solo con le
sue domande. Inoltre l'argomento fratelli era sicuramente migliore di
quello dei genitori.
Levi volse lo sguardo verso di lui, come
se fosse stato preso alla sprovvista. "No," Gli disse,
mettendosi le mani nelle tasche della sua inseparabile felpa. "C'ero
solo io."
Ero. Oscar si chiese tutto il pomeriggio il
significato di quella parola.
#
Nonostante il piacere
di iniziare lentamente a conoscersi a vicenda - che Levi non fuggisse più
alle sue domande come avrebbe fatto un gatto selvatico alla vista di
una mano - Oscar avrebbe preferito che alcune cose rimanessero un
segreto ancora per un po'. Specialmente la sua malattia.
Nelle
ultime due settimane era stato abbastanza fortunato. Nessun episodio
di grave depressione o ansia. Nessun attacco di panico o flashback.
Prendeva sempre i farmaci la notte, quando era solo, e se Levi aveva
notato come diventasse agitato quando qualcosa interrompeva i suoi
piani o come sussultasse ai rumori improvvisi, non gli aveva detto
niente.
Poi, la tempesta.
La pioggia? Non era un
problema. I tuoni? Se si preparava ai botti, non erano troppo
terribili. Ma i fulmini - l'effetto che avevano i fulmini su di lui
erano imprevedibili e per Oscar imprevedibile equivaleva a pericoloso.
Quella
tempesta era violenta. Aveva seguito il meteo sul cellulare tutto il
giorno, ascoltandolo con trepidazione mentre i suoi compagni di
lavoro facevano sicuro di arrivare a casa prima che il tempo
continuasse a peggiorare. Non prese parte agli scherzi: se la
tempesta fosse iniziata prima che fosse riuscito a lasciare il
laboratorio, non avrebbe potuto neanche rischiare di
guidare.
Fortunatamente la tempesta gli lasciò il tempo di
arrivare a casa. Quando entrò, però, aveva i nervi alle stelle. La
pioggia batteva contro le finestre, non diversa da un ringhio
costante. Le sue pulsazioni correvano con essa, assordandogli le
orecchie. Lo fece sussultare, vedere Levi nell'appartamento - come si
era dimenticato di lui, non lo sapeva - e la sua vista fece
deragliare il suo piano di andare a nascondersi nell'armadio della
sua camera da letto e mettere la musica nell'iPod a massimo volume
finché la tempesta non fosse passata.
"Stai bene?"
Gli chiese il ragazzo.
"Uh." Si leccò le labbra,
nonostante avesse la bocca secca a causa del suo respiro affannoso.
"Sì." Le nuvole si stavano scurendo, fuori. Un'ondata di
paura lo colpì e capì che se non avesse avuto un flashback, un
attacco di panico non glielo avrebbe tolto nessuno. "Ho solo
bisogno di... Ho bisogno di..."
Voltò un attimo lo
sguardo sulla finestra, proprio quando un fulmine colpì il
terreno.
Un lampo - enorme, accecante, sfolgorante - a poco
meno di cinquanta metri di distanza. Reiner sta arrivando.
Eren
valuta la situazione in un singolo battito di cuore. Lui e il
Capitano sono entrambi privi del Movimento.
Connie e Jean avrebbero dovuto portargli dei rifornimenti, ma non
avevano tempo da aspettare. Reiner non si sarebbe trasformato
se non fosse stato a conoscenza della loro posizione. Avevano pochi
secondi, un paio di minuti al massimo, prima che le costruzioni prendessero a crollargli in testa. Doveva trasformarsi.
Sarebbe riuscito ad occuparsi di Reiner, immobilizzandolo almeno
momentaneamente, ma la lotta sarebbe stata rischiosa senza alcun aiuto. Il
resto della squadra li avrebbe sicuramente
trovati velocemente, se si fosse trovato nella sua forma da titano,
ma quanto velocemente? No. Doveva trasformarsi,
afferrare il Capitano e scappare. Sarebbe
riuscito senza dubbio a seminare Reiner, anche se il Capitano
non avrebbe apprezzato essere maneggiato come una bambola. Ma
dovevano andarsene, ora.
Si morde la mano e il familiare
sapore del sangue gli inonda la bocca. Nient'altro.
No. No,
no, no, non proprio ora. Reiner li avrebbe raggiunti a momenti, così
si riempie la testa dei suoi obiettivi - lunghe, potenti gambe
apposite a correre, un forte torso e braccia adatte a combattere, se
necessario, afferrare Levi, correre, non combattere se non
necessario, tenere Levi al sicuro, non morire - e si morde nuovamente
la mano. Altro sangue, altro niente.
Il Capitano
gli urla qualcosa, probabilmente chiedendogli cosa c'è che non va,
ma Eren non lo ascolta perché non lo sa e ha bisogno di
concentrarsi. Stringe i pugni e il dolore gli percorre tutto il
braccio, alza nuovamente la mano per affondarci i denti un'ultima
volta. Ma il Capitano gli afferra il braccio e
glielo allontana dalla bocca.
"Un'altra volta,"
Gli dice Eren. "Posso farcela, Capitano."
Strattona il suo braccio dalla presa dell'uomo, ma Levi non lo molla.
Cerca di portarsi il braccio libero alla bocca, ma Levi lo blocca.
"Capitano!" C'è rabbia sul volto di
Levi, ma è quasi annullata dalla paura e questo fa bloccare Eren,
perché non l'ha mai visto così spaventato. "Cosa
vuoi che faccia? Capitano, cosa devo fare? Dimmelo!"
Levi
sta parlando, ma Eren non lo sente. C'è un botto, Reiner si sta
avvicinando. In qualsiasi momento, ora, potrebbe trovarsi davanti a
loro. Se Levi non lo lascia trasformarsi allora
devono muoversi, nascondersi, fare qualcosa, così cerca di fuggire
nuovamente alla stretta del Capitano. "Sta
arrivando, Capitano. Dobbiamo- Lasciami andare!"
Tutto ciò che ha appreso durante l'addestramento, tutta la sua
testardia, lo stanno abbandonando. Levi ha paura e se Levi ha paura
non c'è più nulla da fare.
I suoi occhi corrono lungo la
stanza, cercando disperatamente qualsiasi struttura che avrebbe
potuto nasconderli giusto il tempo che gli ci vuole per trasformarsi.
Ma è tutto inutile, non c'è niente qui che possa sopportare il
titano di Reiner, nulla-
C'era una
strana poltrona in mezzo alla stanza. Era blu, blu reale, e il suo
cervello si concentrò su quel particolare. Una poltrona blu. Una
morbida poltrona blu. Automaticamente iniziò a catalogare i suoi
altri aspetti. Grossi cuscini, coi poggia braccia in legno ai
fianchi. C'era una piccola macchia su uno dei poggia braccia, una
macchia che non era mai riuscito a rimuovere dopo averci versato del
caffè. Una poltrona molto comoda. Reclinabile. Ogni tanto ci si
addormentava mentre guardava la tv, ma solo quando era
particolarmente esausto.
Una reclinabile blu. La sua
reclinabile. Si trovava nel suo appartamento.
Lentamente
spostò la sua attenzione dalla reclinabile al pavimento, poi alla
lampada lì vicina, elencando tutti i dettagli che aveva memorizzato
nei suoi esercizi giornalieri. Si trovava nel suo appartamento. Aveva
avuto un flashback. Stava bene.
Quasi ci credette.
"Oscar?
E' tutto finito? Puoi stare fermo e... Non fare nulla, mentre vado a
cercare delle bende o qualcosa di simile?"
Si voltò
verso la voce e sbatté le ciglia, alla vista del Capitano.
"Capitano? Perché sei... Non dovresti trovarti nel mio
appartamento." Avrebbe dovuto?
Levi scosse la testa.
Da quando i suoi capelli erano così corti? "Ok. Va bene. Non
posso ancora capirti." Si alzò con le mani di fronte a lui,
come se si trovasse davanti ad un animale selvatico.
"Io non
so- Devo andare a prendere il kit di primo soccorso. Se ne hai
uno. Non muoverti. Non fare nulla. Torno subito. Ok?"
"Sì,
signore." Gli rispose, con la mente ancora offuscata ma
coerente abbastanza da recepire l'ordine. Si sentiva dolorante, la
testa gli girava e si trovava nel suo appartamento, in un mondo privo
di titani e Levi era con lui. Ma Levi stava andando da qualche
parte. Sarebbe tornato, gli aveva detto.
Aspetta. Perché era
sdraiato sul pavimento?
"Ok?" Gli chiese nuovamente
il ragazzo. Annuì, troppo esausto per fare altro, e il Capitano
questa volta lasciò la stanza. Chiuse gli occhi e per qualche
momento si concentrò sul suo respiro. Profondo. Lento.
Ritmico.
Levi tornò così come gli aveva detto, con una
scatola in plastica rossa tra le mani. L'aprì e iniziò a rimuovere
gli oggetti al suo interno, prima di dirgli di dargli la mano. Obbedì
e rimase scioccato nel vedere quanto sanguinosa e squarciata fosse,
quando Levi la prese fra le proprie. Si era trasformato? O
aveva cercato di farlo? Ma si trovava nel suo appartamento. In
qualche modo... Quelle due cose non funzionavano assieme.
Mentre
Levi si prendeva cura della sua mano, capì. Aveva avuto un
flashback. Quello era Levi, ma non il Capitano Levi. Reiner
non stava arrivando, non sarebbe mai arrivato, era stata colpa della
fottuta tempesta. Del fulmine.
"Scusa," Raspò.
"Eri... Eri spaventato."
Levi non alzò gli occhi
dalla sua mano, continuandola a coprirla con garze e bende. "Sei
tornato a parlare inglese, eh?"
"Scusa." Lasciò
gli occhi vagare per la stanza, chiedendosi quanto tempo aveva perso.
Non aveva avuto un flashback così vivido da anni. Il ragazzo finì
di sistemare la sua mano, così strinse le dita. "Non ho mai
morso delle persone." Gli sembrava un importante dettaglio da
dire. Certo, aveva dei problemi, ma non quei problemi.
"E
il resto?" Guardò Levi con sguardo vuoto, finché
quest'ultimo non si chiarì. "Il resto è normale? Il...
Qualsiasi cosa sia stata?"
"Un flashback."
Portò la mano ferita sul petto. Il bendaggio del giovane era
estremamente ordinato e ne studiò le linee, prima di ricordare che
Levi gli aveva chiesto qualcos'altro. "Hai detto... Scusa, ma è
difficile... Concentrarsi. Dopo."
Levi chiuse la cassetta
di colpo. "Vuoi smetterla di scusarti?"
Il
Capitano si volta verso di lui, lanciandogli
un'occhiataccia. "Se vuoi che lo faccia, allora
smettila di scusarti!" Non è la furia a spaventarlo,
anche se non ha mai visto Levi così arrabbiato, ma è quel luccichio
di dolore in quei suoi occhi grigi a farlo. Per un momento ci
ripensa, quasi ritrae la sua richiesta.
Alla fine, invece,
raddrizza le spalle. "Per favore."
Voleva
ridere. Voleva piangere. Invece si obbligò a mettersi lentamente in
piedi. Levi gli si mise immediatamente al fianco, afferrandogli un
braccio per fargli mantenere l'equilibrio. "Letto." Gli
disse e il ragazzo lo aiutò a camminare fino alla sua camera da
letto, con una mano sulla sua schiena, fino a che non riuscì a
collassare sul materasso e infilarsi sotto le coperte. In una serie
di mormorii, chiese a Levi di prendergli la sua coperta appesantita
da uno dei cassetti del mobile.
Levi lo coprì con essa, poi
gli chiese: "Hai bisogno di qualcos'altro?"
"Puoi
chiudere le tapparelle?" Gli domandò. Il giovane lo fece. Al di
fuori, la pioggia continuava a battere, anche se con meno ferocia di
prima. Controllò la sveglia sul suo comodino e scoprì che era
passata solo un'ora da quando era tornato a casa. Solitamente, dopo
un episodio del genere, gli ci voleva molto di più per riorganizzare
i suoi pensieri.
Realizzò che doveva ancora dare una qualche
spiegazione a Levi. "Soffro di disturbo post traumatico da
stress." Levi finì di abbassare le tapparelle e si mise a
sedere su un angolo del materasso, senza dire nulla. "E'..."
Non finì la frase, insicuro sul come spiegarsi. La sua mano pulsò
dolorosamente, così la mise sotto il cuscino.
"Lo so cos'è
il disturbo post traumatico da stress," Gli disse Levi. "Ne
soffrono un sacco di veterani."
Si ricordò di quando
Levi gli aveva chiesto se aveva fatto parte dell'esercito, quella
notte in cui si erano incontrati, e di avergli dato una risposta
vaga. Il giovane sembrava averci creduto. "Sì. Sto molto meglio
di prima, ma ogni tanto i lampi e... Altre cose mi inducono un
flashback." Con la finestra coperta, la stanza era troppo buia
per vedere il viso di Levi, ma poteva dire che lo stava studiando.
"Non sono pericoloso." Gli sfuggì alle labbra. Uno dei
tanti stereotipi di chi soffriva di DPTS era proprio quello. "Non
ho mai fatto del male a nessuno." O, almeno, non fino ad ora.
Non era certo di cosa sarebbe potuto accadere, se avesse scambiato
qualcuno per un nemico durante un episodio. E se sua madre fosse
stata lì, avrebbe sicuramente detto di come si era fatto del male da
solo troppe volte di volte.
"Hai bisogno di qualche
medicina?" Gli chiese Levi, ignorando la sua ultima frase. "Per
la tua mano o per il tuo disturbo."
Scrollò la testa,
accoccolandosi sotto le coperte, portandosi le ginocchia al petto
sotto la coperta appesantita. Avrebbe dovuto prendersi la sua dose
prima di andare a letto, ma sarebbe dovuta passare ancora qualche
ora. Per ora voleva solo superare ciò che era appena accaduto,
calmarsi e tornare pienamente in possesso del suo corpo. La sua mente
era illuminata da sprazzi di luce accecante, che altro non facevano
che far sembrare più buia l'oscurità circostante. "Più tardi.
Solo... Dammi un momento."
Voleva che Levi rimanesse con
lui, ma sarebbe stato troppo imbarazzante chiederglielo.
Fortunatamente non ebbe bisogno di dire nulla, perché il ragazzo non
si spostò dall'angolo di letto che aveva fatto momentaneamente suo.
Sollevato chiuse gli occhi e si concentrò nuovamente sul respirare.
Dopo qualche minuto schiuse le palpebre e riprese a elencare tutto
ciò che c'era attorno a lui. Aveva iniziato a praticare questi
esercizi sotto consiglio di Alexis. Avevano provato diverse tecniche
nei primi stadi della sua malattia - odori e sapori forti su cui
concentrarsi, tenere tra le mani dei cubetti di ghiaccio fino a che
il suo cervello non potesse più ignorare la sensazione -, ma aveva
sempre avuto risultati migliori usando la vista. L'allarme digitale
sul comodino, col suo rivestimento in plastica e numeri rossi e
luminosi. Le sue scarpe da corsa gialle e verdi che lo aspettavano di
fianco all'armadio. La ventola da soffitto, al momento immobile, con
le sue lame in legno che puliva ogni sabato. Evidenze inconfutabili
del mondo in cui si trovava - quello di Oscar.
Era
Oscar.
Oscar si mise lentamente a sedere, lasciando le coperte
scivolargli via dal petto. Levi era ancora lì, lo stava
guardando.
"Stai meglio?"
"Per lo più."
Mise i piedi sul pavimento, spostando lentamente il suo peso fino a
quando fu certo di riuscire a sopportarlo. "Dovrei provare a
mangiare qualcosa."
Il ragazzo lo fece sedere al tavolo
della cucina e aspettare, mentre scaldava qualche avanzo dal frigo,
anche se Oscar si sentiva abbastanza bene da potersi arrangiare.
Tuttavia Levi sembrava ben deciso ad aiutarlo, così lo lasciò fare.
Chloe e sua madre si erano sempre comportate allo stesso modo. Quando
se ne era lamentato con Alexis, la ragazza gli aveva detto di
immaginare di assistere a qualcun altro nel bel mezzo di un flashback.
"Non puoi fare molto, quando qualcuno si trova in quella
situazione. Si sentono impotenti. Quindi voglio aiutarti in qualsiasi
modo, quando inizi a riprenderti."
Buone intenzioni o
meno, era ugualmente un po' irritante. Tuttavia Oscar sapeva che
quelle sensazioni erano dovute a quanto fosse esausto emotivamente e
fisicamente, quindi lasciò che Levi continuasse a prendersi cura di
lui. Almeno né Chloe né sua madre erano state assillanti.
Neanche
Levi sembrava esserlo. Quando il microonde suonò, posizionò il
piatto di fronte ad Oscar e poi prese a prepararsi il suo. Oscar
mangiò metodicamente, concentrandosi sui sapori e le consistenze del
cibo nella sua bocca. Dopo un po' anche il ragazzo lo raggiunse al
tavolo, facendosi il segno della croce e mormorando qualcosa in
fluente e rapido spagnolo che gli parve più una canzone che una
preghiera. Poi prese la forchetta e, senza esitazione, disse: "Prima
hai continuato a chiamarmi in un certo modo." Levi cercò di
gorgogliare la parola, facendo sorridere Oscar.
"Capitano."
Lo corresse, pronunciando ogni sillaba lentamente.
"Sì,
quello. E' turco o qualcosa?"
"O qualcosa."
Oscar parlava inglese e sapeva dire qualche frase in un'altra lingua
che gli aveva insegnato sua nonna prima di morire. I due anni di
francese che aveva fatto alle superiori non lo avevano aiutato
affatto, probabilmente dovuto anche al fatto che era più interessato
alle scienze. Non si era mai preso la briga di studiare il turco,
anche se sua madre aveva provato a convincerlo.
Per Eren c'era
stata un'unica madre lingua.
#
Oscar non aveva mai
creduto al destino o al karma. Era sempre stato convinto che la vita
si limitava aa accadere e non c'era un reale ordine delle cose.
Tuttavia, iniziò a pensare che forse c'era un certo equilibrio a
dettare le leggi del mondo. Perché pochi giorni dopo che Levi aveva
scoperto qualcosa che Oscar avrebbe preferito non scoprisse, lo
stesso avvenimento accadde all'incontrario.
Iniziò con una
tosse.
Oscar non ci diede peso all'inizio, pensando che
probabilmente Levi l'aveva presa al lavoro. Ricordava i suoi giorni
passati a fare il cameriere e di come i raffreddori e batteri si
passassero velocemente in un ristorante - orde di clienti contagiosi
che toccavano le sedie, i tavoli e i menù, assieme a dipendenti che
non potevano permettersi di rimanere a casa in malattia. La cucina
era sempre piena di antibiotici e litri di disinfettante per le mani
per i dipedenti. Ognuno diventava un genio nel fingere di star
bene.
Ma quando una semplice tosse divenne un terribile rantolio
umido iniziò a chiedersi come avesse potuto non essere annegato
prima d'ora. E, nonostante riuscisse a forzare zuppe, medicine e
riposo in più a Levi, quest'ultimo continuava a rifiutarsi di vedere
un dottore.
"Hai del liquido nei polmoni," Gli disse
Oscar. "Potresti avere la pneumonia o la bronchite o... O
qualcosa." Aveva furtivamente controllato i sintomi su un sito
di medicina, cosa che probabilmente non era stata un'idea brillante,
ma, Dio, Levi sembrava star davvero male.
"Non ci vado."
Rispose il ragazzo. La sua espressione era decisa, ma l'effetto fu
rovinato dalla sua voce debole.
"Se è una pneumonia
batterica non passerà da sola," Lo avvisò Oscar. "Peggiorerai
e basta." Levi non rispose, così continuò. "La pneumonia
più uccidere, sai?"
"Allora sarà meglio che non
sia pneumonia, eh?" Ringhiò il ragazzo, o cercò di farlo.
L'attacco di tosse che lo interruppe fece sembrare la sua frase un
mormorio.
Oscar lo lasciò stare, dopo quello, non volendo che
Levi si agitasse troppo nello stato in cui si trovava. Per un po',
almeno. Gli era impossibile ignorare il suo respiro appena accennato
e i suoi colpi di tosse, specialmente quando gli tutto ciò gli
ricordava la peste che aveva decimato Shiganshina quando Eren
era piccolo.
Quindi riprese presto a cercare di convincerlo di
andare al pronto soccorso per ore, fino a quanto Levi mormorò
qualcosa che lo fece tacere.
"Già lo so perché sto
male."
Il più grande si fermò a metà frase, aspettando
che l'altro continuasse. Tuttavia Levi non disse nulla, limitandosi a
fissarlo esausto da dove si trovava sul divano. Alla fine Oscar gli
chiese: "Perché stai male?"
Le dita del giovane si
strinsero attorno alla trapunta in cui si era acciambellato.
Allontanò lo sguardo, puntando gli occhi su un punto impreciso oltre
le spalle di Oscar. Sembrava esausto quanto il Capitano verso
la fine di tutto, sciupato ma ancora saldamente aggrappato all'ultimo
frammento di speranza dentro di lui. "Io... Io ho iniziato a fasciarmi." Allontanò la trapunta dal suo corpo, con mani
tremanti, anche se Oscar non capiva se fosse per il freddo o per il
nervosismo -, alzandosi la felpa e la maglietta per rivelare un ulteriore
strato al di sotto di essa.
Oscar sbatté le ciglia, cercando
di capire cosa stava vedendo, prima che tutto prendesse senso.
Inghiottì a vuoto, chiedendosi cosa dire, cosa fare, sentendosi
totalmente inadeguato. Chloe, avrebbe dovuto chiamare Chloe, lei
avrebbe saputo come comportarsi. Poi realizzò che era mezzanotte e
che Chloe probabilmente stava dormendo e, inoltre, Levi stava
aspettando che gli dicesse qualcosa e il suo viso diveniva ad ogni
istante passato sempre più teso.
Decise innanzitutto di
occuparsi dei problemi principali. "Da quanto? Cioè, quand'è
stata l'ultima volta che te la sei tolta?"
Il ragazzo
mollò la presa sulla felpa e la maglietta, tornando a stringere i
pugni sulla coperta. "Quando mi sono fatto la doccia."
A
meno che Levi non fosse riuscito a farne una davvero velocemente,
l'ultima volta che aveva fatto la doccia era stato il giorno prima.
"Non ci hai dormito, vero?"
Il giovane non rispose,
ma il suo sguardo colpevole bastò.
Oscar si morse il labbro
inferiore, cercando di formulare al meglio cosa voleva dire senza
apparire inappropriato. "Puoi toglierlo? Aspetta, non ti sto
chiedendo di smetterla di fasciarti, quello va bene, solo- Cazzo, hai
bisogno di respirare. Quindi... Per favore?"
Levi
non disse nulla, ma fece una smorfia, si alzò dal divano e si
diresse al bagno. Non appena la porta si chiuse Oscar si passò le
mani sul viso e si disse fermamente di darsi una calmata. Questo non
era il Levi cresciuto, non era il soldato maturo e sicuro di sé
stesso, che Eren conosceva. Era soltanto un diciassettenne
recentemente senza una casa e, per quanto ne sapeva- Merda, i suoi
genitori avevano scoperto che era trans e l'avevano cacciato? Merda,
merda - era probabilmente più spaventato di lui. L'ultima cosa che
voleva fare era metterlo nella situazione di decidere di
scappare.
Levi emerse dal bagno pochi minuti dopo, curvo e con
le braccia incrociate sul petto, la sua intera postura tesa anche
quando andò a sedersi sul divano il più lontano possibile da Oscar.
Al più grande faceva male vedere il giovane così a disagio, ma si
sforzò di assumere un'espressione serena. "Hey." Mormorò
piano. Levi lo guardò con diffidenza. "Va tutto bene. Puoi
respirare a fondo e tossire?"
Il ragazzo ridusse gli
occhi a due fessure, facendogli capire che al momento nulla andava
bene, ma almeno obbedì e inspirò a lungo e tossì forte. Il suono
che emise fu umido, ma nulla sembrava volersi muovere. Oscar
sussultò. Qualsiasi cosa Levi si fosse preso, era serio.
"Solo
perché sei a conoscenza del perché sei malato, non significa in
alcun modo che tu non debba andare a farti visitare da un dottore,"
Gli disse gentilmente. "Probabilmente avrai bisogno di un
antibiotico per guarire." Glielo aveva detto almeno un centinaio
di volte, però forse Levi adesso ci stava pensando seriamente.
"Non
penso di aver abbastanza soldi da poter andare dal dottore."
Mormorò il giovane.
"Lo pagherò io."
Il
semplice fatto che Levi non si oppose immediatamente gli fece capire
quanto esausto era. Il giovane cambiò posizione sul posto,
portandosi le gambe contro il petto. "A me... A me non piace
andare dal dottore."
Oscar lo poteva capire
perfettamente, anche se le sue ragioni erano diverse. "Potrebbe
aiutarti se parlassi prima io col dottore? Oh, potremmo anche cercare
online se ci sono dottori trans-friendly in città." Sicuramente
c'era un sito anche per quello. Internet aveva tutto, anche un
Facebook per le vite precedenti.
Levi lo fissò, col mento
appoggiato sulle ginocchia. Dopo un momento, il suo sguardo si spostò
sul tappeto. "Devo farmi fare una ricetta." Disse. Sembrava
che stesse parlando più a sé stesso che con ad Oscar, ma l'altro
annuì ugualmente. Il giovane sospirò e si alzò, con i pugni sui
fianchi. "Andiamo."
"Sei sicuro?" Gli
chiese Oscar.
"Andiamo." Sbottò il ragazzo.
Il
più grande lo seguì, fermandosi soltanto per prendere le chiavi
dell'auto, poi guidò fino alla clinica più vicina che teneva aperto
anche la notte. Levi rimase seduto sul suo sedile con la fronte
premuta contro il finestrino. Il silenzio tra loro fece agitare
Oscar, che di conseguenza pensò a qualcosa di cui parlare. Il
giovane non sembrava disposto a discutere, quindi si limitò a
chiedergli una cosa che lo stava preoccupando.
"Sai che
non dovresti tenere le fasciature per più di dodici ore, giusto?"
Iniziò, cercando di non apparire troppo condiscendente. "E che
è pericoloso dormirci."
"So come fasciarmi in
sicurezza," Lo interruppe Levi. "So anche che la fasciatura
che ho è una merda." Tossì, coprendosi la bocca col braccio.
"E' poco costosa. Fatta male."
Oscar non sapeva che
potessero esistere fasciature fatte male, ma si decise a scoprire
cosa costituiva una buona fasciatura e convincere Levi a lasciarlo
prendergliene una. Al ragazzo non sarebbe piaciuto - Oscar già si
stava preparando ad un'altra discussione -, ma avrebbe sempre potuto
ripagarlo più avanti. "Ok. Va bene. Quindi perché...?"
Lasciò la frase in sospeso, alzando una mano dal volante per
gesticolare vagamente nella direzione generale del
ragazzo.
Passarono svariati isolati, prima che Levi parlasse.
Quando lo fece, non fu una risposta alla domanda. "Lo sapevi? La
notte che ci siamo incontrati."
Oscar scosse la testa. La
domanda gli apparve pesante, carica di qualcosa che non capiva, e si
chiese perché non potessero aver avuto quella discussione mentre non
si trovava alla guida, in modo da poter dedicare tutta la sua attenzione al
ragazzo. "Non ne avevo idea."
Levi raddrizzò la
schiena. "Mi hai chiamato ragazzo." Disse. Oscar quasi non
riuscì a sentirlo, oltre il rumore dell'auto. "La maggior parte
della gente... Una volta che mi guarda bene, inizia a chiamarmi
ragazza. Non passo mai ragazzo per molto." Continuò, spostando
lo sguardo dal finestrino e Oscar allontanò un attimo il proprio
dalla strada, per incrociarlo con gli occhi del giovane. Levi
riprese, alzando un attimo la voce. "Però con te continuavo a
passare per ragazzo. Sempre. Non volevo che si rovinasse tutto. Non
volevo che tu... Ecco perché."
Oscar si prese un momento
per digerire il tutto. "Ok," Gli disse. "Tutto questo
ha un senso. E ti ringrazio per esserti fidato di me. Però..."
Portò nuovamente gli occhi contro quelli di Levi. Non era certo di
saper dire nel modo corretto una cosa che sarebbe potuta passare per
offensiva, ma doveva fare in modo che il ragazzo lo capisse. "Se
vuoi fasciarti in mia presenza perché ti aiuta, fallo, va bene.
Voglio che tu lo faccia, se ti aiuta. Però devi farlo sempre
in sicurezza, capisci? Se è ora di toglierla, toglila. Non devi...
'Passare', per me." Strinse le dita sul volante in un gesto
nervoso. "Lo so che sei un ragazzo... Farei davvero fatica a
guardarti e vedere altro che non sia un ragazzo."
Fortunatamente, Levi rilassò la postura. Era difficile da dire con
esattezza, però gli sembrava un poco compiaciuto. "Perché sai
tutte queste cose, comunque?"
"Oh. Non posso dire di
sapere molto." Si chiese un momento come spiegarsi, chiedendosi
come farlo senza fare outing a Chloe. Dubitava che la ragazza se la
sarebbe presa, ma sapeva che non era neanche giusto da parte sua.
Decise che, affinché non fosse andato sullo specifico o avesse
rivelato la sua identità, sarebbe andato tutto bene. "Nei miei
due ultimi anni di college ho condiviso la stanza con una ragazza
trans. Il primo giorno mi ha parlato di come si erano comportati i
suoi ultimi compagni di stanza e che se fossi stato uno stronzo
anch'io avrei dovuto dirglielo, così avrebbe richiesto un cambio di
stanza. Le dissi che non avevo alcuna intenzione di fare lo stronzo,
ma realizzai che non sapevo nulla sui transessuali e non
volevo fare il bastardo involontariamente, quindi..." Scrollò
le spalle. "Ho fatto delle ricerche."
Levi non parlò
per il resto del viaggio. Il silenzio era più rilassato in confronto
a prima, quindi Oscar non lo interruppe. Non fu fino a quando si
ritrovarono in una stanza d'attesa della clinica, mentre il più
grande si distraeva leggendo un vecchio giornale mentre Levi
compilava le sue schede, che quest'ultimo gli chiese: "Parli
ancora con lei?"
"La mia vecchia compagna di stanza?
Sì, quasi tutti i giorni." Dopo tutti quegli anni, dopo tutto
quello che era successo - i suoi problemi con la sua salute mentale,
la loro distanza fisica e la diversità delle loro strade - era
ancora la sua migliore amica.
"Posso parlare con lei?"