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Autore: Adeia Di Elferas    15/01/2016    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
Capitoli:
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~~“La riunione sarà aggiornata al ventisette di questo mese.” concluse Girolamo, irritato.
 Da quando il piccolo era nato, due giorni prima, non aveva ancora avuto più di cinque minuti da passare con lui.
 Ci mancava solo la riunione con il Consiglio degli Anziani! Ma cosa interessava a lui di quella città e dei suoi problemi!
 Andrea da Chilino – che per tutta la riunione era stato saldamente al fianco del Conte, parlando in sua vece – convinse tutti i suoi colleghi a lasciare il salone, lanciando uno sguardo di commiserazione a Girolamo. Così facendo, pensò, non avrebbe fatto altro che peggiorare la sua situazione.
 Matteo Menghi si strofinò le mani: “Fa freddino, oggi...” disse con un sorrisetto insinuante, rivolto ad Andrea da Chilino: “Forse il nostro signor Conte è solo provato da questo tempo inclemente. E ricordiamoci che da poco è di nuovo padre...”
 “Infatti, dobbiamo essere molto comprensivi con lui, che si dimostra sempre un signore giusto.” rincarò Ludovico Orsi.
 “Non è me che dovete temere, se ancora non l'avete compreso.” si affrettò a mettere in chiaro Andre da Chilino.
 
 Caterina Sforza faticò molto a staccarsi dal nuovo nato, almeno nei primi giorni. Quel bambino assomigliava ai suoi avi e da Girolamo non aveva preso pressoché nulla.
 In quel momento gli altri bambini, a parte Livio che era ancora troppo piccolo, stavano seguendo le lezioni dei precettori e Girolamo era impegnato in una riunione con il Consiglio degli Anziani. Caterina tremava alla sola idea di suo marito lasciato solo in mezzo a tutti quei lupi pronti a sbranarlo, ma non avrebbe potuto certo presenziare accanto a lui.
 Anche se la gravidanza era stata molto tranquilla e così il parto, quella volta la ripresa era un poco più lenta. Se le prime volte Caterina era stata in grado di cavalcare già il giorno dopo il travaglio, quella volta preferiva strarsene un po' a letto, complice, forse, il clima rigido di quell'inverno.
 La balia, al suo fianco, sonnecchiava seduta sulla sedia, mentre lei stava leggendo un libro sugli antichi romani. Il piccolo Galeazzo Maria era nella sua culla, sveglio, ma tranquillo.
 Quando la porta della stanza si aprì di scatto, la balia si svegliò con un grugnito, il bambino cominciò a piangere e Caterina abbassò il libro protestando: “Ma ti sembra il modo di entrare?”
 Girolamo la zittì con un gesto della mano e ordinò immediatamente alla balia di andarsene.
 La donna eseguì in fretta l'ordine, col timore di incorrere in una delle sfuriate del Conte, che negli ultimi giorni non si faceva pregare, quando si trattava di mettersi a gridare minacce e improperi.
 “Non dovevi essere alla riunione con il Consiglio degli Anziani?” chiese Caterina, aprendo di nuovo il libro.
 Girolamo finse di non sentirla e cominciò a giocherellare con il bambino. Anche se Caterina avrebbe voluto ridurre ancora di più i contatti tra il neonato e suo marito, si rendeva conto che sarebbe stato troppo crudele, nei confronti del piccolo, impedirgli di avere a che fare col padre.  Perciò sopportava.
 “Allora?” chiese dopo un po', rinunciando a proseguire la lettura.
 “Abbiamo rinviato tutto al ventisette dicembre. Lasciamo passare il Santo Natale e poi decideremo sul da farsi.” disse in fretta Girolamo, sempre concentrato su Galeazzo Maria.
 “Come se non avessi già deciso.” commentò debolmente Caterina.

 Quell'anno Natale cadde di Domenica. In Forlì i festeggiamenti furono solenni, ma molto più misurati, rispetto a quelli messi in piedi per il Corpus Domini.
 Il Conte Riario si fece vedere poco, e sempre attorniato dalle sue guardie del corpo, mentre sua moglie, malgrado il recente parto, non si sottrasse ai bagni di folla. Proprio in quell'occasione, poté tastare il polso del popolo.
 Essendo prima andata a Imola per qualche tempo e poi nelle sue stanze per riprendersi dal travaglio, Caterina aveva un po' perso di vista il sentire comune dei Forlivesi. Rimase costernata nel vedere come il sentimento popolare era virato in modo brusco e repentino.
 Si stava già spargendo la voce, messa in giro chissà da chi, che ai tagli iniziali dei posti pubblici ne sarebbero seguiti altri e che da lì a ritrovarsi nuove tasse ci sarebbe voluto un niente.
 Addirittura certi la fermarono per strada per chiederle se davvero il Conte aveva intenzione di licenziare in tronco i soldati della città e se, Dio non volesse, avesse anche deciso di reintodurre tutte le glabelle sul grano e sui cavalcanti.
 Caterina non voleva mentire apertamente, perciò preferì rispondere a tutti in modo vago, sottolineando la propria contrarietà verso quelle scelte, ma ricordando quanto lei fosse impotente, davanti all'autorità del marito.
 Le sue parole, tuttavia, non convinsero molto chi le ascoltò. In molti si dissero che se avesse voluto, la Contessa avrebbe potuto piegare il marito al suo volere. Una donna che aveva tenuto in pugno Roma, avrebbe ben potuto tenere in pugno un uomo! Altri, più disfattisti, temevano che la signora si fosse fiaccata per colpa dei troppi figli e si azzardavano addirittura a dirsi favorevoli a passare sotto il dominio dei Manfredi di Faenza, o anche dei Medici di Firenze, che di certo avrebbero saputo evitare il rincaro delle tasse.

 La notte di Santo Stefano, a poche ore dalla riunione che avrebbe ridefinito le regole della città, Girolamo non trovava pace.
 Si aggirava per il palazzo come l'anima di un dannato, le mani allacciate dietro la schiena, i riccioli spettinati e spioventi sulla fronte aggrottata.
 Nemmeno Caterina riusciva a riposare. Quel giorno, per lei, era un groviglio di ricordi e rimorsi che le toglievano il sonno.
 Dal mattino non faceva altro che ripensare al giorno di sole in cui avevano assassinato suo padre davanti al portale della chiesa di Santo Stefano. A distanza di anni, ancora non si perdonava per non essersi accorta prima di quello che stava accadendo. Se non fosse rimasta indietro per salutare i presenti, forse avrebbe visto per tempo la lama nella mano dell'assassino e avrebbe potuto fare qualcosa per fermarla...
 E si pentiva anche di come aveva punito suo padre per mesi, per anni, privandolo, di fatto, della compagnia della sua figlia prediletta, quando invece anche lui era stato solo una pedina nelle mani di qualcuno di più diabolico del diavolo stesso...
 Girolamo era arrivato davanti alla porta della camera di sua moglie. Vide la luce delle candele uscire da sotto la porta e capì che nemmeno lei riusciva a dormire. Forse, se erano gli affari di stato a tenerla sveglia, sarebbe stata abbastanza comprensiva da ascoltarlo con calma, almeno quella volta. Gli avrebbe dato buoni consigli e magari avrebbe accettato di accompagnarlo alla riunione del mattino seguente.
 Preferì non bussare, nel timore di non ricevere il permesso a entrare.
 Quando Caterina si trovò davanti il marito, la sua mano corse istintivamente al pugnale che teneva sotto le vesti.
 L'uomo alzò le mani, in segno di resa: “Non sono qui per quello che pensi tu.”
 Seppur non molto convinta, Caterina retrasse la mano e restò in attesa. Sperò che sul suo volto non si notassero i segni delle lacrime che aveva versato poco prima, mentre i ricordi la sopraffacevano.
 “Perchè sei qui allora?” chiese la ragazza, mettendosi a sedere sul letto, la vesti notturne che la coprivano appena.
 Girolamo si impose di restare concentrato su quello che si era prefissato di dire e così strinse i pugni lungo i fianchi e cominciò: “Domani sarebbe opportuna la tua presenza, alla riunione con il Consiglio degli Anziani.”
 “E perchè mai?” chiese Caterina, senza alcuna inflessione.
 Girolamo si accigliò: “Come perchè? Perchè la tua linea di pensiero potrebbe essere utile. Io... Io fatico a capire chi mi dice il vero e chi il falso. Tu invece capisci subito chi merita la tua fiducia. Mi servi per...”
 “Ti servo...” sbuffò Caterina, le labbra stirate in un sorriso ironico: “Ma che bella prospettiva. E, dimmi, se io dovessi oppormi a quello che diranno i tuoi amici, come quel Menghi o, peggio ancora, quel Ludovico Orsi? Tu che farai? Darai retta a loro comunque.”
 Girolamo scosse la testa: “No, io darei retta a te...”
 “Come a Roma? Mi diresti di sì, ma poi mi pugnaleresti alle spalle?” l'attaccò Caterina, puntellandosi coi palmi delle mani al letto.
 Girolamo non disse nulla, sapendo che qualsiasi risposta sarebbe stata sbagliata e foriera di nuove recriminazioni.
 “Sai già quello che penso in merito alle tasse e alle scellerate misure che i tuoi consiglieri ti hanno proposto. Non c'è bisogno che io sia lì.” concluse Caterina, con un tono che stava a significare che per lei la conversazione era chiusa.
 Girolamo si allacciò le braccia al petto e alzò il mento: “È facile, vero, lasciarmi sbagliare per poi criticarmi? Tu sei stata la più grande disgrazia della mia vita.”
 Caterina lo guardò con sprezzo, attonita, di fronte a una simile assurda affermazione: “Ho cercato di essere una buona moglie, malgrado tutto. Ho lottato contro la mia stessa natura e contro ogni logica, pur di salvarti, ogni volta. Ho rischiato la vita, per preservarti il titolo, i soldi, la salute e le proprietà. Si può sapere che cosa vuoi da me?!”
 Girolamo perse ogni ritegno. Le si avventò contro, fermandosi a pochi millimetri dal suo volto. Si appoggiava anche lui al materasso e i suoi occhi erano piantati in quelli della moglie.
 Mostrando i denti come un mastino, Girolamo sbraitò: “Mi chiedi cosa voglio da te?! Che la smettessi di guardarmi come se fossi un mostro! Cosa vorrei da te?! Un minimo d'affetto, se non d'amore! Un briciolo di pietà!”
 Caterina lo scansò con un colpo al petto, così repentino e inaspettato che fece cadere in terra l'uomo con un tonfo sordo: “Un briciolo di pietà!” gli urlò di rimando, alzandosi in piedi, sovrastandolo: “Tu non ne hai avuta, per me.”
 Girolamo si arrabattò ad alzarsi e mettersi sulla difensiva, benché il suo tono fosse ancora battagliero: “Ancora?!” ululò, incredulo: “Sono passati, quanti... Dieci, undici anni?”
 Caterina lo corresse con voce bassa e implacabile: “No. Tredici.”
 Girolamo alzò le spalle, come a dire che era un dettaglio trascurabile: “Ecco...” si limitò a dire: “Tredici anni. Quindi a maggior ragione sarebbe il caso di lasciarsi alle spalle quella giornata infernale!”
 “Avevo nove anni!” ringhiò Caterina, buttandosi addosso al marito, cercando di graffiarlo, di colpirlo, di mettergli le mani attorno al collo.
 Girolamo reagì con una prontezza che di solito gli era estranea e in breve riuscì a sopraffare la moglie, che aveva rinunciato all'attacco perchè le forze, ancora deboli, erano venute meno.
 “Prima o poi – disse la ragazza, con un filo di voce – pagherai per quello che mi hai fatto.”
 “E tuo padre?” fece Girolamo, che si sentiva in una posizione di potere inaudita: “Tu che lo veneri come fosse un martire... Forse non sai che era decisamente peggio di me. Ho sentito cose sul suo conto che farebbero impallidire il diavolo stesso.”
 Caterina faticava a trattenere le lacrime. Non si era mai sentita così debole. Le gambe le cedevano e i polsi stretti nelle mani del marito battevano piano. Si sentiva impotente, alla mercè di un uomo che avrebbe potuto fare di lei quello che voleva, esattamente com'era successo tredici anni addietro.
 “Non toccare mio padre.” ebbe appena la voce per dirlo.
 “Perchè? Lui ha fatto male a molta più gente di me. E il male che lui ha fatto a te?” Girolamo sogghignava, gli occhi oscurati da una vena di follia che ormai non aveva più freno: “Oh, conoscendoti scommetto che almeno quello glielo hai fatto pagare tutto...”
 Caterina cercava di imporsi di non piangere, ma era così difficile...
 “Mia signora, il piccolo Ottaviano chiede insistemente di voi...!” disse la voce di una della balie, dal corridoio.
 Girolamo parve risvegliarsi da un incubo. Lasciò andare all'istante i polsi della moglie e fece un passo indietro.
 Caterina cadde in ginocchio, ma, ancora prima di rialzarsi, si affrettò a dire: “Arrivo subito, balia...!”
 Girolamo, già pentito di quello che aveva detto e fatto, allungò una mano, per aiutarla ad alzarsi, ma lei rifiutò. Anzi, quando fu di nuovo in piedi, si sistemò le vesti, si coprì con la vestaglia e disse, guardando il pavimento: “Domani alla riunione dovrai arrangiarti. Ora sei davvero solo.”

 

 

 

   
 
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