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Autore: xX__Eli_Sev__Xx    16/01/2016    3 recensioni
«Sei sicura di volerci andare?» chiese Mycroft. Aveva tentato di farle cambiare idea, ma lei non aveva sentito ragioni. D’altronde, come gli aveva ricordato lei stessa, era stato lui a prometterglielo tanto tempo prima. L’uomo ricordava ancora quel giorno e adesso se ne rammaricava perché il tempo era passato troppo velocemente.
«Mycroft, me lo avevi promesso.» gli ricordò puntandogli l’indice contro anche se non suonava per niente come una minaccia.
«Lo so, ma-»
«Perché non dovrei andarci?» chiese perplessa poggiando la schiena alla sedia e sprofondando nel morbido cuscino che rivestiva la poltrona.
Lui sospirò. «Sherlock non è la persona adatta ad avere rapporti con-»
Lei lo interruppe «Nemmeno tu.»
«È diverso.»
Fu il turno di lei di sollevare le sopracciglia. «Non è vero.» affermò «Siete simili. Più di quanto credi.» fece notare.
Mycroft scosse il capo. «No. Non ci somigliamo per niente.»
«Come vuoi. Ma questo non mi farà cambiare idea.» sorrise ancora. «Comunque ero solo passata per dirti che se avessi voluto cercarmi mi avresti trovata là.»
Mycroft annuì. «Se è quello che vuoi.»
«Sì, è quello che voglio.»
Genere: Angst, Drammatico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Here without you
 

Non farsi coinvolgere
 

 A Londra le ricerche di Shireen stavano procedendo a rilento. Nessuno aveva idea di dove Mary potesse averla portata, né tantomeno di dove Sherrinford avesse potuto essersi stabilito. Scotland Yard brancolava nel buio da settimane, e così anche Sherlock e Mycroft.
 Appena era stato dimesso dall’ospedale, John aveva cominciato a dare una mano a Sherlock nelle ricerche, ma il consulente investigativo che non voleva che il medico si affaticasse e tantomeno voleva rischiare di metterlo in pericolo, perciò tentava di tenerlo lontano dal caso in tutti i modi. Anche se, come quel pomeriggio, avesse solo dovuto andare a Scotland Yard per discutere con Lestrade riguardo le indagini.
 «Non puoi impedirmi di venire con te!» sbottò John, vedendolo indossare il suo cappotto.
 «Invece sì.» replicò il moro. «Il medico è stato chiaro al riguardo: devi rimanere a riposo. Perciò non verrai con me.» concluse, voltandosi per uscire dall’appartamento.
 John si parò davanti a lui, impedendogli di andarsene. «Non mi interessa. Ti ho sempre aiutato con i tuoi casi. E a maggior ragione voglio farlo adesso.»
 «La situazione è cambiata. È troppo pericoloso.»
 «I casi sono sempre stati pericolosi.» ringhiò il dottore.
 «Questa volta è diverso!» ribattè Holmes, alzando a sua volta la voce. «Tu non capisci. Non hai idea di quello che c’è in gioco e di ciò che potrebbe accadere. Sherrinford è molto più pericoloso di Moriarty. E tu sei già fin troppo coinvolto.»
 John aggrottò le sopracciglia. «Credi che abbia paura di tuo fratello?»
 «No, ma credo che tu non sia pronto ad affrontarlo.» rispose con un sospiro. «E l’ennesimo buco che ti sei ritrovato nel petto ne è la prova.»
 «Sono un soldato, Sherlock. Ho affrontato situazioni ben peggiori di questa.»
 Sherlock puntò i suoi occhi di ghiaccio in quelli di Watson, rivolgendogli uno sguardo tanto penetrante e intenso da farlo rabbrividire. «Non cambierò idea.» sillabò. «Rimarrai qui anche a costo di legarti alla tua poltrona.» e detto questo lo scostò e si avviò verso le scale.
 «Non hai il diritto di escludermi!» gridò John. «Shireen è la mia migliore amica!»
 «Ed è mia sorella.» asserì il consulente investigativo fermandosi a un passo dalle scale, senza però voltarsi. «Non sono affari tuoi quello che le accade.» se fosse stato costretto a giocare quella carta allora l’avrebbe fatto, anche se sapeva che avrebbe ferito l’amico come nient’altro al mondo.
 «Come, scusa?»
 Holmes si volse verso Watson. «Non sono affari tuoi.» ripeté. «Questa è una questione di famiglia.»
 «Shireen è la mia famiglia.»
 Sherlock scosse il capo. «Lei è tua amica. È ben diverso.» perdonami, John, lo sto facendo per proteggerti. «Devo occuparmene io. Da solo. Quindi stanne fuori.»
 Il volto di John venne attraversato dalla rabbia. «Devi occupartene da solo?» chiese furioso. La conversazione avuta con Mycroft mesi prima riaffiorò alla mente dell’ex-militare e con essa anche il dolore che aveva provato. «Dimmi una cosa Sherlock: dov’eri quando tua sorella si è ammalata?»
 Il moro aggrottò le sopracciglia, ma non rispose.
 «Dov’eri quando si è sentita male la prima volta?» chiese ancora Watson. «Dov’eri quando le hanno drenato il sangue dai polmoni dato che stava rischiando di morire soffocata nel suo stesso sangue? O quando le hanno aperto il torace per rimetterle in sesto la milza prima che morisse per un’emorragia interna?» le lacrime gli appannarono la vista. «Tu eri lì quando il suo cuore si è fermato? Quando per qualche secondo è morta fra le mie braccia? O quando si svegliava di soprassalto nel cuore della notte gridando dal dolore o a causa degli incubi?»
 Sherlock era senza parole.
 Le lacrime rigarono le guance di John. «Tu non c’eri, ma io sì.» affermò, la voce tremante. «Ero lì, Sherlock. E l’ho vista morire lentamente, consumandosi dal dolore e tentando di combattere contro qualcosa più grande di lei.» sospirò e volse lo sguardo verso la porta della cucina. «Io ero lì. Io l’ho vista soffrire e l’ho stretta fra le mie braccia per rassicurarla e impedirle di andare a pezzi. Io e Greg eravamo lì per lei quando ne aveva bisogno. Né tu né Mycroft ci siete mai stati. Quindi non dire che è una questione di famiglia, perché riguarda anche me.»
 Holmes continuava a osservarlo, incredulo di fronte a quelle parole.
 «Shireen è tutto quello che ho.» proseguì il medico. «È la mia migliore amica, la mia famiglia, una delle cose a cui più tengo a questo mondo. È una delle poche persone che mi abbia mai amato davvero per quello che sono anche quando non me lo sarei meritato.» concluse. «La amo tanto quanto la ami tu.» concluse con un sospiro tremante. Detto questo si voltò e rientrò nell’appartamento andando a sedersi sulla sua poltrona e portandosi le mani al volto per nascondere le lacrime. Non sarebbe dovuto crollare di fronte a Sherlock, si era ripromesso di non farlo.
 Sherlock, ancora immobile sulle scale, tentò di mantenere la sua compostezza nonostante ciò che aveva appena sentito. Poi lo seguì. Si fermò per un momento sulla soglia del salotto, poi, dopo essersi sfilato la giacca, prese posto sulla poltrona, di fronte a John. Per un momento si limitò solamente a guardarlo. A osservare quel volto distrutto dal dolore e consumato dal senso di colpa. Alla fine sospirò.
 «John, non avevo idea…» esordì, ma la voce scemò. «Non voglio che tu venga coinvolto in questa storia, perché rischieresti la tua vita per l’ennesima volta. E quello che ho detto… l’ho fatto solo per proteggerti, non lo penso davvero.»
 Watson sollevò il capo e puntò gli occhi, ancora colmi di lacrime, in quelli di Sherlock. 
 «Non avevo idea… non sapevo…» balbettò il consulente investigativo. Non sapeva nemmeno cosa dire. «Mycroft mi aveva detto che Shireen aveva attraversato un periodo difficile, ma non sapevo che-»
 «Cosa?» lo incalzò il dottore. «Che ogni qualvolta tua sorella aveva un malore credevamo potesse essere l’ultimo? Che ciò che ha passato potesse essere così tremendo?»
 «Lei…» riprese Holmes. «Quando ci siamo rivisti non mi ha detto che non c’erano stati miglioramenti e nemmeno Mycroft lo sapeva. Credevamo stesse andando tutto bene e che se non fosse stato così, Shireen ce lo avrebbe fatto sapere.»
 «Lei sapeva che sarebbe morta.» ribatté John poggiando la schiena alla spalliera della poltrona e volgendo lo sguardo verso il camino. «Non faceva che ripeterlo. E voleva tornare a casa per risparmiare a tutti di soffrire di nuovo dopo la tua morte.»
 Il consulente investigativo chiuse gli occhi. Per questo Mycroft non gli aveva riferito nulla, perché nemmeno lui sapeva. Shireen aveva scelto di tacere per non farlo soffrire. Aveva scelto di tenersi tutto dentro e distruggersi lentamente, piuttosto che causare danni collaterali.
 «È solo una ragazza, eppure ha vissuto esperienze che non augurerei nemmeno al mio peggior nemico.» sussurrò. «Non credo che se mi fossi trovato al suo posto ce l’avrei fatta.»
 Sherlock sospirò. «Lei è forte. Lo è sempre stata. La vita l’ha piegata in ogni modo, ma non è mai riuscita a spezzarla.»
 Watson scosse il capo. «Tu non hai idea di ciò che ha dovuto affrontare.» affermò «Dopo la tua morte ha visto tutto ciò che amava andare a pezzi. Prima me, poi Greg. Quando Mycroft è partito, credeva che non sarebbe più tornato da lei, di essere rimasta completamente sola. Poi è arrivata la leucemia. Ha sofferto le pene dell’inferno, ma ha trovato Greg.» sorrise al ricordo del giorno seguente al loro primo appuntamento. «Era così felice. Finalmente era tornata a sorridere. Prima lo faceva così di rado che credevo che non sarebbe più tornata quella di prima. Sorrideva quando sapeva che la stavo guardando, ma appena mi voltavo o credeva che non la stessi osservando, la sua espressione cambiava. Non avevo mai visto tanto dolore negli occhi di qualcuno. E mi sentivo in colpa, perché si comportava così per non farmi star male e per non caricarmi di un ulteriore peso.» 
 Sherlock rimase in attesa, sapendo che il medico avrebbe continuato, che c’era dell’altro e che in realtà ciò che Mycroft gli aveva riferito era solo la punta dell’iceberg.
 «Poi Mary ha sparato a Mycroft.» riprese Watson. «Dio, quando sono andato da lei alla villa l’ho trovata coperta dal sangue di tuo fratello, in lacrime e sotto shock. E poi un attimo dopo stava morendo fra le mie braccia…» singhiozzò.
 Sherlock, impotente di fronte a quel dolore, non poté fare altro che abbassare lo sguardo e chiudere gli occhi per imporsi di reprimere le lacrime.
 «E quando finalmente Mycroft era tornato a stare bene, sono arrivati Sherrinford e la diagnosi.» John si asciugò le lacrime con un rapido gesto della mano. «Eppure sembrava più sollevata. Nonostante tutto, sembrava essere felice. Non riuscivo a capire perché e nemmeno Greg riusciva a spiegarselo. Ma adesso so che il motivo eri tu.»
 Il consulente investigativo risollevò lo sguardo e aggrottò le sopracciglia. «Cosa vuoi dire?»
 «Desiderava che tornassi. Andava alla tua tomba e pregava che tornassi da lei.» spiegò, sfregando le mani una contro l’altra. «Il tuo nome era costantemente sulle sue labbra. Era il primo a pronunciare quando si svegliava dopo giorni di ospedale e quello che ricorreva più spesso quando si rimproverava per il troppo disordine o quando ti ritrovava nelle cose di diceva.» sorrise mestamente.
 Una lacrima solcò il volto del consulente investigativo.
 John sembrò non farci caso. «Mancavi moltissimo a tutti, ma soprattutto a Shireen.» asserì. «Le sei sempre stato accanto e poi ad un tratto sei scomparso. Credo che non si sia mai sentita più persa in vita sua. Forse per questo, nonostante Mycroft si fosse raccomandato di non avvicinarsi a lui, aveva trovato così interessante Sherrinford, all’inizio. Forse credeva di poterti ritrovare in lui. Aveva un così disperato bisogno di te che è finita dritta nella sua trappola.»
 Dopo qualche secondo di completo silenzio, Sherlock ritrovò la forza di parlare. «Ho paura che Sherrinford… che lui possa-» si interruppe. Quel pensiero martellava nella sua mente da quando suo fratello l’aveva rapita. Era terrorizzato all’idea di perderla.
 «Sarebbe davvero capace di fare questo?» domandò John, impallidendo. «Lei non gli hai mai fatto nulla. Che senso avrebbe farle del male?»
 «Nulla di ciò che fa Sherrinford sembra avere senso.» affermò il moro. «Il suo unico scopo è la vendetta. Vuole vendicarsi di me, Mycroft e i miei genitori per averlo allontanato e sta utilizzando mia sorella per farci cadere nella sua rete. Sapeva che Shireen sentiva la mia mancanza e ha utilizzato il suo dolore a suo favore.»
 Watson scosse il capo. «Ma non sapete nemmeno dove si trovi.» fece notare. «Se davvero volesse vendicarsi avrebbe dovuto dirvi dove andare a cercarlo.»
 Sherlock risollevò lo sguardo. «Oh, ma lui lo farà.» affermò. «In un modo o nell’altro ci farà sapere dove si trova, perché vuole che arriviamo a lui. Sherrinford vuole me e Mycroft per ucciderci e dopo aver giocato con noi per un po’, ci rivelerà dove si trova. È come un predatore. Ama giocare con la sua preda, per poi ucciderla quando meno se lo aspetta.»
 «Sono già passate quasi tre settimane.» fece notare l’altro. «Non possiamo stare qui senza far nulla, aspettando che lui si faccia vivo e che magari nel frattempo uccida tua sorella. Se ha fatto del male a Mycroft, forse non esiterà a farlo anche a Shireen.»
 «Lo so, ma-» rispose Sherlock risollevando lo sguardo. I suoi occhi scesero dal volto di Watson al suo petto. Aggrottò le sopracciglia e si sporse sulla poltrona. «Stai sanguinando.» disse soltanto indicandolo.
 John abbassò lo sguardo e vide una piccola macchia di sangue allargarsi sulla camicia nel punto in cui Mary gli aveva sparato. Sbuffò. «Accidenti.» imprecò.
 Fece per mettersi in piedi, ma il consulente investigativo lo bloccò.
 «Rimani fermo.» disse alzandosi dalla poltrona. «Vado a prendere la cassetta del pronto soccorso e do un’occhiata.» e detto questo uscì dal salotto e si diresse verso il bagno.
 Quando tornò si inginocchiò di fronte al medico e aprì la cassetta.
 «Togliti la camicia.» disse prendendo dell’acqua ossigenata e delle garze.
 John tolse i bottoni dalle asole e poi si sfilò la camicia, lasciandola cadere sul bracciolo della poltrona.
 Quando Sherlock risollevò lo sguardo si soffermò per un momento ad osservare il petto dell’ex soldato. Nonostante fossero passati quasi quattro anni dal ritorno in patria, l’uomo era ancora allenato e in perfetta forma.
 Holmes si impose di rimanere concentrato sulla ferita. Tolse il cerotto che la copriva e dopo averla pulita con acqua ossigenata e aver controllato che non si fosse riaperta, la coprì nuovamente con un cerotto per evitare che si infettasse.
 Watson rabbrividì sotto il tocco del consulente investigativo. Gli era mancato così tanto il tocco delicato di Sherlock. Sentirlo nuovamente accanto a sé aveva risvegliato in lui dei sentimenti che credeva sepolti ormai da tempo, con l’arrivo di Mary. In quei due anni Sherlock gli era mancato, certo, ma aveva imparato a convivere con la sua assenza. O almeno così credeva.
 «Non sapevo fossi così bravo nel primo soccorso.» disse per smorzare la tensione e tornare alla realtà.
 Sherlock rise sommessamente. «Ho avuto un buon insegnante.» affermò. «Con tutte le volte in cui hai dovuto aiutare me, sono stato costretto ad imparare.» concluse risollevando lo sguardo. Inoltre durante il periodo passato a smantellare la rete di Moriarty, era stato costretto ad arrangiarsi come meglio poteva, considerando che non poteva disporre di un medico.
 La sua espressione si fece nuovamente seria. I suoi occhi si soffermarono sul petto dell’amico, ma questa volta sul vecchio foro di proiettile proprio vicino al cuore. Sapeva bene da dove proveniva quella ferita, Shireen glielo aveva raccontato. Sollevò una mano e la accarezzò con i polpastrelli. Un sospirò tremante lasciò le sue labbra.
 «Questa cicatrice porta il mio nome.» sussurrò e incontrò gli occhi del dottore. Il dolore scintillò nei suoi occhi di ghiaccio. Era tutta colpa sua. John si era quasi ucciso per colpa sua e quella consapevolezza era soffocante.
 John poggiò la propria mano su quella di Sherlock, prima che potesse allontanarla dal suo petto. Non voleva che il consulente investigativo ponesse fine a quel contatto. Era piacevole e lo desiderava da troppo tempo. Si sporse sulla poltrona.
 I loro volti era tanto vicini da permettere ad entrambi di studiare ogni sfumatura degli occhi dell’altro, ogni ombra dei loro visi. I loro corpi quasi si sfioravano, trasmettendosi calore e scosse elettriche dove la loro pelle era a contatto.
 «L’idea che l’ennesima cicatrice che ti porti addosso sia stata causa mia...» sussurrò Holmes. «Ti ho già causato così tanto dolore… e mi dispiace tanto, perché eri l’ultima persona-»
 «Stai zitto, Sherlock.» ansimò John.
 Si avvicinò ulteriormente e i loro nasi si sfiorarono. Entrambi chiusero gli occhi e i loro respiri accelerarono quando le loro bocche si toccarono in una carezza delicata. Fu un leggero sfiorarsi, un cercarsi e uno scoprirsi reciproco.
 Prima che quella carezza potesse tramutarsi in un bacio, Sherlock lo bloccò, allontanando il suo volto da quello dell’amico. «No» sussurrò.
 Gli occhi di John saettarono in quelli di Sherlock.
 «Non… non posso…» mormorò il consulente investigativo. «Non adesso che Shireen…» scosse il capo. «Non posso permettermi distrazioni.»
 John tentò di ribattere, ma venne interrotto da Mycroft.
 «Disturbiamo?» la sua voce fece irruzione nell’appartamento riportandoli alla realtà.
 Sherlock e John si voltarono di scatto e videro che il politico e Lestrade erano fermi sulla soglia, perciò si allontanarono di scatto. Holmes si mise in piedi e Watson, aiutandosi con i braccioli della poltrona, fece lo stesso. Poi indossò la sua camicia.
 «John, stai bene?» chiese Greg, vedendo che la camicia del dottore era sporca di sangue.
 «Sì.» rispose lui. «Era solo… ho fatto troppo peso sulla ferita.»
 L’Ispettore annuì.
 John non poté fare a meno di notare che era sempre più pallido e magro. Forse con la ricerca di Shireen aveva mangiato e dormito poco, ma tutto quel trascurarsi non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione.
 «Come mai sei qui?» intervenne Sherlock, rivolto al fratello.
 «Ti stavo aspettando a Scotland Yard insieme a Greg per discutere riguardo alle indagini, ma il tuo ritardo era considerevole, perciò abbiamo deciso di venire qui.» spiegò.
 Il consulente investigativo avanzò verso di lui. «Si è presentato un contrattempo.»
 «Lo vedo.» affermò Mycroft gettando un’occhiata a John.
 Al minore non sfuggì. Avanzò ancora e quando il suo viso fu a pochi centimetri da quello del fratello, parlò sommessamente. «Dobbiamo parlare. Da soli.»
 Il politico annuì. «Scusateci.» e insieme entrarono in cucina.
 Quando Watson e Lestrade rimasero soli, il medico studiò il volto dell’Ispettore. Il suo colorito era cambiato ancora e non era un buon segno. Quel pallore lo stava facendo preoccupare, perciò avanzò verso di lui e gli poggiò una mano sulla spalla.
 «Siediti, Greg.» disse e lo accompagnò fino al divano, sedendosi accanto a lui.
 L’uomo si portò le mani al volto, chiudendo gli occhi.
 «Dovresti prenderti qualche ora per riposare.» affermò John. «Ne hai davvero bisogno.»
 Lestrade scosse il capo. «Non posso.»
 «Sì, invece.» replicò John.
 L’Ispettore rimase immobile.
 «Ehi» lo chiamò Watson e quando i loro occhi si incontrarono, riprese. «Andrà tutto bene. Troveremo Shireen. Abbiamo Sherlock e Mycroft dalla nostra parte. Sono due dei migliori cervelli che esistano a questo mondo. E anche la tua squadra sta lavorando duramente per trovarla.»
 «Non riesco nemmeno a pensare con lucidità, come posso sperare di trovarla?» sbottò l’Ispettore, scuotendo il capo. «Se dovessero farle del male non me lo perdonerei mai.» concluse con voce tremante. Un sospiro tremante lasciò le sue labbra. «Non posso vivere senza di lei, John. È tutto quello che ho. Non posso perderla.»
 John gli accarezzò la schiena. «Lo so.»
 
 Shireen aprì gli occhi lentamente.
 La prima cosa che notò fu che non si trovava più nella casa di Sherrinford e Mary a Dover. Che i suoi fratelli fossero venuti a salvarla? Che l’avessero portata via mentre era priva di conoscenza? Per un momento provò una piacevole sensazione di sollievo. Forse erano venuti a salvarla e l’avevano portata via.
 Un famigliare bip accanto al suo orecchio le fece intuire che dovesse trovarsi in un ospedale. Aveva una flebo collegata al braccio e poteva sentire il famigliare solletico prodotto dall’ossigeno che usciva dagli occhiali per raggiungere i suoi polmoni.
 Tentò di mettersi seduta, ma delle mani si posarono sulle sue spalle per bloccarla.
 «Stai ferma.» la voce di Mary la fece trasalire.
 Il sollievo provato poco prima, si tramutò in terrore. Non era salva, altrimenti perché Mary avrebbe dovuto essere lì con lei? Doveva aver avuto un malore, per questo si trovava in ospedale. Dovette reprimere un gemito di frustrazione, dato che era troppo debole anche solo per parlare. Sentiva dolori ovunque: ai fianchi, alle braccia, alle gambe, alla testa. Cosa le stava succedendo?
 Un’altra voce si aggiunse a quella della donna.
 «Stai tranquilla.» la voce di Sherrinford era dolce e pacata. «Sei all’ospedale di Dover. Sei al sicuro.»
 Shireen inclinò il capo. Suo fratello era seduto su una seggiola accanto al materasso e la stava osservando con un sorriso dipinto sulle labbra.
 Shireen ansimò. «Cosa…?» si interruppe immediatamente. Ogni parola era come ricevere una pugnalata ai polmoni.
 Forse la leucemia aveva deciso di accelerare i tempi e ucciderla prima dei cinque mesi. Il che non sarebbe stato un male, si ritrovò a pensare la ragazza, considerando che si trovava ancora con Sherrinford.
 «Ti abbiamo portata qui quando ti sei sentita male. Tre giorni fa dopo la cena al ristorante.» spiegò l’uomo. «Hai avuto un malore, che si è rivelato un edema polmonare. Durante la notte hai cominciato a tossire sangue, così ti abbiamo portata qui. Il medico ha proceduto con il trapianto di midollo, subito dopo aver effettuato il test di compatibilità.»
 Un brivido attraversò la spina dorsale della giovane. Trapianto di midollo?
 No. Non era possibile. Come avevano fatto a procedere senza il suo permesso?
 «Il medico ha spiegato che poiché eri priva di conoscenza avrebbe proceduto con il trapianto dato che era l’unico modo per salvarti la vita.» aggiunse il maggiore, avendo intuito il perché dell’espressione perplessa della sorella. «Sei rimasta incosciente per quattro giorni. Ma il fatto che tu sia sveglia lascia ben sperare.» 
 «Per…» le parole le morirono in gola. Si schiarì la voce. «Perché l’avete… fatto?» chiese sentendo le lacrime pizzicarle gli occhi. «Non volevo effettuare il trapianto.»
 Sarebbe stata costretta a passare tutta la sua vita con Sherrinford. Sarebbe dovuta rimanere con lui o avrebbe ucciso ciò che rimaneva della sua famiglia.
 «Ford ti ha salvato la vita.» fece notare Mary.
 «Non volevo essere salvata!» ringhiò la ragazza, stringendo i pugni. Le lacrime le rigarono le guance. Non avrebbero semplicemente potuto lasciarla morire?
 «Avresti preferito morire?» domandò Sherrinford, incredulo.
 «Sì, piuttosto che passare un giorno di più insieme a voi.»
 «Sei un’ingrata. Ford ti salva la vita risparmiandoti di soffrire e tu invece di ringraziarlo cosa fai? Ti lamenti.» intervenne Mary. «Complimenti, davvero.»
 «Non ho mai espresso il desiderio di essere salvata.» fece notare la giovane. «Anzi, mi sembrava di aver detto esplicitamente a quell’assassino di mio fratello che non volevo il suo midollo. Ero stata abbastanza chiara al riguardo.» concluse volgendosi verso di lui.
 «In ogni caso, ormai è troppo tardi.» affermò l’uomo. «Non mi aspetto che mi ringrazi per averti salvato la vita. L’ho fatto volentieri.» e detto questo si mise in piedi lentamente. «Vado a prendere un caffè. Rimani tu qui con lei?» chiese rivolto a Mary.
 La donna annuì.
 «A più tardi.» concluse lui e uscì lasciandole sole.
 
 Dopo due settimane passate in ospedale sotto stretto controllo da parte dei medici, Shireen venne dimessa.
 Il medico le disse che avrebbe potuto avere vari effetti collaterali dovuti al trapianto – come nausea, vomito, affaticamento, caduta dei capelli – ma che sarebbero stati tutti a breve termine e dato che l’intervento era andato a buon fine, si sarebbe ripresa completamente.
 Shireen dal canto suo non aveva più rivolto la parola al fratello e alla compagna per tutta la permanenza in ospedale, sperando che i due decidessero di lasciarla in pace. Ma non fu così.
 I due continuarono a tormentarla tentando di parlare con lei per farle cambiare idea riguardo Sherlock e Mycroft e continuando ad insistere sul fatto che i genitori si fossero meritati di morire.
 La giovane tentò di imporsi di non ascoltare, di non far caso a quelle stupidaggini, ma fu impossibile: le parole di Sherrinford e Mary continuavano a ferirla come lame affilate.
 Fu così che per paura che potessero infierire ancora, non appena arrivarono a casa, Shireen si rifugiò nella sua stanza, sperando che almeno lì la lasciassero in pace.
 
 La notte che seguì il suo ritorno fu tremenda.
 Shireen poté dire di non essere mai stata tanto male in vita sua, nemmeno nel periodo peggiore della malattia. Il medico l’aveva avvertita che il trapianto avrebbe potuto avere degli effetti collaterali in attesa che le cellule attecchissero come dovuto, ma la ragazza non si sarebbe mai aspettata una reazione del genere.
 Dopo un orribile incubo in cui Sherrinford aveva torturato e ucciso Sherlock, Mycroft e Greg sotto i suoi occhi, la ragazza di svegliò, madida di sudore e senza fiato. La prima cosa di cui si accorse, fu che le lenzuola erano impregnate di uno strano liquido denso al tatto, che identificò come sangue. A quel punto accese l’abat-jour sul comodino per controllare se davvero i corpi dei suoi amici fossero lì accanto a lei. Si guardò intorno, ma era sola, completamente sola.
 Si portò una mano bocca e sentì un rivolo di sangue colarle lungo il mento. Ricordò le parole del medico riguardo gli effetti della cura e si concesse un sospiro di sollievo. Il sangue era suo.
 A quel punto poggiò una mano sulla fronte, madida di sudore. Avrebbe voluto essere a casa sua. Non avrebbe dovuto essere lì con quei due assassini. Se fosse stata con la sua famiglia, con Greg o con i suoi fratelli, loro avrebbero saputo che cosa fare, avrebbero saputo come aiutarla.   
 Ripensò al volto di Greg, alle sue carezze, alle sue labbra sulle sue. Poi ai suoi fratelli e ai loro abbracci, alla voce baritonale e profonda di Sherlock e a quella rassicurante e dolce di Mycroft. E poi a John, al suo John, il suo migliore amico, che era morto a causa sua e della stupida vendetta di Sherrinford.
 Sentì un conato di vomito salire lungo la gola. Con uno scatto rapidissimo scese dal materasso e corse nel bagno della sua stanza. Si piegò sulla tazza tossendo convulsamente.
 Erano giorni che non mangiava, ma gli spasmi allo stomaco erano più potenti che mai. Le lacrime le salirono agli occhi. Tutto ciò a cui riusciva a pensare era al dolore e al fatto che fosse irrimediabilmente sola.
 Tossì e tossì senza riuscire a smettere, sperando che né Mary né Sherrinford facessero irruzione nella sua stanza per controllare cosa stesse succedendo.
 Poi, pian piano, i conati si calmarono e Shireen riuscì a sedersi accanto alla tazza, poggiando il capo contro la parete.
 Non ce l’avrebbe mai fatta. Se fosse sopravvissuta a questo, a ucciderla sarebbero stati Mary e Sherrinford.
 
 Nonostante le continue nausee e capogiri, qualche giorno dopo – dopo aver rifiutato i pasti offertagli dal fratello e non essere uscita dalla sua stanza nemmeno per bere un bicchiere d’acqua – Shireen trovò la forza di scendere al piano inferiore per cercare qualcosa da mangiare.
 Imboccando il corridoio aveva notato che era dimagrita ancora. Il volto era leggermente scavato, le costole erano ben visibili sotto la maglietta e le gambe facevano fatica a reggere il suo peso. Se non avesse ripreso a mangiare, probabilmente si sarebbe consumata e anche se l’idea di morire – come unica soluzione per stare lontana da Sherrinford – l’aveva sfiorata più volte, non avrebbe di certo voluto morire di stenti.
 Trovò Mary e Sherrinford seduti al tavolo della cucina. Stavano parlottando tra loro e quando la ragazza entrò si zittirono improvvisamente.
 «Ciao, Shireen» la salutò Sherrinford, volgendosi verso di lei. «Come ti senti?»
 «Benissimo.» rispose lei, ironicamente. Contando che era stata rapita e costretta a rimanere in quella casa contro la sua volontà e che la sua salute stesse peggiorando di giorno in giorno, andava tutto a meraviglia. Si astenne dal commentare oltre.
 «Ti va di mangiare qualcosa?» continuò il maggiore. «Sei tutta pelle ossa. Non ti fa bene stare a digiuno nelle tue condizioni.» concluse, poi indicò il tavolo. «Vieni, Mary ha fatto i biscotti.»
 La ragazza barcollò fino alla sedia più vicina e vi si lasciò cadere; cominciò a sgranocchiare un biscotto, sentendo lo stomaco dolere, dopo giorni di digiuno.
 Mary si alzò. «Bene, allora io vado.» annunciò.
 La giovane sollevò lo sguardo. «Dove?» chiese flebilmente. La sua voce suonò roca e priva di calore.
 «Ho un lavoro da sbrigare.» affermò lei. «Torno presto.»
 «Ti accompagno alla porta.» dichiarò Ford mettendosi in piedi e prendendole la mano.
 «A presto, Shireen.» la salutò Mary, ma non ottenne risposta.
 
 Sherlock aprì la porta della stanza che era stata di Shireen senza troppe cerimonie. Era stato svegliato dalle grida di suo fratello nel bel mezzo della notte e sia lui che John erano saltati giù dal letto per controllare cosa stesse succedendo.
 Aveva detto a Mycroft che sarebbe stato più tranquillo se fosse rimasto con lui e John a Baker Street fino a che non avessero trovato Shireen. Sherlock sapeva che dopo l’esperienza con Ford, anche se ogni cosa sembrava essere tornata alla normalità, per Mycroft era stato tutto più difficile, per questo voleva tenerlo sotto controllo e averlo vicino almeno durante la notte.
 Quando i due coinquilini varcarono la soglia, videro Mycroft raggomitolato su se stesso che si stava agitando sotto le coperte, lamentandosi con gemiti sommessi e strozzati.
 John rivolse uno sguardo preoccupato e confuso a Sherlock che subito si avvicinò al materasso, per potersi sporgere verso il fratello e tentare di svegliarlo.
 «Mycroft» lo chiamò tentando di tenerlo fermo per le braccia, ma con scarsi risultati.
 «Shireen…» ansimò il maggiore. «No… no…» le lacrime gli stavano rigando le guance perdendosi nella barba rossiccia e cadendo sulla stoffa del cuscino. Ansimò ancora contorcendosi su se stesso e ansimando.
 A quel punto anche John si avvicinò e gli poggiò una mano sul braccio. «Mycroft» lo scosse e osservò il suo volto. Era pallido, ma aveva le guance arrossate. Sembrava avesse una crisi convulsiva. Probabilmente se si fosse svegliato avrebbe avuto un attacco di panico.
 Il maggiore degli Holmes riprese ad agitarsi, questa volta più violentemente.
 «Tienilo fermo, John.» ordinò Sherlock mollando la presa.
 «Rischiamo di rompergli un braccio.» replicò l’altro, continuando a stringergli le braccia per impedirgli di colpirli entrambi. «Ha la febbre e…» affermò dopo avergli poggiato velocemente una mano sulla fronte. «…che vuoi fare?» chiese poi, vedendo che Sherlock stava facendo il giro del materasso.
 Il consulente investigativo poggiò le mani sulle spalle di Mycroft e riprese a scuoterlo. «Devi svegliarti, Mycroft. Svegliati!»
 «Sherlock, gli romperai l’osso del collo così!» esclamò il medico. «E se dovessimo svegliarlo a questo punto sarebbe peggio. Potrebbe avere un attacco di panico.»
 «Dobbiamo svegliarlo.» replicò Holmes. «Guardalo.»
 Mycroft si lamentò ancora e un verso di dolore gli sfuggì dalle labbra. Si rannicchiò su se stesso, portandosi le mani alle orecchie, implorando qualcuno di smetterla.
 «Non ce la fa più.» replicò Sherlock, quasi implorando il medico. «Ti prego, non posso stare a guardare.» aggiunse in un sussurro.
 John dopo un momento annuì e insieme ripresero a chiamarlo e scuoterlo per tentare di tirarlo fuori da quel tremendo incubo.
 Alla fine, dopo vari altri tentativi a vuoto, finalmente Mycroft si svegliò.
 Scattò a sedere sbarrando gli occhi e liberandosi dalla presa dei due con uno strattone. Il respiro era affannato e irregolare, gli occhi colmi di paura. «No… no… basta… per favore…» implorò portandosi le mani al volto e premendole sulle orecchie.
 John sollevò lo sguardo sul consulente investigativo, sospirando di sollievo.
 «Puoi lasciarci soli?» sussurrò Sherlock, rivolto a John.
 Il medico annuì e uscì, chiudendosi la porta alle spalle. Sapeva bene che l’unico modo per calmare Mycroft sarebbe stato lasciarlo solo con suo fratello e non fare domande. Se ci fosse stata Shireen avrebbe potuto pensarci lei, ma in quel caso, l’unico che poteva fare qualcosa era Sherlock.
 
 Sherlock prese posto accanto al maggiore e cercò il suo sguardo per tranquillizzarlo. «Mycroft» disse circondandogli i polsi con le mani per allontanarli da volto.
 Il maggiore continuava a scuotere il capo. «Shireen…» singhiozzò e aprendo gli occhi, scivolò verso la testiera del letto per allontanarsi dalla figura che aveva di fronte e che non riusciva a riconoscere. «Non farle del male… non…»
 «Calmati, sono Sherlock.» lo rassicurò il minore.
 «No…» scosse vigorosamente il capo portandosi nuovamente le mani alle orecchie. «No… non è vero. No…»
 «Myc» ripeté Sherlock più dolcemente, poggiandogli una mano sulla spalla. Perché doveva essere tutto così difficile? Perché suo fratello non poteva semplicemente avere un po’ di pace? «Devi guardarmi.» ordinò «Sono io, vedi?»
 «No… per favore, non…» singhiozzò Mycroft.
 «Myc, guardami.» gli sollevò il volto con le mani e i loro occhi si incontrarono. «Sono Sherlock. Ford non è qui.»
 Il maggiore ansimò e solo in quel momento sembrò riconoscerlo. «Sher?» bisbigliò.
 «Sì.» il minore annuì e accennò un sorriso per tranquillizzarlo.
 «Sher…» singhiozzò nuovamente abbassando lo sguardo. «Io… scusa-»
 «Va tutto bene.» lo rassicurò Sherlock tirandolo verso di sé e stringendolo tra le braccia.
 Mycroft poggiò la testa contro il suo petto e lasciò che il fratello gli accarezzasse i capelli e gli cingesse le spalle. Continuò a tremare e a singhiozzare sommessamente e fu grato a Sherlock che continuò ad abbracciarlo senza fare domande.
 «Andrà tutto bene, fratellone.» lo confortò. «Troveremo Shireen e la riporteremo a casa.»
 «Le farà del male.» mormorò «La ucciderà.»
 «Non glielo permetteremo.»
 «Come possiamo impedirglielo?» chiese Mycroft allontanandosi da Sherlock e puntando gli occhi di ghiaccio in quelli dell’altro. «Non sappiamo dove si trovano… potrebbero essere ovunque.»
 «Lestrade la localizzerà.» replicò. «E Sherrinford non le farebbe mai del male. Tiene troppo a lei, lo sai anche tu.» fece notare. L’aveva rapita perché era sempre stato solo. Che senso avrebbe avuto farle del male, quando avere Shireen era quello che voleva?
 «Lo so. Ed è questo che mi preoccupa.» affermò a bassa voce.
 Sherlock gli rivolse uno sguardo perplesso. «Cosa vuoi dire?»
 «Se lei dovesse ribellarsi…» esordì, ma subito si interruppe. Non voleva neanche pensarci. Non voleva pensare a cosa Sherrinford avrebbe potuto farle.
 Gli occhi di Sherlock si spalancarono quando la consapevolezza si fece strada in lui. «Credi che lo farebbe?» chiese alla fine, deglutendo a fatica.
 Mycroft scosse il capo, reprimendo un verso disgustato. «Hai visto anche tu ciò di cui è capace. Tutti l’hanno visto.»
 «Non dire nulla a John.» sbottò. «Si sente già abbastanza in colpa, non voglio che pensi che sia colpa sua.»
 «Non lo è.» replicò Mycroft, abbassando lo sguardo. «È colpa nostra.» concluse in un sussurro. Ed era la verità. La pura e semplice verità. Forse se avessero raccontato a Shireen di Sherrinford, lei non gli avrebbe dato confidenza o perlomeno sarebbe stata pronta ad affrontarlo. E invece…
 «La troveremo.» ripeté Sherlock con risolutezza. «E se le avesse fatto del male la pagherà.»
 Mycroft si ritrovò ad annuire.
 Sherrinford avrebbe pagato. Per aver fatto del male a lui e John. Per averli minacciati. Per aver rapito Shireen. E se le avesse fatto del male non avrebbe visto la luce del giorno mai più. Lui sicuramente non glielo avrebbe permesso e neanche Sherlock. Sarebbe morto prima di potersi difendere o scusare.
 Vedendo che il maggiore era nuovamente impallidito, il consulente investigativo riprese. «Andrà tutto bene, Myc.» poggiò una mano sul collo di Mycroft e lo tirò verso di sé facendo combaciare le loro fronti, quella del maggiore bollente per la febbre, la propria fredda come il ghiaccio. «Shireen tornerà e saremo di nuovo insieme.» sussurrò. Sentì la mano di Mycroft sul suo volto e accennò un sorriso. Doveva ammettere che sentire suo fratello vicino lo faceva sentire meglio. «Supereremo questa cosa insieme, Myc.»
 «Grazie, Sher.» sussurrò l’altro di rimando e rimasero stretti l’uno all’altro fino a che la sveglia non suonò.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti! :) Come state? Mi scuso per il ritardo nel pubblicare, ma sono stata parecchio impegnata, ieri, perciò eccomi qui ;)
Non mi dilungo troppo: spero che il capitolo vi sia piaciuto, ma sono sicura che molti di voi saranno contenti dato che c’è stata una svolta… ;)
A Lunedì con il prossimo.
Baci, Eli♥ 
   
 
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