Crossover
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Autore: Odinforce    18/01/2016    4 recensioni
In un luogo devastato e dominato dal silenzio, Nul, un essere dagli enormi poteri si diverte a giocare con i mondi esterni per suo diletto. Da mondi lontani sono giunti gli eroi più valorosi, pronti a sfidare le loro nemesi che hanno già sconfitto in passato. I vincitori torneranno al loro mondo, siano i buoni o i malvagi. Saranno disposti ad obbedire alla volontà di Nul?
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 34. Momenti di pace
 
Image and video hosting by TinyPic Un altro giorno su Oblivion stava volgendo al termine quando Harry Potter aprì gli occhi. Era disteso su un letto in una stanza d’ospedale, senza avere la minima idea di come ci fosse arrivato. Aveva un braccio e la testa fasciati, e una flebo infilata nell’altro braccio; cure tipiche dei Babbani, riconobbe, anche se non le aveva mai sperimentate di persona fino a quel giorno. L’unica cosa certa era ciò che vedeva in quel momento: una ragazza dai capelli rossi seduta accanto a lui; dormiva profondamente, a braccia conserte e la testa piegata in avanti. Russava forte, in un modo che non le si addiceva. La mise a fuoco dopo aver recuperato gli occhiali, posti sul comodino a fianco insieme alla Bacchetta di Sambuco.
« Rina...? »
La strega si svegliò di colpo, emettendo un ultimo grugnito.
« Il conto, cameriere... uh? Dove... cosa... Harry! »
Il ragazzo sorrise, cercando di ignorare il lieve dolore che invadeva tutto il suo corpo. Rina era più sorpresa e sollevata che mai, ma i suoi occhi erano ancora arrossati. La strega, tuttavia, si ricompose in fretta e furia per recuperare il suo carattere di sempre.
« Uff, era ora che ti svegliassi » brontolò. « Ormai credevo di dover restare a sorvegliarti per tutta la notte! »
Harry ridacchiò.
« Heh... sto bene, grazie. Che cosa è successo? Dove siamo? »
« In un ospedale, ovviamente. Non me ne intendo molto... non ci sono posti così nel mio mondo, ma pare che siano riusciti a curarti. Come ti senti, adesso? »
« Felice di essere ancora vivo... ed è merito tuo, Rina, grazie. »
I due si guardarono negli occhi senza più parlare. Inevitabile fu il ricordo che attraversò subito il cervello di Harry, quello in cui l’aveva baciata prima di affrontare Voldemort. Altrettanto inevitabile fu la decisione di dire qualcosa a riguardo.
« Rina » cominciò a dire, « io... non voglio che tu ti faccia idee sbagliate su quello che è successo tra noi. Vedi, io ho... »
« Non devi spiegarmi niente, Harry » tagliò corto Rina. « Non sono mica una stupida, sai? So riconoscere i sentimenti di una persona quando la bacio, quindi non temere... l’ho capito subito. Il tuo cuore è già occupato, così come lo è il mio. Tutta questa storia è servita a ricordarmelo, in un certo senso. »
« Hehe... capisco » commentò Harry, sollevato. « Amici, allora? »
« Amici. Ma questa me la tengo » aggiunse, e tirò fuori dal nulla la Spada di Grifondoro per mostrarla bene. « Oh, è una tale bellezza... sono felice di essermela meritata! »
Harry sbuffò. L’idea di dover lasciare la spada a una come Rina non gli piaceva un granché... ma dopotutto, stava meglio nelle mani di una ragazza degna di impugnarla piuttosto che in quelle di un folletto imbroglione.
Per un attimo immaginò quell’intrepida maga al suo fianco a Hogwarts, vestita con l’uniforme scolastica di Grifondoro...
« Che cosa farai, adesso? » le chiese, allontanando il pensiero.
« Uhm, credo che per un po’ resterò qui, in questo ospedale. Dopo aver affrontato demoni, stregoni e distruttori ho proprio bisogno di un po’ di riposo. Quel rozzo dottore ha detto che possiamo restare quanto vogliamo, purché non gli rompiamo le scatole – testuali parole sue – quando gioca a freccette o ha mal di testa.
« E tu, invece? Cosa farai una volta che sarai guarito? »
Harry si voltò verso la finestra, da cui poteva vedere la cupa città di Oblivion sotto il cielo che imbruniva.
« Io devo trovare Nul... e convincerlo a riportarmi a casa. Dopotutto, ora che Voldemort è morto ne avrei il pieno diritto. Ho vinto la sfida. »
« E allora perché sei ancora qui? » obiettò Rina. « L’ho visto, il caro Nul... è apparso dal nulla dopo l’esplosione. Poteva benissimo rimetterti in salute con uno schiocco delle dita e riportarti al tuo mondo, invece mi ha suggerito di raggiungere l’ospedale. Voleva che tu sopravvivessi, che fossi curato. »
« Davvero? Ah, è dura cercare di trovare un senso in tutto questo casino! Ma devo affrontare una cosa alla volta... prima di tutto devo ritrovare i miei amici. »
« Oh, giusto, i tuoi amici! Vado a chiamarli subito. »
Harry rimase a bocca aperta mentre Rina si alzava dalla sedia e usciva dalla stanza, chiamando qualcuno che si trovava all’esterno.
« Ora è sveglio, gente, potete entrare... ma con calma, eh? »
Pochi secondi dopo, i Valorosi entrarono nella stanza, uno dopo l’altro. Harry era senza parole mentre Lara, Luke, Hellboy e Po si avvicinavano al suo letto, circondandolo con aria lieta. Sentì anche Jake brontolare fuori dalla porta, troppo alto e grosso per riuscire a passare.
« Ciao Harry! Uff, stupide porticine... »
Harry rise, poi prese la Bacchetta e la puntò verso la porta.
« Engorgio! »
La porta si allargò di parecchio, permettendo a Jake di entrare comodamente. Così, mentre lui entrava, Rina lasciava la stanza, salutando tutti.
Il ragazzo non poteva essere più felice di rivedere i suoi amici, sani e salvi, ma poi si rese conto che mancava ancora qualcuno... Edward e Sora. Jake anticipò la sua aria interrogativa e rispose, affermando che di loro due non avevano ancora notizie; poi passò a spiegare varie cose, in particolare ciò che avevano scoperto quello stesso giorno poco prima di raggiungere l’ospedale. La verità su tutti loro... l’idea che fossero, dal primo all’ultimo, eroi usciti da opere di fantasia.
Harry non riusciva a crederci, ma non poteva fare altrimenti. Perché i suoi amici avrebbero dovuto inventarsi una cosa del genere? Inoltre si era appena svegliato, non poteva credere che fosse tutto un sogno. Così rimase al suo posto, sul letto, in preda a una miriade di pensieri sconvolgenti.
« È così assurdo » mormorò. « Io ricordo tutto... i miei genitori, i miei amici, Hogwarts... la guerra... era tutto vero. Come potrebbe essere stata tutta una finzione? Non ha senso! »
« Lo stesso vale per noi » dichiarò Lara, « e per tutti quelli che ci hanno preceduti, immagino. Non abbiamo idea di cosa questo possa significare, ma per ora sarebbe meglio non preoccuparsi. »
« Già, occupiamoci di una cosa per volta » aggiunse Hellboy. « Pensiamo innanzitutto a ritrovare Ed e Sora... poi, una volta che sarai guarito, possiamo riprendere la caccia a un certo Nul. »
Harry annuì. Per ora, poteva solo aspettare di riprendersi completamente: in passato era sempre guarito da ferite gravi in poche ore, ma con quelle cure mediche (in stile Babbano, dal suo punto di vista) ci sarebbe voluto più tempo. L’idea lo irritava, dato che possedeva una bacchetta con cui avrebbe potuto aggirare il problema... se avesse conosciuto incantesimi di guarigione più efficaci.
Tutto sommato, era meglio approfittare di un simile momento di pace.
 
La notte era ormai scesa sull’ospedale. I Valorosi, dopo la loro conversazione con Harry, lasciarono in blocco la stanza per farlo riposare ancora. Dovevano ancora decidere dove passare la notte, e si radunarono nell’atrio in cerca di un posto adatto; il luogo era quasi deserto, fatta eccezione per il solito viavai di Senzavolto e la presenza di alcuni pazienti dell’ospedale. Proprio laggiù, vicino alla reception, il gruppo riconobbe un ragazzo, intento a parlare con altri due personaggi.
« Sora! »
Il ragazzo si voltò, attirato dalla voce dell’amico Po. Era proprio lui, il Custode del Keyblade, sano e salvo come tutti gli altri; non appena il suo sguardo si posò sui Valorosi, sfoggiò il sorriso più largo che potesse fare.
« Ragazzi! » esclamò, sorpreso e allegro come non mai. « Grazie al cielo... eccovi qua, finalmente! State tutti bene? »
« Be’, quasi tutti » spiegò Jake. « Harry è di sopra, un po’ malconcio ma si rimetterà. Di Ed non sappiamo ancora nulla. »
« Ormai cominciavamo a chiederci dove fossi finito » commentò Po, dopo averlo abbracciato. « Quando sei arrivato? »
« Proprio adesso » rispose Sora, poggiando le mani dietro la testa. « Ho fatto un sacco di strada per arrivare qui... stavo per cercarvi qua dentro, quando ho incontrato loro. »
Il ragazzo indicò i due personaggi con cui stava parlando fino a poco prima. Uno era un indiano pellerossa dai lunghi capelli, il volto dipinto di bianco e nero e un corvo impagliato posto in cima alla sua testa. Il suo volto aveva gli stessi lineamenti degli abitanti di Burton Castle. I Valorosi lo riconobbero come Tonto, un personaggio che Sora aveva già incontrato in precedenza.
L’altro individuo non ebbe bisogno di presentazioni, perché lo riconobbero tutti dopo un’ondata collettiva di stupore. Alto, capelli neri, giacca nera e camicia rossa... era Dylan Dog.
« Well, è proprio il caso di dirlo... chi non muore si rivede » commentò l’inglese con un sorrisetto. Ora aveva un aspetto migliore dal loro ultimo incontro: i suoi abiti erano puliti e non puzzava più d’alcol, ma la sua fronte era ricoperta di bende. Evidentemente aveva subito da poco un intervento.
« Cosa ti è successo? » domandò Jake. « Abbiamo temuto che fossi morto. Io... ricordo persino di aver sentito uno sparo, dopo il nostro incontro. »
« Ricordi bene, infatti » ammise Dylan. « Dopo che ve ne siete andati ho caricato la pistola e me la sono puntata alla testa. Ero pronto a farla finita... ma qualcosa è andato storto. Capita spesso a un aspirante suicida di fare cilecca: la mano ha tremato e mi sono ferito solo di striscio; mi ha trovato Tonto qualche tempo dopo » e indicò il pellerossa al suo fianco, « e insieme siamo giunti in questo posto. »
« Volevo solo tua giacca. Ti credevo morto » commentò Tonto.
« Bah, almeno così hai imparato che non si ruba. »
« Non rubare. Barattare. »
« E che se ne fa un morto del tuo cibo per uccelli? » ribatté Dylan. « Giuda ballerino, ho quasi nostalgia di Groucho, con te al mio fianco... »
I Valorosi assunsero un’aria divertita. Era da tempo che non gli scappava da ridere, dopo tutto quello che avevano passato; sembrava quasi che fosse merito di Sora... la sua presenza aveva riaperto la porta del loro ottimismo, come una chiave.
« Sembra che tu abbia recuperato la voglia di vivere, Dylan » osservò il ragazzo.
« Quasi » rispose Dylan. « Diciamo che mi sono ricordato di avere ancora qualcosa da fare, da queste parti: trovare quel maledetto di Nul. La mia indagine non è ancora finita, dopotutto, perciò mi sono rimesso al lavoro. »
« E cos’hai scoperto? » chiese Luke.
« Non molto, in verità. Nul è più sfuggevole di un fantasma, a quanto pare. Ma una cosa la so: sta succedendo qualcosa al Cimitero dei Mondi, qualcosa di grosso. Negli ultimi giorni ho visto molti Senzavolto dirigersi laggiù, come se fossero guidati da una forza misteriosa: sono arrivato abbastanza vicino da scoprire che succede. Stanno costruendo qualcosa, laggiù... un edificio, o qualcosa del genere. »
I Valorosi si scambiarono un’occhiata, perplessi. Non avevano idea di cosa parlava Dylan: dopotutto erano appena venuti fuori da una serie di eventi che li avevano tenuti ben lontani da quel settore di Oblivion. Tuttavia, l’occasione sembrava buona per indagare più a fondo.
« Se c’è dietro Nul in tutto questo, vale la pena dare un’occhiata » dichiarò Jake. « Non appena avremo ritrovato Edward, ci dirigeremo laggiù. »
« Sono d’accordo » aggiunse Lara. « Ormai è evidente, in ballo c’è molto più di una semplice sfida. I nostri nemici sono morti, eppure siamo ancora qui... e sono sicura che la nostra vera “natura” c’entri qualcosa in tutto questo. »
« La nostra “vera” natura? » ripeté Sora, incerto.
« Giusto, tu ancora non lo sai. Vedi, di recente abbiamo scoperto qualcosa di strano su noi stessi... »
Raccontarono a Sora ciò che avevano già riferito a Harry, del loro incontro con Jay e Silent Bob. Sora ascoltò con interesse, ma alla fine non si dimostrò poi così sorpreso.
« Mah, in realtà sapevo già di essere un videogioco » ammise il ragazzo, poggiando di nuovo le mani dietro la testa. « L’ho scoperto di recente, dopo essere tornato nel mio luogo d’origine... »
E raccontò brevemente il suo intermezzo nella Game Central Station. Lara in particolare ne rimase sorpresa, dato che anche lei proveniva da quel mondo... ma il ricordo della sua vera natura era stato rimosso, proprio come nel caso di Sora.
« Proprio un gran bel casino » commentò Hellboy, intento a fumare l’ennesimo sigaro.
I compagni annuirono, senza aggiungere altro. Dylan e Tonto si erano già congedati per riposare un po’. I sei compagni si apprestarono a seguire il loro esempio, ignari che il loro meritato riposo avrebbe dovuto attendere.
Un uomo si era appena messo a fare baccano nell’atrio, parlando a voce troppo alta. I Valorosi si voltarono a guardarlo: uno strambo tizio vestito con dei jeans e una camicia hawaiana che teneva aperta mostrando il petto; aveva i capelli biondi e la barba incolta, e portava un crocefisso al collo. Era impegnato a discutere con alcuni Senzavolto, che cercavano di trattenerlo.
« E lasciatemi! » sbraitava. « Sono guarito, no? Sono libero di andare! Stupido branco di pupazzi ambulanti... che diavolo volete da me? »
« Forse aspettano il mio consenso, non le pare? » disse un’altra voce.
Il dottor House era giunto nell’atrio, sbucando fuori dall’ascensore. Si avvicinò con tutta calma all’uomo, appoggiandosi al bastone come al solito; i Senzavolto si fecero da parte ad un suo cenno.
« Mi ripeta il suo nome, cognome e ragione valida per cui vuole andare là fuori » ordinò con tono pratico.
« Uff... Meme Oshino, monaco ed esorcista » rispose l’uomo ricomponendosi. « Voglio andarmene perché sono guarito, e devo ritrovare il mio allievo. Non intendo restare qui un secondo di più, sapendo che Koyomi è ancora là fuori da qualche parte. »
House attese qualche secondo, permettendo a mister Oshino di riprendere fiato.
« Molto bene » dichiarò. « Vada alla reception, firmi il modulo di dimissioni e hasta la vista. »
E gli voltò le spalle, per raggiungere i Valorosi rimasti ad assistere alla scena. Oshino rimase basito per un po’, ma poi obbedì all’ordine di House, dirigendosi alla reception.
« Salve, dottore » disse Luke con tono cordiale. « Come va la gamba? »
« Inutile per fare i cento metri, come al solito... ma almeno non fa più male, grazie a te. Avrei voluto incontrarti molto tempo fa, ragazzo... mi avresti risparmiato un sacco di rogne. »
« E quello? » intervenne Hellboy, notando l’uomo in camicia hawaiana mentre usciva dall’ospedale. « Lo lascia andare così? Mi aspettavo che avrebbe insistito per farlo restare. »
« Seconda regola del manuale del bravo dottore: mai impedire di andarsene a un paziente che non puoi fermare. Credevo l’aveste capito, ormai: qui è pieno di eroi dotati di superpoteri... come pensate che possa fermarli? »
« Già, capisco. Bah... spero che se la cavi. »
« Ha fatto ciò che riteneva più giusto » intervenne Sora. « Se ha un amico disperso, chi siamo noi per impedirgli di cercarlo? Noi ne abbiamo ancora uno da ritrovare, dopotutto. Mi chiedo dove sarà finito Ed... »
Le porte dell’ospedale si aprirono in quel momento, facendo avverare quel piccolo desiderio.
 
Il Gattobus si arrestò davanti all’ospedale. Edward Elric scese da esso con un balzo, seguito a ruota da Riuji Takasu. Il giovane dai capelli neri apparve un po’ sbattuto, a causa dell’alta velocità con cui avevano viaggiato.
« Mal d’autobus? » commentò Ed con un ghigno.
« Hah... non avevo mai viaggiato su un coso del genere. Senza offesa! » aggiunse subito, mentre i grandi occhi del Gattobus si posavano su di lui.
« Be’, ad ogni modo sembra che siamo arrivati » osservò l’alchimista, guardandosi intorno. « Se ci siamo fermati qui, significa che qui troveremo la tua ragazza. »
« Ma questo... è un ospedale. Vorrà dire che... santo cielo! Taiga! »
Riuji si fiondò verso l’ingresso, senza aspettare un altro secondo. Ed rimase senza parole, ma non voleva perderlo di vista e lo seguì a ruota, facendo appena in tempo a ringraziare il Gattobus per l’aiuto. Questi emise un miagolio soddisfatto e svanì nel nulla.
« Taiga! »
L’urlo e il rumore delle porte che si spalancavano attirarono l’attenzione di tutti coloro che si trovavano nell’atrio in quel momento. Riuji avanzò a grandi passi, alla ricerca disperata della sua ragazza, ma non la vedeva da nessuna parte. Ed continuò a seguirlo, in uno stato a metà tra l’imbarazzo e l’apprensione.
« Taiga! Dove sei? Taigaaa! »
« Ehm, Riuji, forse dovresti darti una calmata... »
« Edward! »
« Uh? »
L’alchimista si voltò. Poco lontano c’erano i suoi amici, i Valorosi, tutti riuniti accanto a un muro: lo stavano salutando, con un’espressione di gioia e sollievo dipinta su tutti i loro volti.
« Ragazzi! » esclamò, replicando la stessa sorpresa e allegria dimostrata da Sora poco prima. « Grazie al cielo, eccovi tutti qua! State bene? Un momento, dov’è Harry? »
« Tutto bene, Ed, tranquillo » assicurò Sora, dandogli una pacca sulla spalla. « Harry è di sopra, è stato ricoverato ma sta bene. E tu che fine avevi fatto? »
« Oh, se sapeste cosa ho dovuto passare prima di arrivare sin qui... »
« Taiga! TAIGA! »
Il gruppo fu distratto dalle continue urla di Riuji, che nel frattempo continuava a girovagare disperato. Ed tornò da lui, insieme a un irritato House.
« Dì un po’, ti sembra il modo più appropriato di usare le tue corde vocali in un posto del genere? » esclamò il dottore. « Credevo che un giapponese istruito sapesse riconoscere un ospedale quando si trova al suo interno... capisci almeno quello che dico? »
« Sì! Sì... perdonatemi » si scusò subito Riuji, riprendendo fiato. « Siete un medico, giusto? Sto cercando la mia ragazza, Aisaka Taiga... ho saputo che è qui... »
« Va bene, ho capito, seguimi » tagliò corto House. Insieme si diressero alla reception, seguiti a ruota da Ed. I Valorosi si avvicinarono un poco, restando comunque a debita distanza; non capivano bene cosa stavano succedendo, ma preferirono rimandare a dopo le domande.
House fornì istruzioni ai Senzavolto alla reception, comunicando il nome della probabile paziente che Riuji stava cercando. Con tutto quello che aveva da fare, il dottore non poteva pretendere di ricordarsi i nomi di tutti i suoi pazienti, perciò lasciava ai Senzavolto il compito di registrarli nel database dell’ospedale. La ricerca terminò nel giro di un minuto.
« Sì... Aisaka Taiga, eccola qui » dichiarò House, leggendo sul computer. « Ricoverata due settimane fa, frattura alla tibia sinistra... ormai in fase di guarigione. Terzo piano, secondo corridoio, stanza 2C. »
Riuji sospirò, molto più sollevato di prima.
« Taiga... sta bene, allora? Posso vederla? »
« Sì, sì... corri pure dalla tua principessa, Romeo. E tieni basso il volume! » gli urlò dietro, visto che il ragazzo si era già fiondato verso le scale a metà frase.
I Valorosi osservarono Riuji mentre si dirigeva a destinazione, seguito ancora una volta da Ed che affrettava il passo per stargli dietro.
« Lo accompagno... ci vediamo dopo! » avvertì i suoi amici, prima di sparire oltre la soglia.
Durante il tragitto, l’Alchimista d’Acciaio maledì Riuji per la sua idea di prendere le scale anziché l’ascensore. Il ragazzo giapponese era molto più alto di lui, e saliva intere rampe in pochi secondi; Ed, invece, maledì ancora una volta le sue gambe corte mentre stava dietro a quel forsennato.
Giunsero così al terzo piano. Entrambi avevano il fiatone, ma Riuji non si fermò, e continuò a correre, imboccando il secondo corridoio; numerosi personaggi lo fissarono incuriositi lungo il percorso, mentre urlava a gran voce il nome della sua amata.
« Taiga... Taiga! »
Alla fine, la stanza 2C si palesò davanti ai suoi occhi. Riuji si fermò di fronte alla porta, ansimando dopo quella lunga corsa.
Improvvisamente gli tremavano le gambe. Sapeva chi lo aspettava oltre quella soglia, eppure ne aveva timore: non aspettava altro da settimane, e ora che si trovava a pochi metri da lei... non sapeva come comportarsi.
Sentì poi una mano metallica posarsi sulla sua spalla.
« Andrà tutto bene, vedrai » gli disse Ed con un sorriso. « E se le cose dovessero mettersi male, non temere... mi trovi qui a coprirti le spalle. »
Riuji sorrise, senza nascondere una sfumatura ironica.
« Spero che tu sappia difenderti da una tigre in miniatura, allora. »
Il ragazzo inspirò profondamente e aprì la porta. La luce nella stanza era accesa, ma la persona sdraiata sul letto stava già dormendo. Il battito di Riuji accelerò mentre riconosceva la sua Taiga sotto quelle lenzuola: piccola come una ragazzina, il viso delicato e lunghi capelli dorati; sembrava una bambolina, proprio come la prima volta in cui l’aveva osservata dormire. Una visione quasi incantevole.
Riuji andò a sistemarsi accanto a lei, incerto se svegliarla o meno, ma non ce ne fu bisogno. Taiga aprì lentamente gli occhi, accortasi di una presenza estranea, e fissò lo sguardo del ragazzo.
« Taiga » mormorò lui, emozionato.
« Riuji... sei proprio tu? » sussurrò Taiga.
« Sì! Sì, Taiga, sono io. Finalmente... finalmente ti ho ritrovata! »
Taiga fece un sorriso, dapprima dolce, poi improvvisamente maligno.
« Bene... »
Accadde in un attimo. Taiga si alzò di scatto dal letto, scostando le lenzuola in un gesto fulmineo. Riuji arretrò per lo spavento e cadde a terra. Cercò di rialzarsi, ma ciò che vide lo immobilizzò al pavimento: Taiga stava in piedi sul materasso a braccia incrociate, incurante della gamba sinistra ingessata; uno sguardo terrificante era rivolto su di lui; i suoi capelli sembravano ondeggiare nell’aria, come se il tempo si fosse fermato.
Riuji conosceva bene quella reazione, e si preparò subito al peggio.
« Riuji... dove diavolo ti eri cacciato? » esclamò Taiga a voce alta. « Il mondo è impazzito, la mia casa è andata distrutta... e tu sei sparito per intere settimane! Con quale coraggio osi tornare da me dopo tutto questo tempo, inutile bastardino? »
« T-Taiga, io... mi dispiace! » si scusò lui. « Anche a me è capitato di tutto. Non hai idea di ciò che ho passato in questi ultimi... »
« Sta’ zitto! Le tue scuse non m’impressionano affatto! Ora stai fermo, e preparati a ricevere... quello che meriti...! »
Riuji vide Taiga saltar via dal letto per scagliarsi su di lui, atterrando di peso sul suo petto. Il ragazzo sentì subito una forza enorme stritolarlo lungo i fianchi, ma poi capì: Taiga lo stava abbracciando. Aveva affondato il viso sul suo petto, scoppiando nel frattempo in lacrime.
« T-Taiga? »
Nel volgere di un attimo, l’ira di quella giovane si era tramutata in un pianto di gioia.
« Oh, Riuji... lo sapevo! » singhiozzò lei. « Lo sapevo che eri ancora vivo, lo sapevo! Nonostante tutto... nonostante abbia visto il caos che c’è là fuori... io lo sapevo! Sapevo che stavi bene... e che saresti tornato da me... Riuji... Riujiiiii!! »
Ed era rimasto per tutto il tempo sulla soglia, osservando una situazione farsi dapprima drammatica e poi terribilmente commovente; l’alchimista si rilassò mentre vedeva Riuji rispondere all’abbraccio, nel tentativo di tranquillizzare la sua amata. Si sentiva soddisfatto di quel risultato, piccolo e immenso allo stesso tempo: come Sora aveva fatto riunire Wall-E ed EVE, ora lui era riuscito a riunire un’altra coppia.
« E io sapevo che ce l’avevi fatta anche tu » mormorò Riuji. « Oh, Taiga... tranquilla, adesso sono qui. Andrà tutto bene...  noi siamo la tigre e il drago, ricordi? Fin dai tempi antichi c'è un legame che ci unisce... comunque vadano le cose, siamo destinati a stare insieme. Perciò eccomi, sono tornato... e non ti lascerò mai più. »
Taiga non disse nulla. Era d’accordo, perciò continuò a versare lacrime, stretta al petto di Riuji come se non volesse più lasciarlo. Il ragazzo rivolse lo sguardo su Ed, sorridendo con gioia.
« Grazie » sussurrò, per poi tornare a guardare Taiga.
Ed ammiccò, e uscì dalla stanza.
 
Ormai si era fatto tardi. Ora che i Valorosi erano finalmente riuniti, potevano tirare un vero sospiro di sollievo; ormai potevano rimandare ogni decisione all’indomani, aspettando con pazienza la completa guarigione di Harry. Ognuno di loro convenne che fosse giunta l’ora di riposare, così si congedarono per trovare un posto adatto per dormire. L’ospedale aveva molte stanze libere, messe a disposizione da House per ospitare tutti gli eroi che sceglievano di restare: trovarono tutti una sistemazione nello stesso reparto di Harry, tranne Jake che preferì dormire all’aperto. Un Na’vi non poteva certo dormire su un comune letto d’ospedale, ma trovò un’ottima sistemazione nel giardino sul retro; i suoi compagni lo videro sistemarsi sull’albero più robusto, per poi abbandonarsi al sonno sopra un ramo.
Non tutti andarono subito a dormire. Hellboy raggiunse il tetto dell’ospedale per fumare un ultimo sigaro, e con sua grande sorpresa scoprì che l’area era già stata occupata da Po. Il panda, infatti, era intento ad allenarsi, contro qualsiasi aspettativa.
« Problemi di insonnia? » borbottò il demone, attirando la sua attenzione.
Po si voltò, fermandosi, e annuì.
« Già » disse con aria triste. « Dopo tutto quello che è successo, dubito di riuscire a dormire come se nulla fosse. »
Hellboy restò in silenzio per un po’. Faticava molto a riconoscere il suo amico Po in quel frangente: non sembrava lo stesso grosso, lardoso ma simpaticissimo panda che aveva incontrato giorni prima nel parco... intento a prepararsi una pentola di spaghetti. Qualcosa lo aveva scosso, ed Hellboy ne era già al corrente.
« Ti capisco... dopotutto hai appena perso un amico. Come si chiamava? Tai-chi? »
« T’ai Fu. Io... lo avevo appena conosciuto, ma siamo andati subito d’accordo. Si è sacrificato per me, per farmi tornare a casa... e io gli ho promesso che sarei diventato più forte. Mi ha lasciato questa » e mostrò la pergamena che si era portato dietro tutto il giorno. « Contiene i segreti delle sue tecniche... e ho intenzione di impararle tutte. »
Il panda tornò ad allenarsi, sferrando colpi all’aria. Hellboy rimase ad osservarlo, poi sorrise e si avvicinò non appena terminò il sigaro.
« Anch’io ho un po’ d’insonnia » dichiarò, mettendosi in guardia di fronte a Po. « E considerando ciò che ancora ci aspetta là fuori, penso che un po’ di allenamento farà bene anche a me. Vediamo cosa sai fare, panda! »
Po lo osservò stupito, ma poi sorrise a sua volta. Un degno avversario era l’ideale per padroneggiare correttamente una nuova tecnica.
 
Nel frattempo, Lara aveva raggiunto la sua stanza. Era sola davanti alla vetrata e osservava la città immersa nelle tenebre. Nessun palazzo era illuminato, come se i Senzavolto che li abitavano non avessero problemi a restare al buio. Non si fece domande a riguardo: il mondo di Oblivion sfuggiva ad ogni comprensione.
Lo sentì fermarsi sulla soglia prima ancora che aprisse bocca.
« Sei preoccupata per qualcosa? » chiese una voce profonda alle sue spalle.
Lara si voltò appena. « È così evidente? »
« Sì » disse piano Luke. « Le tue emozioni brillano forti in questo angolo di oscurità... per me è impossibile non notarle. »
L’archeologa ridacchiò, guardando il compagno negli occhi.
« Dimentico sempre questa tua capacità. Dovrei preoccuparmi anche di questo, in tal caso... stare sempre attenta a ciò che penso vicino a te. »
Luke replicò la sua espressione, divertito, ed entrò nella stanza.
« Perché? Temi forse che possa vedere in te qualcosa di spiacevole? »
« No. Temo che potresti vedere qualcosa di piacevole, invece. »
Lara sembrava imbarazzata... un’espressione che non le si addiceva per niente. Mentre guardava il Jedi, provò un’ondata di emozioni a cui non era abituata.
« Ormai non possiamo negarlo, Luke » disse lei. « Tu mi piaci, io ti piaccio... ma lo sappiamo entrambi, questa cosa non può avere un futuro. Se vinceremo... se riusciremo a tornare a casa, ai nostri mondi... noi non potremo stare insieme. Lo capisci, vero? »
Luke annuì, senza smettere di guardarla. Ormai erano l’uno di fronte all’altra, come quel giorno sulla prua del Titanic; un altro momento perfetto, al riparo da imprevisti ed estranei inopportuni. Il Jedi sorrise, e istintivamente posò la sua mano sulla guancia di Lara, accarezzandogliela. Lei, d’impulso, si sporse in avanti e gli diede un lungo bacio sulle labbra; quando si tirò indietro era molto rossa in viso, ma mantenne il suo solito sguardo fiero.
Luke le sorrise con affetto e l’attirò a sé.
« Io preferisco averti conosciuto ora » dichiarò, « e amato solo per un giorno, in questo mondo spezzato... piuttosto che mai in tutta la mia vita. »
Lara inspirò a fondo, poi sorrise.
« Anche io. »
La guardò negli occhi per un attimo ancora, ammirato, per poi chiuderli e chinarsi in avanti; la baciò, lentamente, dandole il tempo di abituarsi e di coordinare i respiri, assaporando quel momento. Rimasero stretti in un lungo abbraccio da cui sembrava non volessero più sciogliersi. Ma la notte era ancora lunga, ed era tutta per loro.
   
 
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