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Autore: cartacciabianca    15/03/2009    3 recensioni
[…] I due assassini si issarono sui bastioni della fortezza e furono a portata degli arcieri. -Via, via, via!- Altair l’afferrò per il cappuccio e la trascinò di corsa verso l’angolo della fortezza, che culminava con una torre, la quale facciata dava sull’immenso piazzale del distretto nobiliare. -Salta!- Altair la spinse giù e i due assassini, accompagnati dal ruggito di un’aquila, si gettarono nel vuoto. Nel bel mezzo del volo Altair la strinse a sé, ed Elena si avvinghiò a lui che, capovolgendosi in aria, atterrò di schiena nel cesto. Poi fu il silenzio, scortato dal canto delle campane d’allarme, ma almeno le voci dei soldati e le grida degli arcieri erano cessate. […]
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dea tra gli Angeli' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Paura del sangue





Elena si aggiustò i lembi della veste stropicciati, spazzando via alcuni residui di polvere. Nella mano destra teneva sguainata la spada, e con quella sinistra si issò il cappuccio grigio a celarle il volto. Con un rapido movimento, si sgranchì i muscoli delle spalle e quelli del collo, tornando dritta su due piedi. –Allora- cominciò lei piegando le ginocchia e saltellando ben riscaldata. –Da quanto ho saputo, ti sei annoiato parecchio ad Alhepo- disse alzando gli occhi azzurri maliziosi e incontrando quelli color nocciola di Marhim.
L’assassino esitò sull’impugnatura della sua arma, ancora nel fodero. –Come… come lo sai?- fece confuso.
Elena fece una smorfia voltandosi alla sua destra, ove Halef era poggiato alla staccionata che cingeva l’arena degli allenamenti.
Il ragazzo fuori dal recinto alzò una mano. –Eccomi- rise.
-Razza di…- brontolò Marhim lanciandogli un’occhiataccia, ed Halef trovò in quelle parole maggior divertimento.
-Che c’è? Le ho solo detto che sei rimasto nella Dimora durante tutto il tempo, poltrendo e annoiandoti accumulando sconfitte imbarazzanti a scacchi col Rafik e che non vedevi l’ora di tornare! Sei pigro, fratello, solo pigro!- ridacchiò Halef.
-Parla lui- sbottò Marhim estraendo la spada.
Elena curvò la testa da un lato, ridendo. –Come mai non ti andava di uscire?- chiese.
Il suo amico si schiarì la voce. –Avevo paura di combinare qualche casino a causa del mio… impacciato muoversi!- si beffò.
-Confermo- annuì Halef, e la sua finta espressione seria la fece scoppiare dalle risate.
-Piantala!- lo riprese Marhim.
-Avresti dovuto vederlo, Elena! Tutto il giorno seduto come un Re di Francia a leggere e a scrivere! Scrivere Dio solo sa cosa, poi! Quando tornavamo dalle indagini lo trovavamo esattamente come l’avevamo lasciato! Il Rafik ha anche provato a dargli un po’ di roba, ma peggio! Il giorno dopo ha ronfato come un ghiro in letargo! Insomma, la droga funge da calmante, su di te, fratello!- disse Halef sgranando gli occhi.
-Lo scherzo è bello quando dura poco, ragazzino- Marhim gli puntò la spada contro a distanza.
Elena si riprese dal rossore lentamente, cercando di trattenersi, ma non sapeva dire di no all’immensa gioia che veniva fuori nel riaverli accanto tutti e due. I suoi Angeli Custodi, pensò. Loro che l’avevano salvata dal braccio della morte ed erano entrambi così simpatici. Li avrebbe abbracciati se quell’azione non avesse suscitato troppo clamore, ma poteva nascere qualcosa di considerevole da un’amicizia, si chiese? Perché erano così adorabili! Si disse.
-Halef- lo chiamò lei, e l’assassino si voltò a guardarla.
-Sì?-.
-Domani sali di rango anche tu?- domandò riscaldando il polso destro con fluidi e aggraziati movimenti della lama.
Lui alzò le spalle. –Probabile, ma solitamente questo genere di cose non si svolgono così in pubblico. Fino ad oggi il Gran Maestro si occupava in privato di ciascun membro- aggrottò la fronte. –mi stupisce che questa volta abbia organizzato un festone- proferì.
-Ovviamente- sorrise Marhim, ed Elena si girò verso di lui. –tutto in onore della Dea Elena!- accennò un inchino.
La ragazza arrossì. –Smettila!- lo canzonò ridendo.
Marhim levò il capo gioioso in viso.
-Può darsi- assentì Halef. –Chi lo sa cos’ha in mente quel vecchio…- borbottò abbassando lo sguardo.
Tutt’attorno c’era la calma confusione di una folla ridotta di assassini, passanti e saggi; la maggior parte dei quali doveva essere impiegata nei preparativi alla cerimonia della mattina successiva.
-Hai finito?- sbottò Marhim.
Halef annuì, si sollevò dalla staccionata e si allontanò dal campo.
Elena assunse un’espressione interrogativa.
Marhim sospirò affranto, massaggiandosi il collo. –Lo ammetto, ho preferito starmene da parte alle indagini e anche all’esecuzioni, ma… nonostante ciò, quello lì è riuscito a farmi impazzire lo stesso!- rise indicando il fratello minore che andava verso l’ingresso della sala.
-Certo, certo!- dissentì  Halef, e si avviò all’interno della fortezza.
Elena trattene a mala pena una nuova risata e, alzando gli occhi, trovò ad accogliere la sua gioia un immenso sorriso luminoso sulle labbra del suo amico.
-Che c’è?- domandò lei arrossendo.
-E non me ne pento di essere tornato così in anticipo- disse solo, facendola arrossire oltremodo.
-Davvero?- mormorò Elena mordendosi un labbro.
Il ragazzo annuì beato.
-Volete darvi una mossa, voi due, o dobbiamo restare qui a guardare come vi guardate fino a notte?- eruppe un uomo dalla folla, ed Elena si voltò, riconoscendo quella voce.
-Avanti, che state aspettando?- Altair si appoggiò coi gomiti alla staccionata sporgendosi verso di lei. –Tieni bene quella spada…- le bisbigliò chiudendo un occhio.
Elena fece un passo avanti verso il suo avversario e sistemò al meglio la presa sull’impugnatura della lama.
-Sono un po’ arrugginito, lo ammetto, quindi abbi pietà- piagnucolò Marhim.
-Ti sembro tanto perbene?- sogghignò la ragazza maliziosa.
Il suo maestra d’armi rimase a guardarli fino alla fine, assottigliando delle dritte ad entrambi i contendenti.
Elena lo osservava spostarsi attorno all’arena con le mani giunte dietro la schiena, e Altair, controllandoli, sorrideva contenuto. Il gran assassino che assisteva ad un allenamento: Elena non poté biasimare il fatto che minimo metà dei presenti nel cortile si fosse girato ad adocchiare.
Marhim era davvero arrugginito: aveva perso compostezza in tutti i movimenti, agilità che, dopotutto, non aveva mai avuto. Il giovane assassino parava con difficoltà i suoi fendenti ben piazzati, e ben presto Marhim si trovò alle strette.
Elena fu clemente e fece finta d’inciampare mentre schivava un affondo rivale.
Altair rimase sorpreso di quell’improvvisa perdita d’equilibrio della sua allieva e, sollevando un sopracciglio, strinse il legno della staccionata con entrambe le mani. –Che ti prende, ragazza?- domandò stupito.
Marhim indietreggiò. –Io non ho fatto nulla!- dichiarò.
-Hai la coda di paglia?- gli pose un quesito Altair ridendo.
Elena si sollevò appoggiandosi alla spada e, tornando dritta, lanciò al suo avversario un’occhiataccia. –Già- sbottò lei.
Marhim si strinse nelle spalle. –Non l’ho toccata, è… inciampata- disse voltandosi verso di lei, e sul suo volto comparve un sorriso commosso.
-Ah, ora hai capito!- Elena alzò gli occhi al cielo.
Quando ripresero il combattimento, non fu cosa rara che Altair interrompeva stupefacendosi delle capacità di Marhim che, con l’aiuto delle finte della ragazza, stava apparendo al meglio sentendosi al peggio.
Da una parte Elena lo fece per sé, poiché residui di stanchezza le erano rimaste in corpo fin dal viaggio di ritorno da Acri. Così quell’allenamento leggero le permise, poiché il fronteggio con Marhim non richiedesse tanto sforzo, di riprendere fiato dopo le estenuanti ultime 48 ore.
Dall’altra, Elena sapeva di farlo per Marhim. Vederlo così poco sicuro di sé e delle sue capacità, tacere mentre il suo fratello minore lo canzonava e sapere che Marhim non si sarebbe mai sollevato da solo, ad Elena intristiva molto.
Era stata una sua scelta non crescere di rango, ed Elena rispettava a pieno ciò che Marhim aveva di ideale di assassino, ovvero il vuoto nel quale ci si perde dopo la fama del primo omicidio. Aveva rinunciato lui stesso a prendere parte alle indagini ad Alhepo, e sempre lui si era allontanato dagli itinerari rinchiudendosi nella contemplazione spirituale. Si vedeva chiaramente che Marhim non fosse un tipo fisico, ma bensì logico e dalla grande qualità intellettiva, ma Elena non riusciva a cogliere il lato positivo di tale scelta di vita.
Fin dal loro primo incontro carnale, ossia al suo risveglio dalla convalescenza dopo la fuga da Acri, Marhim le era parso alquanto simpatico, un tipetto a cui dare una possibilità, una persona con cui parlare veramente e con cui stringere una vera amicizia. Ora che ci pensava, nella sua vita sprecata assieme a suo padre in duri allenamenti con la spada, non aveva mai avuto… amici veri e propri. Nessun parente, nessuna conoscenza abbastanza stretta con cui fare due chiacchiere che non fosse la donna della bancarella di frutta al mercato e il pescatore al porto.
La sua esistenza ad Acri era stata vuota, e lei privata di un’anima. E per cosa? Affinché qualcuno notasse che era capace a combattere ed entrasse a far parte di una setta di assassini? Ebbene, era quello a cui era sempre stata destinata, ma non le piaceva pensarci.
Era distratta, e senza accorgersene, perse il controllo della spada che andò ad aprire uno squarto superficiale sulla divisa del ragazzo, all’altezza del petto.
Elena saltò indietro. –Diamine…- mormorò spalancando gli occhi.
Marhim lasciò cadere l’arma che si sbatté rumorosamente sul pavimento dell’arena. L’assassino si tastò il taglio sulla divisa e, con un’espressione contorta da terrore in volto, vide che due dita della mano erano macchiate di sangue.
Sul suo petto andava delinearsi una ferita dalla quale colò giù un fiotto di sangue.
Altair entrò in campo scavalcando la staccionata e gli si avvicinò.
Elena mosse un passo avanti verso il suo amico, ma i loro occhi s’incontrarono giusto un istante.
Marhim si accasciò a terra privo di sensi.

Halef chiuse la porta lentamente e lo scatto della serratura fu inudibile.
Elena gli andò incontro, fermandosi appena al suo fianco. –Come sta?- chiese.
Il corridoio sul quale affacciavano le camere degli assassini era buio. Dalle finestre aperte lungo la parete entrava il canto delle cicale accompagnato da una brezza gelida. Il cielo stellato si stagliava per leghe e leghe all’orizzonte, mentre la valle di Masyaf era preda delle ombre della notte.
Il ragazzo si voltò, sorprendendosi di trovarla lì. Fece un gran sospiro e la guardò negli occhi. –Potevi startene un po’ più attenta, è un ragazzo fragile…- rise mesto.
-L’ho notato, e mi dispiace tanto, davvero. È stata una mia svista, la spada andava per i fatti suoi ed io pensavo ad altro! Perdonami- mormorò lei implorandolo.
Halef sorrise. –Calma, non è nulla di grave, si riprenderà. Piuttosto, quando si sveglia, è a lui che devi dare le tue scuse. Non te l’ha detto?- domandò ad un tratto.
Elena assunse un’espressione confusa. –Dirmi cosa?- chiese.
-No, a quanto pare non te l’ha detto, e onestamente, pensavo che gli fosse passata- disse.
-Non so di cosa parli- ammise lei.
Erano soli in quell’ala della fortezza. Gran parte degli assassini si erano già ritirati nelle loro stanze, e per le sale della roccaforte dimorava il silenzio della sera tarda.
Marhim era stato fatto portare nella stanza che condivideva con Halef per il semplice motivo che le sue erano condizioni psicologiche, come le aveva detto Adha fasciandogli la ferita.
Durante la permanenza di Marhim nell’infermeria, Elena era rimasta lì a guardare come Adha gli medicava il taglio che la ragazza gli aveva dannatamente aperto sul petto magro.
Era stata una sciocca, si disse, e si sentiva ancora più stupida ripensando a ciò che aveva fatto mentre Marhim veniva spostato in altro luogo invece di restargli accanto. La ragazza se n’era andata in giro per la fortezza, quando sarebbe dovuta stare ad aspettare che Marhim riaprisse gli occhi, così da tempestarlo delle sue maledette scuse da vera demente qual’era stata.
-Fin da piccolo Marhim ha sempre provato un gran ripugno per il sangue- confessò Halef come se si fosse trattata di una sua paura, che però apparteneva al fratello maggiore.
-Questo spiega tutto- proferì lei.
-Lasciami finire!- sibilò il ragazzo.
-Scusa…- si strinse nelle spalle, sprofondando nel cappuccio.
Halef si guardò attorno. –Nessuno lo venne a sapere, e Marhim poté continuare i suoi insegnamenti restando distaccato da qualsivoglia itinerario che richiedesse l’apprendimento dell’omicidio vero e proprio. Mio fratello si limitava a prendere lezioni teoriche, ecco perché è rimasto così in basso; ma era l’unico modo per assicurargli un posto qui. Un letto in cui dormire e un pasto sempre caldo, capisci? I nostri genitori morirono quando Al Mualim ci accolse che eravamo bambini, e questa divenne la nostra casa. A quei tempi la setta non tollerava gli scansa fatiche. Ma tornando a noi…- spostò i suoi occhi scuri incredibilmente simili a quelli del fratello su di lei. –è a causa della sua strizza alla vista del sangue che è crollato come un sacco di patate- disse con un accento ironico.
Elena allungò le labbra in un sorriso. –Se sai che è per i suoi timori che non vuole diventare un assassino, perché continui ad insultarlo? Potrebbe renderlo più vulnerabile di com’è- sussurrò lei.
Halef soffocò una risata. –Senti, io sono il perfido fratellino che tanto gli sta sulle scatole. Tu sei l’amichetta che lo consola, quindi facciamoci un favore i rispettiamo i nostri ruoli- sbottò serio.
Dopo qualche istante di silenzio, entrambi scoppiarono a ridere in maniera contenuta, in modo da non svegliare gli altri fratelli della setta.
-Ora è meglio che vada- disse lui guardando in fondo al corridoio.
-Come mai? È mezza notte passata, e questa- Elena indicò la porta chiusa lì accanto –è la tua stanza- rise.
-Lo so- rispose lui. –Ma quella- indicò il corridoio buio –è la strada per la mensa. Ho fame- disse allontanandosi.
-Puoi fargli compagnia!- aggiunse voltandosi. –Ma devi sloggiare prima che ritorno, sennò facciamo una cosa a tre, chiaro?!- scherzava, ovviamente.
Elena trattene la risata, e lo osservò sparire dietro l’angolo.
Quando il suono dei passi di Halef si perse sulle scale, la ragazza si voltò a aprì lentamente la porta che non emise alcun suono.
Lanciò un’occhiata all’interno e fu contenta di trovare Marhim sveglio e seduto sul bordo del letto esaminando la fasciatura fatta da Adha. La benda bianca andava dalla spalla e passava sotto l’ascella per poi tornare a stringere sul pettorale destro.
Elena bussò dopo essersi affacciata appena, e Marhim alzò gli occhi colto di sorpresa.
-Che ci fai qui?- domandò agitato.
Elena sorrise e fece un passo nella stanza, chiudendosi la porta alle spalle. –Mi dispiace, non so come farmi perdonare- si avvicinò a lui e gli rimase in piedi di fronte.
C’era una candela accesa sul comodino e alcuni tappeti sul pavimento. Gli alloggi di un assassino erano alquanto sobri e semplici. Un armadio, un piccolo scrittoio e una cassapanca aperta che mostrava tutta l’attrezzatura di Halef che aveva lasciato nella stanza il suo equipaggiamento, avventurandosi alla ricerca di cibo verso la mensa.
Dalla finestra aperta entrava un tenue venticello fresco che smuoveva le tende lasciate sciolte, mentre la luce delle stelle si fletteva nella stanza passando attraverso gli spessi tessuti.
Marhim abbassò il capo, sistemandosi meglio. –Fa’ niente, capita…- borbottò.
Elena gli si sedette accanto, e il letto neppure si mosse sotto il suo peso leggero. –Hai davvero paura… del sangue?- domandò stupita.
-Non è una bella cosa, puoi starne certa, e non ne vado certo fiero. Te l’ha detto Halef?- sbottò nevoso, ed Elena colse la rigidità di Marhim rivolta alla sua presenza. Forse lo metteva in imbarazzo, dopotutto era a torso nudo, ma la ragazza si disse che non poteva essere per quello che Marhim sembrava tanto striminzito.
-Non lo nego- commentò lei. –Credimi, se ci fosse un modo per dirti quanto mi dispiace non esiterei- sussurrò abbassandosi il cappuccio, e i capelli corti le caddero sulle spalle e davanti al viso.
Marhim si scostò verso la parete. –Un modo, eh?- sorrise beffardo.
Elena abbassò lo sguardo. –Non sto dicendo che sarei riuscita ad evitare che sarebbe successo, ma perché non me l’hai detto? Del sangue, intendo…-.
Marhim si tastò distrattamente il bendaggio e un brivido gli percorse la schiena. –Sai, certe fobie non sono l’argomento di chiacchiere tra amici- proferì assorto.
-Hai ragione- rise lei. –Forse avrei dovuto porti io la domanda-.
Marhim curvò la testa da un lato. –Quale domanda?-.
-Oltre a questa, hai altre fobie?- fece la vaga.
-No- rispose sereno.
Il silenzio calò nella stanza e vi rimase per qualche istante, fin quando Marhim non si voltò e afferrò il cuscino.
Elena lo guardò interrogativa, ma il ragazzo diede pane ai suoi dubbi quando le sbatté il cuscino in faccia.
-Ehi!- strillò lei acuta.
Marhim rimise il piumino al suo posto ridendo. –Te la sei cercata, e nei prossimo giorni troverò un modo migliore per fartela pagare!- ridacchiò maligno.
Elena si alzò e si protese sul letto dal lato opposto della camera, strinse tra le dita il cuscino bianco e lo scagliò con forza addosso al ragazzo.
Marhim si parò il volto con le braccia, ma gli scappò un gemito per la ferita ancora aperta. Nonostante il dolore, scattò in piedi e scagliò il dardo addosso alla sua avversaria.
Elena afferrò al volo il cuscino e lo direzionò di nuovo verso di lui, ridendo.
-Com’è che con la lotta dei cuscini te la cavi bene?- sogghignò lei chinandosi a raccogliere un cuscino da terra.
-Mio fratello è piuttosto bravo a questo gioco, si chiama sopravvivenza e lotta alla difesa del terriorio!-.
Marhim le scagliò un nuovo attacco, ma Elena schivò con facilità con un saltello laterale.
–Arrenditi!- gioì la ragazza, trovandosi armata di entrambi i cuscini disponibili.
L’assassino alzò le mani in segno di resa. –Va bene, mi arrendo- riprese fiato lasciandosi cadere sul letto.
Elena rise malvagia. –Nessuna pietà, muhahaha!- e lanciò uno alla volta i piumini addosso al ragazzo.
Marhim si raggomitolò alla parete, sopraffatto. –Mi arrendo! Piantala!- omise.
Elena aveva le guance rosee dalle risate quando si sedette al suo fianco, e Marhim si scoprì dai cuscini che l’avevano per intero nascosto nell’angolo della stanza.
-E tu? Te la cavi bene- commentò sbattendo tra di loro i due cuscini, ed in fine ne scagliò uno al suo posto nel letto accanto.
Elena poggiò il mento sulla sua spalla. –Mi adatto a qualsiasi tipo di arma…- gli mormorò sul collo, e Marhim parve irrigidirsi ancora.
-Guarda che hai fatto- bisbigliò il ragazzo, ed Elena sollevò il viso.
La fasciatura sul suo petto stava cedendo, il nodo si era sciolto, e l’assassina lanciò un’imprecazione. Marhim nel frattempo respirava con affanno per via del sangue che stava arrossando la garza.
-Lascia, faccio io- gli disse poggiando una mano sul suo petto. –Rilassati, e non mi svenire di nuovo- si beffò, e Marhim si voltò dandole le spalle.
Elena prese a stringere la fasciatura attenta a non far crollare il bendaggio per intero a causa della sua sbadataggine in medicina. Per poco non lasciava morire di emorragia Hani ad Acri, quella famosa volta che le era toccato “cucire” pelle umana. Solo pensarci le annebbiò la mente, e si rese conto di aver stretto troppo il nodo.
-Elena!- sibilò lui, mentre un’espressione contorta dal dolore faceva capolino sul suo volto.
-Scusa!- si sveltì coi gesti nel tentativo di allentare la benda. –Va’ meglio?- domandò.
-Certo che no- eruppe l’assassino guardandola. –Mi fa male, e non sopporto neppure l’odore di una goccia di sangue! Certo che non sto alla grande, ma se cominciassi a lamentarmi non saresti capace di fermarmi!- si lamentò serio.
-Ora non esagerare- lo rimproverò, ma Marhim non l’ascoltava.
-Perché deve capitare sempre tutto a me?- si girò verso di lei, rincuorandola con i suoi occhioni di nocciola che sembravano quelli di uno scoiattolo che chiede la sua ghianda.
Elena chinò la testa. -Lo ammetto, è stata tutta colpa mia e me ne assumo le responsabilità: ero con la mente tutt’altra parte, durante il nostro addestramento, ma la verità è che era così facile combattere con te! Per di più ho tentato di farti fare bella figura, ma è come dici tu: o qui c’è una forza Celeste che ti manda addosso tutte le sfighe di questo mondo, oppure fai proprio schifo in duello! È vero, ti ho colpito, ma ti ripeto: ero distratta. Ovviamente se tu ne avessi avute la capacità, avresti potuto fare la tua parte, parando quel colpo! Sei un perdente!- gli rinfacciò.
Marhim distolse lo sguardo, puntandolo fuori dalla finestra. Il viso sereno improvvisamente composto. –Già, un perdente- digrignò.
-Ti prego, non fraintendere, io…-.
Marhim le lanciò solo un’occhiataccia severa interrompendola.
-Non volevo dire questo. Intendo che potresti migliorare! Se è nel tuo interesse…- sussurrò lei stringendosi nelle spalle.
-No, non è nel mio interesse- dichiarò scontroso. –e non lo sarà mai. Halef vede il lato positivo della setta, io no. È inutile che tentate di convincermi. Fin quando nessuno ne avrà voglia, ci penserò io a fare il turno di pattuglia di notte. Solo perché so impugnare una spada, non vuol dire che debba ucciderci sotto richiesta!- aggiunse.
-Hai ragione- Elena rimase in silenzio, e nessuno dei due aggiunse altro.
-Domani alla cerimonia ci sarai?- gli chiese, e Marhim ci pensò un istante.
-Ovvio, perché no?-.
-Chiedevo solo… secondo te perché tutta questa pompa magna?- domandò ancora la ragazza.
Il ragazzo si passò una mano sul viso. –Da quanto ho saputo, il tutto sarà reso ufficiale dal ritorno delle Dee… a proposito- sorrise malizioso.
-Che succede?- fece lei confusa.
-Sei felice?-.
-Che tornano le Dee?-.
Lui annuì.
-Ovvio, perché no?- ribadì sorridente.
-Mi stavo domandando perché farle tornare se Tharidl non ha comunque intenzione di impiegarle negli stessi servigi quali erano dovute anni fa- sussurrò.
-E lo chiedi a me?- Elena si strinse nelle spalle, avvicinandosi a lui. –Dovrei essere quella più informata, ma mi sembra di capirci meno di tutti- chiuse gli occhi poggiando una guancia sulla spalla del giovane al suo fianco.
-Forse dovresti andare- le disse Marhim ad un tratto, voltandosi a guardarla.
I loro volti erano poco distanti l’uno dall’altro, ed Elena percepì nel dormiveglia il respiro dell’assassino infrangersi sulla sua fronte. –No…- sussurrò quasi dormiente.
Quella corrente rinfrescante che passava dalla finestra, il silenzio del buio e il tepore del corpo di Marhim affianco al suo. Non riuscì a resistere alla forza di Morfeo, che la tirava a sé senza alcuna pietà, attirandola al sonno più dolce e profondo.
-Elena, domani ti tagliano un…- s’interruppe, ma lei ormai dormiva.
Marhim sospirò. -Avanti, stai crollando dal sonno e non puoi restare qui- proferì allungando una mano verso di lei, e le carezzò una guancia.
A quel contatto Elena si riebbe all’istante, sbattendo più volte le palpebre e accorgendosi di avere la vista alquanto appannata.
La ragazza si stropicciò gli occhi, sbadigliò e gli sorrise. –Sì, hai… ragione-.
Marhim assunse un’espressione interrogativa. –Prima che tu vada…-.
Elena si alzò in piedi –Che c’è?- domandò stiracchiandosi.
L’assassino parve esitare e con un gesto di stizza, sembrò cambiare pensiero. –Sai dov’è andato Halef?- chiese.
La Dea si passò una mano tra i capelli, andando verso l’ingresso. –Aveva fame ed ha deciso di fare un giretto alla mensa- rise.
-Tanto per cambiare- borbottò lui.
-Spero che il bendaggio regga - disse aprendo la porta.
-Nessun problema, anche se all’idea di svegliarmi… sangue… brrr…- il ragazzo fu percosso da un brivido. –Lascia stare-.
Elena alzò gli occhi al cielo. –Insomma, buona notte!- sbuffò uscendo.
S’incamminò nel corridoio e fu per salire le scale quando, lanciando un’occhiata fuori dalle finestre, scorse tre figure buie nel cortile interno.
Elena si sporse curiosa e, dall’alto, riuscì a cogliere qualche parola.
-Stupida capra, avresti potuto dirglielo!- disse Leila.
-Non me la sentivo, è passato tanto tempo…- mormorò una delle tre donne che, dalla voce, la giovane Dea riconobbe come Kamila.
Elika ridacchio, e le sue risate risuonarono nella fortezza. –Sì, di tempo ne è passato, e siete invecchiati tutti e due!- canzonò.
-Non è una cosa semplice!- ribatté Kamila, portandosi i capelli su una spalla.
-Vuoi vedere come si fa?- sogghignò Leila battendo un pugno nell’altra mano.
Elika soffocò una nuova risata. –Forse ha ragione, vi serve solo altro tempo, e magari le cose si aggiusteranno. Sempre se prima non morirete di vecchiaia!-.
Kamila la fulminò con un’occhiataccia, ed Elika rise di nuovo.
Le tre Dee sedettero sulla staccionata dell’arena per gli allenamenti.
-Dopo tutto…- mormorò Leila. –è stato divertente!- scoppiò a ridere.
-Ora basta. Kamila, non devi farti sottomettere così! O a quel tipetto presuntuoso gliela facciamo vedere io e Leila, non se capisci…- fece maliziosa Elika.
Leila gli diede una gomitata. –Dai, ma piantala- sorrise.
-Fate pure, con lui ho chiuso!- Kamila alzò le braccia al cielo.
I capelli biondi di Kamila flettevano i raggi del sole attribuendoli un colorito dorato incantevole, e la Dea prese a tirarseli su in una coda alta ordinata, con qualche ciuffo a caderle sul viso.
-Che cos’hai, ancora? Non ti starai pentendo di come ti sei comportata!- sibilò Leila.
-No, ma di come vi siete comportate voi!- rispose Kamila seria.
-Che abbiamo fatto?!- domandò Elika stupita.
Kamila si alzò. –Siete insopportabili! Ma davvero, adesso basta, non voglio pensarci!-.
Elika e Leila si scambiarono uno sguardo complice.
-Va bene- fece quella coi pantaloni. –Sto crollando dal sonno- si sollevò in piedi stiracchiandosi.
-Credete che Elena si spaventerà vedendoci comparire dal nulla nelle stanze?- assentì Elika.
-Secondo me Tharidl gliel’ha già detto- pronunciò Kamila.
-Poverina, domani l’attendono delle belle sorprese…- mormorò la riccia castana.
-Saprà cavarsela- commentò Leila. –Fin ora ha resistito, chi ti dice che potrebbe non accettare le cose?-.
-Noi non abbiamo passato questo fardello, ricordate?- ribadì Kamila. –Non potremo aiutarla-.
Elena si appoggiò alla parete. Di cosa stavano parlando?
-Ed è questo che non capisco!- sbottò Elika alzandosi. –Secondo voi Tharidl lo farà anche a noi?-.
Leila scosse la testa. –Spero di no- ridacchiò. –Per il suo bene- aggiunse divertita.
-Sempre la solita!- gioì Elika abbracciandola.
-Per ora, sorelle, atteniamoci agli incarichi che ci ha affidato- pronunciò Kamila severa. –Ha chiesto questo per Elena, e noi lo dobbiamo ad Alice e alle nostri madri che ci hanno tramandato il suo nome-.
Le altre due annuirono serie, ma Elika scoppiò a ridere dopo poco.
-Come mai tanta sofferenza? Ehi! Ragazze! Potrebbe essere divertente!- ridacchiò.
Leila la prese sotto braccio. –Elika, trattieniti! Tharidl sta dormendo!-.
-E sai che novità!-.
Kamila sbuffò. –Qualcuno di voi ha… capito “cosa” dobbiamo insegnarle?- domandò mesta.
Le due alzarono le spalle. –Dipende, dato che non svolgeremo più quelli incarichi- fece Elika.
-Mi sono offerta al vecchio per insegnarle a combattere come si deve, giusto questa mattina. Non ho idea di cosa gli sia passato per la mente, ma ha detto che se volevo potevo occuparmene io!- sulle labbra affiorò un sorisetto divertito.
-E noi?- domandarono assieme.
-Potete fare quello che vi riesce meglio- proferì Leila.
-Cioè?- Kamila strinse un pugno, ed Elika rise ancoro.
Leila si passò una mano tra i capelli -Niente, niente! Come non detto!-.
-Ah, ecco- borbottò Kamila.
-Dovremo andare- annunciò Elika guardando in alto, verso una delle finestre degli appartamenti delle Dee.
Le tre si avviarono e sparirono all’interno della fortezza.
Elena corse al piano di sopra, si spogliò in fretta e, quando ascoltò i passi leggeri di Elika, Leila e Kamila fuori dalla porta della sua stanza, crollò in sonno.

Sulla fortezza si stagliava un cielo azzurro a chiazze bianche. Nuvole grosse e color panna solcavano il firmamento limpido e magnifico. Seppur il vento d’inverno scuotesse gli ulivi e trasportasse le foglioline secche da parte a parte delle strade, c’era sempre un gran caldo, poiché celato appena dietro una gonfia nube vi era il gran sole luminoso che irradiava la valle.
-Elena…- si sentì chiamare, ma la ragazza si girò dalla parte opposta del letto.
-Hmm…- lagnò.
-Elena, svegliati!- qualcuno la scosse toccandole una spalla.
L’assassina aprì gli occhi lentamente, trovandosi faccia a faccia col muro. Si voltò sollevandosi su un braccio, e Marhim indietreggiò colto di sorpresa.
-Finalmente!- ruggì il ragazzo.
Elena adocchiò fuori dalla finestra, accorgendosi che dovevano essere più o meno le undici passate, dato il sole già alto in cielo. –Che ci fai qui?- domandò assonnata.
-Devi muoverti, stanno aspettando te! La cerimonia è cominciata!- Marhim la tirò per un braccio fuori dal letto. –Forza!-.
-E come mai nessuno mi ha svegliata?!- sbottò Elena andando verso l’armadio, ma si accorse di avere già i vestiti e le armi pronti sulla scrivania.
-Tu pensa a prepararti!- Marhim uscì dalla stanza. –Muoviti!- ripeté chiudendo la porta.
Elena rimase immobile con i piedi scalzi a terra per parecchio tempo. Forse Adha era stata trattenuta da altro, e forse nessuno si era ricordato di lei, ma vestendosi ascoltò il vociare confuso levarsi dalla sala delle celebrazioni giungere fin lì, mentre colombi bianchi si spostavano da tetto a tetto della fortezza.
Allacciò al loro posto tutte le armi e si osservò allo specchio commossa.
La veste corta le arrivava poco sopra le ginocchia, e i diversi strappi lasciavano travedere lembi di pelle chiara delle cosce. Sotto la gonna portava un pantaloncino attillato e delle calze che arrivavano a più della metà della gamba. Si rese conto che qualcuno le aveva cambiato ancora una volta la veste, che si presentava con questi e molti altri particolari differenti da quella originale.
Le maniche erano corte, il cappuccio non più grigio, ma bianco e curato di dettagli, e la cintura di cuoio cui pendeva il fodero della spada (anch’essa diversa e più sottile) era diversa, più fine e stringeva oltremodo sui fianchi. Diversi erano anche gli stivali e i guanti, che si adattavano al meglio alle sue ossa sottili e le lasciavano maggior scioltezza dei legamenti.
L’unica pecca era la completa assenza del triangolo di metallo sul petto. Le cinghie erano attaccate le une alle altre attraverso una fine catenella d’argento, al posto della quale sarebbe dovuto esserci la spilla triangolare.
Come risultato, nonostante ciò, era una divisa che lasciava traspirare il corpo, conferendo libertà di movimento. Le sarte della confraternita avevano fatto un buon lavoro, e ad Elena piaceva.
Marhim bussò alla porta, e la ragazza si riscosse.
-Hai fatto? Non hai tutto il giorno! Hai capito o no che ti stanno aspettando?!- sbottò il giovane da fuori.
Elena apportò gli ultimi controlli alle cinghie dei guanti e degli stivali, poi uscì.
-Era ora!- le disse Marhim stringendole il polso e tirandola verso le scale.
-Sembri mio padre- ridacchiò Elena.
-Non fare la spiritosa, Adha confidava nel fatto che ti saresti svegliata da sola! Da non credere!- la rimproverò mentre scendevano quasi di corsa. –Sei una sciocca, possibile che nel mondo dei sogni non ti fosse apparsa l’ipotesi che questa mattina dovessi prendere parte ad una cerimonia?! Ovvio che no! Perché la tua mente era “altrove”!-.
-Elika! Perché lei non mi ha svegliata?-.
-Perché avrebbe dovuto? Lei non ha dormito alla fortezza!- le rispose.
Buffo, pensò accelerando il passo.
Raggiunsero le gradinate della torre, e la Dea si stupì dei corridoi vuoti e silenziosi della fortezza, allo stesso modo della confusione che si faceva più forte man a mano che si avvicinavano alla sala.
Una volta nel vasto androne sul quale affacciavano i battenti chiusi della sala delle cerimonie, Marhim proseguì oltre.
-Dove stiamo andando? La sala è di lì…- mormorò lei.
Il ragazzo la condusse in uno stretto corridoio che s’intricava in diversi gradini. Giunsero più in basso, dove il buio diventava fitto e la pietra delle pareti era illuminata solo da qualche braciere sospeso dal soffitto.
L’assassino si fermò in una piccola saletta appartata. C’era una tenda e alcuni tavoli con sopra poggiate le armi. In fondo alla stanza, vi era una grata sollevata che affacciava sul palco del salone, all’interno del quale vi era una folla di assassini, guardie e saggi impressionante.
Sul palco presiedava Tharidl Lhad che parlava al popolo della fortezza in modo composto e fiero.
-…Un giorno che condividiamo affinché la nostra diventi un’unica grande mente a riguardo. Non sono qui per nuocere ancora, ma bensì per aiutarci, poiché ricordiamo che una di loro…-.
Marhim le lasciò il polso ad un tratto.
-Tutto bene? Sembri pallida…- commentò il ragazzo.
-No, sto bene. Un po’ di panico da palcoscenico, ma mi passerà- lo rassicurò.
-Bene, ma non mi svenire, chiaro?- ridacchiò lui.
Elena strinse di nuovo le sue dita attorno alla mano del ragazzo, che alzò gli occhi su di lei.
-Perché tutta questa farsa? Non poteva risparmiarsi il gran festone? Non ce la faccio… non voglio farlo. Chiamala pigrizia, ma preferisco prendermi il grado superiore in un altro momento- mormorò.
Marhim strinse la presa e la tirò dolcemente a sé.
I due si abbracciarono.
-Capisco come ti senti, sai-.
-Davvero?- sussurrò lei sul suo collo.
-Ovviamente, perché una cerimonia simile la fecero scontare anche a me quando ero piccolo. Me lo ricordo perché non fu una bella esperienza, ma passò in fretta- rise.
Elena si strinse a lui con più forza. –Ti prego, se adesso scappo dirai che non mi hai vista?- sibilò.
Marhim la scansò stringendola per i fianchi. –Che cosa?!- domandò sbigottito.
La Dea sorrise maliziosa.
-Non puoi scappare così!- balbettò lui. –Hai idea di come Adha si arrabbierà con me di questo, e…-.
Elena gli poggiò una mano sulla bocca, bloccandogli le parole. –Fa’ piano; guarda che ho le armi per ricattarti- disse ancora lei.
-Ma sei tutta matta?! E di quali armi parli?- fece confuso.
-Dirò a tutti della tua fobia!- dichiarò.
-Elena, mi stai prendendo in giro?- alzò un sopracciglio.
La ragazza scoppiò a ridere. –Sì, scusa!-.
-Ah, ecco…- Marhim si stanziò di un passo.
-Anche se mi piacerebbe- aggiunse lei.
-Scappare?-.
Elena annuì. –Non ho mai sopportato la massa, persino fare la spesa al mercato mi faceva venire i crampi allo stomaco- abbassò lo sguardo, ricordando brutti incidenti.
Marhim le alzò il viso prendendole il mento. –Ora esageri; sei sopravvissuta due mesi qui dentro facendoti largo tra le occhiatacce e gli insulti altrui! Insomma, è Elena quella che ho davanti?- sbottò.
-Ah!- ridacchiò lei. –Perché, secondo te mi aspettavo che un assassino avesse paura del sangue?-.
-Non cambiare argomento- digrignò il giovane.
-Hai ragione, sono solo una stupida; potevo starmene bella e buona tutt’altra parte…- brontolò.
Marhim l’abbracciò di nuovo, all’improvviso.
-Non ti sopporto quando fai così- le disse. -Ma fattelo dire, questa divisa ti dona. Sei bellissima- le sussurrò all’orecchio.
Qualcuno fischiò.
-Abbiamo interrotto qualcosa?- proferì una voce femminile.
Elena si staccò dal ragazzo e Marhim fece un passo indietro.
Leila teneva le braccia conserte e li fissava con il peso su una gamba sola da sotto il cappuccio, che celava il suo bel viso malizioso.
Al fianco della Dea c’era Elika. Aveva i capelli castano scuro e ricci raccolti in una treccia, il cappuccio abbassato sulle spalle e un sorisetto estasiato in volto.
Kamila era in disparte, avvolta dal buio del corridoio parlando con qualcuno ancor più nascosto tra le ombre.
Le tre Dee indossava una linda e bianchissima tunica identica alla sua, ed Elena sgranò gli occhi. I loro corpi nascosti dalle vesti corte mostravano tutta la loro grazia in un solo sguardo, la loro bellezza accattivante e i loro movimenti impercettibili, nonostante restassero immobili come statue.
Quello che colpì la giovane assassina, fu constatare che alle tre mancava il triangolo di metallo al petto. Le cinghie di cuoio c’erano, ma il triangolo no…
-Scusa tanto, giovanotto, ma questa è una festa privata- sibilò Leila avvicinandosi a lui, e Marhim indietreggiò oltremodo, finendo con la schiena al muro.
Elika allungò le labbra carnose in un sorriso.
-Come va?- le domandò, ed Elena si riscosse dall’osservare le tre ragazze con incredibile stupore.
-Bene, grazie- mormorò.
-È tanto tempo che non ci si vede- commentò Elika.
-Già…- Elena tornò con un balzo affianco del ragazzo, e Leila alzò un sopracciglio.
-Non può stare qui- assentì. –Deve andarsene prima che qualcuno lo veda- Leila indicò con un cenno del capo Tharidl imponente sul palco di pietra.
-Concordo- balbettò Marhim strisciando sul muro. –Ora è meglio che vada-.
Elena lo guardò allontanarsi nel corridoio, mentre Kamila avanzava dal buio.
-Mi sono persa qualcosa?- chiese la bionda, che aveva alcuni ciuffi dei capelli dorati fuori dal cappuccio.
Elika le pizzicò una guancia, ed Elena sobbalzò. –No, qui procede bene!- disse la Dea.
Kamila la squadrò dai piedi alle punte dei capelli. –Però, ti sta proprio bene- e fece il primo vero sorriso della giornata.
Elena arrossì.
Sul palco accanto al vecchio Gran Maestro c’era un gruppo di assassini, tra i quali Elena riconobbe Halef, col volto teso in un sorriso gioioso.
-Ottimo- Leila batté le mani. –Siamo pronte?- chiese.
Elika la prese sotto braccio, ed Elena non si ribellò.
-A questa picciotta ci penso io, voi andate avanti- rise.
Leila e Kamila si scambiarono un’occhiata complice, poi si avviarono verso il palco dal quale Tharidl parlava alla folla riunita nella sala.
Applausi contenuti, confusi tra il parlottare della gente mentre Tharidl le abbracciava una alla volta.
Kamila e Leila si fermarono di fianco al vecchio, una alla sue sinistra e una a destra, e Tharidl riprese il suo discorso.
-Guardati, tremi tutta, piccola mia- Elika la strinse con più vigore, ma Elena tentava di concentrarsi sulle parole del Gran Maestro.
-Sto bene!- digrignò infastidita.
-Fammi un sorriso, avanti- Elika la fece voltare, stringendole le spalle.
Elena si costrinse in un sorriso falso e tirato con gli spilli, e la Dea se n’accorse.
-C’è qualcosa che non va?-.
-Non sono la tua bambola, Elika! Tu e le tue amiche mi trattate come se fossi la bambina del gruppo!- si sfogò tutt’un tratto.
Elika sbatté le palpebre sorpresa. –Infondo è così, non credi?-.
Elena si allontanò da lei. –Ora lasciami stare, per favore…- sibilò guardando fuori dallo stanzino, alla luce delle vetrate che illuminavano la sala delle cerimonie.
Non si sarebbe lasciata trattare in quel modo, ne aveva fin sopra i capelli.
-Stai pronta, che Tharidl li sta scaldano per bene…- proferì Elika in un sussurro.
La giovane assassina non diede peso alle sue parole, si strinse contro la parete e vi si appoggiò sospirando. Chissà che cosa stavano aspettando, si chiese. Perché tutta quella farsa? Si chiese, tormentandosi la pellicina del pollice.
Avrebbe voluto evitare tutto quello, l’aveva detto a Marhim e ne era convinta. Scappare? Si poteva fare, ma Elika l’avrebbe fermata. Guardò verso l’assassina davanti a lei e la fissò con rabbia nei suoi confronti, perché non le piaceva come veniva trattata da quella e le altre. Se certi atteggiamenti fossero continuati, Elena non avrebbe esitato a chiedere di essere allontanata dalle stanze di quelle tre, finendo a dormire anche nella camera di Marhim.
Diventava Dea, si disse prendendo fiato.
Quella cerimonia, il triangolo mancante che qualcuno le avrebbe fissato al petto come segno della sua appartenenza alla causa. C’era qualcosa di dannatamente affascinante in quel rituale, che non seppe spiegare perché le sue gambe non obbedivano all’impulso di fuggire. Fuggire dalla folla, fuggire dagli sguardi di assassini e fuggire dalla stessa setta dannata. Come dal nulla, aveva cominciato a nutrire un certo odio per la versione triste dei fatti. Suo fratello, Rhami e le diverse pieghe della sua avventura, quali la perdita del frutto. Su di lei sentiva il peso di armi che non aveva mai usato… ma quando sarebbe finita quella tortura? Una responsabilità che non aveva mai chiesto, una realtà alla quale avrebbe voluto fuggire. Ma c’era la catena di sua madre al collo a tenerla inchiodata a quel muro, con i piedi su quel pavimento. C’era la forza di lottare per conoscere suo fratello, anche se avrebbe perso altre centinaia di battaglie contro colui che solo ed unico sapeva il suo nome, ovvero il vecchio imbacuccato che le aveva offerto la salvezza.
Salvezza?
Elena ripensò alle parole di Rhami, che le aveva dannatamente aperto gli occhi sulla realtà di un mondo di dannati qual’era quello della confraternita. Elena apri gli occhi! Si diceva. Viveva tra gente che per vivere uccideva, e anche Marhim si era messo da parte a tutto quello. E Halef? Che tanto sorridente su quel palco sembrava trovare la gioia nell’uccidere, che dire di lui?! Uccidere… gente magari innocente… e chi poteva dirlo? Con un solo comando Tharidl mandava i suoi scagnozzi a fare il lavoro sporco, con una sola sua richiesta, egli poteva decidere del destino altrui. Le sue pedine dai cappucci bianchi…
Ed Elena sarebbe diventata una di loro. Fedele al Maestro e al Credo. Fedele ad un giuramento di sangue, fedele alle piume e fedele ad un mondo che sentiva appartenerle, ma che avrebbe rifiutato se ne avesse trovata la forza.
Improvvisamente, Elika la spinse avanti ed Elena si accorse che Tharidl guardava verso di loro.
Elena salì tentoni le scalette e fu sul palco tutta traballante, ma Elika la strinse per il polso e la tirò al fianco del vecchio.
La folla non aveva occhi se non per le tre Dee, ed Elena scrutò uno ad uno i volti dei saggi e degli assassini riuniti lì.
Le tende delle vetrate erano ripiegate con cura e le finestre aperte, lasciando traspirare il salone di un venticello accogliente della prima mattina. I portoni che davano sulle altre sale attaccate a quella centrale erano spalancati, e la gente veniva ad aggiungersi incessantemente.
Quanta gente… si disse Elena, e non poté credere di aver incontrato tutti quelli assassini, o meglio… che la fortezza potesse contenerli tutti quanti.
Con la coda dell’occhio scorse Marhim che si faceva largo tra la calca avvicinandosi lentamente al palco. Le lanciò un sorriso, ed Elena si sentì subito meglio.
Poi si accorse di Adha e il suo maestro d’armi, e passando oltre scorse appena i capelli scompigliati di Rhami.
Le sue gambe tornarono composte, mentre Elika la stringeva più nel gruppo di Dee.
-Elena- Tharidl la chiamò, e la ragazza si volse verso di lui.
Il vecchio le fece cenno di avvicinarsi, ed Elena obbedì.
Che cosa poteva fare se non restare a guardare e cercare di non esplodere dall’imbarazzo?
Tharidl prese dall’altare il triangolo di metallo che mancava al suo petto e lo allacciò alla catenella delle cinghie di lei.
Elena, quando lui ebbe finito, vi passò due dita accorgendosi che anche quest’ultimo piccolo oggetto era stato sostituito. Pregiato di dettagli intarsiati d’argento, era una spilla che poteva valere quanto la spada di Riccardo Cuor di Leone.
-Ben venuta, e questa volta ufficialmente- il vecchio l’abbracciò, ma Elena si distanziò alla svelta.
Tharidl legò uno stesso identico triangolo alle cinghie di Elika, la quale teneva la giovane Elena ancora stretta a sé.
Ma si crede mia madre?! Elena strinse i denti, tentando di divincolarsi, ma Leila e Kamila le cinsero le spalle, trascinandola tra di loro.
Una Dea da una parte e un’altra dall’altra.
Era un incubo.
Dalla folla si levò un applauso clamoroso e assordante, accompagnato da urla e fischi provenienti dal gruppo di assassini sul palco.
-Io… non ce la faccio…- stava per correre via, verso l’ingresso al palco.
Spettacolo assurdo, imbarazzante e basta, ma Leila la tirò per il cappuccio.
-Dove vai, zuccherino?- le sottinse all’orecchio.
-Lasciami!- digrignò Elena.
Leila la strinse con più forza.
-Un giorno- cominciò Tharidl. –un giorno qualcuno…-.
…Il parlare confuso di Tharidl, che volgeva alla folla un discorso pieno di parole senza senso. La mente di Elena era un mare in tempesta, e la nave non reggeva il vento violento.
Le vele sbattevano, i gabbiani gemevano e lei cominciò a gemere, tentando invano di liberarsi alla presa della donna dietro di lei.
Leila in fine lasciò che Elena corresse via dal palco, e la giovane Dea si rifugiò nello stanzino.
Il mondo divenne una chiazza confusa di colori e suoni, mentre i suoi occhi si chiudevano lentamente.
Si appoggiò alla parete con una mano, sentì il fiato mancarle, e il suo cuore batteva troppo accelerato.
Le gambe cedettero, la ragazza si accasciò al suolo e tutto divenne buio.

-Perché non ha dato sintomi fino ad oggi?-.
-Non lo so…-.
-Perché quando era prigioniera di Corrado non è successo?!-.
-Altair, non lo so…-.
-Se sapevi che ne era rimasta qualche goccia, perché non l’hai detto a nessuno?!-.
-Perché io non lo sapevo…-.
-Non ci credo. Mi hai detto che era un tipo di veleno che non mostrava questo genere di dolori!-.
-Non lo so! Non lo so!- ruggì ad un tratto la donna, e Altair tacque.
-Dimmi tra quanto starà bene- proferì l’assassino.
-Qualche giorno, ma non ho idea di come…-.
-Come farai a guarirla?-.
-Era quello che stavo per dire!- Adha si passò una mano in volto. –Non lo so, non lo so…-.
-Allora?-.
-Smettila, mi metti solo ansia e non mi sei d’aiuto-.
-Perché sei certa che tra pochi giorni starà bene? Potrebbe morire, lo sai?-.
Adha rimase in silenzio, ma la sua collera venne fuori lo stesso poco dopo. –Se sei così in pena per lei, perché non te ne vai e ti fai vedere qui tra una settimana con Minha! Cerca quella puttana e solo quando l’avrai trovata sarai di nuovo degno di giudicare qualcuno! Sono sicura che il Maestro l’ha scelta perché si fidava degli addestramenti cui l’avevi sottoposta, quindi non biasimare nessun altro se non te stesso!- gridò. –Vuoi dimostrarmi che vali qualcosa? Portami Minha, e farai un favore ad entrambi…-.
-Credi che dipenda da me?!- sbottò.
-Ovvio!-.
-Invece no! È Tharidl che non vuole che mi metta sulle tracce di Corrado…-.
-Non cambiare argomento! Non mi riferisco a Corrado, ma a Minha! Non dirmi che egli ti vieta anche di darle la caccia?!-.
-Non lo so!-.
-Ah ah! Visto? Bello, vero? Sentirsi gridare contro qualcosa ed essere costretti a ripeter: non lo so!-.
L’assassino fece un passo indietro, urtando qualcosa che andò a cadere a terra rompendosi in centinaia di frammenti di vetro.
-Cosa…- sussurrò Adha senza parole.
-Non lo so…- ribadì Altair.
Adha si alzò, avvicinando il suo volto a quello di lui. –Si può sapere che t’è preso?-.
-Parli con me?- ridacchiò lui.
Adha lo spinse, e il ragazzo indietreggiò mantenendo l’equilibrio.
-Stai cercando di farmi arrabbiare?- lei serrò i pugni.
-No, ovvio che no, ma la tua paziente si è svegliata…- mormorò lui improvvisamente più cauto.
Adha si voltò, incontrando gli occhi socchiusi di Elena, ma quando tornò dalla parte del suo amato, si accorse che questo era sparito.
-Adha…- Elena si sollevò poggiando la schiena alla parete.
Erano nell’infermeria vuota e buia per via della notte calata improvvisamente sulla fortezza.
-Stai giù, torno subito…- Adha si allontanò sparendo fuori dalla sala, e i suoi passi si persero sulle scale.
La giovane Dea si guardò attorno confusa.
La testa le pulsava e un dolore lancinante l’aveva attanagliata alla spalla destra. Nonostante ciò, realizzò qualcosa di quello di cui Altair ed Adha avevano appena discusso, con tanto di fuga silenziosa di lui e irascibilità dovuta alla gravidanza di lei.
Veleno.
Di nuovo?!
Non poteva crederci. Le sembrava assurdo che trascorse delle settimane lo stesso senso di annebbiamento l’avesse colpita… aspettate un attimo!
L’ago che l’aveva trafitta durante lo scontro con Corrado provocava l’innalzamento dei sensi percettivi, con prevalenza al dolore. Eppure… durante la cerimonia, le forze le erano mancate per via di un improvviso giramento di testa. Il cuore aveva rallentato i battiti e il fiato le era mancato. Sintomi totalmente differenti da quelli della volta che…
Il vento fece sbattere le tende, e il suono dell’aria celò quello di un passo silente sul legno del pavimento.
Elena scattò in piedi e si allontanò dal letto, andando verso le finestre. Gli occhi spalancati, le pupille dilatate e i sensi svegli.
Scrutò il buio allungo, fin quando non ebbe conferma della presenza che vi era celata tra le ombre.
Minha avanzò quatta verso di lei, nella mano stringeva una spada corta e su di lei pesavano delle vesti scure, nere.
-Minha!- Elena ingoiò il suo nome nello stomaco.
I capelli della donna erano celati da un cappuccio calato interamente sul volto, che ad Elena fu facile riconoscere quando questa se l’abbassò.
-Furba, la ragazza…- rise la donna.
Elena non ebbe tempo di fare nulla che l’ex Dea le fu addosso, saltando sul letto e scagliandosi contro di lei.
Elena le bloccò in tempo il polso, ma la lama era a pochi centimetri dal suo collo.
-Dannata! Avresti dovuto tenere la bocca chiusa, e forse non sarei qui!- sibilò come una serpe.
Elena indietreggiò, perché la sua avversaria mostrava una forza smisurata in ogni parte del corpo.
Debole com’era e disarmata com’era, l’unica via sarebbe stata fuggire, si disse.
-Perché?! Perché l’hai fatto?- ruggì la giovane Dea.
-Zitta e muori!- Minha spinse con più violenza, ed Elena cedette.
Solo per mera fortuna la lama non le tranciò la gola, perché la ragazza riuscì a schivare rotolando a terra, ma trovandosi con le spalle ad una colonna.
Minha le fu di nuovo addosso, ed Elena si sollevò giusto in tempo per scartare di lato.
In un istante troppo svelto, Elena riuscì a sottrarle di mano l’arma, che scivolò sul pavimento finendo sotto ad un mobile.
-Ah!- rise Elena.
-Aspetta a cantare vittoria!- la donna alzò una gamba e, con sua grande sorpresa, Elena ricevette un calcio ben assestato al costato. A quel colpo se ne susseguirono altri.
Minha aveva quella flessibilità che Elena avrebbe dovuto imparare da Leila.
Come fosse un’artista antica dell’estremo oriente, Minha menò pugni e calci senza darle tregua, ed Elena fu preda di una lenta agonia. Colpo dopo colpo, si piegava dal dolore, le scappavano gemiti assurdi e strilli.
Minha l’afferrò per i capelli e la scaraventò addosso alla colonna senza fatica.
Tentò di evitare il calcio, ma con la coda dell’occhio individuò troppo tardi il pugno che veniva verso di lei.
Minha la colpì alla mandibola ed Elena voltò la testa di lato.
Dolore, ma fosse stato anche uno forse le sarebbe stato più facile reagire, ma non trovò quel vigore necessario.
Cadde in ginocchio, una mano sulla bocca, all’angolo della quale le cadeva un fiotto si sangue bollente.
Le aveva sicuramente spaccato il labbro e qualche dente, e Minha ridacchiò beatamente guardandola dall’alto.
-Non… non la passerai liscia…-.
-Corrado mi manda a finire il lavoro, sai? Risparmiarti la vita credendo di poterti usare come ha usato me è stata una grande stupidaggine, ed ora se ne pente. Mi manda come prima cosa ad ammazzarti, piccola, e poi a portargli il Frutto dell’Eden, che sono dove è custodito- gioì la donna.
Minha si chinò alla sua altezza. –Tu dovresti fare altrettanto…- le disse all’orecchio. –Non allearti con questa gente, Elena. Non sai a che cosa vai incontro…-.
-Consegnati a Tharidl- Elena sputò il sangue dalla bocca. –E lo convincerò a lasciarti in vita- aggiunse, puntando i suoi occhi azzurri in quelli verdi di Minha.
-Non ci credo neppure se mi paghi- rispose lei.
Elena strinse i pugni. Se non agiva alla svelta, sarebbe successo qualcosa di spiacevole.
Minha la spinse giù con un calcio, e la ragazza più giovane si raggomitolò dal dolore.
La donna recuperò la lama corta da sotto il mobile e tornò da lei.
-Salutami tuo padre, va bene?- rise maliziosa.
-Minha!- gridò una voce, e la donna si voltò.
Rhami lanciò il pugnale da lancio, che Minha deviò con un fluido movimento del polso. La lama del pugnale a contatto con quella della lama corta produssero delle scintille rossastre che si sparsero sui tappeti dell’infermeria.
-Cerchi rogna, Rhami?! Non t’immischiare!- ruggì Minha.
Il ragazzo avanzò svelto nella stanza. –Vieni, combatti se ne hai il coraggio!- sguainò la spada.
Elena si tirò su a fatica e, approfittando del fatto che Minha fosse voltata verso l’assassino, le saltò al collo.
-Ferma, Elena, no!- gridò Rhami, ma fu troppo tardi.
Minha si girò ad un tratto e dal suo polso sinistro estrasse la lama corta.
I loro corpi si sfiorarono, e Minha spinse con più violenza la lama nella sua carne.
Il fiato le parve cosa rara che andava pagata con soldi che non aveva. La bocca aperta senza proferire parola, la pelle che sbiancava d’un tratto.
Minha ridacchiò ritraendo la lama nel polso, e quando Elena indietreggiò, questa si portò una mano al fianco, dove il taglio aveva inciso per quasi cinque dita.
Il sangue venne fuori a fiotti, ed Elena si accasciò prima in ginocchio e poi completamente distesa.
In fine, il buio avvolse ogni centimetro della sua vista appannata, mentre sull’ingresso dell’infermeria comparivano i volti cari di un gruppo di assassini.

-Prendetela!- gridò qualcuno.
Minha si lanciò fuori dai balconi e scomparve con un salto nel vuoto. Alle orecchie dei presenti giunse il suono delle onde del lago appena sfiorate, e la figura della donna si perse nella corrente.
L’assassino batté il pugno chiuso sul parapetto del balcone. –Dannazione! Ci è sfuggita!- gridò affacciandosi di sotto, dove lo strapiombo si gettava nell’acqua.
-Adesso non c’è tempo, vieni!- fece l’altro.
-Presto, aiutatemi!- disse Rhami chinandosi sulla ragazza.
-È ferita gravemente, perde sangue! Vai a chiamare Adha!- disse uno.
Un assassino si alzò e corse fuori dall’infermeria.
-Elena, Elena mi senti?- Rhami schioccò le dita davanti agli occhi socchiusi della giovane.
-È ancora viva, ma non possiamo indugiare!- sbottò un fratello, e i due assassini la issarono sul letto.
Adha giunse nella stanza di corsa, e alle sue spalle comparve Altair.
-Cos’è successo?- domandò questo avvicinandosi al gruppo.
-Minha, era qui maestro- dichiarò Rhami.
-Fatevi da parte, portatemi degli asciugamani e delle bende! Forza!- Adha prese a dettare ordini.
Altair fece per lasciare la stanza, ma Rhami l’afferrò per la veste.
-No, maestro- disse serio. –Minha è andata, gettandosi dal balcone ci è sfuggita-.
Altair si divincolò con uno strattone. –Credi che ne sia contento?!- digrignò.
-Ovvio che no- mormorò Rhami, voltandosi a guardare come Adha tentava di bloccare l’emorragia.
La donna pulì la ferita, la fasciò più volte ma questa tornava sempre a perdere sangue, goccia dopo goccia Elena perdeva le forze e il suo cuore era debole.
Solo un miracolo avrebbe fermato quell’agonia, e solo la morte avrebbe cessato quel dolore.



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ORRORE! Dio, non so come scusarmi ma, per chi ha già letto questo chappo prima, credo che gli dispiacerà sapere che ho dovuto rimuovere l’ultima parte per inglobarla nel capitolo successivo. Mi spiace un sacco, ma mi sono dimenticata di aggiungere una piccola parte divertente che avevo già abbozzato su carta ma, come al solito, ho scordato di scrivere… insomma, sono una totale deficiente!!! Scusate, ancora!!! L’ultima parte di cui vi parlo la ripeterò nel proximo capitolo per non perdere il filo, ma siccome questa scena che avevo in mente e ho dimenticato ho intenzione di farla trascorrere durante quel periodo di attesa che scrissi come “… un mese dopo…” ehehe… allora spero di non aver fatto una figura di totale deficiente (cosa che è così) e vi do appuntamento alla “scenetta” del prossimo capitolo… XD me molto bastarda!!!
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Scusate se corro con i ringraziamenti, ma ho staccato solo alla 17° pagina. Ditemi voi… c’è, io mi sento svenire.

I migliori utenti di questo sito:

Saphira87
goku94
Lilyna_93
Carty_Sbaut

Non ho molto da dire, quindi apro una piccola parentesi generale su questo capitolo che vale per ciascuno dei miei lettori.
Le vostre recensioni sono fantastiche, anche troppo, quindi mi stavo chiedendo se… magari, poteste farmi sapere anche quello che “non” va nella mia ff. Intendo, non errori di grammatica o parole scritte come altre, questa roba ci sta sempre… mi riferisco alla trama, ai personaggi, al metodo di scrittura. Vorrei che mi deste un commento più sintattico, se è possibile, riguardante come sto andando avanti con la storia, che secondo me sta uscendo una vera schifezza. Insomma, parliamoci chiaro: inventando tutto sul momento, non ci penso due volte prima di scrivere. Ma avendo taggato la storia come “azione” e “avventura”, e avendo precedentemente aggiunto al posto di generale anche “mistero”… non so, forse dovrei… accorciare? Ho tante di quelle idee, che credo di doverle posare su un blocchetto notes e proseguire quest’estate, perché gli esami si avvicinano e sto un po’ trascurando della roba come storia e geografia… al rogo! Vabbé…

Eccovi una stupenda immagine. Da qui ho preso spunto per la nuova tunica di Elena, e anche quella che indossano le Dee alla cerimonia. Ed è la stessa che la nostra giovane assassina si porterà dietro fino alla tomba! XD ok, qui R.E. (Radio Elika) vi chiude in faccia XD e vi aspetta alla prossima puntata. Bacioni a tutti! Ciao!


   
 
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