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Autore: Kimmy_90    20/01/2016    1 recensioni
La Regio è salda da millenni, sostenuta da una forte e solida gerarchia meritocratica: in cima, i Philosophi, sotto, la Gens. In mezzo v'è la colla della Regio, i Custodes, a guida delle milizie. Vestiti di nero, hanno il volto scuro e le mani chiarissime. Puliti, alti, statuari.
I bambini li chiamano Ombre.
Le Ombre prendono i bambini.
E mentre la società rimane ferma, inamovibile, la tecnologia avanza – tanto lenta quanto inesorabile, fino al punto di non ritorno.
Il rinculo.
Ecco cosa significava davvero.
La spalla che sussulta. La presa che sembra sfuggire.
L’impulso.
Odore di bruciato, e di metallo rovente.
Saeb lasciò che lo guardassero, mentre si calmavano. Un rumore del genere non lo avevano mai sentito, se non durante un temporale. Ma quella era la natura.
Miran, invece, fra le mani serrava un oggetto puramente umano. Preciso e geometrico come solo l’ingegneria della Regio sapeva fare.
“Questo.” disse poi il Rector, facendosi sentire da ognuno di loro “Era uno sparo.”
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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2. Globus



Entrò in silenzio, avvolta dal chiacchiericcio della taverna, ora acuto, ora rauco – ma indubbiamente chiassoso. I presenti ci misero qualche secondo per riconoscere la sua figura, forse a causa della penombra che permeava la stanza, dotata di poche finestre. Lentamente, uno dopo l’altro, si zittirono.

Atro, seduto su di uno sgabello in fondo alla stanza e già orientato verso la porta, la vide subito: fu il primo ad alzarsi, sciogliendo le braccia che teneva conserte e portando il pugno al petto. Vedendo l’enorme massa dell’uomo muoversi, altri due Custodes, seduti a poca distanza da lui, lo emularono; e così, lentamente, il resto dei presenti.

Gli ultimi a fermarsi furono i bambini: una lunga tavolata dove una trentina di loro era intenta a mangiare, che per lungo tempo si mostrò più interessata al pasto che al silenzio che era calato nella stanza.

Alla fine, anche l’ultimo cucchiaio si pose.

Shi’ran chinò il capo, in un cenno di assenso che consentì agli altri di sciogliere il saluto. Solo allora si incamminò.

Mentre il resto della sala riprendeva i propri pasti e i propri discorsi, Atro, ancora in piedi, osservava la donna avanzare verso di lui. Erano anni che non la vedeva indossare la veste dei Philosophi, quella complicata tunica di drappi neri e scarlatti che strato su strato s’alternavano, e ricadevano morbidi su qualsiasi fosse la forma di chi la indossasse. Tutto quel rosso, sotto il sole, poteva essere quasi abbagliante; ma all’interno di un’umile taverna sembrava rendere l’effetto contrario: una scura pulizia. Precisione del colore del sangue, che è, al contrario, cosa sporca e da pulire in fretta.

La Gens era intimorita da queste contraddizioni, e in generale non era abituata ad esser così vicina ad una persona di tal levatura.

I Custodes – sì, ogni tanto si incontravano.

Ma i Philosophi? In una taverna, nel bel mezzo del Pagus, fra la Gens, fra mercanti, tecnici, manovali, Agricolae che non di rado preferivano un bicchiere di vino ad un tozzo di pane? Non impossibile, ma raro.

Le conversazioni ripresero tenui, a tratti impacciate.

Sul volto di Shi’ran si dipingeva un onesto fastidio.

Su quello di Atro, un vago sorriso. Che si curò in fretta di cancellare.

Fati Frates. *” la salutò. In quel preciso istante, giusto in tempo per non far morir del tutto l’ultima sillaba fra le sue labbra, si rese conto di essere andato troppo oltre.

A volte Shi’ran si domandava se l’essere circondata da Agricola non le fornisse il legittimo diritto d’esprimersi come loro. La Lingua forniva una serie di espressioni d’un colore notevole, per non parlare di quelle dei Dialecti.

No, lei non era un’Agricola.

Sorrise ad Atro, levandosi l’espressione di fastidio che s’era ritrovata addosso e decidendo di essere, per ora, la persona più diplomatica della Regio.

“Devo rientrare tra poco.” disse, guardandosi attorno. “Come sono?” chiese poi, osservando la tavolata di bambini.

Atro si sedette, avvicinando un altro sgabello per lei. Ma Shi’ran rimase in piedi, continuando a fissare i piccoli.

“Molto irrequieti.” commentò l’uomo, portando a sua volta lo sguardo verso la tavolata. “Ne abbiamo rimandato indietro un paio, ma io non sono convinto. Non intendo portarli all’Effluxum finché non ne scremo almeno altri quattro.”

La donna emise un sospiro, lungo, intenta a studiarli. “Da dove vengono?”

“Pagus Duodecim. E ce n’è uno di Pagus Moenia. Passavamo di là.”

“Quello alto, laggiù. Il più grande di tutti, direi, con i capelli scuri. E quello di fronte a lui. Potete riportarli indietro prima che si facciano il viaggio.”

Tacque, continuando a spostare gli occhi da un bambino all’altro. “Quello lì, mancino. Fammelo arrivare. E anche quella bambina bionda. Quella accanto a lei è una Bellator, invece. Portamela, voglio vedere se ho indovinato.”

Atro sfiatò dalle narici, quasi divertito. Era una novità vedere Shi’ran così attenta a dei semplici bambini.

“Tutti?” le chiese, sarcastico.

“Tutti cosa?”

Si voltò a guardarla, mentre quella ancora gli dava il profilo, gli occhi solo per quei minuscoli esseri umani.

“Li controlli tutti?

Shi’ran non rispose. Continuava a studiare, o forse si era persa nei suoi pensieri. Aveva una mente infinita, che Atro non avrebbe mai saputo gestire, fosse stato al suo posto. D’altronde, non lo era – e lei non era al suo, com’era giusto che fosse. Lui era un Custos, e la cosa gli stava più che bene.

Benissimo.

“Non dire idiozie.” rispose, dopo trenta buoni secondi, la donna “Controllo solo quelli che possono essere interessanti.”

Fra i due ricadde il silenzio. Atro attese qualche altra manciata di minuti, prima che la donna si voltasse, finalmente, verso di lui.

Ancora, silenzio.

Si fissarono.

“Dimmi.” fece infine la Philosophus.

“Dal Ludus vado direttamente sul confine. Per un centinaio di giorni.”

Shi’ran annuì. “Va bene.”

“Lamaki è pronta, non c’è motivo per cui non venga ammessa. Chiudiamo in fretta questo esperimento, prima che ci sfugga di mano come ha già fatto uno dei tuoi.”

Shi’ran si irrigidì, serrando la mascella.

“Mi stai dando ordini, Atro?”

“Consigli.”

“Su materie di cui non sai nulla?”

Atro si alzò.

Ripresi i suoi abbondanti due metri d’altezza, per un istante si permise di squadrare dall’alto in basso la Philosophus. Ma non durò molto: Shi’ran, immobile, non reagì a quella sciocca minaccia, qualsiasi cosa avesse in mente Atro. Lo ignorò, ritornando a fissare i bambini.

“Qualcosa so anch’io.” disse infine il Custos, facendo mezzo passo indietro.

“Anche gli Agricolae sanno qualcosa. Di alcune cose, sanno ben più di noi.”

Quello strinse le labbra. Eccolo.

Ancora.

L’Odio.

E ancora, lo cacciò.

“Se tanto ci tieni a far le cose come devono esser fatte, rispetta le tue competenze.” tagliente, il messaggio era chiaro. Sarebbe stato al Ludus più del previsto. Alla sua età, ci impiegava del tempo a riprendersi dal gatto.

Alla sua età, non era nemmeno normale passarci, dal gatto - ma avere a che fare con Shi’ran significava anche questo.

“Vedi di non morire.” Con queste parole, la donna si congedò.

Atro la osservò allontanarsi, lasciandosi scappare un cenno d’assenso.


Shi’ran si fermò ai margini della Major Platea, intenta a osservare l’enorme costruzione del Globus: dalle sue vetrate, curve, guizzavano i colori del tramonto, altrimenti impossibile da vedere nel resto della città.

Pagus – parola che in Lingua Antica significava villaggio – era ben lontano dall’essere tale. La capitale della Regio, che secondo la Gens essere stato il primo insediamento della loro civiltà, s’estendeva ormai per un centinaio di chilometri. Era un susseguirsi infinito di case e casupole, dalle architetture di ogni epoca ed ogni genere: dalle case che furono degli Agricola, quand’ancora c’era tutt’attorno terra da coltivare, agli uffici amministrativi e le Scholae di ogni tipo. In mezzo ad un intenso brulicare di persone, visi, odori, bambini e muli, era da secoli oramai ben piantata l’enorme mezza sfera vetrata del Globus, come una bolla di metallo in mezzo alla terra sporca, casa dei Phiosophi, sede del governo centrale della Regio. Come un enorme tappeto, o forse più come un distanziatore, uno scudo, ad allontanare il Globus dal fremere della Gens qualsiasi, enorme davanti ad esso s’estendeva la Major Platea.

Ogni tanto, Shi’ran pensava che se i Bianchi avessero avuto modo di distruggere il Globus, sarebbero riusciti a demolire in un colpo solo tutta la Regio.

Ma arrivare al Globus non era affatto semplice.

Prima, avrebbero dovuto passare i confini. Poi, passare la terra – le vaste, sconfinate terra della Regio, per giungere solo dopo un lungo viaggio al suo cuore pulsante, Pagus. E lì, una volta giunti al Globus – se mai poi i Bianchi avessero potuto essere tanto intelligenti da avere un’idea del genere – si sarebbero dovuti fermare. E chiedere: quali, poi, le conseguenze?

Non era la caduta della Regio, che volevano. Come la Regio non voleva la caduta dei Bianchi.

Il confine. Quello importava. Quel che c’era sotto, e quel che c’era sopra.

Il Globus, e Pagus con esso, erano i luoghi più sicuri dove portare avanti la propria esistenza. Laggiù, lontano, dove una linea immaginaria si tendeva nutrendosi dei guerrieri dell’una e dell’altra fazione, c’era invece il confine. La guerra, le battaglie, l’avanzare e il retrocedere che in una danza infinita allargavano ora la terra degli uni, ora la terra degli altri.

Laggiù c’erano i Custodes. Laggiù c’era il mondo di Atro – che a lei non competeva.

Loro li avrebbero protetti. Quello era il loro compito.

Il suo era di rendergli questo compito di giorno in giorno più semplice.

La vita di Shi’ran era troppo preziosa, troppo unica, e vasta, la mente troppo attenta e le possibilità di sviluppo troppo grandi per rischiare di perderla anzitempo.

Da cui, i Philosophi al Globus, i Custodes al fronte.

Com’era sempre stato, da almeno seicento anni a quella parte.


Al cominciare della quinta ora, il sole oramai oltre la linea dell’orizzonte e Pagus tinto dell’arancione tipico delle lampadine a incandescenza, Shi’ran iniziava la sua attesa per essere accolta al tavolo degli Undecim – i dieci Philosophi del Summus Globus accompagnati dalla massima carica della Regio, l’Helios.

Normalmente, essere chiamati ad una loro interrogazione significava perdere almeno mezza giornata, se non una intera. Quelle undici persone erano le uniche di tutta la Regio che potevano permettersi di far aspettare gli altri, di non rispettare gli orari, di non curarsi del tempo sottratto alle incombenze altrui: la cosa non era né mai sarebbe stata fatta per malizia, ma piuttosto per la mole di lavoro che spettava loro. Una convocazione alla quinta ora iniziava come minimo alla sesta, se non anche alla prima del giorno successivo. Quand’era ancora una ragazzina che cercava di non mostrarsi spaesata nel vestire la toga scarlatta dei Philosphi, a Shi’ran era capitato di rimanere sveglia tutta la notte per poi venire chiamata non all’alba, ma addirittura all’ora mezza, quando ormai il sole era ben alto nel cielo.

Ora, le cose stavano diversamente.

Lei era il Medicus più importante della Regio, e farle perdere tempo costava caro. Non la facevano attendere più di duecento, massimo trecento minuti, a costo di congedare prima del dovuto chi era stato chiamato prima di lei, o darle la diretta precedenza su di un’intera interrogazione.

Gli Undecim avevano enorme fiducia in lei e nel suo lavoro. Per questo, e solo per questo, le chiedevano sempre di più.

Shi’ran aveva imparato dapprima la scienza, poi la biologia, quindi la medicina – diventando Medicus –, e negli ultimi anni aveva studiato la psicologia e la pedagogia. Durante tutta la sua vita aveva assorbito nozioni d’ogni genere, mentre impostava e portava avanti una delle ricerche più promettenti dei suoi tempi.

Shi’ran era tutto, tutto faceva, tutto poteva. Shi’ran aveva aperto ogni libro di ogni biblioteca della Regio, discusso con ogni Medicus, Philosophus, Custos, persino con la Gens, con tecnici e Agricolae – con chiunque potesse fornirle informazioni utili.

Quindici anni prima aveva osato pensare che la sua ricerca fosse finita.

Invece, era solo iniziata.

Aveva ancora molti anni davanti a sé. Centinaia di cose da sperimentare, milioni di errori da evitare. Gli occhi socchiusi, a questi pensava, mentre ripassava mentalmente tutti gli ultimi progressi fatti, tutte le sue nuove idee, tutte le possibilità. Davanti al Summus Globus pretendeva d’essere sempre pronta e reattiva, senza un attimo d’esitazione, senza una pausa troppo lunga nelle sue parole.

A lei chiedevano saldezza, e a loro salda, sempre, si presentava. In ogni occasione, qualunque fosse il peso della questione, qualsiasi il problema.

Anche in caso d’errore.

Succedeva, di sbagliare.

Al Ludus le avevano insegnato anche a far quello, e a farlo nel modo più efficiente possibile.


La chiamarono ad una ventina di minuti dell’ora sesta. Un ragazzino di forse quattordici anni si presentò davanti a lei, la mano sinistra vagamente tremula, dei drappi rossi addosso ad indicare il suo stato di studente avviato verso la casta più alta della Regio.

La salutò con un minimo gesto del capo, le braccia immobili lungo i fianchi, se non per i minuscoli movimenti dovuti all’agitazione. Non fosse stato per quel sintomo minimale, lo studente poteva dirsi perfettamente inquadrato nel suo ruolo.

Chissà da quanto tempo era lì, si chiese distrattamente Shi’ran.

In tutte le sue interrogazioni, non aveva mai trovato la stessa persona, a condurla dentro la sala del Summus Globus. Non aveva idea di come funzionassero le cose, lì – né le premeva saperlo. Ma incontrare sempre ragazzini di quell’età, da quando lei stessa aveva avuto quattordici anni ad ora, in vista del mezzo secolo di vita, le aveva dato un senso dello scorrere del tempo inaspettato.

Loro – i ragazzini, al Globus, e i bambini, al Ludus – erano sempre uguali. Diversi, e uguali. Tutto si replicava pressoché identico, salvo rare, impercettibili evoluzioni, qualche eccezione – i volti cambiavano, ma la storia rimaneva sempre la stessa.

A volte aveva la sensazione che il tempo riguardasse solo lei, e pochi altri. Non Pagus, non il Ludus, non la Regio. Dal tempo, questi, erano immuni.

“Gli Undecim desiderano conferire con te, Shi’ran.” disse il ragazzino, con voce lineare e metodica.

“Qui sono.” rispose lei.

Quello si lasciò scappare del malcelato sconcerto, a sentire quella strana risposta. Solitamente, le persone rispondevano Li ringrazio per questo, o formule simili. Nulla di vicino a quanto aveva invece detto la donna, bionda, poco più bassa di lui, il volto latteo segnato da poche rughe ordinate. Era una Philosophus del più alto rango, lo s’intendeva da lontano: che fosse di rango così alto da permettersi una risposta del genere, non era dato sapere. In un istante il giovane cancellò quell’espressione vagamente inebetita che s’era per sbaglio ritrovato sul volto, facendo strada alla Philosophus.

Non era affar suo il modo in cui i Philosophi comunicavano fra loro. Non ancora, per lo meno.

Aprì le due ante della grande porta nera da cui si accedeva alla sala del Summus Globus: in mezzo alla stanza, nera a sua volta, v’era il tavolo delle interrogazioni – una semicirconferenza che sul lato esterno ospitava gli Undecim, e al centro l’interrogando.

Shi’ran sentì la porta chiudersi alle sue spalle, mentre si ritrovò a esitare nell’osservare lo schienale, vuoto, del posto centrale del Summus Globus. L’Helios non c’era.

“Vieni avanti, e seduti pure.” disse una donna, ben più in età di lei.

Shi’ran annuì, portandosi al centro. Le luci puntavano verso l’interrogando, sempre, e le pareti nere della sala impedivano che riflettessero tutt’attorno. Questo non impediva a Philosophi e Custodes, di norma dotati d’eccellente vista, di vedere i membri del Summus Globus in volto, ma chiariva bene quali fossero le posizioni e la situazione del caso. L’interrogando era al centro dell’attenzione – illuminato, nel punto in cui l’acustica meglio permetteva la propagazione della sua voce, era quello che avrebbe più parlato, quello di cui più ci si sarebbe curati. Gli Undecim, principalmente, ascoltavano. Quando uno di loro diceva qualcosa, mai lo diceva ai suoi pari, ma sempre all’interrogando. Quand’anche fossero stati in dodici in quella stanza, sempre e solo di un dialogo si trattava, sempre e solo due erano le parti in gioco: chi stava al centro, e il Summus Globus.

“L’Helios si trova al Ludus.” Precisò un uomo, dal tono prestante.

Shi’ran non si sorprese di aver avuto risposta ad una domanda che non aveva esplicitamente posto; si sedette, pulendo la mente.

Mentre prendeva un lungo fiato, osservò attentamente i dieci presenti. Erano sempre gli stessi, non vedeva facce nuove fra loro da almeno una decina d’anni. Ormai si aspettava da un momento all’altro che qualcuno venisse sostituito, o spirasse. Quel che le importava era che non venissero sostituiti troppi membri del Summus Globus in poco tempo, o sarebbe stato difficile parlare con loro del suo lavoro. C’era il rischio di ritrovarsi a riferire della sua ricerca con persone che non erano nemmeno nato, quand’era iniziata. Un rischio lieve, certo, ma pur sempre un rischio. Non riusciva a immaginarsi come sarebbe potuto essere.

Decise di non pensarci. Non era utile ipotizzare problemi così lontani, uno spreco di tempo provare a risolverli.

“Le cose stanno andando bene.” iniziò Shi’ran, senza aver bisogno di introdurre l’argomento: per ora, tutti sapevano esattamente di cosa si stava parlando. “Ho buone nuove, Signori.”

“Molto bene.” rispose uno di loro.

“C’è qualcosa di cui vuoi parlarci che non possa essere scritto in un buon rapporto, Shi’ran?” chiese un’altra.

“Sì, Signori.” Salda, era ben lieta di arrivare dritta al punto. “Ci sono tre questioni che credo sia utile discutere in questa sede.”

“Procedi, allora.”

“La prima è Lamaki, di cui ho avuto notizia stamani da Atro stesso. A breve verrà portata al Ludus per iniziare gli studi.”

“Come sai, desideriamo essere aggiornati costantemente al riguardo, anche –”

“– soprattutto –” s’inserì un altro.

“– quando sarà al Ludus.” concluse quello.

Shi’ran annuì profondamente.

Sotto le luci della sala, ogni suo minimo gesto era rilevante: non si comunicava solo con la voce, agli Undecim, ma anche e soprattutto col corpo.

Ma Shi’ran, al solito, era salda. Di questo non si doveva preoccupare.

“La seconda questione sono i nuovi candidati. Ne abbiamo individuati sei. Come sapete, intendo procedere con calma –”

“Sappiamo.”

La Medicus attese, le parole ferme nel ventre, per non parlare sopra a chiunque altro dei dieci avesse dei commenti da fare. Appurato che nessuno intendeva aggiungere altro, poté continuare: “– e ritengo che il terreno sia dei più fertili.”

“Molto bene.”

“La terza, si lega alla seconda, e riguarda sempre i nuovi candidati.”

Tacque, per osservare a sua volta le reazioni degli Undecim. Ormai combattevano ad armi pari. Anzi, forse poteva osar credere d’esser lei, fra i presenti, quella più abile a comprendere i segnali del corpo.

Intravide alcune sopracciglia levarsi di pochi millimetri. Uno di loro spostò il peso, cambiando la seduta. Alcuni si protrassero minimamente in avanti.

Aveva avuto la loro più totale attenzione.

“Ho buone ragioni per credere di aver trovato il soggetto ideale.”

Tacquero.

Il silenzio era lungo, e bastava a dire più di quel che si sarebbero potuti dire a voce. Era un misto di euforia e preoccupazione – cosa rara da sperimentare ai più alti livelli della Regio, che sempre si facevano guidare dalla logica, dalla razionalità, e chiudevano fuori da ogni porta tutte le macchie che le emozioni potevano portare, lordando i loro ragionamenti, ingannando le menti più acute.

Lasciarono che il silenzio dissipasse il fremere e il temere. Prima di pronunciare una singola sillaba, bisognava ripulire la mente, di nuovo, e riallontanare l’adrenalina, gli ormoni, i pensieri non consoni.

Era la seconda volta che Shi’ran pronunciava quella frase, in quella sala.

Certo, erano passati quindici anni; e sebbene Pagus, il Globus, la Regio e il Ludus fossero rimasti inalterati durante questi quindici anni, com’era successo nei secoli precedenti, lo stesso non si poteva dire di Shi’ran. Quindici anni erano tanti. Aveva imparato. Aveva corretto. Aveva fatto.

Lei non era persona che commette lo stesso errore due volte.

Vide i dieci presenti annuire, con un cenno profondo.

“Puoi iniziare, allora. Dicci quel che ci devi dire.”

Shi’ran iniziò.






* Fratelli di fato/destino


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Nota dell’Autrice


La grande sfida, per adesso, è di far capire come funzionano le cose senza scrivere un trattato sull’organizzazione sociale e culturale della Regio. Cerco di passare le informazioni un po’ alla volta, filtrandole come sempre mi piace fare dalle menti dei miei personaggi.

Spero si capisca qualcosa. Ho due quaderni pieni di appunti che dovrebbero permettermi di non contraddirmi, ma se trovate qualcosa di incongruente di prego di segnalarmelo, perché a volte mi scappa.


Idem dicasi per errori di battitura, che ora mi si nascondono dietro gli svarioni del correttore automatico – che sembra una gran figata, ma quando mi ha trasformato “metodici” in “bimbi” mi è un po’… ecco, parso completamente fuori di testa.


Vabé.


Un ringraziamento a tutti quelli che sono passati e passeranno di qui


Pandi

   
 
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