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Autore: ki_ra    21/01/2016    1 recensioni
In un punto imprecisato del tempo, in un luogo qualunque del mondo, due anime lontane incrociano le proprie vite.
Sangue e nome, rispettabilità e disonore, tradimento e amore li spingeranno l’una verso l’altra.
Mentre un mondo vecchio e superficiale si dibatte per continuare ad esistere, un amore nuovo nasce e sconvolge anime e cose.
Genere: Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
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. 45 . Di culle, di baci e di bocciuoli di rose



 

Era già quasi primavera.

Nonostante fossero ancora nel mese di maggio, la rigogliosa stagione prorompeva in ogni angolo verso cui l'occhio guardasse.

Alberi carichi di fronde verdi scintillavano al riverbero del sole; canti armoniosi di piccoli passeri solleticavano l'aria tersa e frizzante e siepi grondanti di fiori e profumi affollavano i bordi del giardino, esaltandosi dei voli leggeri delle farfalle.

Il gorgoglio della piccola fontana faceva da controcanto alla sua voce dolce e sussurrata, mentre intonava una vecchia ninna nanna.

Sotto un tiglio argentato, una culla in vimini dondolava, come una barchetta sulla superficie placida di un lago. Onde candide di merletti e trine ne adornavano i bordi e un velo di tulle dai piccoli impercettibili ricami rosa la ricopriva, proteggendola da insetti e fronde.

Ariela sedeva accanto ad essa. La schiena era reclinata sul cesto intrecciato di vimini e onde di capelli biondi, come cascate di miele e grano, scendevano lungo le spalle.

Petali di rose e foglie le ricadevano in grembo, odorose e leggere, mentre il loro profumo si diffondeva in tutto il giadino, mescolandosi ed esaltando quello di lei.

Le carezzò il capo, lasciando che le dita scure si intricassero nel crine e la pelle sottile della cute gli rinfrancasse i polpastrelli ruvidi.

- Si è appena addormentata. - gli fece notare, rivolgendogli i suoi begli occhi di colomba.

Eìos sporse i propri verso l'interno della culla: il faccino tondo di Rua era incorniciato dalle manine strette in piccoli pugni; i ciuffi di capelli neri spuntavano da una cuffietta e la bocca rosa, come il bocciuolo di un fiore, colorava l'incarnato niveo.

- Allora vieni qui. - la esortò, tirandosela tra le braccia.

Ariela si accoccolò sul suo petto profumato di mare e del cuoio delle briglie del suo cavallo, gli strinse le braccia intorno al busto e tirò su il viso e la bocca nella muta richiesta di un bacio.

Eìos sorrise, le strinse la vita, resa più morbida e dolce dalla maternità, e le rubò il fiato con le labbra calde e la lingua insistente, come se le loro bocche fossero state separate da secoli e non solo da poche ore.

Aveva atteso di stringerla per l'intera giornata, e ora al crepuscolo, mentre le ombre tenui della sera si insinuavano lente tra le fronde, avvertiva lo stesso desiderio sotto la pelle calda di lei e se ne beava.

I mesi che avevano seguito il processo e il riconoscimento della propria innocenza erano trascorsi lenti e leggeri con un unico pensiero, quello della gravidanza e della buona salute di sua moglie e del suo seme.

Per ore intere, durante il giorno o la notte, si era occupato solo di guardare il suo ventre crescere, i seni rigonfiarsi e i lineamenti, prima spigolosi, rimpolparsi, come i frutti, che crescono, gravando sempre più con il loro peso sui rami.

La pace con Miran era venuta quel giorno della vigilia di Natale e, sebbene i fili intricati delle loro vicissitudini recassero ancora nodi dolorosi, il tempo delle ostilità era finito.

Non sarebbero stati fratelli per ancora molto tempo, forse non lo sarebbero mai stati per davvero, perché gli intrighi li avevano separati come due lembi di terra dal maremoto. Ma le assi di un ponte erano state lanciate tra le due rive dal gesto altruista di Eìos e il tempo e la verità rivelata avrebbero lavorato per loro.

La sua vita aveva spiegato le vele per tratte più sicure, dove i venti soffiano dolci e non fanno paura, e l'avevano portato ad essere padre, pronto ad amare, come lui stesso non era stato mai amato.

In sospeso era rimasto solo l'ultimo sordido intrigo del comandante
Kuvee, il danaro elargito per scavargli la fossa e i nomi dei suoi complici.

Le indagini non avevano accertato la sua connivenza al complotto ordito, ma le prove che erano state prodotte dal legale di Eìos smascheravano quanto meno la sua negligenza e la superficialità nella conduzione delle indagini. Il giudice, infatti, considerandolo inadeguato ad un ruolo di così grande potere e responsabilità, lo aveva degradato e trasferito in una città di confine.

Per ciò che riguardava il mandante, Eìos aveva avuto fin da subito ben chiaro un solo nome.

Leria aveva tessuto i sordidi fili di quella trappola, aveva procurato i denari necessari a ungere gli ingranaggi che l'avevano messo al bando; aveva attizzato l'odio che Kuvee nutriva per lui, stuzzicandone la cupidigia, la vergognosa sopraffazione delle leggi e della giustizia.

Ma, paradossalmente, i danni che quelle azioni scellerate gli avevano procurato apparivano marginali, come graffi sulla pelle, confrontati con le ferite che, come lame, ancora gli affettavano l'anima.
Le menzogne tessute ad arte, gli avevano messo contro Miran, il suo stesso sangue; avevano tormentato il cuore di suo padre e della donna che amava.
Lo avevano costretto a fuggire dal suo letto e dalla sua carne, senza accorgersi che essa stava mutando e coltivando un'altra anima.

Per quel male che ella aveva sparso come una epidemia sulla propria esistenza, avrebbe voluto ucciderla, strapparle tutto ciò a cui teneva: il rispetto e l'amore di suo figlio, l'onore del suo nome venerato da chiunque, la casa, il denaro, il futuro e gli occhi per piangersi addosso.

Ma non aveva mosso un dito, né un'accusa contro quella donna, poiché spettava al Dio in cui aveva cominciato a credere, giudicare, salvare, assolvere o punire.

Aveva taciuto il nome e i sospetti, espulso l'odio per incamerare la serena pace che la sua anima agognava.

Ariela e il dottor Elmisk lo avevano acclamato come uomo giusto, lo avevano elogiato per quella prerogativa tutta cristiana di saper perdonare anche la più infamante crudeltà.

Ma il gesto di Eìos era tutt'altro che cristiano e magnanimo.
Al contrario, era egoista e calcolato, elaborato come un'equazione matematica.
Le accuse a Leria avrebbero forse, cancellato i torti subiti?

Eìos era certo di no.

La sua condanna avrebbe portato, invece, altro male, aggiunto altra delusione a quella già procurata. Avrebbe tarlato, forse irreparabilmente, i resti di un'antica fratellanza, nata nei margini di una fanciullezza spensierata e ottimista.

Per pura vendetta, Eìos si sarebbe giocato il rispetto di sé stesso.

Non avrebbe potuto essere così stupido e masochista.

Si sentì il petto gonfio di aspettative nuove e di tranquillità, al pensiero che i grovigli della propria vita si fossero sciolti come nodi tra i denti di un pettine.

Mentre la stringeva e le baciava il viso con così tanta accuratezza e passione dolce, Ariela si abbandonò completamente, come se non dovessero più essere le proprie gambe a sostenerla, ma il corpo di lui, come un tutore intorno al quale si attorcigliano le piante rampicanti.

- Chiama Alvita. - le sussurrò contro le labbra schiuse e trepidanti, - Che si occupi lei di Rua. È tempo, oggi, di sorprese! - ammiccò, pizzicandole i fianchi.

Ariela ne osservò il sorriso furbo, la curiosità di donna le formicolò sotto i pori della pelle e si accese ancora di più, quando Eìos aggiunse: - Ti aspetto alle scuderie, i cavalli sono già sellati. -

******************

La cavalcata fu rinfrancante.

Il tragitto fuori della città, verso le colline dell'entroterra, in mezzo ai campi coltivati a maggese e sotto il riverbero lucente di un sole primaverile, li aveva riempiti di una serenità strana, indefinibile mista a impazienza e fermento.

Cavalcarono lentamente, fianco a fianco, in silenzio, scrutando l'espressione dell'altro, sorridendo a mezza bocca, come i bambini che vanno all'albero della cuccagna, fino a che giunsero al delimitare di una recinzione.

La muratura a sacco era alta abbastanza da nascondere ciò che racchiudeva e si interrompeva in una cancellata dalle volute di ferro brunito, incorniciata dai rami rampicanti di una buganville fucsia.

Eìos smontò da cavallo e lentamente si avvicinò a quello di lei, per aiutarla a scendere.

Tenendola alle proprie spalle, spalancò una delle ante e prendendola per mano la condusse oltre, in un lussureggiante giardino.

Percorsero un viale serpeggiante tra aiuole fiorite e variopinte e tronchi di alberi nodosi, fino a giungere dinnanzi alla facciata in pietra di una casa, dai davanzali fioriti e dalle impalpabili tende di organza bianca.

Era la casa di cui avevano sognato nelle notti instabili delle loro sofferenze, la casa che avrebbero voluto per crescere i propri figli e l'amore reciproco.

Il loro sogno fattosi pietra.

- Mi sono innamorato di te davanti ad una fontana come questa. - le sussurrò sulle labbra, soffermandosi davanti ad una piccola fontana che gorgogliava allegra, ricondando quel mattino d'argento alla tenuta, - E già quel giorno avrei voluto baciarti, stringerti alla stessa maniera di adesso, come se già mi appartenessi, senza conoscerti e senza avere ancora misura dei miei sentimenti per te. -

- Quanto tempo è passato? Possibile che ricordi ancora quel giorno? - chiese con finta sorpresa.

Ella stessa, quel giorno, aveva tremato di un brivido nuovo, di una sommossa interiore che lentamente e senza fare rumore l'aveva avviluppata tutta dall'interno del cuore fino ai margini del corpo.
Non sapeva che fosse amore allora, ma in quel momento, con la vita al sicuro, si accorgeva che quel neo nato sentimento, per quanto fosse estremo e travolgente, non era che il primo filo d'erba nella terra incolta che piano sarebbe diventato un prato sconfinato.

- Come potrei dimenticarlo. - le rispose, mentre le dita curiose cercavano la sua pelle attraverso la scollatura dell'abito. - La tua fu una ferita di carne, ma la mia, la mia fu una ferita d'amore. E una ferita d'amore non sana mai ... - aggiunse, sciogliendo il nastro di seta che serpeggiava tra le asole del bustino.

Ariela sorrise, gli occhi divennero due fessure profonde e brillanti di desiderio.

I lembi di stoffa si separano leggermente, come due rive, e la pelle bianchissima apparve sotto i segni scuri delle dita di lui. Un leggero brivido le accapponò i seni e i capezzoli di donna si risvegliarono, come la terra dopo la coltre fredda dell'inverno.

- Siamo all'aperto, sotto gli occhi di chiunque ... - gli fece notare, mentre le mani di Eios si chiudevano sulle coppe dei suoi seni.

- Non vedo altri che te ... non sento altri che te. - cercò di travolgere gli ultimi sprazzi della ragione di Ariela. - E tu ... cosa senti? - aggiunse, insinuando le dita sotto la seta del corpetto.

- Sento te ... amore mio. Soltanto te e non pretendo altro. - gli confessò con il proprio corpo, prima che con le parole.

- Dunque non accampare scuse ... - replicò, afferrandole i capelli sapientemente intricati in una treccia.

Negli ultimi mesi il suo desiderio era stato relegato in un astinenza forzata: il corpo di Ariela, già debilitato dai digiuni imposti dalla lontananza di suo marito e dalle avversità, aveva richiesto riposo e attenzioni per prepararsi allo sforzo venturo della gravidanza. Così, entrambi l'avevano messo a dimora, per il tempo necessario a prepararsi al parto, come si fa con le piantine d'inverno.

I giorni successivi alla nascita della piccola Rua poi erano stati impegnativi, affollati di emozioni nuove, di notti insonni e poppate, che in aggiunta agli strascichi del parto, avevano messo a dura prova corpo e umore di entrambi.

Ora, il tempo delle briglie sciolte era arrivato e le vene, i muscoli e i pensieri scalpitavano sotto la pelle, dentro la testa, sulla punta della lingua.

Quando raggiunsero la camera che sarebbe stata loro, Eìos si liberò in fretta dei sui abiti, rimanendo così completamente nudo.
Le rivolse le spalle per detergersi con l'acqua insaponata che colmava un bacile di ceramica.

La schiena riluceva sotto le piccole gocce d'acqua che rotolavano nei sentieri descritti dalle cicatrici. Così i glutei e le cosce, che si abbeveravano di esse, come campi nell'arsura estiva.

Ariela sorrise nel vederlo così scarmigliato e pronto e d'improvviso le vesti, i lacci, le sottane e persino il nastro di seta che le legava i capelli divennero insopportabili e pesanti.

La sua pelle anelava alla stessa libertà selvaggia di quella di lui, alla medesima aria che ne ossigenava i pori e all'acqua che ristorava il corpo del suo uomo.
Ma di più, supplicava il tocco delle sue dita, il contatto con la pelle, il fiato e la punta della lingua sulle ossa.

Sciolse definitivamente il laccio che chiudeva il corpetto, che si aprì sui seni gonfi, e sbottonò il bustino della gonna, lasciandola scivolare lungo le gambe fin sul pavimento, insieme alle sottane.

La pelle si accapponò per quella improvvisa nudità di femmina a cui non era più avvezza, ma nell'istante in cui gli occhi fiammanti di Eìos la guardarono, il calore del desiderio le sciolse ogni imbarazzo e il nodo del ventre rotondo.

Si mosse verso di lui che rimaneva immobile e teso, i fianchi ondeggiarono sinuosi verso le sue mani, che li accolsero impazienti. Ad un palmo da lui, i corpi distanti solo un soffio, Ariela gli sorrise di malizia, mentre i palmi aperti delle sue mani tracciavano arzigogoli invisibili sul petto.

Le ultime gocce d'acqua stagnavano nelle cavità delle clavicole, lungo la linea che separava i pettorali, nell'ombelico e nella setosa peluria che conduceva al nucleo vitale del suo corpo.

Poggiò le labbra su quelle gocce, le schiuse e succhiò pelle e acqua, facendogli vibrare il petto di un verso roco, come di un animale affamato.

Le mani di lui l'afferrarono per i fianchi, attirandola sul proprio corpo ed ella istintivamente aprì le cosce per allacciargliele intorno al bacino.

Tenendo le dita affondate nella carne delle natiche e gli occhi fissi in quelli di lei, compì i pochi passi che li separavano dal loro letto.

Vi ricaddero, sulle lenzuola intonse, uno sull'altra avviluppati, come nelle spire dei serpenti.

- Non mi hai mai baciato così ... - mugolò, mentre il punto di maggior forza del suo corpo violava le ultime di difese del corpo di lei.

- Non ti ho mai voluto così ... - gli rivelò, stringendo il labbro tra i denti per assecondarne l'affondo piacevolmente doloroso.

Era vero, il suo desiderio era cambiato, maturato e cresciuto in mezzo ai fili intricati delle loro sofferenze.

Era morto e rinato centinaia di volte, innalzato dalle speranze, atterrato dalle delusioni. Come una fenice immortale sotto coltri di cenere, aveva atteso il giorno della sua rinascita definitiva.

Quel giorno era giunto, mentre il proprio corpo rivestiva quello di lui, mentre si apriva ai suoi spasmi, ai colpi, alla lingua e ai respiri.

Era giunto, nel momento in cui tutto ricominciava, con la forza di sentimenti già possenti, di esperienze maturate, di un futuro scritto e premeditato dal giorno lontano del loro primo incontro.

- È questo, dunque, il nostro nuovo inizio, Ariela? - domandò, tendendo i muscoli, per insinuarsi ancora più dentro.

Una vibrazione lenta le scosse le pareti del cuore, dello stomaco, fino a sconquassarle il ventre, mentre il seme di lui si espandeva, languido e invadente. Gli strinse più forte le cosce intorno al bacino per accoglierlo e trattenerlo più a lungo possibile, perché ella stessa potesse liberare il proprio desiderio attorno al suo, come spuma di mare ad impregnare la rena.

Schiuse gli occhi, lentamente, e scintille di luce blu affiorarono tra le ciglia umide di desiderio appagato e lacrime di gioia. Il suo sguardo vacillò per un attimo quando si scontrò con quello di lui, pece nera e riflessi di stelle.

- È questo, dunque, il nostro nuovo inizio, Ariela? - insistette.

Non ci furono altre parole, Ariela non ne avrebbe saputo dire alcuna e in fondo Eìos non ne aveva davvero bisogno.

Bastarono un gesto d'assenso, il tremore delle labbra e il battito accelerato del cuore di entrambi a sostituire le parole.

Quello era dunque il loro nuovo inizio: il loro sogno fatto d'amore e di pietra.



 

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Ben trovate!

Dopo tutto questo tempo, riesco finalmente, a pubblicare l'epilogo di questa storia.
Mi scuso per avervi fatto aspettare, ma desideravo che "In nome del sangue, in nome dell'amore" avesse la conclusione che si merita.
È stata scritta con dedizione e anche con un po' di fatica, perché, credetemi, usare un linguaggio più attento, con vocaboli poco usati, per me è stato impegnativo.
Del resto, era necessario per dare alla storia quel sapore di un romanzo d'altri tempi.
Spero di non aver deluso nessuna di voi!

Ringrazio tutti coloro che l'hanno letta, l'hanno inserita nei loro elenchi di lettura.
Grazie a chi ha commentato, dandomi lo sprone per continuare.

Questa storia è dedicata a voi!
Ma soprattutto è dedicata a Drachen, perchè c'è sempre stata

Un bacio e alla prossima storia!

 

 

  
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