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Autore: LyaStark    23/01/2016    1 recensioni
Nel regno di Viride far parte della Corporazione degli Assassini è un privilegio, e Marcus ne è più che mai consapevole. Lui e i suoi amici vivono per obbedire, per soddisfare i desideri della famiglia reale. Ma cosa fare quando è la figlia del Re a chiedere aiuto, andando contro la sua stessa famiglia? Cosa fare quando il nemico è la Regina stessa, implacabile e pericolosa?
Marcus e i suoi amici dovranno capire in chi riporre la loro lealtà, ma hanno poco tempo perché la guerra incombe, su di loro e su tutto ciò che conoscono, pronta a distruggere ogni cosa.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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CAPITOLO IX
 
CAMILLE

 
Il viaggio fino a Basilea, incredibilmente, andò bene. Nessun fortunale, niente onde maligne che cercavano di ribaltarti, niente vento che spazzava la chiglia e, ultimo ma non per importanza, nessuno che vomitava in giro. A parte Jared, in effetti, ma gli altri mi spiegarono che lui non faceva testo perché appena metteva anche solo un piede sul ponte di una nave quello era il risultato.
    Il comandante della nave si dimostrò un galantuomo e mi cedette persino la sua cabina durante la traversata perché, parole sue, “una signora non può dormire in una stanza qualunque”. Mi ripromisi che mi sarei ricordata di quella cortesia.
    Basilea era la capitale d’Autunno degli Auremore e, come mi spiegarono Marcus e Andreas mentre sbarcavamo dalla nave, questo era particolarmente pericoloso per noi: eravamo in pieno ottobre e quindi era proprio lì che si trovava in quel momento la famiglia reale con tutta la sua corte e, soprattutto, con tutti i suoi soldati. Pattuglie armate giravano per le strade per tenere la situazione sotto controllo e proteggere i regnanti, rendendo molto difficile fare qualsiasi cosa senza venire notati.
    A parer mio la città era la meno bella tra le capitali di Dimina, anche se rimaneva comunque molto affascinante. Sorgeva sulle sponde del mare, di cui i diminiani erano padroni. Si diceva che nessuna flotta potesse competere con quelle di questo paese e, anche se era da anni che non c’era una guerra, i libri di storia parlavano di battaglie per il controllo delle acque in cui le navi di Dimina distrussero completamente quelle avversarie, rendendole legno marcio sul fondo del mare e cibo per i pesci.
    Il palazzo d’Autunno era stato costruito su un istmo roccioso circondato dalle acque, lontano dalla città. Si diceva galleggiasse sul mare per un miracolo divino, ma la verità era che i costruttori al servizio degli Auremore erano solo molto bravi a fare il loro lavoro.
    Dalle balconate e dai giardini cascate d’acqua portata dai fiumi si riversavano nel mare sottostante, rendendo splendida la vista al tramonto e all’alba, quando la luce del sole si rifletteva sugli schizzi e sulla spuma delle onde. Lo so perché tanti anni fa, quando mio padre era ancora in vita, la mia famiglia era stata invitata ad un evento ufficiale e, essendo pieno autunno, si era svolto lì. Quello che mi passò sotto gli occhi mentre percorrevamo la città dopo essere sbarcati, però, era completamente diverso da quello che avevo visto da bambina dalle mura del Palazzo Reale.
    Basilea era sempre stata famosa per la pelle e per il cuoio, ma mai avevo collegato una di queste cose con la puzza che c’era nell’aria. Era un odore pungente e, almeno per me, sgradevole, che penetrava nel naso non togliendosi più, coprendo ogni altra cosa. Case rosse, costruite con la pietra che veniva estratta ancora adesso dalle cave disseminate per il regno, sorgevano a ogni angolo. Era una delle città più popolose dell’intera nazione e quindi decine e decine di persone si ammassavano l’una sull’altra, percorrendo le vie dritte e insensatamente strette della capitale.
    Per me, nata e cresciuta a corte e vissuta per due anni in un villaggio sperduto dentro a un bosco, una visione del genere era inconcepibile e anche spaventosa. Continuavo a venire urtata, spintonata, toccata da sconosciuti che camminavano senza curarsi della gente attorno, procedendo per la loro strada senza deviare di nemmeno un passo.         C’erano rumori da ogni parte: urla, risate, pianti di bambini, voci, nitriti di cavalli, rumori di carri che avanzavano cigolando. Sentii improvvisamente una strana sensazione di panico avanzare dentro di me, mozzandomi il respiro che iniziò a uscire dalle mie labbra sempre più rapido e meno profondo. Ovunque girassi la testa c’erano persone. Mi mancava l’aria. Non so come se ne accorse, ma a un certo punto Marcus mi prese la mano, tirandomi verso di sé.
    – Guarda verso l’alto, Camille, e respira. –
    Mi addossai a lui e feci come mi aveva detto. Guardai il cielo bianco percorso da basse nuvole lattiginose, togliendo dal mio campo visivo le teste di tutta quella gente che mi pressava da ogni lato. Chiusi gli occhi e sentii l’aria entrare e uscire dai miei polmoni, tranquillizzandomi. La puzza sfortunatamente era ancora lì, ma adesso era parzialmente coperta da un odore diverso, piacevole, pungente e fresco. Feci un respiro profondo e aprii gli occhi, trovando Marcus che mi fissava accigliato dall’alto, accorgendomi che l’odore che sentivo era il suo. Eravamo come un’isola ferma in mezzo alla fiumana di gente e solo in quel momento mi resi conto di quanto eravamo vicini, praticamente abbracciati. Avvampai e mi staccai in fretta.
    – Va meglio? – mi chiese.
    – Sì, non so cosa mi sia preso, – feci una risata stentata, tirando indietro una ciocca di capelli che era sfuggita dalla treccia. – Grazie. –
    Lui annuì sorridendo e stava per dire qualcosa quando fu interrotto da un urlo belluino di Jared.
    – Vi muovete? Se ci perdiamo qui non ci ritroveremo mai più! –
    – Arriviamo! – gli urlò Marcus, per poi rivolgersi a me. – Stammi vicino, va bene? Anche se spero che tra poco usciremo da questa bolgia. –
    Feci come mi aveva detto e in effetti, dopo poco, girammo in un vicolo più tranquillo, per riprendere fiato e cercare di capire cosa fare, visto che avevamo evitato di parlare troppo sulla nave per non rischiare che le nostre parole finissero nelle orecchie sbagliate. Come si dice, fidarsi è bene ma forse non fidarsi è meglio.
    La strada che avevamo preso era un vicolo cieco chiuso dal cancello in ferro battuto di una grande casa, che faceva ombra e toglieva quella poca luce che veniva dal cielo coperto. Faceva freddo lontano dalla folla, che si muoveva e rumoreggiava poco lontano nella via principale.
    – Quindi? Che si fa? – chiesi.
    – Come che si fa? Dobbiamo trovare questo tale Carean – mi rispose Andreas.
    – Grazie, Andreas, fino a qui ci arrivavo da sola, – ribattei con uno sbuffo impaziente. – Che cosa vi ha detto Hyatt su di lui? –
    Non avevamo ancora parlato bene di quello che era successo nella cantina, a Melusine. Loro mi avevano detto a grandi linee cosa avevano scoperto e io avevo capito che l’uomo era stato torturato e poi ucciso. Più ci pensavo più mi incupivo. Avrei davvero dovuto camminare sui cadaveri per ottenere il mio trono? Ero pronta a farlo? Scossi la testa scacciando quei pensieri, ripetendomi che avrei fatto qualunque cosa sarebbe stata necessaria per ottenere ciò che mi spettava di diritto. E poi quell’uomo era disgustoso, viscido e malvagio, ed era un assassino. Così come lo erano gli uomini vicino a me, mi ricordò una vocina nel mio cervello che decisi di ignorare. In quel momento presi una decisione: non avrei lasciato che Marcus e gli altri facessero tutto il lavoro sporco, ma da quel momento in avanti avrei fatto ogni cosa insieme a loro. Solo così avrei avuto davvero la consapevolezza di quello che stavo facendo, di quanto sarebbe costata la mia vendetta.
    – Non molto in realtà, – mi rispose Mel. – Se non che è arrivato fino a qui, con un posto nell’esercito pronto da prendere. Se poi abbia colto l’occasione non lo sappiamo e non sappiamo se si sia spostato. Le informazioni sono vecchie di almeno dieci anni e non ne abbiamo altre. –
    Le mie sopracciglia schizzarono verso l’alto: – Quindi non sappiamo praticamente niente? –
    – Esatto. –
    Fantastico. Davvero fantastico. Che poi, che mi aspettavo? Seguivamo una pista vecchia di dodici anni e non c’era garanzia che saremmo riusciti a percorrerla fino alla fine, visto il tipo di soggetti che cercavamo. Magari erano già tutti morti e sepolti e la nostra ricerca era destinata a fallire. Non avevo mai pensato alle cose da quel punto di vista e uno strano panico si fece strada dentro di me. Si diceva che si capiva quanto si voleva una cosa nel momento in cui ti veniva tolta, e io d’improvviso capii che il desiderio della vendetta era quanto di più forte c’era nel mio corpo: la possibilità di non ottenerla mi mozzava il fiato. Sarei andata fino in fondo a quella storia, a qualunque costo.
    – Sono solo le due di pomeriggio, – disse Marcus. – Direi che possiamo fare un giro per la città cercando di capire come orientarci, visto che non sono l’unico a non essere mai stato qui. Che ne dite? –
Annuimmo tutti, sperando che la giornata ci portasse consiglio. Dopo pochi minuti c’eravamo già di nuovo tuffati nel caos della via principale.
               
***
 
Ore dopo non avevamo cavato un ragno dal buco: avevamo più o meno imparato come orientarci nella città ma per quanto riguardava il nostro uomo non avevamo trovato niente che avrebbe potuto aiutarci nella ricerca.
    In quel preciso momento stavamo comprando da mangiare da un banco in mezzo alla strada, che vendeva forme di pane scavata all’interno contenenti una zuppa di pesce. Avevo talmente fame che sarei potuta svenire e l’odore del cibo mi sembrava provenire direttamente dal paradiso, mentre il sapore era ancora migliore.         
    Decidemmo durante la cena improvvisata di cercare due posti separati dove dormire, per evitare di rendere troppo facile la vita agli Assassini della Corporazione che ormai, secondo Andreas, si erano messi inevitabilmente sulle nostre tracce. Purtroppo, a differenza di Melusine, Jared non aveva nessun contatto con affascinanti cameriere di locanda, quindi ci accontentammo di quello che ci capitò sotto tiro.
    Io, Marcus e Andreas ci dirigemmo verso quella consigliataci dal venditore di zuppe, poco lontano dal centro città, mentre Mel e Jared andarono alla ricerca di un altro posto dove poter riposare. L’appuntamento era per il giorno dopo alle 8 di mattina (e avevamo dovuto lottare per convincere Andreas che non era troppo tardi), in una piazzetta in cui eravamo capitati ripetutamente durante il giorno.
    La locanda consigliataci, che rispondeva al nome molto sobrio di “La moglie ubriaca”, era pulita e semplice, che per quanto mi riguardava era il massimo che potevo desiderare. La notte passò tranquilla e il mattino dopo ci dirigemmo puliti, riposati e sazi verso il luogo dell’incontro dove i nostri amici ci aspettavano. Avvicinandoci ci accorgemmo però che, mentre Mel era seduto sul bordo di pietra della fontana in mezzo alla piazza, Jared era stravaccato su una panchina poco distante, praticamente incosciente.
    – Tutto bene? – chiese Marcus, avvicinandosi a Mel, guardando preoccupato Jared che non dava segno di vita.
    – Sì, grazie, e voi? – rispose lui, con un sorriso riposato stampato sul volto.
    Marcus lo guardò come se avesse dei problemi mentali, e io feci una risatina, seguita subito da Andreas.
    – Noi tutto a posto, – dissi ancora ridacchiando, riempiendo il silenzio creato da Marcus. – Ma Jared? Che ha? –
    Un mugolio provenne dalla panchina dove stava sdraiato Jared, che veniva guardato malamente dalle persone che gli passavano vicino.
    – Ah, sì. Siamo andati a bere ieri sera e ha iniziato a dire che era in grado di reggere più di me. – fece Mel alzandosi, mentre Marcus e Andreas fissavano Jared da lontano con aria sconvolta e sopracciglia alzate.
    – Non lo facevo così stupido – disse Marcus, con le mani sui fianchi, in una replica perfetta di una mamma che sgrida il figlio dopo che questo ha combinato qualche pasticcio. Jared fece un verso più forte degli altri.
    Lo guardai stupita: – Io non ci vedo nulla di così strano, anche se il tempismo non è stato dei migliori. Voi uomini non lo fate ogni tanto? – 
    – Si vede che non hai mai visto bere Mel, è uno spettacolo quasi spaventoso, – mi rispose Andreas che, con Marcus, si stava dirigendo verso Jared. – E comunque non siamo solo “noi uomini” a farlo, ci sono delle ragazze che finiscono tramortite sotto il tavolo molto dopo di me. –
    Sorrisi all’immagine mentre Andreas e Marcus prendevano da sotto le ascelle Jared, per tirarlo in piedi. Lui biascicò qualcosa in un tentativo di rivolta, ma palesemente aveva qualche difficoltà sia nel pronunciare parole di senso compiuto sia nel camminare autonomamente. Lo portarono di forza fino alla fontana e poi, sotto lo sguardo divertito di Mel e mio, gli misero la testa nell’acqua gelida. Jared iniziò a muoversi e dimenarsi e quando gli tirarono fuori la testa i capelli argentei erano gocciolanti, ma almeno gli occhi blu iniziavano ad aprirsi. Ripeterono il procedimento per un paio di volte, fino a quando nello sguardo di Jared rimase solo una minima traccia di annebbiamento e i vapori dell’alcol non furono scacciati dal freddo. La casacca era fradicia, come anche le maniche e i capelli.
    – Basta, basta! Sono sveglio! – urlò, subito prima di essere lasciato dagli amici.
    – Molto bene, – gli rispose Marcus, dandogli una pacca sulla spalla bagnata. – Perché ci servi sobrio e attento. –
               
***
 
Dopo poco stavamo dirigendoci verso zone diverse della città, per continuare la nostra azione di ricerca. Avevamo deciso di iniziare a chiedere in giro, con circospezione, se qualcuno conoscesse Lod Carean. Avremmo evitato la guarnigione dell’esercito per non attirare troppo l’attenzione, ma non avevamo un posto specifico in cui andare a chiedere. Avremmo dovuto battere tutta città e forse qualcosa sarebbe venuto fuori. Ci dividemmo e scegliemmo una zona da perlustrare: a me e a Marcus toccò la zona nord (a quanto pare non si fidavano a farmi girare da sola), a Mel la zona sud, a Jared l’ovest e ad Andreas, ovviamente, l’est. Ci saremmo trovati per le nove di sera alla piazza della fontana, sperando di avere buone notizie. Altrimenti avremmo dovuto inventarci qualcos’altro e non sapevo assolutamente che cosa avremmo potuto fare.
    Il nord della città di Basilea era occupato per la maggior parte da una classe di gente comune arricchita: non c’erano poveri ma nemmeno nobili e molti di quelli che abitavano in questa zona erano mercanti che avevano potuto migliorare la loro vita con il commercio. Era come entrare in un mondo a parte, diverso dalla zona del porto con le sue case piccole e anche un po’ pericolanti, ma anche totalmente differente dalla città vicino al castello reale, con abitazioni enormi e marmi pregiati.
    Lì dove eravamo noi le case erano sì grandi, ma costruite con i mattoni rossi tipici della zona, i giardini erano comuni e molto curati, c’erano fontane di pietra bianca, calcarea, in ogni piazza, e le vie erano costeggiate da file di alberi di Sahar che, a quanto potevo vedere, erano stati potati da poco. Persone ben vestite percorrevano le strade, alcune viaggiavano a cavallo e altre in carrozza, ma comunque non c’erano il caos e la confusione che vigevano nel resto della città. Tutti sembravano tranquilli e senza fretta, e anche stranamente cortesi. Nessuno ci guardò con sospetto e anzi, qualche uomo mi fece persino un elegante cenno del capo passandomi vicino, nonostante non avessi proprio l’aspetto di una nobildonna. Ogni cosa era rilassata, come se fossimo in un mondo a parte. Non mi sarei stupita di scoprire che la zona in cui ci trovavamo era recintata e che i cittadini comuni non potessero raggiungerla se non sotto invito. Le guardie reali, onnipresenti in città, passavano davanti a noi ignorandoci e tenendo alti gli stemmi degli Auremore. Marcus camminava vicino a me in costante ammirazione, girando la testa da una parte all’altra della strada, fissando ogni cosa, facendomi temere che gli cascasse dal collo e rotolasse per la strada.
    – Eri mai venuto qua prima? – gli domandai, vedendo la sua curiosità.
    – No, mai. Avevo visitato Melusine e la Capitale d’Inverno, Vilena, ma Basilea mi mancava ancora. E poi ho visto decine di cittadine disperse per le campagne, ma quelle non fanno testo. –
    – E ti sta piacendo? –
    – Moltissimo, anche se credo che la mia preferita tra le città di Dimina rimanga Vilena, almeno per ora. Ci sei mai stata? –
    – Una volta, tanto tempo fa. Mi ricordo solo neve e ghiaccio, niente che mi avesse entusiasmato particolarmente. Preferisco Elea, che per me è la più bella di tutte – dissi e mi accorsi che era davvero da tanto tempo che non vedevo la mia città. Mi mancava casa mia.
    – Io non ci trovo niente di che, in Elea. È banale. Qui invece c’è così tanto e molte cose sono diverse rispetto a come sono da noi. Ma ciò che mi piacerebbe di più in assoluto sarebbe vedere le grandi città del Sud, come Egalia, la Regina del Deserto – mi disse, e mentre mi parlava mi accorsi che gli luccicavano gli occhi.
    – Ti piace viaggiare? – gli chiesi, sorridendo, e mi resi conto che da quando eravamo arrivati nella nostra zona della città non avevamo fatto altro che chiacchierare, lasciando perdere la nostra ricerca. Tanto la giornata era lunga, mi dissi; di tempo ne avevamo. Però tra me e me sapevo benissimo che non avremmo iniziato tanto presto con la ricerca di Carean, visto che quello che stavamo facendo era di gran lunga un’attività migliore.
    – Sì, tanto. Soprattutto per mare, nonostante la scena impietosa del viaggio verso Melusine. Credo che se non facessi quello che faccio sarei un marinaio, di quelli che coprono la rotta per il commercio di sete e spezie, lungo tutti i paesi del sud e del nord. E di te invece, che mi dici? Ti piace viaggiare? –
    Ci pensai un po’ su: – Sai, – risposi. – Sono scappata per così tanto tempo che adesso l’unica cosa che vorrei è un po’ di riposo a casa mia. Mi piacerebbe poter stare ad Elea fino ad annoiarmi. Però quando ero piccola mi ricordo che quando mio padre veniva a dirmi che mi avrebbe portata con sé in uno dei suoi viaggi era sempre una festa. –
Sorrisi al ricordo.
    – E che posti hai visto? – mi chiese la voce interessata di Marcus, mentre continuavamo a camminare con calma per le vie di quel quartiere ricco.
    – Ho visto Basilea, Vilena, Melusine e Raissa, la Capitale di Primavera di Dimina. Ho visto Alessandria, a Cesia, e anche alcune oasi nel deserto che la divide da Albis. Sono andata al Lago delle Stelle Cadute, sulla linea di confine delle nazioni del sud. Ma il posto più bello per me rimarrà sempre il Monastero di Hiems. L’unica strada che porta fino a lì passa per le montagne e ci si mettono tre giorni per completarla. Tutti coloro che vogliono arrivare al Monastero devono passare da lì, obbligatoriamente, in una sorta di pellegrinaggio. Sono tutti d’accordo nel dire che è un percorso faticosissimo, anche se per me non è stato così. Sai, i soliti privilegi dei ricchi, io la strada l’ho fatta a dorso di mulo. Una delle cose che voglio fare quando riavrò la mia vita sarà andare là, e questa volta a piedi, come tutti. –
    – È così bello lassù? –
    – Più di quanto tu possa immaginare. Il Monastero è su una delle vette più alte della catena montuosa ed è completamente costruito con pietra bianca. Sembra luccicare quando lo si vede dalla strada. – dissi sorridendo. – Le regole dicono che chiunque vada lassù debba rimanere in silenzio, a pensare, e non ci sono privilegi per Re, Principesse o Regine. I Monaci passano le loro giornate pregando e venerando Lais, la Dea del Cielo che si trova sopra tutti noi. Tutti coloro che arrivano fino a lì possono scegliere cosa fare: si può meditare, o lavorare, o guardare il panorama e, ti giuro, ne vale davvero la pena. È sotto un cielo così blu che fa male guardarlo e dall’alto si vede il lago al fondo della valle, che brilla nella luce del sole. Hanno allevamenti di aquile, lassù, e quindi si vedono e si sentono i rapaci volare nel cielo a qualunque ora del giorno. Ma il vero spettacolo è di notte, quando ti senti così vicino alle stelle da poterle quasi toccare. –
    Marcus mi guardò, serio: – Mi piacerebbe poterci andare, un giorno. –
    – Sarei felice di accompagnartici – gli risposi, inchinando leggermente il capo. Non mi stupii quando mi accorsi che era vero, niente avrebbe potuto rendermi più contenta che visitare quel posto magico con lui.
    Io e Marcus continuammo a chiacchierare del più e del meno mentre camminavamo per le vie di quel quartiere, a Basilea, ed era davvero incredibilmente facile parlare con lui. Gli parlai un po’ della mia infanzia, di come fosse la vita a corte, e lui mi raccontò di come era entrato a far parte della Corporazione degli Assassini e della sua vita lì. Quello che Marcus mi stava dicendo era qualcosa di completamente inumano. Non che lui si lamentasse, o incolpasse qualcuno di ciò che gli era successo, anzi: era tranquillo e sereno mentre me ne parlava, ma per me tutto ciò era semplicemente inconcepibile. Il pensiero che un genitore potesse vendere il proprio figlio e che tutto questo venisse fatto col consenso del Re era terribile.  Sarebbe stata un’altra cosa da cambiare. Non capivo però da dove mi provenissero tutto quello stupore e orrore che sentivo crescere nell’anima: mia madre, in fondo, aveva cercato di uccidermi. Vendere il proprio figlio non era forse qualcosa di meno terribile? Non avevo una risposta, ma sapevo che tutto ciò non era giusto e che sarebbe dovuto cambiare. Come? Non lo sapevo, ma ci avrei pensato una volta avuto il trono.
    In tutto questo il fatto che avremmo dovuto iniziare a chiedere in giro per avere informazioni su Carean ci passò dalla testa. Camminammo come due viaggiatori, incuriositi da ogni cosa, guardando tutto con stupore. Poi a un certo punto sbucammo in una piccola piazza dove sorgeva un tempio stupendo. Si ergeva alto verso il cielo, torreggiando sulle case rosse lì vicine. La pietra color ocra di cui era fatta sembrava aver assorbito il calore del sole, emanando una luce giallastra verso noi che la stavamo guardando. Io e Marcus ci guardammo negli occhi e, senza dire una parola, ci dirigemmo verso l’ingresso costituito da un enorme portone di legno inciso con paesaggi. All’interno si apriva una struttura esagonale, con sei piccole nicchie scavate una in ciascuna parete, e nel centro della sala si stagliava un enorme albero verde, con i rami e le foglie che salivano verso l’alto e il tronco argentato. Da un buco rotondo nel soffitto passava la luce del sole, colpendo in pieno l’albero e illuminandolo di ogni sfumatura del giallo. Attorno ad esso stavano persone inginocchiate, a pregare con un mormorio lento.
    – A Dimina, – mi bisbigliò Marcus, mentre io guardavo con occhi spalancati l’enorme albero davanti a noi. – Venerano, tra gli altri dei, la Natura. È per questo che si trovano templi così, dove si venerano gli enormi alberi di Arain, simbolo del dio. –
    Io annuii in silenzio, non riuscendo a staccare gli occhi dallo spettacolo davanti a me. Non avevo mai visto niente del genere, in nessuno dei miei numerosi viaggi. Quell’albero che cresceva nel tempio era la cosa più straordinaria che avessi mai visto. Sembrava antico e giovane al tempo stesso, e potevo capire come mai i diminiani pensassero che fosse infuso dell’anima di un dio.
    Scossi la testa: – Vedi la differenza? Noi di Viride veneriamo Polemos, la Guerra, e qui pregano la Natura. Sono sempre più convinta che ci sia qualcosa che non va nella nostra nazione. –
    Marcus ridacchiò: – Direi che non servisse venire fino a qui per rendersene conto. –
    Uno degli uomini inginocchiati ci zittì con un sibilo scocciato, guardandoci male. Trattenni una risata e iniziai a girare per il tempio. Sulle pareti mosaici rappresentavano scene di natura, con animali e piante rappresentati benissimo. Nelle nicchie stavano annidati cespugli di fiori, di ogni tipo e colore, e piccoli alberi in miniatura, perfettamente curati. Sulla parete rivolta a est era rappresentato il volto benigno del Dio della Natura, o almeno immaginai fosse lui. Era verde e mi fissava benevolo, come sapendo tutto ciò che stava nel mio cuore e accogliendolo. Non mi ero mai molto interessata delle culture straniere e solo in quel momento mi resi conto del mio errore.
    Rimanemmo per un po’ ad ammirare l’interno dell’edificio, in completo silenzio per non disturbare. Quando decidemmo di uscire un uomo che doveva essere un monaco, almeno a giudicare dagli abiti di tutte le sfumature del marrone e del verde, mi diede sorridendo un rametto di ciliegio, ricco di fiori delicati. Gli sorrisi e inchinai la testa al suo gesto gentile.
    Uscendo decidemmo di fare un giro della piazza ma prima che potessimo allontanarci troppo dalle mura del tempio, l’occhio mi cadde su una sorta di bacheca appesa a lato dell’ingresso. Non so perché prima non l’avessimo notata, ma ora ero troppo incuriosita per non andare a vedere cosa ci fosse scritto. Quel culto mi affascinava. Avrei voluto saperne di più e speravo che quei fogli appesi potessero soddisfare la mia curiosità. Feci cenno a Marcus di aspettarmi e lo vidi aggrottare le sopracciglia, in un’espressione incuriosita.
    – Vado solo a vedere una cosa, ci metto cinque secondi. Aspettami qui. –
    Mi diressi verso la bacheca con pochi passi rapidi e quello che vidi mi lasciò senza fiato. Sotto una serie di cerimonie di ogni tipo che venivano tenute all’interno del tempio c’era l’elenco dei funerali che si sarebbero svolti di lì a una settimana. Feci un urlo e richiamai Marcus, dicendogli di muoversi: davanti a me, tra i nomi dei deceduti, spiccava quello di Lod Carean.
 
***
 
Alla sera, quando finalmente stavamo per rincontrare gli altri, non stavo più nella pelle per l’emozione e la preoccupazione. Da un lato ero estremamente felice di essere stata io a trovare notizie del nostro uomo, dall’altra ero inquietata dal fatto che fosse morto. Come avremmo fatto a scoprire quello che ci interessava? Decisi di smettere di pensare alla questione e di godermi di essere stata, per una volta, quella che aveva dato una svolta alla ricerca. Quando arrivammo alla piazza della fontana Mel e Andreas erano lì ad aspettarci parlottando a braccia incrociate, seri e posati.
    – Allora, – esordii. – Com’è andato il vostro giro? –
    – Abbastanza bene, direi. Il vostro? – mi rispose Andreas, con un sorriso furbetto negli occhi.
    Ahia. Temetti che la mia notizia non fosse poi così esclusiva come avevo creduto fino a quel momento.
    – Fantasticamente. Vero Marcus? –
    Lui, traditore, annuì senza dimostrare troppo entusiasmo. Aspettammo Jared chiacchierando del più e del meno, decidendo di aspettare per dire le novità scoperte fino a che non fossimo stati tutti. Quando finalmente anche lui si unì al gruppo ci spostammo su una delle panchine ai lati della piazza, per non dare troppo nell’occhio. Sopra di noi il cielo stava diventando sempre più scuro, e le stelle e la luna illuminavano la strada.
    – Ragazzi, – esordì Jared. – Ho grandi notizie. –
    – Anche noi! Abbiamo scoperto che fine ha fatto Carean. Non lo indovinereste mai – dissi, velocemente, guardando Marcus che ridacchiava vicino a me, stupito probabilmente dalla mia regressione a dodicenne bambina competitiva. Poco da fare, mi è sempre piaciuto essere quella con le risposte.
    – Sì, – disse lui, bloccandomi e facendomi stare ferma. – E non sono sicuro che sia in effetti una buona notizia. –
    – Dato che è morto – aggiunse Andreas, togliendo tutta la suspense del momento.
    Feci un sorriso sghembo, un po’ delusa – Lo sapevate già? –
    – Sì, – mi rispose Jared, – A quanto pare quel tipo aveva debiti con tutta la città, quindi c’è voluto poco per scoprire che fine avesse fatto. Si è suicidato a causa dei creditori e dopodomani ci saranno i funerali. Mezza Basilea è in lutto perché non rivedrà più i suoi soldi. –
    – Io e Camille abbiamo visto il tempio dove si terranno, è nella parte nobile della città. Ma com’è possibile che abitasse lì se era pieno di debiti? – chiese Marcus, incuriosito. In effetti, dopo la nostra scoperta non avevamo più chiesto niente in giro, sicuri che tanto il più era stato fatto.
    Mel si sedette sulla panchina, appoggiandosi i gomiti sulle ginocchia: – A quanto pare Carean doveva essere un bell’uomo: era arrivato qui da poco che si organizzò il suo matrimonio in fretta e furia. Dicono in giro che fosse stato beccato con la figlia di un famoso mercante in una circostanza, diciamo, non propriamente onorevole. In pratica fu obbligato a sposarsi con la ragazza che aveva disonorato per evitare di essere consegnato alle guardie della città. –
    – Ah già, – Jared alzò gli occhi al cielo. – In queste ridenti cittadine se vieni beccato con una donna non ancora sposata puoi venire accusato di stupro e se poi vieni giudicato colpevole, cosa che avviene nella stragrande maggioranza dei casi, la pena è il capestro. Bella eh Dimina? –
    – Non ti piace solo perché tu saresti finito appeso un centinaio di volte. –
    – Mi dispiace solo per i miei fratelli libertini di queste città, io non mi farei mai beccare, – ridacchiò Jared, pensando a chissà quale delle sue avventure galanti. – Da noi è tutta un’altra vita, pensate che una volta… –
    – Grazie, Jared, – lo interruppe Andreas, alzandosi e allontanandosi di qualche passo. –Ma possiamo vivere anche senza saperlo, ne sono sicuro. Adesso, se abbiamo finito con i discorsi stupidi, direi di andare a procurarci qualcosa da mangiare. Muoio di fame. Al porto vendevano solo pesce e a me il pesce fa veramente schifo. –
    – Ma non abbiamo nemmeno deciso cosa fare! – sbottai, iniziando a seguirlo imitata dagli altri. Incredibile che pensassero davvero a mangiare.
    Marcus mi guardò con aria interrogativa. – In verità mi sembra che sia tutto molto chiaro. –
    – Non per me, questo è sicuro. –
    – Beh, abbiamo nel gruppo uno dei migliori seduttori di tutta Viride e il nostro caro Carean ha lasciato una vedova dal cuore infranto. Io direi di sfruttare questa opportunità. –
    – Quindi liberiamo la belva? –
    – Ah, ah, quanto sei spiritosa, – mi rispose Jared, ironico, prendendomi a braccetto. – Preparati piuttosto, Cami, perché a breve vedrai un maestro all’opera. –
    Mi fermai, guardandolo storto: – Come mi ha chiamata? –
    – Cami. È l’abbreviazione di Camille. Nessuno ti chiama mai così? –
    – Non due volte di fila. –
 
***
 
Due giorni dopo eravamo tornati nel quartiere nord della città, nella piazza del tempio che io e Marcus avevamo scoperto in maniera casuale. La gente che si era radunata lì davanti era poca e i più, immaginai, erano creditori del morto che non vedevano l’ora di rifarsi sulla vedova. I funerali si tenevano al mattino presto di solito e in quel giorno di autunno inoltrato un cielo lattiginoso stava sopra di noi, senza che nemmeno un raggio di sole attraversasse la coltre di nubi. Un vento freddo, già invernale, spazzava le vie e il piazzale davanti all’androne.
    – Spero solo che la vedova sia una bella donna, perché altrimenti mi dovete un grosso, grosso favore – disse Jared, a braccia conserte, guardando male le porte aperte del tempio. Lo ignorammo ed entrammo nell’edificio, dove il funerale era appena iniziato.
    Il tempio era identico a come era stato il giorno prima, ma questa volta un leggero odore di decomposizione aleggiava nell’aria. Sotto l’enorme albero di Arain c’era il corpo di un uomo, sdraiato a pancia in su, con le braccia unite sopra al petto. La carnagione aveva un colore malsano, verdastro, e la pelle sembrava essere fatta di cera. Gli occhi erano sprofondati nelle orbite e le mani che uscivano dalle maniche della giacca avevano le unghie nere. Nonostante tutto, però, dedussi che in vita Carean non doveva essere stato un brutto uomo: i capelli castani, ondulati, erano leggermente spruzzati di grigio, il cadavere sembrava essere stato alto e muscoloso, e i lineamenti non erano così terribili, nonostante i giorni passati dalla morte. Pensai che, per quanto potesse essere bello il culto della Natura, quella fosse un’usanza barbara: molto meglio il fuoco che usiamo noi a Viride, puzza molto meno.
    Attorno all’albero, inginocchiati in cerchio sul pavimento di pietra, c’erano tutti coloro che avevano deciso di dare l’ultimo saluto al morto. Ci saranno state una trentina di persone di ogni tipo e genere e, davanti al corpo, stava una donna impietrita che nemmeno piangeva. Doveva essere la vedova. Sembrava cristallizzata nel suo dolore, immobile, con lo sguardo fisso. Doveva avere sui trentacinque anni, più o meno. I lineamenti erano dolci, il viso rotondo ma non grasso. Il collo lungo ed elegante spariva nel colletto di un vestito nero, lasciando intravedere le clavicole leggermente sporgenti. La bocca sottile era di un delicato colore rosato e quando si girò per mormorare qualcosa al suo vicino scoprì una fila di denti bianchi e regolari. Alcune ciocche dei lunghi capelli neri, tirati su in un’acconciatura complessa, incorniciavano il volto facendo risplendere la carnagione bianca e delicata di chi non ha mai lavorato in vita sua. Il vestito nero, da lutto, era semplice e poco lavorato, accentuando però il punto vita e il seno della donna. Gli occhi, di un colore che non riuscii a cogliere, venivano ombreggiati da lunghe ciglia ogni volta che sbatteva le palpebre. Vicino a lei una signora più anziana, che dalla somiglianza poteva essere la madre, le stringeva una spalla cercando di darle sostegno. Sentii Jared, vicino a me, fare un sospiro di sollievo.
    – Sembra che sarai tu a doverci un favore – gli sussurrai all’orecchio, guardando il sorriso compiaciuto che gli si era dipinto in viso. Non mi rispose, impegnato com’era a fissare la vedova.
    Dopo poco si avvicinò all’albero uno dei sacerdoti del culto, vestito di verde e di marrone, con in mano dei bastoncini di incenso. Iniziò a salmodiare, seguito dalle persone inginocchiate, in una lingua che non avevo mai sentito prima. Cantammo e pregammo per le seguenti due ore, e mi sentivo le ginocchia in fiamme e distrutte. Era una delle posizioni più scomode che avessi mai tenuto, ma sopportai in silenzio. Alzarsi non sarebbe proprio stato un bel gesto, non nel bel mezzo di un funerale almeno.
    Alla fine dei canti, un altro uomo affiancò il sacerdote e, insieme, aprirono una botola ai piedi dell’albero, di cui io non mi ero nemmeno accorta. Come rispondendo a un segnale tutti si alzarono e, iniziando una canzone che sembrava essere felice e piena di gioia, voltarono la schiena al morto e ai sacerdoti, chiudendo gli occhi.
    Io e gli altri ci alzammo in piedi imitandoli anche se l’unica che sembrava un po’ stranita ero io, mentre i miei amici erano riusciti persino a riconoscere qualcuno dei salmi in quella lingua bizzarra e sconosciuta. Non resistetti a sbirciare con la coda dell’occhio e vidi i due sacerdoti prendere il corpo di Carean e buttarlo nella botola, sotto all’albero, come avrebbe potuto fare un assassino comune per nascondere un corpo. Non c’era sacralità in quello che facevano, in come trattavano il corpo, in come lo lanciarono attraverso la botola, ed era tutto completamente diverso da come succedeva nel nostro paese. Mi ripromisi di chiedere a Marcus delucidazioni su quella strana cultura.
    Poi, dopo alcune parole pronunciate dai sacerdoti, tutti si girarono, si inchinarono e poi si diressero verso la porta. L’unica che invece rimase dov’era era la vedova, che si avvicinò all’albero per poi posare la mano sulla corteccia, in una carezza delicata. I sacerdoti le si inchinarono e si allontanarono, lasciandola sola. Feci appena in tempo a vedere Jared che si incamminava verso la donna che Mel mi prese per un braccio e mi condusse verso l’esterno, ignorando le mie proteste. Volevo davvero vedere “il maestro” all’opera, soprattutto dopo che era stato così tanto decantato, ma a quanto pare gli altri non erano della mia opinione.
    – Ma perché non posso guardare? – domandai, accigliata, appena fuori dal tempio.
    – Perché avresti dato troppo nell’occhio. Ci sareste stati solo più voi tre, lì dentro, gli altri sono già tutti usciti – mi rispose Mel, lasciandomi il braccio e allontanandosi dall’edificio, preceduto da Marcus e Andreas e seguito, a malincuore, da me.
    – E stai tranquilla, – aggiunse Marcus. – Se conosco Jared, e lo conosco, ti racconterà tutto lui appena potrà. La tua curiosità sarà soddisfatta. –
 
***
 
Aveva ragione. Dopo tre giorni in cui Jared comparì solo per brevi momenti e soprattutto per lavarsi e mangiare, un pomeriggio spalancò con violenza la porta della locanda dove noi stavamo facendo colazione con un sorriso sornione in faccia, facendo trasalire tutto il locale. Poi si avvicinò con aria tutta goduta al nostro tavolo, facendo cenno a Marcus di fargli un posto. Aveva i vestiti stazzonati, i capelli scompigliati e un sorriso che andava da un orecchio all’altro.
    – Torni vincitore, a quanto pare – fece Mel, senza alzare gli occhi dal suo piatto di uova. Marcus prese la sua tazza di caffè e la allungò a Jared, che si mise a bere come se fino a quel momento fosse stato nel deserto.
    – Ne dubitavi? –
    Marcus aveva un luce maliziosa negli occhi: – Allora, com’è andata? Camille moriva di curiosità l’altro giorno. –
    – Ehi! – dissi io, sentendomi tirata in causa. Così mi faceva sembrare una maniaca sessuale! – Volevo solo vedere se eri bravo come dici, niente di più! –
    – Eheh, – ghignò l’altro idiota, guadagnandosi un’occhiataccia. – Ti direi di provare ma non faccio queste cose con le ragazze degli amici. –
    Marcus quasi si strozzò con il caffè che aveva recuperato.
    – Ma io non sono la ragazza di nessuno. –
    – Per ora, Camille, – fece Jared, battendomi con aria materna su una mano. – Per ora. –
    Marcus decise per fortuna di interrompere quello scempio. Probabilmente aveva notato il cipiglio poco raccomandabile che mi si stava dipingendo in viso.
    – Jared, hai finito di fare il cretino? Non devi dirci qualcosa? –
    – Ah, sì. Beh, sappiate che Lean, la vedova di Carean, è una belva a letto. Mi ha fatto delle cose che a Viride si sognano, si vede che è una spigliata. Pensate che ieri mentre stavamo cenando, a un certo punto è sparita sotto il tavolo e mi ha preso il… –
    Marcus si ristrozzò con il caffè mentre io ridevo, Mel sorrideva e Andreas si sbellicava.
    – Va bene così Jared! Davvero! Taci una buona volta! –
    – No, aspetta, non tacere del tutto. Hai scoperto qualcosa sul nostro uomo? – gli chiesi io, con ancora la risata che mi vibrava nel petto.
    – Ebbene sì. Lean, tra una pausa e l’altra, – e qui Jared tornò incredibilmente serio. – Mi ha spiegato come andavano le cose con il marito. A quanto pare avevano una relazione aperta e, sebbene rimanessero marito e moglie, frequentavano altre persone. Non che questo avesse causato la rovina del matrimonio, anzi. Non amandosi più e non potendo separarsi, perché qui come sapete questa grazia degli dei non esiste, avevano optato per una soluzione di questo tipo. Andavano comunque d’accordo, ed erano ottimi amici, e quindi la morte dell’uomo ha addolorato molto Lean. Anche se lei non sapeva di essere piena di debiti e forse la scoperta della cosa nei giorni precedenti il funerale le ha un po’ danneggiato il ricordo del marito defunto. Comunque, Lean mi ha raccontato che Carean poco prima della morte le aveva dato una lettera, da portare a un uomo a palazzo. Cosa ci fosse scritto lei non lo sa, ma il marito le aveva raccomandato di consegnarla in fretta e in maniera discreta, senza spiegare perché non potesse farlo di persona. Il giorno però in cui Lean sarebbe dovuta andare a palazzo Carean è morto e diciamo che lei ha avuto altro a cui pensare che non fosse la lettera. –
    – E lei ti ha detto tutto questo? – commentai incredula, finendo la mia colazione. Mi accorsi che avevo avuto delle riserve sul comportamento di Jared, e che fino a quel momento non avevo realmente creduto che ci avrebbe portato delle informazioni. Mi dovevo ricredere, era stato in effetti davvero molto bravo. Aveva scoperto in tre giorni ciò che noi, usando le vie “normali” degli Assassini, avremmo scoperto in molto più tempo.
    – Sì, lo so, sono bravissimo, – Jared fece un sorriso sornione. – Me ne ha parlato ieri a cena, che guarda caso si è conclusa con una mia esibizione talmente spettacolare da farla addormentare di botto. Forse in effetti ha contribuito anche il blando sonnifero che ho messo nell’acqua che beve prima di andare a dormire, ma questo non importa. –
    Spalancai gli occhi in uno slancio di sdegno: – Cioè l’hai drogata? –
    – Tieni la tua morale lontano da me, – mi rispose Jared, con uno svolazzo della mano. – Ho pensato che fosse una coincidenza a dir poco particolare che un uomo avesse tanta urgenza di spedire una lettera giusto un giorno prima della sua morte, quindi dovevo poterla cercare in tranquillità. E, grazie alla mia incredibile abilità, ho trovato quello che mi serviva. –
    Al che, con un sorriso a trentadue denti e un’aria sbarazzina in volto, quell’approfittatore di povere vedove indifese tirò fuori da una tasca una lettera spiegazzata.
Mi alzai dal mio posto allungandomi sul tavolo, cercando di afferrarla di colpo. Ero troppo curiosa: – Dammi quel foglio! –
    Jared lo allontanò dalla mia presa portandoselo in alto dietro alla testa, sorridendo: – Non ti sembra che mi meriti almeno un grazie? –
    Lo guardai malissimo, tenendo la mano tesa e osservandolo con aria inferocita. Marcus mi prese delicatamente per le spalle e mi fece sedere, facendomi ritrarre la mano.
    – Hai fatto un lavoro fantastico, Jared. Ci leggi quella lettera ora? – gli chiese Andreas, con negli occhi la stessa curiosità che c’era nei miei.
    Jared fece un sorriso: – Non vedo l’ora. –
    Poi si schiarì la voce, si sistemò sulla sedia e si mise i fogli ben davanti agli occhi, iniziando a leggere: – Tu sai che cosa voglio, bastardo. Tu e chi sta sopra di te avete promesso di pagare i miei debiti di gioco, e ora vi tirate indietro? Non posso permetterlo. Non morirò per colpa vostra, visto che se non pagherò sarà quella la mia fine. Saldate i miei debiti, tutti, oppure racconterò cosa è successo dodici anni fa. Racconterò dei Coverano, del Principe Ereditario, di una nave affondata in mezzo al mare e dei tre morti che c’erano sopra. Ma soprattutto parlerò di chi mi ha incaricato di fare tutto questo. Uccidetemi, se credete, ma c’è già chi sa tutto ed è disposto a parlare nel caso mi capitasse qualcosa. Avete due giorni.
    Jared si interruppe, abbassando il foglio: – Tipetto niente male, eh, questo Carean? –
    – Scusa che ti aspettavi da uno che uccide membri della famiglia reale così, con scioltezza? –
    – In effetti niente di diverso – rispose il ragazzo con gli occhi blu, posando la lettera sul tavolo. Marcus la prese e iniziò a scorrerla, mentre io vicino a lui mi sporsi per dare un’occhiata. Era incredibile. Quella donna, Lean, ci aveva dato, anche se a sua insaputa, una lettera che per noi era di fondamentale importanza. In primo luogo iniziava a essere un qualcosa di tangibile, che avremmo potuto utilizzare. In più ci indicava la tappa successiva che ci avrebbe portati sempre più vicino a mia madre, Celia. Nessuno di noi fiatava, stupiti dalle informazioni che avevamo ricevuto. Era incredibile trovarle scritte nere su bianco, anche se da un uomo dalla dubbia reputazione. L’unico rilassato tra noi sembrava Mel, che continuava a bere il suo caffè con aria tranquilla. Mi sembrò però di scorgere nei suoi occhi una furia animalesca, devastante. Fu un istante e poi l’impressione svanì, lasciando gli occhi verdi puliti e limpidi.
    Andreas poggiò la testa sullo schienale della sedia su cui si trovava: – Qual è il destinatario? –
    Marcus girò la lettera, osservando con attenzione le parole scritte in inchiostro nero: – Qua dice William Lacey, qualcuno ha idea di chi sia? –
    Chiusi gli occhi, cercando di ignorare la brutta sensazione che mi dava quella notizia.
    – Io lo so – dissi, respirando profondamente.
    – Lo sappiamo anche noi, ragazzi, – fece Mel, dopo di me. – Ma noi lo conosciamo con un altro nome. –
    Jared aggrottò le sopracciglia: – Cioè? –
    – La Lunga Mano. –
    – Oh dei, – disse Marcus, strofinandosi la faccia. – Vi prego ditemi che non stiamo parlando del consigliere degli Auremore. –
    Non ebbi il coraggio di rispondergli, perché sì, l’uomo di cui stavamo parlando era proprio il consigliere degli Auremore. Ricopriva quella carica da almeno una ventina d’anni e si diceva che fosse a conoscenza di cose che persino il Re ignorava. Conosceva Alexandre Auremore da quando erano giovani e il sovrano teneva in grande considerazione i suoi consigli. Partecipava alle sedute del Re, agli incontri con i funzionari stranieri, ai banchetti, sedendo sempre alla destra del trono. Si occupava del controllo del denaro, di decidere quali questioni presentare al Re, di controllare che l’esercito funzionasse adeguatamente. Aveva represso nel sangue le rivolte che, quando io ero bambina, avevano agitato il regno di Dimina, senza preoccuparsi di sembrare spietato e impietoso. Sapeva tutto del regno e si occupava di ciò che il suo amico Alexandre riteneva così importante da poter essere controllato solo da lui stesso. Il Re si fidava di lui come ci si fida di un fratello e forse anche di più. Negli angoli bui del palazzo si sussurrava persino che il Re fosse in suo potere e che fosse lui ad avere in mano le chiavi del regno, terrorizzando persino la regina Gabriella, la Magnifica. Era questo l’uomo che ci avrebbe dovuto portare più vicini a mia madre.
    – Quindi… – iniziò Andreas, senza avere il coraggio di continuare.
    – Quindi il nostro prossimo obiettivo è il palazzo reale degli Auremore, – conclusi io, senza avere il coraggio di guardarli negli occhi. – Sentite, se non ve la sentite posso capirlo. Stiamo parlando del consigliere del Re, non sarà una cosa facile. Non penserò male di voi se vi tirerete indietro. –
    Marcus mi guardò con un leggero sorriso, poi si rivolse agli altri: – Consigliere o no, ormai ci siamo dentro fino ai capelli. Tanto vale continuare, che ne dite? –
    Il primo a rispondere, stranamente, fu Mel.
    – Io ci sto – disse, laconico come sempre.
    Jared scosse la testa ridacchiando prima di parlare: – Dopo tutto quello che ho vomitato per arrivare fin qui non avrei mai il coraggio di tirarmi indietro. –
    Mancava solamente Andreas. I suoi occhi color ambra erano puntati su di me, scrutandomi. Sostenni il suo sguardo fino a che anche lui non si decise a parlare.
    – Non ci credo che lo sto dicendo, ma ci sto anche io – mi disse, con un sospiro profondo. – Sarai la nostra rovina, lo sai Principessa? –
    Risi, sollevata che tutti loro fossero dalla mia parte. Forse, in fondo, avevamo una speranza.
 
 
ANGOLO DELL’AUTRICE!
 
Ciao a tutti! Perdonate il ritardo, ma ho davvero fatto una fatica mostruosa a scrivere questo capitolo! Ho dovuto cancellare e riscrivere un sacco di volte. Comunque, finalmente adesso è finito e quindi, alleluia, posso pensare ad altro. Spero (come al solito e come immagino facciano tutte le persone su questo sito con i propri lavori) che sia piaciuto. Se vi va di farmi sapere che ne pensate, lasciate un commento, e grazie a tutti coloro che l’hanno già fatto recensendo o mettendo la storia nelle preferite :)
Ciao di nuovo
LyaStark
   
 
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