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Autore: Ella Rogers    23/01/2016    4 recensioni
"Chi non muore si rivede, eh Rogers?"
Brock Rumlow era lì, con le braccia incrociate dietro la schiena e il portamento fiero. Il volto era sfregiato e deturpato, ma non abbastanza da renderlo irriconoscibile, perché lo sguardo affilato e il ghigno strafottente erano gli stessi, così come non erano affatto cambiati i lineamenti duri e spigolosi.
"Ti credevo sepolto sotto le macerie del Triskelion."
La risata tagliente di Rumlow riempì l'aria per alcuni interminabili secondi, poi si arrestò di colpo. L'uomo assunse un'espressione truce, che le cicatrici trasformarono in una maschera di folle sadismo.
E Steve si rese conto che, per la prima volta da quando l'aveva conosciuto, Brock Rumlow si mostrava a lui per quello che realmente era, privo di qualsiasi velo di finzione.
"Credevi male, Rogers. Credevi male."
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Movieverse | Avvertimenti: Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'The Road of the Hero'
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Riferimenti a “Demons of light and darkness”
Nella mia personale storyline, dopo la battaglia di New York, i Vendicatori hanno affrontato un folle alieno, che era a capo di un'organizzazione denominata “Demoni della Notte”. L’alieno - Daskalos, o detto anche il Padrone - è stato sconfitto nella battaglia del Brooklyn Bridge, grazie all’aiuto di Anthea.
Anthea, anche lei di un altro mondo - ma metà umana -, aveva promesso a Steve che, dopo aver aiutato il suo popolo disperso a riunirsi e trovare un rifugio - rifugio che ha trovato ad Asgard, grazie ad una gentile concessione di Odino – sarebbe tornata da lui. Effettivamente è tornata una sera, dopo il crollo del Triskelion, ma …
Ah, Steve aveva comprato una casa a Brooklyn, prima di essere assoldato dallo SHIELD e spedito a Washington, ed è lì che è diretto.
Siamo sette mesi prima gli eventi del prologo.
 
Buona lettura!
 
 
 
Nuovo Inizio
 
La fredda brezza di Gennaio gli carezzava il viso e gli scompigliava i corti capelli biondi. Si strinse nelle spalle e un sospiro stanco gli abbandonò le labbra, mentre un brivido risaliva lento lungo la schiena. Al suo fianco dondolava ritmicamente un borsone blu, troppo leggero se si pensava che all’interno fossero custoditi tutti i suoi averi, ridotti a indumenti, qualche fotografia, l’inseparabile scudo in vibranio e ad un fascicolo proveniente da Kiev.
La luce pallida della luna rischiarava l’oscurità della notte che cullava il silenzioso quartiere di Brooklyn, una finestra affacciata su un passato sempre più sfocato e distante. O almeno, era parso sfocato e distante prima che una parte di esso avesse tentato di ucciderlo.
Era quasi riuscito a sfiorare l’idea di poter vivere in un presente che non gli apparteneva, ma l’Hydra aveva deciso di portare a termine quel che aveva iniziato settanta anni addietro e gli artigli del passato erano tornati a dilaniarlo.
Adesso, tutto era dannatamente confuso. I suoi ideali vacillavano assieme al senso di giustizia, minacciando di crollare definitivamente.
La figura di Capitan America era divenuta un’incombente ombra che schiacciava con il suo peso le spalle di un ragazzo senza più una strada da seguire, perso nel labirinto di inganni e intrighi costruito da quegli uomini corrotti dal potere.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, distinguere il bene dal male non aveva mai costituito un problema per lui, ma nel mondo in cui si era risvegliato quasi quattro anni prima - Dio, erano già passati quattro anni - pareva non esistere una linea di confine tra giustizia e iniquità. Il bianco e il nero si confondevano e si mescolavano tra loro, dando vita ad un nauseante grigiore, un denso e soffocante fumo dietro il quale si nascondevano mostri scellerati ed assetati di potere.
Aveva creduto di potersi ributtare nella mischia, eseguire gli ordini, servire, ma aveva scoperto di non esserne più capace e a testimoniarlo c’erano i resti di ben tre Helicarrier nel Potomac.
Dopo la disastrosa caduta dello SHIELD, il Consiglio Mondiale della Sicurezza aveva tentato di mettersi in contatto con lui per assoldarlo - per metterlo al guinzaglio -, fingendo di non averlo mai considerato un pericoloso ribelle da eliminare al più presto e fingendo di non odiarlo.
La schifosa volubilità di quelli che avrebbero dovuto essere i responsabili della sicurezza sulla Terra lo nauseava.
Non riusciva più a fidarsi e non potevano fargliene una colpa.
Dal suo risveglio, quasi tutti quelli che aveva incontrato non avevano fatto altro che sputargli addosso bugie e lui, come uno stupido, ci aveva creduto.
Il tradimento lo aveva ferito, nonostante fosse riuscito a non far trapelare l’enorme delusione sfociata violentemente nel momento esatto in cui, quelli che aveva creduto compagni di squadra - la S.T.R.I.K.E -, lo avevano brutalmente aggredito in un ascensore, senza la minima esitazione.
 
Quanto aveva rimpianto gli Howling Commandos, allora. Quelle teste calde lo avevano seguito ovunque e, da veterani qual erano, gli avevano protetto le spalle, istruendolo missione dopo missione. Aveva appreso da loro l’arte della guerra, perché diversamente da quel che tutti pensavano, Capitan America non aveva ricevuto dal siero anche l’esperienza sul campo, ma l’aveva acquisita versando sudore e sangue, nonostante potesse contare su un’innata abilità strategica ed una naturale leadership.
Sorrise al ricordo di Dum Dum Dugan che si era preso la briga di insegnargli come si utilizzasse davvero una pistola.
“Sei negato, Cap” aveva sentenziato alla fine, ridendo sotto i baffi, e da quel momento in avanti Rogers aveva iniziato ad affidarsi sempre più al suo speciale scudo, creando un particolare e del tutto personale stile di lotta.
 
Lo SHIELD si era premurato di modificare ed affinare quello stile di combattimento dal momento in cui aveva accettato di lavorare per l’organizzazione in veste di spia - poco dopo la battaglia del Brooklyn Bridge.
Capitan America era stato trasformato in un’arma altamente letale, precisa e quasi infallibile, dotata di un’agilità e di una velocità impressionanti. Non era più una macchina da guerra caotica e rozza, forte solo della straordinaria resistenza.
Quante volte si era allenato con Natasha o anche con Rumlow, acquisendo una sempre più affinata tecnica di combattimento. Aveva imparato a dosare la forza, ad essere perfettamente padrone del proprio corpo ed aveva memorizzato quali fossero i punti più deboli del sistema anatomico umano.
Poi era stato tradito.
Comunque, averlo reso più forte si era rivelato un grosso errore, alla fine dei conti.
 
La fiducia che aveva riposto nei Commandos, in realtà, aveva una sua corrispondente anche nel Ventunesimo secolo: gli Avengers.
Quando ogni certezza era crollata come un debole castello di sabbia, si era riaccesa in lui la nostalgia per quei compagni eccezionali, assieme ai quali aveva debellato - già ben due volte - la fine del mondo.
Alla battaglia di New York si era susseguita quella del Brooklyn Bridge, durante la quale era morto e poi tornato in vita.
Dove aveva scoperto di essere ancora capace di amare.
E proprio in occasione di quest’ultimo scontro, i Vendicatori avevano cominciato a funzionare bene, a mettere da parte le divergenze e ad instaurare un legame potente, forse addirittura indistruttibile. Avevano imparato a fidarsi l’uno dell’altro.
Ma forze esterne avevano finito per dividerli e, riflettendoci, era passato un lunghissimo lasso di tempo dall’ultima volta che si erano ritrovati insieme nello stesso posto - tre anni prima alla Tower, precisamente.
Da allora, ne erano successe di cose. In compenso aveva continuato ad informarsi sul loro conto attraverso i file dello SHIELD, che mai aveva smesso di tenerli d’occhio - o almeno ci aveva provato a tenerli d’occhio.
Sapeva del casino in cui era finito Tony a causa del Mandarino e del disastro che Thor aveva combinato a Greenwich. Era a conoscenza del fatto che Bruce fosse rimasto alla Tower, ma non aveva idea di dove fosse finito Clint.
Gli mancava Thor e la sicurezza che sentiva nell’averlo accanto durante uno scontro.
Anche Tony gli mancava, accidenti, così come Clint e Bruce.
E la nostalgia per Natasha si intensificava giorno dopo giorno da quando si erano salutati per prendere ognuno la propria strada, esattamente un anno addietro e davanti la vuota tomba di Nick Fury.
Separatosi dalla Vedova Nera, era partito con Sam - quel coraggioso veterano divenuto presto un compagno insostituibile e fidato - alla ricerca di Bucky.
 
“Non è vero. Lei era tornata, prima che partissi” berciò la subdola vocina della sua coscienza, schiaffandogli in faccia ricordi che aveva tentato di inabissare senza mai riuscirci davvero.
Una ferita ancora aperta e grondante di sangue, ecco cos’era Lei.
 
Scosse il capo con l’intento di scacciare via i troppi pensieri che gli affollavano la testa e che instillavano nella sua anima un profondo senso di nostalgia e sofferenza.
Sporadici lampioni davano vita a pozze di luce sul grigio marciapiede deserto.
La sensazione di freddo divenne improvvisamente più intensa, fino a farlo rabbrividire ancora ed ancora. Nascose la mano libera - la destra era impegnata a stringere i manici del bagaglio - nella tasca del morbido cappotto marrone ed abbassò il capo, aumentando un poco il passo.
La consapevolezza che non fosse l’aria invernale a dargli tanta pena lo colpì duramente, non appena la vocina nella testa gli rammentò di possedere un corpo dotato di capacità fuori dal comune.
Il gelo ce lo aveva dentro, sotto la pelle e nel sangue.
 
Bucky.
 
Del Soldato d’Inverno non era riuscito a scorgere nemmeno l’ombra.
Gli ultimi mesi erano stati costellati da infruttuose ricerche e buchi nell’acqua. Ed avrebbe continuato a seguire anche la più improbabile scia di speranza, se Sam non lo avesse letteralmente trascinato a Washington D.C., pregandolo di prendersi qualche giorno, prima di buttarsi nuovamente a capofitto in quella personale missione divenuta, inevitabilmente, una ragione di vita.
Wilson gli aveva anche aperto le porte di casa sua, ma lui aveva gentilmente declinato l’invito, ricordando all’amico di possedere un appartamento a Brooklyn.
 
L’alto palazzo color panna sorgeva proprio nel quartiere che aveva visto la sua nascita, il suo precoce maturamento dopo la morte del padre, lo sbocciare e il consolidarsi dell’amicizia tra lui e Bucky, lo spegnersi della sua dolce mamma e l’accendersi di quegli ideali che l’avevano condotto da Erskine e che lo avevano reso Capitan America.
Imboccò il vialetto di ciottoli, varcando l’elegante cancello in ferro battuto lasciato aperto e dalle cui estremità prendeva vita una siepe curata, che racchiudeva la palazzina con annesso un giardino.
Le chiavi tintinnarono quando le tirò fuori dalla tasca destra del capotto e, individuata quella più grande, aprì il pesante portone verde scuro. Entrò nell’ampio e buio atrio e lo stomaco si contrasse dolorosamente. Decise di ignorare la strana sensazione, anche se divenne più intensa nel momento in cui prese a salire le rampe di scale, fino a giungere al pianerottolo dell’ultimo piano.
Trovò nel mazzo tintinnante la giusta chiave e la infilò nella toppa della porta in legno, dietro la quale lo attendevano i ricordi da cui aveva tentato di fuggire.
Forse non sarebbe dovuto tornare in quel posto. Forse avrebbe dovuto semplicemente riconsegnare indietro le chiavi alla signora Margaret e lasciarsi tutto alle spalle.
Se cominci a scappare non ti fermi più.
Gli scatti della serratura riempirono il silenzio.
Una volta dentro, si premurò di accendere le luci dell’ingresso, nei pressi del quale poggiò il borsone. Poi le gambe si mossero da sole verso la camera da letto.
Il suo sguardo venne catturato dai pallidi raggi lunari che trasparivano oltre il vetro dell’unica finestra e dipingevano macchie di luce sulla morbida moquette.
La finestra era chiusa. Lei non c’era.
Percepì il cuore raggomitolarsi su sé stesso e gli occhi presero a pizzicargli, mentre quei dannati ricordi tornavano in superficie, stordendolo.
 
 
“Mi sei mancato, Idiota.”
“Sono tornata. Per sempre.”
 
 
Aveva promesso che sarebbe rimasta. Per sempre.
Eppure, così come quella notte misteriosamente era apparsa, così la mattina dopo era scomparsa altrettanto misteriosamente.
Quando si era svegliato, lei non c’era già più.
Gli aveva lasciato solo un pezzetto di carta con su scritte poche misere parole.
 
Sta’ lontano dai guai.
Tua.
 
La disperazione lo aveva divorato non appena si era reso conto che lei era davvero andata via, di nuovo, dopo due anni passati ad aspettarla.
Quello stesso giorno era partito con Sam alla ricerca di Bucky, sforzandosi di dimenticare. Di dimenticarla. Invano.
Perché la stava ancora aspettando, dopotutto, stranamente certo che sarebbe tornata.
In fondo, le aveva promesso che l’avrebbe aspettata, sempre.
 
“Ma tornerò, per te, se mi aspetterai.”
 
Era già trascorso un altro anno.
Il desiderio di rivederla bruciava ancora da far male, contendendosi con la disperata speranza di riavere indietro Bucky, il primato di distruzione della sua anima.
 
Era stanco. Stanco di tutto.
Lui cadeva a pezzi. La sua vita cadeva a pezzi. E si sentiva terribilmente solo, nonostante il constante sostegno di Sam.
La tensione accumulata nell’ultimo periodo esplose irrimediabilmente e la rabbia gli offuscò la mente.
Lasciò a grandi passi la stanza da letto e la furia lo colse nell’oscurità del salotto.
Un vecchio giradischi finì in frantumi contro una parete. Un vaso appoggiato su un piccolo tavolino fece la stessa fine e poi fu il turno di una sfortunata lampada. Rovesciò il tavolo orfano di vaso e fece letteralmente collassare a terra il mobile bianco, costituito da tanti scomparti rettangolari, assieme a tutti gli oggetti ospitanti.
Bicchieri di vetro e piatti in coccio si schiantarono sul pavimento, emettendo suoni graffianti ed acuti, simili a grida strazianti. La libreria fu la successiva vittima dell’incontrollabile ondata d’ira.
 
Perché è andata via? Perché non riesco a trovare Bucky? Perché continuo a fallire?
Non sono abbastanza.
Non. Sono. Abbastanza.
 
La follia del momento lo spinse a prendere a pugni il primo muro disponibile, sul quale si disegnarono profonde crepe. Il bianco intonaco si macchiò di rosso laddove la fine pelle delle nocche cedette a causa degli impatti violenti.
 
“Non sapevo avessi intenzione di ristrutturare casa, Rogers.”
 
La luce della stanza si accese di colpo e il ritrovato senno sembrò scacciare via i fumi della rabbia e della frustrazione, non appena riconobbe quella voce dal marcato tono sarcastico.
Si sforzò di regolare il respiro e il battito impazzito del cuore, prima di voltarsi per incontrare lo sguardo enigmatico di Tony Stark, perfettamente a suo agio nell’elegante completo nero, nonostante avesse appena assistito ad una scena alquanto deplorevole.
 
Non ricordo di averti dato le chiavi” fu la prima cosa che Steve riuscì a dire, ancora troppo scosso per elaborare davvero quel che stava accadendo.
“La porta era aperta. Dovresti pestare più attenzione. Poteva esserci un aggressore al mio posto, adesso” lo rimproverò l’ospite inatteso, scoccandogli un sorrisetto provocatorio.
La voglia di rompere ancora qualcosa gli infiammò il petto e gli occhi presero a pizzicargli fastidiosamente.
Era sull’orlo di un crisi di nervi con i fiocchi.
 
“Stark - e la rabbia era palpabile nella sua voce - cosa diavolo ci fai qui in piena notte? Sappi che se si tratta di uno stupido scher-”
 
“No.”
Tony si era fatto improvvisamente serio e prese a parlare con una fermezza disarmante.
Niente giochetti o allusioni. Niente sarcasmo.
I suoi occhi ambrati non lasciarono nemmeno per un secondo quelli azzurri di Steve, regalandogli un momentaneo appiglio a cui il biondo si aggrappò istintivamente, per non sprofondare nell’oblio che lo stava reclamando a gran voce.
 
“Diciamo che qualcuno mi ha informato del tuo ritorno e che non potevo rischiare che scomparissi di nuovo. Ho una proposta, Rogers, ma voglio parlarne con calma e soprattutto fuori da qui.”
Il miliardario lanciò un’occhiata perplessa al concentrato di distruzione nel quale erano immersi, poi il suo sguardo tornò a posarsi sul super soldato.
 
Era comprensione quella che Steve riuscì a cogliere nel luccichio che attraversò fugace gli occhi di Stark?
 
“Che ne dici di andare a fare un giro? Ho la macchina parcheggiata proprio qui sotto. Allora, Rogie?”
 
Probabilmente, se avesse accettato l’invito di Sam, non sarebbe crollato così, perché Sam - come faceva da mesi, ormai - sarebbe stato in grado di tenere insieme i pezzi di quello che non era altro che un ragazzo distrutto e lontano dall’essere l’icona nazionale senza macchia e senza paura.
Si sentiva totalmente perso.
E forse la confusione del momento.
Forse la paura di un imminente crollo nervoso, o il rifiuto di dover rimanere solo con sé stesso.
Non seppe cosa lo spinse a seguire fin troppo docilmente Tony Stark, eppure lo fece, conscio di potersi fidare.
Lasciò sul mobiletto all’ingresso le chiavi dell’appartamento e un biglietto di scuse per la proprietaria, l’anziana signora Margaret, promettendole che l’avrebbe risarcita di ogni singolo danno. Poi, si lasciò tutto alle spalle.
 
 
 
                                         ***
 
 
 
La Porsche nera sfrecciava spedita sulla strada, incurante dei limiti di velocità.
Tony si stupì di non aver ricevuto ancora nessun ammonimento da parte del ragazzo stravaccato sul sedile del passeggero.
Dall’ultima volta che lo aveva visto erano trascorsi quasi tre anni, eppure gli sembrava ieri il giorno in cui avevano combattuto fianco a fianco contro un esercito di orribili alieni vomitati da uno squarcio nel cielo, quando le manie di un dio dall’ego smisurato avevano preso di mira la sfortunata Terra.
Si era ricreduto sull’inutilità del soldato nell’esatto momento in cui, quel giorno, lo aveva visto prendere in mano la situazione con estrema sicurezza e combattere come se non ci fosse stato un domani - cosa che sarebbe risultata vera, se i Vendicatori non avessero fermato l’invasione in tempo.
Si era ricreduto una seconda volta quando un malvagio esaltato, conosciuto come il Padrone, aveva tentato di sterminare l’umanità e Rogers non si era mai arreso, nemmeno quando la fine era parsa inevitabile, nemmeno dopo essere morto. Li aveva presi per mano e riportati a casa sani e salvi, tutti, dimostrandosi degno del ruolo di leader dei Vendicatori.
In seguito, Stark si era dovuto ricredere una terza volta, quando del Triskelion non era rimasto altro che polvere e macerie.
Capitan America non era affatto un ennesimo cagnolino al servizio del Governo e a provarlo era il fatto che avesse distrutto lo SHIELD con le sue stesse mani, attirando su di sé le ire di persone pericolosamente influenti.
Ora, doveva ammettere - almeno e solo a sé stesso - di ammirare davvero quel super soldato venuto dal passato e dall’animo incorruttibile. Pochissime persone erano in grado di farlo ricredere.
Gli era anche mancato, in fondo in fondo.
 
“Hai fatto un bel po’ di casino a Washington, eh Rogers?”
 
Steve staccò finalmente gli occhi dal finestrino, muovendosi impacciato sul sedile, ma al tempo stesso, l’ombra di un sorriso apparve sul suo volto pallido e provato.
“Non immagini quanto, Stark.”
E invece Tony era a conoscenza di ogni sporco dettaglio nascosto dietro la caduta del Triskelion. Dopo essere riuscito a persuaderla, la Hill - ora sua dipendente - era stata un’ottima fonte di informazioni.
Grazie a JARVIS, era riuscito anche ad entrare in possesso di alcuni video - detratti da diverse telecamere di sorveglianza - che mostravano lo scontro tra due super soldati, un tempo legati da un affetto difficile da eguagliare.
Ciò che aveva scoperto sul Soldato d’Inverno - sia grazie alla fuga di informazioni, sia attraverso un magistrale hackeraggio - lo aveva sconvolto non poco, soprattutto quando era incappato nella lista delle sue vittime.
A impedirgli di aiutare Rogers nelle ricerche erano stati due nomi citati in quella lista della morte.
Se mai avesse dovuto trovarsi faccia a faccia con il Braccio armato dell’Hydra, ignorava quale sarebbe stata la sua reazione ed inutile era stato ripetersi che, in fondo, Bucky Barnes non aveva alcuna colpa se non quella di essere stato trovato, settanta anni prima, dai pazzi fanatici dell’Hydra.
L’unico motivo che lo teneva lontano dal commettere atti di violenza nei confronti del suddetto assassino sedeva proprio al suo fianco ora.
 
Steve si era chiuso di nuovo nel suo guscio fatto di silenzio.
Tony era conscio di quanto delicata fosse la situazione, soprattutto dopo che era riuscito a far parlare Natasha Romanoff prima e Sam Wilson poi. Dove, quando, perché e come ci fosse riuscito non aveva importanza; preferiva tenere per sé le motivazioni che l’avevano spinto a preoccuparsi per l’incolumità e la sanità mentale del Brioso Attempato.
Ci era passato, dopotutto, sapeva cosa significasse perdere le proprie certezze e galleggiare in una personale dimensione al di fuori della realtà, nei confronti della quale si diveniva irrimediabilmente ostili.
Si sentiva il bisogno di fuggire da sé stessi e l’unico sollievo era rappresentato dalle distrazioni.
Tony aveva trovato la sua distrazione nel progettare e costruire innumerevoli armature, mentre l’attenzione di Steve era stata completamente assorbita dalle ricerche che avrebbero dovuto condurlo al Soldato d’Inverno.
Ma, prima o poi, la distrazione cominciava a non bastare più e i demoni inevitabilmente riaffioravano in superficie.
Ruggivano, graffiavano e dilaniavano tutto, ogni appiglio ed ogni certezza, fin quando rimaneva solo il nulla, un spazio oscuro dove la mente abbracciava la Follia pur di avere l’illusione di riassaporare un po’ di luce e di calore.
Stark ricordava quel gelo che, per mesi, era stato la sua seconda pelle. Ricordava l’oscurità di un oblio sul cui orlo aveva camminato, incurante del rischio di perdere per sempre sé stesso.
Ed aveva quasi dovuto perdere la persona più importante che aveva al mondo per ricordare chi fosse.
 
“È quello che faccio. Riparo cose.”
 
Aveva riparato Pepper e stava lavorando su Tony Stark.
 
Adesso, non poteva fare a meno di rivedere l’uomo distrutto che era stato nelle iridi color cielo di Capitan America.
Sam Wilson - con il quale si era messo in contatto tre settimane addietro grazie all’aiuto della Romanoff - inizialmente si era mostrato diffidente nei suoi confronti, ma bombardato dall’insistenza formato Stark, alla fine aveva ceduto, nella speranza di poter aiutare il biondo prima che fosse tardi.
A detta del veterano, Rogers aveva preso a seguire piste improbabili dopo i primi mesi di ricerca, come se inconsciamente avesse smesso di cercare James Barnes, per limitarsi a scappare. Era stato proprio per questo motivo che Wilson aveva costretto il Capitano a tornare a casa, in segreto accordo con Stark e la Romanoff.
Steve aveva bisogno di una mano che lo aiutasse a rialzarsi, il mondo di essere ripulito dalla minaccia dell’Hydra e Tony di sentirsi di nuovo parte di qualcosa, così come alcune vecchie conoscenze.
 
La comune soluzione? Semplice. Una rimpatriata.
 
“Avrei voluto esserci. Sono bravo a far saltare in aria le cose, oltre che a costruirle.”
Steve tornò a posare gli occhi sul miliardario, alzando un sopracciglio con fare perplesso.
“Pensavo ne fossi uscito, o almeno così era riportato sul file che ti riguardava in possesso dello SHIELD.”
“Hai letto il mio file?”
“Credevo fossi morto, dopo l’attacco del Mandarino a Malibù. Poi, io … non …”
Tony percepì una nota d’imbarazzo fiorire nella voce del super soldato e, nonostante vederlo annaspare in cerca delle parole lo divertisse parecchio, decise di intervenire.
Per il momento, si sarebbe sforzato di non infierire ulteriormente contro di lui. Era risaputo che far agitare i vecchietti risultasse dannoso per la loro salute.
“Fare il supereroe non è poi così male. Diciamo che mi sono preso una pausa e che ora sono pronto a ricominciare.”
Fece spallucce, mantenendo lo sguardo fisso sulla strada.
“Fare il supereroe non è un gioco, Stark” lo riprese Rogers.
“Mi chiedevo dove fosse finito Capitan Bacchettone. Sai, in fondo, credo che un pochino tu mi sia mancato, Rogie. Hai presente Pinocchio? Tu saresti il mio Grillo Parlante, anche se sentire continuamente la tua voce nella testa non sarebbe poi tanto divert-”
 
“Non avevi una proposta da farmi?” tagliò corto Steve, sbuffando.
Eppure Tony giurò di non essersela immaginata la piccola scintilla di vita riaccendere quegli occhi esageratamente limpidi.
“Guastafeste” borbottò, ignorando bellamente l’occhiataccia che ricevette, ma accingendosi comunque a tornare serio.
 
“Adesso che lo SHIELD è a pezzi, i cattivi ne approfitteranno per farsi ancor meglio gli affari loro e quando dico cattivi, mi riferisco fondamentalmente all’Hydra.”
 
Al nome del mostro dalle infinite teste, Rogers si irrigidì visibilmente.
Tony attese qualche secondo, poi continuò.
 
“I file che avete diffuso sulla rete sono scomparsi velocemente, come c’era da aspettarsi, ma JARVIS è riuscito ad immagazzinarli quasi tutti. Non ne ho per niente apprezzato il contenuto, Rogers. Ci sono basi dell’Hydra sparse per l’intero globo e molte sono in possesso di tecnologia aliena.”
“Chitauri?”
“Esatto. Lo SHIELD aveva fatto sparire i resti dell’invasione, ma è facilmente intuibile cosa sia potuto accadere poi, dato che ai vertici dello SHIELD c’era l’Hydra, in realtà.”
“Ricordo bene cosa l’Hydra fu in grado di costruire utilizzando l’energia del Tesseract.”
 
Tony lasciò trascorrere qualche attimo di silenzio, preparandosi ad entrare nel vivo della questione.
 
“Ricordi lo scettro di Loki?”
“Come dimenticarlo” asserì Steve, chiedendosi dove Stark volesse arrivare.
“Tra i file recuperati da JARVIS, ce n’erano alcuni che riguardavano quell’oggetto. Credo che tu non abbia dimenticato nemmeno cosa sia in grado di fare, giusto?”
“Plasma la mente, la controlla e …”
“Trasforma le persone in marionette pronte a servire chi lo possiede” terminò il miliardario, non nascondendo il fastidio che provava nel sapere che lo scettro fosse proprio nelle mani di pazzi ossessionati dal Controllo.
 
“So che Fury ha intenzione di ricostruire lo SHIELD, ma quando ci riuscirà potrebbe essere troppo tardi, perciò …”
 
“Frena un secondo!”
 
Steve stava guardando Stark con gli occhi spalancati e colmi di incredulità.
“Come sai che Fury è vivo e addirittura che voglia ricostruire lo SHIELD?”
“Romanoff” ammise Tony, ammiccando.
 
La confusione sul volto del biondo doveva essere evidente, perché il genio si decise finalmente a fare chiarezza, arrivando al punto cruciale di quella conversazione.
 
“Sto riunendo la squadra, Rogers, e la regola fondamentale è niente compartimentazione tra i Vendicatori. La Tower tornerà ad essere la nostra base operativa.”
 
Steve abbassò il capo e, ancora una volta, sembrò chiudersi in quel suo triste silenzio.
Il miliardario non si perse d’animo.
 
“Banner è rimasto alla Tower anche dopo la battaglia del Brooklyn Bridge. Barton e Romanoff hanno accettato l’invito qualche settimana fa e, pensa, c’è anche Thor!”
“Davvero?” si lasciò sfuggire il giovane soldato e la voce gli tremò appena.
“Sei sicuramente a conoscenza del disastro di Greenwich risalente a un anno fa e a cui non siamo stati invitati a partecipare, no?”
“Sì. Fury ha avuto un esaurimento nervoso quella volta, ma prima che potesse fare qualcosa, Thor aveva già sistemato tutto, più o meno, se si esclude la bestia aliena che scorrazzava liberalmente per la città e di cui mi sono occupato personalmente.”
Rogers sorrise, scuotendo leggermente il capo al ricordo.
“Bene. Da allora il nostro Shakespeare in estiva è rimasto sulla Terra, in compagnia della bella Jane Foster. Quando gli ho parlato dello scettro, non ha esitato a riunirsi ai suoi compagni d’armi. Quindi, caro il mio Capsicle, manchi solo tu adesso e sappi che non accetterò un no come risposta.”
 
Il fatto che Rogers se ne rimanesse zitto zitto, concentrato nel torturare il lembo inferiore della leggera felpa blu - in tinta con i pantaloni - indossata sotto il cappotto, indusse Stark ad insistere.
 
“Senti, Wilson è disposto ad occuparsi del caso persone scomparse e potrà avere l’aiuto di JARVIS in qualunque momento. Abbiamo bisogno anche di te, Rogers.”
Tony fece un respiro profondo.
“A dirla tutta, la squadra è decisamente a pezzi. Da tre anni a questa parte ne sono successe di cose.”
“Come fai a conoscere Sam? Anzi, no, non voglio saperlo. Come stanno loro?”
Stark sogghignò al sentire la nota esasperata nella voce del biondo.
“Bruce sembra essere in perenne modalità eremitica, Barton è Barton, Natasha è spesso sulle sue e Thor, beh, ci ha rivelato di aver perso sua madre e suo fratello durante la battaglia di cui Greenwich ha ospitato la conclusione.”
“Mi dispiace davvero tanto” sussurrò Steve, visibilmente sconvolto da quell’ultima rivelazione.
“Quindi Loki è morto?”
“Sì.”
 
Per i successivi minuti, il suono emesso dal motore dell’auto cullò i pensieri di entrambi.
La linea dell’orizzonte e parte del cielo sopra di essa brillavano di un pallido rosa, mentre il Sole faceva lentamente capolino.
 
“E tu come stai?” si azzardò a chiedere Tony.
Steve esitò, prima di aprir bocca.
“Sto bene” mentì e si aggrappò a quella bugia, come se sperasse di vederla tramutare in verità.
Stark scacciò via la voglia di prenderlo a schiaffi e di urlargli contro che la vecchiaia doveva averlo reso cieco.
“Farò finta di non aver sentito” replicò invece, scoccandogli un’occhiataccia, ma Rogers evitò prontamente il suo sguardo.
“Pensi che io possa aggiustare le cose?”
“Forse - Tony sorrise - dipende da te.”
 
Il biondo si lasciò scappare una risata amara e percepì il battito del cuore accelerare, come se tutti quei discorsi avessero avuto su di lui lo stesso effetto di una scarica di adrenalina.
 
“Avanti! Andiamo a recidere le teste dell’Hydra e ad incenerire quel che resta degli alieni, prima di incappare in qualche altro disastro di fronte al quale il cuore di Fury non sopravvivrebbe! Il mondo ha bisogno di noi, Capitano, non puoi tirarti indietro proprio adesso. Vendicatori uniti, giusto?”
 
 
“Il mondo orami è cambiato e non si può tornare indietro. Cerchiamo di fare del nostro meglio, e a volte il meglio che possiamo fare è ricominciare da capo.”
 
 
Le parole di Peggy risuonarono con forza nella mente confusa di Steve.
Ricominciare da capo.
Poi, i suoi pensieri scivolarono inevitabilmente su Bucky.
“Io credo che non voglia essere trovato, Steve. Sarà lui a cercare te, quando si sentirà pronto” gli aveva confessato Sam, una volta, con una sincerità disarmante.
 
E a quel punto, tutto divenne un po’ più chiaro.
 
“Sì. Proviamo a ricominciare.”
 
Lo stridio delle ruote sull’asfalto, simile al macabro richiamo di un uccello in pena, riecheggiò nell’aria.
“Sei impazzito, Stark!” sbottò Rogers, le cui unghie erano affondate nel sedile di pelle.
Fortunatamente, la strada a quell’ora era pressoché deserta.
Un camion passò di fianco la costosa Porsche e il conducente, un uomo grassoccio con barba incolta e capello da baseball calato in testa, si limitò a lanciare sguardi di disapprovazione, mentre borbottava qualcosa sui ricconi raccomandati.
Tony, come se nulla fosse, si voltò per incontrare gli occhi sbarrati di Rogers, sorridendo serafico.
“Hai detto di sì” sentenziò poi, allungandosi per piazzare qualche pacca sulla spalla di uno sconvolto Capitan America.
 
“Prossima fermata, Avengers Tower!”
La Porsche ripartì sgommando a tutta velocità, superando il camionista che sembrava ancora impegnato a borbottare tra sé e sé.
 
Solo allora il super soldato si accorse che, fin dall’inizio, Tony aveva puntato in direzione di New York, come se non avesse affatto messo in conto un suo rifiuto.
 
Dannato Stark.
Eppure, faceva meno freddo adesso.
Si sarebbe riunito ai suoi compagni, alla fine. Sì, voleva davvero rivederli.
E forse la sua vita avrebbe smesso di cadere a pezzi.
 
“Notizie di An-”
Stark si bloccò non appena scorse una scintilla di panico accendersi nelle iridi cerulee del giovane Capitano e capì che l’argomento ‘fidanzata’ era meglio non sfiorarlo nemmeno, per il momento.
Steve, da parte sua, non aveva detto a nessuno della fugace visita della ragazza in questione e non aveva intenzione di farlo.
 
 
 
Intanto, la struttura titanica della Tower spiccava ora tra le infinite vette che costellavano la Grande Mela, ergendosi in tutto il suo urlante egocentrismo e brillando laddove i raggi pallidi del Sole colpivano le pareti di vetro.
La luminescente ‘A’  era un grido di Affermazione, un’Ancora di salvezza per i comuni mortali e un’Ascia di guerra per gli attentatori - alieni e non - della pace sulla Terra.
Gli Avengers, dopo tre anni, stavano per riunirsi.
 
 
 
                                                ***
 
 
 
“L’obiettivo è tornato a New York, Sir. Ha raggiunto la città appena tre ore fa, con Tony Stark. Continua a spostarsi, Sir” comunicò uno degli agenti messi alle calcagna del suddetto obiettivo, mantenendo il capo chino.
“È un tipo alquanto sfuggente, Sir” si intromise una seconda voce, marcando le parole con sfrontato sarcasmo.
“Lo è sempre stato, mio caro Rumlow, oltre che irritante, aggiungerei. Attenderemo. In fondo, la vendetta è un piatto che va servito freddo.”
“Ai suoi ordini, Sir” replicò Brock, già pregustando il momento in cui avrebbe finalmente messo le mani sulla Stellina d’America.
 
 
 
Note
Ciao! Sono un po’ in anticipo, lo so, ma domani sarò condannata a passare la giornata sui libri di scuola ed avevo timore di non riuscire a pubblicare, perciò ho deciso di anticipare.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Per qualsiasi richiesta e chiarificazione, basta domandare e sarò lieta di rispondervi.
Mi sono sempre chiesta come la squadra si fosse riunita, dato il buco che c’è tra “The Winter Soldier” e “Age of Ultron”.
 
Vorrei ringraziare Eclisse LunareGiulietta BeccaccinaSiria_Iliaswinterlover97 e fredfredina per aver inserito le storia nelle liste speciali *.* Grazie con tutto il cuore!
 
Grazie a Eclisse Lunare, Siria_Ilias per aver recensito! Spero di sentirvi ancora <3

Questo capitolo, però, voglio assolutamente dedicarlo alla mia straordinaria Sister, Ragdoll_Cat.
Se questo sequel esiste è merito tuo e dei tuoi “messaggi subliminali”. È grazie al tuo costante supporto e al tuo aiuto, se ho deciso di riprendere Anthea e dare il via a questa nuova follia.
La devo a te l’ispirazione per il “Nuovo Inizio”, soprattutto per quanto riguarda il personaggio di Steve. È stata la tua storia “Certe cose non cambiano mai” a darmi lo slancio, sappilo. Quindi grazie e ancora grazie <3
Ti voglio bene, Sister!
 
Grazie a tutti coloro che leggono questa storia!
Appuntamento tra una settimana. Vi aspetto!
 
Un grande abbraccio <3
Ella
   
 
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