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Autore: NiagaraFalls    24/01/2016    1 recensioni
Esulto come una cretina per essere riuscita nel mio intento proprio nel momento in cui una persona entra in cucina dalla porta sul retro.
Mi giro con una velocità pazzesca nascondendo la refurtiva dietro la schiena per vedere se Nicolas mi ha scoperta e… sono sicura di avere l’espressione di un pesce palla.
Primo, perché girandomi sono riuscita a graffiarmi la mano contro chissà quale mobile, secondo perché davanti a me c’è un ragazzo alto e moro che non è il nipote appiccicoso della signora Filbury.
Nicolas è castano, è più basso, non indosserebbe mai una camicia nera e non è così dolorosamente attraente.
«Tu saresti?» Mi guarda confuso, bloccandosi sulla porta.
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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sigar Allora, tanto per avvisarvi: avevo già pubblicato questa fanfiction, in precedenza, ma poi l'avevo cancellata (ho la brutta abitudine di pubblicare e cancellare fanfiction più spesso di quanto mi cambi i pantaloni), perciò se a qualcuno di voi sembra familiare, è per quello. Va be', vi lascio al primo capitolo, che ho trovato nel mio computer mentre bazzicavo annoiata.
Può fare schifo, può piacervi, può farvi ridere... ma se vi fa schifo ditemelo. Ovviamente sarei contenta se qualcuna di voi lasciasse una recensione! Ora vi lascio leggere, leggiadre fanciulle (o fanciulli, ma ne dubito), e incrocio le dita sperando che vi piaccia!




Capitolo 1


Ho sempre voluto bene alla mia migliore amica Violet. Lei mi fa sempre sentire a mio agio, con lei mi diverto e riesco ad aprirmi. Andiamo quasi sempre d’accordo, nonostante le nostre evidenti differenze, sia fisiche che caratteriali. Lei è la persona che mi ha coperta, mettendosi dietro di me, il giorno in cui i miei pantaloni si sono strappati drasticamente il primo giorno di liceo, lei è la persona che riesce a farmi ridere nei momenti difficili e che mi sostiene quando sto per cedere. Ma lei è anche quella persona che mi ha ricattata, facendomi entrare furtivamente nella casa della sarta di mia madre, solo per un misero pacchetto di sigarette da dare al suo ragazzo. Ecco come mi trovo, in questo momento, a frugare come il peggiore dei ladri nella cucina della signora Filbury.
Sembrerebbe una dolce ed innocente vecchietta, se non fosse una fumatrice incallita, e si vocifera che faccia qualche gara clandestina insieme ai motociclisti il sabato sera. Onestamente non credo alle voci che girano in questo quartiere; lei è stata sempre gentile con me, mi tratta come se fossi sua nipote e prepara delle torte al cioccolato squisite, solo per me e mia madre. Questo è decisamente un altro motivo per cui i sensi di colpa si fanno sentire.
Fortunatamente mi ha dato le chiavi di casa sua, nel caso dovessi rimanere chiusa fuori casa, dicendo che potevo entrare per qualsiasi cosa, anche per un po’ di sale. Quella donna ripone troppa fiducia in me, ed io la sto tradendo. 
Scosto i vasetti di miele che occupano la mensola, rischiando di farli cadere per la troppa fretta. So che nasconde tutto qui, qualche volta l’ho vista prendere una sigaretta dal nulla, e dubito che le api fabbrichino nicotina. Finalmente riesco a vedere parecchie scatoline rettangolari dietro l’ennesimo barattolo. Ne prendo delicatamente una per non farmi sentire, anche se oggi dovrebbe essere la serata del poker a casa della farmacista e di conseguenza dovrei essere sola, ma c’è sempre suo nipote Nicolas che gira per casa e quindi la prudenza non è mai troppa. Ogni volta che mi vede mi intrattiene a parlare con lui ore ed ore, è carino esteticamente, ma è appiccicoso e ultimamente allunga un po’ troppo le mani. 
Esulto come una cretina per essere riuscita nel mio intento proprio nel momento in cui una persona entra in cucina dalla porta sul retro.
Mi giro con una velocità pazzesca nascondendo la refurtiva dietro la schiena per vedere se Nicolas mi ha scoperta e… sono sicura di avere l’espressione di un pesce palla. 
Primo, perché girandomi sono riuscita a graffiarmi la mano contro chissà quale mobile, secondo perché davanti a me c’è un ragazzo alto e moro che non è il nipote appiccicoso della signora Filbury.
Nicolas è castano, è più basso, non indosserebbe mai una camicia nera e non è così dolorosamente attraente.
«Tu saresti?» Mi guarda confuso, bloccandosi sulla porta. 
«Sheila.» Riesco a dire il mio nome senza far trasparire troppo la mia sorpresa.
Continua ad osservarmi per qualche secondo, poi va verso il tavolo e ci si appoggia sopra con i gomiti, prendendo una mela dal cesto della frutta. Sembra di casa anche lui, fa le cose con naturalezza. Io invece sono ancora ferma. Vorrei uscire, scappare da questa situazione, ma la porta è dietro di lui e si accorgerebbe di quello che ho nelle mani. Mi chiedo perché Violet abbia così tanta influenza su di me. Mi ha promesso un paio di scarpe nuove in cambio di un pacchetto di sigarette; dev’essere proprio cotta. Lei ed il suo ragazzo mi stanno aspettando fuori, davanti a casa mia. Si staranno sicuramente chiedendo perché ci metta così tanto. 
Vedo che il ragazzo ha alzato gli occhi su di me, guardandomi come se fossi pazza. 
«Hai bisogno di qualcosa?» 
In questo momento Nicolas ci raggiunge. Spalanca gli occhi nel vedermi e subito un sorriso – tra il malizioso e il felice – si fa spazio sul suo volto. Sono spacciata.
«Shishi!» Pronuncia quell’orribile soprannome, allargando le braccia. «Che bello vederti!»
Subito il suo sguardo si sposta sul ragazzo moro, che nel frattempo ha pulito la mela sulla sua camicia. «Non posso dire lo stesso per te.» 
Evidentemente i due non vanno molto d’accordo. Nicolas lo sta guardando con disprezzo, ed io sto pensando ad una scusa decente per spiegargli la mia mano dietro alla schiena.
Il ragazzo – di cui ancora non so il nome – si alza, sollevando le mani in segno di resa. 
«Siamo cugini. Non dovresti trattarmi così.» Lo sta prendendo in giro, lo vedo. Quindi sono parenti. Non c’è nessuna somiglianza tra loro. Mentre Nicolas lo fulmina con gli occhi cerco di filare via, ma non riesco a fare nemmeno un passo. 
«Aspetta! La nonna dovrebbe arrivare adesso, perché non l’aspetti?» Mi viene un mezzo attacco di panico a sentire quelle parole. Porto avanti la mano libera, sventolandola. 
«No no! Non avevo intenzione di rimanere qui molto…» Ho la voce così stridula che risultare credibile sarà davvero difficile. «Ero solo venuta per prendere un po’ di latte, ma non ce n’è quindi penso di tornare a casa…» Faccio davvero schifo ad improvvisare, me ne rendo conto solo ora. Mi chiedo come faccia a non accorgersi che nasconda qualcosa. Mi accorgo che il mio braccio è piegato in un modo alquanto naturale, e sembra che io abbia messo la mano nella tasca posteriore dei jeans. Perlomeno ho qualche speranza. 
«Davvero? Eppure mi sembra che questa mattina ce ne fosse.» Fa per avvicinarsi al frigo, e quando sta per aprirlo, facendomi così vergognare da morire, arriva la mia salvezza.
«Ha ragione, non ce n’è. L’ho finito io» e lo dice in un modo naturalissimo. Ringrazio in tutti i modi possibili suo cugino, perché forse è vero o forse è semplicemente una balla per proteggermi – cosa che dubito fortemente – ma sta di fatto che Nicolas gli ha creduto e si è allontanato. 
«Non fare quella faccia. Vado a comprarlo io.» Ghigna, lanciandogli la mela. Vedo il fumo uscire dalle orecchie di Nicolas. Sentiamo un clacson suonare insistente al di fuori dell’abitazione, il cugino più basso e più arrabbiato si volta verso di me, riacquistando il sorriso. «Devo uscire con alcuni amici. Vuoi venire, Shishi?»
Scuoto decisa la testa. «No, grazie.» Mi sforzo di sorridere. 
Alza le spalle. Non ho nemmeno il tempo di registrare le sue mosse, si avvicina lasciandomi un bacio sulla guancia neanche fossimo grandi amici e se ne va. 
Quando sparisce dalla mia visuale rilascio un sospiro di sollievo e rilasso i muscoli, rendendomi conto di aver stritolato il pacchetto di sigarette. 
Ora il ragazzo è in una posizione migliore, posso uscire senza destare sospetti. È proprio quello che faccio, ma quando gli passo vicino mi afferra il polso destro costringendo tutto il mio corpo a girarsi verso di lui. Porta la mano incriminata tra la mia faccia e la sua, osserva la scatolina tutta stropicciata e vedo i suoi occhi ghignare insieme alla sua bocca.
Sono sicura di aver riassunto la faccia sorpresa da pesce palla. 
«Penso che tu conosca mia nonna, se sei entrata così spontaneamente in casa sua. Di conseguenza sai anche quanto ami le sue sigarette, ed io ti posso assicurare…» Mentre parla ha abbassato la mia mano, ha cominciato ad accarezzarmi il braccio fino ad arrivare al pacchetto, togliendolo dalla mia presa. Mi accorgo in ritardo di quello che ha fatto, sono troppo occupata a capire quanto neri siano i suoi occhi «… che si accorge quando manca qualcosa nella sua cucina.» 
I suoi occhi non si staccano dai miei e il suo ghigno si è accentuato. Porta la mia mano destra – ora vuota – alla sua bocca, facendo un baciamano perfetto. 
«A proposito, io sono Alexander.»
Sono esterrefatta e a dir poco scombussolata, ma riesco a riacquistare un contegno, anche se l'imbarazzo mi sta divorando.
Provo a parlare, schiarendomi la gola. «Piacere di conoscerti» balbetto, prima di fuggire a gambe levate. Quando sono all'aperto tiro un sospiro di sollievo. E solo allora mi rendo conto di stringere una sigaretta tra le dita.
 
  
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